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Con <strong>di</strong>sposizioni come sopra si comprende come i vicini abbiano tutto l’interesse a curare e a mantenere i beni<br />
comunali, così come salvaguardano i propri da ogni forma <strong>di</strong> rovina o <strong>di</strong> danneggiamento.<br />
Ancora lo statuto prevede che quando si tratta <strong>di</strong> vendere o <strong>di</strong> affittare beni comunali, si proceda sempre per<br />
pubblico incanto: l’assegnatario deve aver pagato eventuali debiti verso il <strong>Comune</strong>, prestare garanzia e pagare il<br />
dovuto. Anche le cose pignorate ai vicini vengono portate in piazza per la ven<strong>di</strong>ta o a Bergamo o in altro luogo, a<br />
spese del debitore se non vendute in piazza. A questo proposito è richiamata una delibera del 1403. Altri capitoli<br />
dello statuto sono de<strong>di</strong>cati ai beni comunali. Innanzitutto i consoli, entro otto giorni dall’inizio del loro incarico,<br />
devono far giurare tutti i vicini <strong>di</strong> aver cura dei beni comunali. Entro un mese, invece, sempre i consoli devono far<br />
scrivere i ‘buschi’ <strong>di</strong> ogni vicino per tirare a sorte chi deve provvedere alla manutenzione delle strade, delle<br />
fontane, dei pozzi, degli abbeveratoi per gli animali. ‘Buschi’: ancora oggi “trà b¬scheta” è un modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re e <strong>di</strong><br />
fare a <strong>Casnigo</strong>. Senz’altro deriva dai ‘buschi’ (siccome si parla <strong>di</strong> scrivere, probabilmente saranno stati pezzi <strong>di</strong><br />
carta) citati dallo statuto. Chi aveva l’incarico <strong>di</strong> provvedere a tali riparazioni era pagato a giornata lavorativa:<br />
percepiva il doppio d’inverno (da S. Martino ai primi <strong>di</strong> aprile) rispetto all’altro periodo dell’anno (dai primi <strong>di</strong> aprile<br />
a S. Martino).<br />
All’epoca, sono <strong>di</strong> proprietà dei Comuni la chiesa e quanto a essa appartiene, i mulini, il follo, le<br />
taverne, le beccarie, le acque, alcuni prati, boschi e alcune vie. Molte terre sono “convenzionate”, cioè<br />
affidate a privati: se ne proibisce e se ne limita l’uso comune, sia rispetto al modo che al tempo. Sono in<br />
convenienza le viti, tutti i frutti e i seminati.<br />
La proprietà privata è severamente protetta dalle norme statuarie. I terreni privati devono essere recintati da<br />
siepi, segnati da termini. E’ vietato attraversare i prati altrui, così come tagliare gli alberi dei vicini.<br />
Le multe più consistenti, dopo quelle che sono comminate a chi turba l’or<strong>di</strong>ne pubblico, riguardano proprio i<br />
reati che ledono la proprietà altrui. Ormai si è attuata un netta <strong>di</strong>stinzione tra la proprietà pubblica e quella privata,<br />
e il singolo proprietario può vantare più <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto a tutela dei propri beni, contro ogni forma <strong>di</strong> danneggiamento<br />
da parte <strong>di</strong> terzi.<br />
Via via che il <strong>Comune</strong> si rafforza e acquista una propria fisionomia, la terra destinata allo sfruttamento collettivo<br />
sfugge sempre più dalle mani dei vicini. Perciò anche l’uso <strong>di</strong> sorteggiare queste terre fra gli abitanti del <strong>Comune</strong>,<br />
a poco a poco, cade. Ad esso si sostituisce la concessione per pubblico incanto. In tal modo il go<strong>di</strong>mento<br />
dei beni comunali è riservato soltanto ai vicini più facoltosi. La conseguenza più imme<strong>di</strong>ate è la formazione<br />
<strong>di</strong> una classe privilegiata <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni sulla base appunto della maggior ricchezza; si viene così a infrangere la<br />
primitiva omogeneità e, in prosieguo <strong>di</strong> tempo, la parità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti. E’ quin<strong>di</strong> inevitabile che le cariche elettive del<br />
<strong>Comune</strong> <strong>di</strong>vengano monopolio <strong>di</strong> poche famiglie, legate da comuni interessi e gelose dei propri privilegi.<br />
Il loro obiettivo è la progressiva liquidazione dei beni comunali a tutto vantaggio del loro patrimonio<br />
privato . In tal modo il patrimonio del <strong>Comune</strong> si assottiglia sempre più a tutto vantaggio <strong>di</strong> poche persone, finché<br />
scompare del tutto. Hanno così origine le signorie.<br />
LA TAVERNA – Quello dello spaccio del vino era un <strong>di</strong>ritto feudale, poiché era <strong>di</strong>ventato privativa del feudatario<br />
tutto quanto poteva <strong>di</strong>ventare un utile. Con la emancipazione dal signore, la sua gestione passa <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto al<br />
<strong>Comune</strong>, in e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> proprietà comunale.<br />
La taverna è una riven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> vini al minuto e all’ingrosso. La ven<strong>di</strong>ta al minuto da parte <strong>di</strong> altri è proibita senza<br />
licenza speciale dei consoli, secondo quanto stabilito dallo statuto.<br />
La figura del taverniere è oggetto <strong>di</strong> minuziose norme da parte degli statuti rurali. Tali <strong>di</strong>sposizioni sono<br />
meritevoli <strong>di</strong> attenzione, perché in<strong>di</strong>cano il particolare impegno a <strong>di</strong>sciplinare e a sorvegliare, nel modo più<br />
rigoroso, questo tipo <strong>di</strong> attività, una delle principali dell’epoca.<br />
Lo statuto prevede che annualmente la gestione della taverna venga messa all’incanto: a quest’incanto<br />
possono partecipare i vicini che non ricoprono cariche comunali. Il gestore della taverna è il ‘tavernaro’, che prima<br />
<strong>di</strong> iniziare la sua attività deve prestare giuramento. Alla sorveglianza dell’attività della taverna e del taverniere<br />
dagli ufficiali del <strong>Comune</strong> sono eletti due “homini provi<strong>di</strong> e <strong>di</strong>screti” affiancati da due vicini non parenti del<br />
taverniere. Anche questi prestano giuramento: rispondono del loro operato al consiglio <strong>di</strong> credenza e per sei anni<br />
non possono essere rieletti a tale incombenza; sono chiamati ‘rectori’, ‘furnidori’, ‘condutori’ della taverna, e come<br />
tali percepiscono il salario <strong>di</strong> quattro lire imperiali. Rientra nei loro compiti anche l’approvvigionamento del vino.<br />
Tra gli obblighi del taverniere ricordati dallo statuto ci sono quelli <strong>di</strong> non fare buchi nei ‘vaselli’ sigillati, <strong>di</strong> non<br />
togliere i sigilli apposti sugli stessi, <strong>di</strong> dare vino nella quantità richiesta, <strong>di</strong> far pagare il giusto prezzo. E’ vietato al<br />
taverniere <strong>di</strong> dare vino e cibo a ladri, ban<strong>di</strong>ti, ribelli. Un <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> questo genere rivela come i vicini vengano<br />
sensibilizzati al problema della repressione della criminalità. Qualsiasi forma <strong>di</strong> collaborazione con i delinquenti è<br />
severamente punita, così che coloro i quali trasgre<strong>di</strong>scono <strong>di</strong>sposizioni dello statuto <strong>di</strong>fficilmente possono trovare<br />
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