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Rassegna di documenti processuali concernenti le mafie pugliesi.

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correttamente precisato dalla Corte d’Assise <strong>di</strong> Foggia) e che costituiscono un dato acquisito ed<br />

incontrovertibi<strong>le</strong>.<br />

Ed invece la motivazione sul punto è tutta qui. Con poche battute si cancella una realtà a tutti<br />

evidente, peraltro senza ritenere necessario acquisire intercettazioni ambientali decisive proprio con<br />

riguardo a questo punto della causa se è vero ciò che abbiamo sopra evidenziato e cioè che due<br />

‘foggiani’ (Gaetano PISERCHIA e Antonio RECCHIA) <strong>di</strong>scutono della necessità <strong>di</strong> convincere i<br />

loro capi, Roberto SINESI e Vincenzo PARISI, <strong>di</strong> eliminare il CAIAFA, sanseverese, appartenente<br />

sì ad altro gruppo, ma purtuttavia interno ad un’unica associazione, tanto che lo stesso costituisce –<br />

nell’ipotesi in cui decida <strong>di</strong> collaborare con la giustizia – un gravissimo pericolo anche per il gruppo<br />

foggiano e non solo per quello sanseverese.<br />

Ma <strong>le</strong> novità della sentenza della Corte d’Assise d’Appello <strong>di</strong> Bari non si limitano, purtroppo,<br />

alla polverizzazione della mafia foggiana in più gruppi composti ciascuno da un numero <strong>di</strong> persone<br />

superiore a tre; e del resto questa è, con ogni evidenza solo la premessa della vera statuizione <strong>di</strong><br />

quel giu<strong>di</strong>ce che, come era faci<strong>le</strong> prevedere, conclude il proprio intervento ritenendo che nessuno <strong>di</strong><br />

questi gruppi sia qualificabi<strong>le</strong> alla stregua dell’art. 416-bis cod. pen..<br />

La sentenza, premessi brevi cenni sulla nozione <strong>di</strong> associazione <strong>di</strong> stampo mafioso più o meno<br />

con<strong>di</strong>visibili, dai quali comunque emerge, ancora una volta, come anni prima era accaduto nella<br />

sentenza del Tribuna<strong>le</strong> <strong>di</strong> Bari 24 ottobre 1986, una idea preconcetta <strong>di</strong> associazione mafiosa che<br />

tende ad andare oltre i requisiti <strong>di</strong> metodo previsti dalla norma a struttura elastica delineata dal<br />

comma terzo dell’art. 416-bis cod. pen., imponendo<strong>le</strong> <strong>di</strong> ricondursi a tutti i costi al prototipo della<br />

mafia del<strong>le</strong> coppo<strong>le</strong> storte e della lupara a tracolla.<br />

Ta<strong>le</strong> erronea prospettiva emerge con forza proprio dalla illustrazione che la Corte d’Assise <strong>di</strong><br />

Foggia offre della propria concezione <strong>di</strong> ‘formazione’ del fenomeno mafioso, evidentemente<br />

fondata sui tempi lunghi della Storia (con la ‘s’ maiuscola) e non su quelli assai più brevi del<br />

consolidamento <strong>di</strong> un’associazione mafiosa, con ciò implicitamente (e forse inconsapevolmente)<br />

ammettendo <strong>di</strong> guardare solo, ancora una volta, al modello mafioso classico, l’unico dotato <strong>di</strong> ta<strong>le</strong><br />

antica origine e soprattutto l’unico capace <strong>di</strong> sopportare la ‘prova <strong>di</strong> resistenza’ richiesta dal<strong>le</strong> sue<br />

premesse teoriche.<br />

“In conclusione l’associazione a delinquere potrà essere definita <strong>di</strong> tipo mafioso soltanto a<br />

partire da quando, per la pregressa attività criminosa o per la fama acquistata, abbia già una<br />

capacità intimidatrice idonea a determinare, se utilizzata una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> assoggettamento e <strong>di</strong><br />

omertà.Con l’uso dell’in<strong>di</strong>cativo il <strong>le</strong>gislatore ha inteso evitare il rischio che l’associazione potesse<br />

essere colpita – con il particolare rigore sanzionatorio dell’art. 416-bis cod. pen. – anche se tutt’ora<br />

sprovvista <strong>di</strong> una carica intimidatrice pienamente efficace.”…<br />

Orbene, applicando tali concetti alla fattispecie in esame, non può non ri<strong>le</strong>varsi che certamente i<br />

gruppi o associazioni malavitose <strong>di</strong> S. Severo ed Apricena non possono essere inquadrati nel<strong>le</strong><br />

associazioni <strong>di</strong> cui all’art. 416-bis cod. pen., mancando la prova in atti della esistenza degli e<strong>le</strong>menti<br />

caratterizzanti appunto il metodo mafioso.”<br />

Ancora una volta il <strong>le</strong>ttore della sentenza si aspetta, <strong>le</strong>gittimamente, una rigorosa <strong>di</strong>mostrazione<br />

<strong>di</strong> ta<strong>le</strong> assunto, che riforma sul punto una sentenza <strong>di</strong> primo grado, ma ta<strong>le</strong> attesa rimane<br />

nuovamente delusa poiché seguono solo <strong>di</strong>eci righe dattiloscritte che non possono essere<br />

considerate rigorosa <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> alcunché.<br />

A questo punto non resta che <strong>le</strong>ggere la parte della sentenza riguardante <strong>le</strong> organizzazioni<br />

criminose operanti nella città <strong>di</strong> Foggia.<br />

“Per <strong>le</strong> associazioni operanti in Foggia è opportuno procedere ad un esame più approfon<strong>di</strong>to,<br />

essendo indubbio che in quel territorio atti <strong>di</strong> vio<strong>le</strong>nza anche gravi sono stati commessi…<br />

Orbene ritiene la Corte che il ricorso frequente ad atti <strong>di</strong> vio<strong>le</strong>nza più che <strong>di</strong>mostrare una<br />

acquisita capacità <strong>di</strong> intimidazione dell’associazione rivela al contrario un comportamento<br />

specificatamente rivolto, se mai, a munire l’organizzazione <strong>di</strong> quella carica intimidatrice, così da<br />

definirsi se mai attività <strong>di</strong> promozione dell’associazione mafiosa.”…

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