Rassegna di documenti processuali concernenti le mafie pugliesi.

Giravano attorno a lui decine di persone importantissime, alcune addirittura di livello nazionale
che avevano, tramite lui, tutti i servizi, tutte le condizioni; venivano soddisfatte tutte le necessità
che, in precedenza, invece costavano, ed anche parecchio.
Questa sua capacità di individuare per ciascuno il proprio punto di scambio e quindi di trovare
con ciascuno il punto di mediazione, ha fatto e ha creato quest’uomo però – e qui lo deve ammettere
lui stesso – se questo scambio si fosse limitato allo scambio elettorale, allo scambio di corruzione,
allo scambio di tutto quello che accidenti si vuole, nessuno gli avrebbe mosso l’accusa di essere un
mafioso.
Ma quando si va a scambiare con la gente che uccide, con la gente che spaccia droga, con la
gente che spara, con la gente che fa contrabbando, con la gente che è in connessione con tutti i
criminali peggiori di questo Paese, quando si va a scambiare con questa gente si diventa mafiosi
come quella persona e come quelle persone con cui si scende a patti, con le quali ci si accorda, delle
quali ci si serve e delle quali non si ha più paura” (44).
Anche l’analisi condotta dal Tribunale della prevenzione di Bari sul processo attraverso il quale
le C.C.R. si affermarono quale gruppo prioritario nell’ambito della sanità pugliese riveste estremo
interesse: “Esse nacquero con un oggetto sociale, e svolsero effettivamente un’attività di
prestazione di servizi, del tutto lecita, ma si affermarono e radicarono sul mercato utilizzando la
forza di intimidazione propria della manovalanza malavitosa, soprattutto all’interno dell’azienda, ed
insieme l’attività di costruzione e di controllo del voto di scambio, ed usufruiscono di
un’amplissima liquidità procurata illecitamente (mediante fatturazioni false che hanno determinato
l’appropriazione parziale del patrimonio sociale, e mediante truffe alla Regione Puglia, nonché per
il tramite di flussi di danaro di origine oscura). Quella enorme massa di liquidità illecita in parte è
stata ritenuta dal CAVALLARI ed in parte è stata riversata all’interno del patrimonio sociale.
Ciò consente di affermare essersi in presenza di un’impresa il cui patrimonio si è formato in parte
sostanziale quale tutto di attività illecite, e si è sviluppato sicuramente grazie al reimpiego di attività
illecite.
Si è in presenza, cioè, di una fattispecie di “impresa mafiosa”, quantunque non tradizionale,
sicché le quote della C.C.R. in sequestro debbono essere integralmente confiscate” (45).
La mappa dei clan criminali operanti nella città di Bari, e tra essi anche quelli entrati in
partership con il CAVALLARI ai fini della creazione della associazione di stampo mafioso di cui si
è sin qui detto, può ricavarsi essenzialmente dagli accertamenti effettuati nei procedimenti penali
che di seguito sinteticamente si illustreranno.
Il processo denominato “Japigia”, dal nome del quartiere di Bari dominato dal clan guidato da
Savino PARISI, ha riguardato le indagini condotte dalla Polizia di Stato svolte tra il settembre 1991
ed il settembre 1992 sulla associazione criminale guidata dal predetto PARISI e conclusesi con la
sentenza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari Concetta RUSSI del 3
marzo 1993 (46) che pero ha avuto riguardo solo all’imputazione di associazione finalizzata al
traffico e stupefacenti e non anche a quella di associazione di stampo mafioso.
Tali investigazioni sono essenzialmente consistite nella effettuazione di intercettazioni
ambientali all’interno di un locale adibito ad uso commerciale di proprietà di uno dei principali
collaboratori del PARISI.
L’organizzazione, a struttura piramidale e fortemente gerarchizzata, era in grado di spacciare
ingentissimi quantitativi di sostanze stupefacenti (eroina pura detenuta in partite che ammontavano
anche a 40 kg. per volta, hashish detenuto a balle del peso di centinaia di chili), conseguendo ricavi
misurabili in miliardi di lire (si pensi che è stato effettuato in un unico contesto un sequestro di
danaro contante pari ad 830 milioni di lire), mentenendo il controllo territoriale assoluto di uno dei
quartieri più vasti e popolosi della città di Bari, tramite la disponibilità di numerose armi, anche
automatiche, nonché approfittando del totale stato di assoggettamento della popolazione di quel
quartiere capace di mantenere omertà assoluta attorno all’organizzazione ed alle sue attività, persino
quando queste consistevano nello spaccio massiccio effettuato per strada, alla vista di tutti.