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Villa<strong>di</strong>seriane, Bergamo 1989, pp. 7-9, 53-68, 71-73, 83-87<br />
[pp. 7-9]<br />
Sul finire del XV secolo, il notaio “TADE DE ANDREOL DI CAPITANI” re<strong>di</strong>geva su pergamena, in gotica<br />
libraria, lo Statuto <strong>di</strong> <strong>Casnigo</strong>, oggi nella Biblioteca del Senato in Roma.<br />
Nel XVIII secolo – poco prima che le idee della Rivoluzione francese ne determinassero l’abrogazione – il<br />
notaio G.B. CASSONI <strong>di</strong> Vertova ne dava, in un co<strong>di</strong>ce cartaceo, oggi nella Biblioteca Civica A. Mai <strong>di</strong><br />
Bergamo, la sua versione.<br />
Piccola e povera comunità rurale <strong>di</strong>pendente dal rispetto delle norme elementari della convivenza civile, dai<br />
prodotti della terra, dalla <strong>di</strong>sponibilità dei boschi e dei prati, da alcuni secoli <strong>Casnigo</strong> faceva giurare ai magistrati<br />
neoeletti <strong>di</strong> salvaguardare i suoi statuti; il popolo in assemblea controgiurava fedeltà alla legge comunale per<br />
eccellenza.<br />
Nel XV secolo, anche a <strong>Casnigo</strong>, mutate le con<strong>di</strong>zioni politiche del territorio bergamasco con l’avvento della<br />
Signoria veneziana, si impose la necessità della revisione degli antichi statuti.<br />
Grazie a una larga accettazione <strong>di</strong> elementi toscani pervenuti attraverso <strong>di</strong>verse me<strong>di</strong>azioni, il volgare doveva<br />
essere anche qui ormai tanto compreso da poter essere usato come strumento <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong> una volontà<br />
normativa; così che l’esistenza e la resistenza palese <strong>di</strong> varietà linguistiche locali nello Statuto appaiono oggi<br />
piuttosto imputabili a necessità <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pratico (toponomastici, patronimici, nomi <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong> uso quoti<strong>di</strong>ano)<br />
che a <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> resa linguistica, quando si tenga conto che il documento, <strong>di</strong> natura giuri<strong>di</strong>ca, non aveva<br />
intenzioni letterarie ma bisogno <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata comprensione.<br />
Così dalla loro lineare configurazione gli statuti antecedenti si ridussero in una corposa raccolta, spesso<br />
<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata, <strong>di</strong> norme giuri<strong>di</strong>che, e passarono dalla tra<strong>di</strong>zionale lingua latina a quella italiana.<br />
Non quella, per intenderci, che il contemporaneo Machiavelli usava nella Cancelleria fiorentina, ma quella<br />
ancora capace <strong>di</strong> registrare con <strong>di</strong>sinvolta noncuranza il latino me<strong>di</strong>evale <strong>di</strong> ‘pasculo’ (da ‘pasculum’) e, quattro<br />
righe più oltre, il <strong>di</strong>alettale ‘pasquel’.<br />
Lo stesso nome del villaggio è <strong>di</strong> incerta grafia: probabilmente l’estensore dello Statuto sente ‘Cazenich’, e così<br />
lo scrive quasi sempre; qualche volta ne avverte la <strong>di</strong>stanza dalla lingua letteraria, e ve lo riconduce scrivendo<br />
‘Cazenico’ o anche ‘Cazanico’ .<br />
Nel secolo XV, <strong>Casnigo</strong> è parte della Valgan<strong>di</strong>no: non solo ve lo associa la posizione geografica ma<br />
anche la volontà politica <strong>di</strong> Venezia.<br />
Abbiamo cercato <strong>di</strong> leggere questo ambiente non con lo scrupolo del moderno topografo (cosa già fatta, e con<br />
lode, da altri), ma con un documento coevo: una ‘Carta dell’or<strong>di</strong>namento amministrativo dato da Venezia al<br />
territorio bergamasco’. Non abbiamo rinunciato nemmeno a uno schizzo cartografico leonardesco, quasi<br />
contemporaneo, scoprendo che, se pure in parte l’eccezionale documento è approssimativo, può sorreggere<br />
tuttavia un’ipotesi: il ‘Regù’ e il ‘Trebonarmì’ (una fonte a sifone e un’argilla rossa) forse richiamarono<br />
l’attenzione dello scienziato.<br />
Avremmo voluto conoscere quanti abitanti avesse allora il villaggio e quale fosse la consistenza reale del suo<br />
patrimonio boschivo e prativo; quale fosse la sua economia, quali i ceppi familiari, quali i quartieri; quale<br />
l’abbigliamento e quali le forme <strong>di</strong> solidarietà con i poveri. Non abbiamo potuto sapere nulla <strong>di</strong> questo e d’altro;<br />
poiché avremmo dovuto procedere per sole congetture, abbiamo preferito rimandare il lettore agli stu<strong>di</strong> generali e<br />
specifici prodotti su tali argomenti.<br />
Abbiamo voluto soltanto interrogare lo Statuto.<br />
Volevamo capire che cosa fosse, <strong>di</strong> quale considerazione godesse, dove affondasse le sue ra<strong>di</strong>ci. Il confronto<br />
con altri statuti – che abbiamo soltanto esemplificato – ci ha permesso <strong>di</strong> avvicinarci <strong>di</strong> più al documento e <strong>di</strong><br />
illuminarlo sufficientemente.<br />
Abbiamo così potuto ricostruire un quadro della vita comunale che, poggiando sul consenso popolare,<br />
muoveva dal giuramento <strong>di</strong> fedeltà ai propri doveri da parte degli abitanti del villaggio per articolarsi e<br />
<strong>di</strong>stendersi in una serie <strong>di</strong> obblighi, <strong>di</strong>vieti, pene, al fine <strong>di</strong> garantire la pacifica convivenza civile nel<br />
contemporaneo esercizio dell’autonomia.<br />
Per offrire un agile uso del documento ne abbiamo dato la nostra versione.<br />
Le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> questa operazione sono state numerose, e certo non tutte abbiamo saputo superarle<br />
felicemente. C’era d’altra parte il dovere <strong>di</strong> non snaturare il documento: <strong>di</strong> non tra<strong>di</strong>re il suo originale carattere