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Marzo 2008.qxp - Amici di Luca

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minima possibilità <strong>di</strong> un qualche,<br />

sia pure flebile, recupero della<br />

coscienza e <strong>di</strong> ritorno ad una percezione<br />

del mondo esterno;<br />

(b) sempre che tale istanza sia<br />

realmente espressiva, in base ad<br />

elementi <strong>di</strong> prova chiari, univoci<br />

e convincenti, della voce del<br />

paziente medesimo.<br />

E aggiunge che “ove l’uno o l’altro<br />

presupposto non sussista, il<br />

giu<strong>di</strong>ce deve negare l’autorizzazione,<br />

dovendo allora essere data<br />

incon<strong>di</strong>zionata prevalenza al<br />

<strong>di</strong>ritto alla vita, in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dal grado <strong>di</strong> salute, <strong>di</strong><br />

autonomia e <strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> intendere<br />

e <strong>di</strong> volere del soggetto interessato<br />

e dalla percezione, che<br />

altri possano avere, della qualità<br />

della vita stessa”.<br />

Dunque, in linea con gli orientamenti<br />

bioetici Statunitensi, viene<br />

affermato il primato della<br />

volontà soggettiva e dell’autonomia<br />

del paziente anche se egli<br />

non può più esercitarla in modo<br />

attuale, purchè <strong>di</strong>mostrata in<br />

modo chiaro univoco e convincente,<br />

ma altresì si esige dalla<br />

scienza me<strong>di</strong>ca un grado molto<br />

alto <strong>di</strong> “certezza” <strong>di</strong>agnostica e<br />

prognostica. Il principio è quin<strong>di</strong><br />

coerente con decisioni come<br />

quella assunta dalla Suprema<br />

Corte della California che, nel<br />

caso <strong>di</strong> Robert Wendland del<br />

2001, non autorizzò l’interruzione<br />

del trattamento alimentare<br />

poichè il paziente fu riconosciuto<br />

in uno stato <strong>di</strong> minima coscienza<br />

e pertanto “non terminale”,<br />

anche se tale stato perdurava da<br />

7 anni.<br />

Il vero punto <strong>di</strong>rimente è dunque<br />

la presunta peculiarità dello SV<br />

poiché solo in questo “a <strong>di</strong>fferenza<br />

che in altri, può darsi effettivamente<br />

il problema del riscontro<br />

<strong>di</strong> un qualunque beneficio o<br />

una qualunque utilità tangibile<br />

dei trattamenti o delle cure, solo<br />

finalizzate a posporre la morte<br />

26<br />

D O S S I E R<br />

sotto l’angolo visuale biologico”<br />

(Sentenza corte <strong>di</strong> Cassazione<br />

n.21748/2007). Le Corti hanno<br />

escluso ogni possibile zona grigia<br />

assumendo che “lo stato<br />

vegetativo permanente (…) è<br />

uno stato unico e <strong>di</strong>fferente da<br />

qualunque altro” e che vi è una<br />

“evidente <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> situazione<br />

oggettiva che accompagna chi<br />

cada non già in una qualunque<br />

situazione <strong>di</strong> incapacità (…) ma<br />

solo chi cada in quella del tutto<br />

speciale con<strong>di</strong>zione-limite definibile<br />

Stato Vegetativo Permanente”.<br />

Si da per scontato che la<br />

<strong>di</strong>agnosi me<strong>di</strong>ca sia sempre in<br />

grado <strong>di</strong> identificare questa con<strong>di</strong>zione-limite<br />

con un grado<br />

ragionevole <strong>di</strong> certezza.<br />

Certezza e incertezza della <strong>di</strong>agnosi<br />

La questione <strong>di</strong>rimente della<br />

“ragionevole certezza” presenta<br />

però aspetti controversi. La<br />

molto citata “migliore sintesi<br />

scientifica e clinica oggi <strong>di</strong>sponibile”<br />

risale al 1994 (MSTF,<br />

NEJM) e da allora parecchie<br />

cose sono cambiate, sia in termini<br />

assistenziali che in termini <strong>di</strong><br />

evidenze cliniche e sperimentali.<br />

In generale, ha sempre più preso<br />

consistenza la percezione <strong>di</strong> una<br />

sostanziale con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “incertezza”<br />

sul piano <strong>di</strong>agnostico (e<br />

prognostico).<br />

Esiste in primo luogo un problema<br />

<strong>di</strong> “case definition”. Come ha<br />

osservato Shewmon (2004) sono<br />

utilizzati almeno 3 <strong>di</strong>versi<br />

costrutti per la descrizione dello<br />

SV, sintetizzati nella serie ABC<br />

(Anatomy, Behaviour, Consciousness).<br />

Purtroppo non esiste una<br />

concordanza punto a punto fra<br />

questi tre costrutti, ed ognuno <strong>di</strong><br />

essi presenta un margine rilevante<br />

<strong>di</strong> incertezza.<br />

La definizione Anatomica (A)<br />

non identifica univocamente lo<br />

SV in quanto il profilo neuropatologico<br />

non presenta elementi<br />

peculiari e vi è una ampia<br />

sovrapposizione fra SV e grave<br />

<strong>di</strong>sabilità (Jennet 2001): ad<br />

esempio, un DAI <strong>di</strong> grado 2-3 è<br />

presente nel 71% dei pazienti in<br />

SV ma anche nel 30% dei pazienti<br />

con <strong>di</strong>sabilità severa, lesioni<br />

talamiche sono presenti<br />

nell’80% dei pazienti in SV ma<br />

anche nel 37% dei pazienti con

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