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Rogo Christe, tibi laudes? - ager veleias

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quem secum adversus diabolum pariter dimicare cernebat sed ut illi panderet integre se<br />

celebrasse collectam quando cum ipsis etiam presbyter fuerat.<br />

“Assolutamente riboccanti di cristiano eroismo sono le parole pronunciate dal martire, a<br />

riprese e come a scatti, nel seguito della lunga e barbara carnificina” 91 nella quale il<br />

martire, memore del comandamento del Signore “amate i vostri nemici e pregate per i<br />

vostri persecutori” (Mt 5,44), con le carni straziate dagli uncini e tra il sangue che, copioso,<br />

sprizzava dal suo corpo ormai sfinito, trova la forza per rivolgersi ai suoi torturatori con<br />

parole di rimprovero ma non disgiunte da un profondo senso di pietà nei loro riguardi.<br />

“Iniuste facitis, infelices: contra deum facitis. Deus altissime, noli illis consentire ad haec<br />

peccata. Peccatis additis, infelices. Contra deum facitis, infelices. Custodimus praecepta<br />

dei altissimi. Iniuste agitis infelices; innocentes laniatis. Non sumus homicidae, non<br />

fraudem fecimus. Deus, miserere; gratias <strong>tibi</strong> ago; pro nomine tuo, domine, da<br />

sufferentiam. Libera servos tuos de captivitate huius saeculi. Gratias <strong>tibi</strong> ago nec sufficio<br />

<strong>tibi</strong> gratias <strong>ager</strong>e”.<br />

Il martire si rivolge al proconsole e ai carnefici ammonendoli riguardo l’errore che stanno<br />

compiendo nei suoi riguardi. La loro condizione è quella d’infelices: nell’uso di questo<br />

termine possiamo ravvisare la compassione che Tazelita prova nei confronti di coloro che<br />

si accaniscono così crudelmente sul suo corpo. Il dolore del martire per l’errore dei suoi<br />

persecutores è sincero poichè lo ravvisa come un’azione non tanto volta contro la sua<br />

umile persona, quanto come un peccato gravissimo nei confronti di Dio, del quale Tazelita<br />

è un testimone. Nelle parole del martire è possibile cogliere una breve apologia del nomen<br />

cristiano. Egli risponde infatti, indirettamente, a tutte quelle accuse che venivano<br />

solitamente, a partire dall'epoca neroniana, attribuite ai cristiani e sulle quali così tanto<br />

avevano insistito gli apologisti dei primi tre secoli. Il martire, dopo aver ricordato alle<br />

autorità che stanno commettendo un’ingiustizia, ricorda loro che stanno dilaniando degli<br />

innocenti che non si son macchiati di alcun reato: non sumus homicidae, non fraudem<br />

fecimus 92 .<br />

L’unica “colpa” di cui si son macchiati i cristiani è stata di custodire i precetti divini. Per<br />

questo Tazelita, ormai allo stremo delle forze, prorompe in un’estrema invocazione di pietà<br />

e grazia al Signore: il martire invoca il nome di Dio per ottenere da questi la forza per poter<br />

sopportare ancora lo strazio delle torture, invocando infine la liberazione dalla prigionia di<br />

questo secolo 93 .<br />

91 Franchi de’ Cavalieri, La Passio, p. 16<br />

92 Cfr. Acta Martyrum Scilitanorum 2: “Speratus dixit: numquam maleficiums, iniquitati nullam operam<br />

praebuimus; numquam malediximus, sed male accepti gratias egimus”. Per una interpretazione originale<br />

di questo passo cfr. Rossi, Mysterium simplictatis<br />

93 Secolo che i martiri non riconoscono come proprio e dal quale invocano la liberazione per pervenire<br />

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