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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Autori Vari<br />
<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />
<strong>Terzo</strong> <strong>Volume</strong><br />
2
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />
Ad Agosto <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> compie tre anni di attività.<br />
Tre anni di intenso lavoro, di soddisfazioni, di<br />
entusiasmo, nei quali siamo riusciti a traguardare<br />
impegni importanti e progetti ambiziosi.<br />
Con orgoglio possiamo dire che questa realtà e<br />
questo gruppo è conosciuto sia in Italia che all’estero.<br />
A fianco di autori ormai affezionati alle nostre attività<br />
e ai nostri concorsi, si aggiungono e partecipano<br />
nuovi autori,giovani e meno giovani, che ci onorano<br />
della loro attenzione e collaborazione. Siamo riusciti a<br />
realizzare e a concretizzare tutto ciò grazie<br />
soprattutto a voi, a voi autori, che con i vostri scritti,<br />
la vostra attenzione e il vostro appoggio ci state<br />
supportando in modo significativo.<br />
Tre anni di vita e di attività non sono pochi, un<br />
risultato ed un traguardo per nulla<br />
scontato,soprattutto perché raggiunto in uno scenario<br />
in cui la deriva culturale, l’assopimento delle<br />
coscienze e delle menti umane è divenuto strategia<br />
dell’agire del potere politico ed economico.<br />
Il lavoro portato a termine da quella sera di agosto<br />
2008, nella quale si è deciso di intraprendere questo<br />
progetto, è stato tanto e ha visto come tappe<br />
fondamentali :<br />
• La realizzazione del sito www.pagineribelli.it<br />
3
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
• L’organizzazione del primo , del secondo e<br />
del terzo concorso letterario nazionale<br />
Adriano Zunino<br />
• L’organizzazione del concorso di poesia<br />
‘I Poeti di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong>’.Concorso gratuito<br />
esclusivamente on-line conclusosi con la<br />
realizzazione dell’omonima anotologia. Le<br />
adesioni sono state stratosferiche : 662<br />
Partecipanti (314 donne e 348 uomini) per<br />
2.492 Opere Inviate. Con una età media dei<br />
partecipanti di 39 anni.<br />
• Altro porgetto da ricordare è stato ‘Articolo<br />
32 Una Pillola Costituzionale’ legato al bando<br />
‘Adotta un articolo della costituzione’ indetto<br />
dall’ANPI provinciale di Savona al quale<br />
<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> ha aderito adottando l’articolo<br />
32 e realizzando l’antologia ‘Articolo 32 una<br />
Pillola costituzionale’ contenente il DVD<br />
della registrazione dello spettacolo teatrale<br />
realizzato il 1° Aprile 2011. Questo progetto<br />
è stato realizzanto attingendo dalle opere che<br />
abbiamo ricevuto nelle precedenti edizioni<br />
dei nostri concorsi e da opere appositamente<br />
inviate per questo scopo che ben si<br />
prestavano a trattare l’articolo 32 della nostra<br />
costituzione,da un punto di vista tipicamente<br />
letterario..<br />
• L’incontro importante e qualificante con la<br />
compagnia teatrale TimoteoTeatro di Elio<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Berti ‘I commedianti’. Da questa<br />
collaborazione sono scaturiti lavori di<br />
drammatizzazione,di rievocazione e di<br />
declamazione collettiva delle opere legate alle<br />
edizioni del nostro concorso che hanno<br />
arricchito di significato e di qualità il nostro<br />
lavoro. Testimonianza di quanto le varie<br />
espressioni artistiche: poesia, racconti,teatro<br />
e musica si compenetrino e permettano di<br />
realizzare e costruire momenti di incontro<br />
collettivo e di spettacolo che a pieno titolo si<br />
annoverano in ciò che comunemente viene<br />
definito “espressione artistica”.<br />
• La collaborazione importante e significativa<br />
con la prof. Roberta Melandri che cura<br />
l’aspetto musicale di tutte le manifestazioni<br />
pubbliche ha dato un ulteriore senso al<br />
nostro lavoro.<br />
• La disponibilità,la qualificata competenza<br />
degli esponenti della giuria ha assicurato una<br />
grande continuità e serietà nelle valutazioni<br />
delle opere.<br />
• Le adesioni e i lavori dei partecipanti ai nostri<br />
concorsi ci hanno permesso di traguardare<br />
risultati importanti per noi inimmaginabili<br />
all’inizio del nostro percorso. E di ciò<br />
ringraziamo ancora tutti gli autori e i<br />
partecipanti ai nostri concorsi.<br />
L’impegno per il futuro è di continuare e rafforzare<br />
questo progetto, aperto a tutti coloro i quali vorranno<br />
5
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
partecipare, al di la e al di sopra delle appartenenze<br />
politiche e partitiche dei singoli.<br />
Un ringraziamento sentito a tutti coloro i quali hanno<br />
realizzato tutto questo e vorranno continuare questa<br />
straordinaria esperienza.<br />
La redazione di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />
Proprietà letteraria degli Autori<br />
A.A.V.V. – <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> © 2011<br />
www.pagineribelli.it<br />
Stampato in proprio nel giugno 2011<br />
I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.<br />
Nessuna parte di questo libro può essere usata,<br />
riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi senza<br />
autorizzazione scritta dell’autore.<br />
6
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Indice<br />
PAGINE RIBELLI.......................................................<br />
3<br />
PREFAZIONE<br />
......................................................... 10<br />
1. SEZIONE POESIA INEDITA A TEMA LIBERO...............<br />
13<br />
1.1 L’ALTALENA<br />
.................................................. 13<br />
1.2 INSOSTENIBILE RISUCCHIO ESISTENZIALE<br />
.............. 14<br />
1.3 BLACKOUT METAFISICO.....................................<br />
16<br />
1.4 UN GIORNO QUALUNQUE....................................<br />
17<br />
1.5 FERRAGOSTO<br />
1.6 A TE CHE SEI GIOVANE<br />
1.7 IL TEMPO DEI RIMBOMBI<br />
1.8 NELLE COSE<br />
1.9 CONO D’OMBRA<br />
1.10 NELLA GABBIA<br />
.................................................. 18<br />
..................................... 19<br />
................................... 20<br />
................................................... 21<br />
.............................................. 22<br />
.............................................. 23<br />
2. SEZIONE RACCONTO INEDITO A TEMA LIBERO..........<br />
25<br />
2.1 MATURITÀ<br />
2.3 ANIME ELETTE<br />
2.4 L’ISOLA TARTARUGA<br />
2.5 SULL’ACCELERATO<br />
2.6 GELIDO SOFFIO DI VENTO<br />
..................................................... 25<br />
................................................ 41<br />
2.7 IL DESTINO NON BUCA IL BIGLIETTO<br />
2.8 LA PENSIONE<br />
....................................... 47<br />
.......................................... 52<br />
.................................. 62<br />
................... 68<br />
.................................................. 73<br />
7
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.9 IL DISERTORE .................................................. 78<br />
2.10 LA COLLANINA<br />
............................................. 83<br />
3. SEZIONE DONNA................................................<br />
87<br />
3.1 OGNI SERA, TRANNE IL GIOVEDÌ..........................<br />
87<br />
3.2 ELEGIA<br />
......................................................... 96<br />
3.3 PAROLE (DA DONNA A DONNA) ........................... 98<br />
3.4 LE SORELLE Q.................................................<br />
99<br />
3.5 STASERA ...................................................... 102<br />
3.6 E’ DONNA<br />
.................................................... 103<br />
3.7 GIOVANNA, UNA RAGAZZA ALLEGRA..................<br />
104<br />
3.8 LA VACUITÀ<br />
................................................. 110<br />
3.9 CRONACA DI UN INTERNO MOLTO PARTICOLARE<br />
3.10 LA PRIMA PARTE<br />
.. 111<br />
......................................... 118<br />
4. SEZIONE (R)ESISTERE.......................................<br />
125<br />
4.1 IL RIFIUTO (LÀ, DIETRO LA CURVA...) ................ 125<br />
4.2 I NOSTRI PEZZI CHE UN GIORNO FURONO INTERI POETI<br />
......................................................................... 133<br />
4.3 GENESI 2,23 * .............................................. 136<br />
4.4 DIARIO DI UN SOLDATO<br />
.................................. 143<br />
4.5 MASSACRO A WOUNDED KNEE - GINOCCHIO FERITO<br />
......................................................................... 145<br />
8
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
NB I PUNTI-BASTONI NELLA VERSIONE ORIGINALE SONO IN<br />
ROSSO<br />
................................................................. 146<br />
4.6 IL RUMORE DEL SILENZIO<br />
4.7 IL COMANDANTE<br />
4.8 IO ... SCHIAVA<br />
4.9 AD UN REDUCE<br />
................................ 147<br />
............................................ 148<br />
............................................. 154<br />
............................................. 156<br />
4.10 UNA MUSICA VENUTA DA LONTANO<br />
................ 157<br />
5. FUORI CONCORSO.............................................<br />
162<br />
5.1 IL CUORE NEL VASO<br />
5.2 IO CHIEDO PERDONO<br />
5.3 LA “SCIURA MARIA”<br />
....................................... 162<br />
....................................... 167<br />
.................................... 169<br />
6. LA CLASSIFICA DEL CONCORSO...........................<br />
185<br />
SEZIONE POESIA INEDITA A TEMA LIBERO.................<br />
185<br />
SEZIONE RACCONTO INEDITO A TEMA LIBERO............<br />
185<br />
SEZIONE DONNA..................................................<br />
186<br />
SEZIONE (R)ESISTERE...........................................<br />
187<br />
9
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Prefazione<br />
La Redazione di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />
Il rapporto esistente tra cultura e società, o meglio tra<br />
cultura e potere, è sempre stato al centro di un<br />
importante dibattito politico e filosofico.<br />
La “modernità liquida” ha profondamente segnato sia<br />
il concetto di cultura che le sue manifestazioni,<br />
lasciando inalterata l’importanza di alcuni concetti<br />
fondamentali a partire dalla definizione di cultura , di<br />
egemonia culturale, delle funzioni ed interconnessioni<br />
esistenti tra potere e cultura.<br />
Non a caso oggi si riaccendono i riflettori sul<br />
fenomeno della deriva culturale in atto nel nostro<br />
paese.<br />
Gramsci affermava che “tutti gli uomini sono<br />
intellettuali”, poiché ogni uomo, consapevolmente o<br />
meno, esplica “una qualche attività intellettuale”.<br />
Non esiste attività umana “da cui si possa escludere ogni<br />
intervento intellettuale”, “non si può separare l'homo faber<br />
dall'homo sapiens”. Tuttavia, “non tutti gli uomini hanno<br />
nella società la funzione di intellettuali”.<br />
Per Gramsci “la supremazia di un gruppo sociale si<br />
manifesta come egemonia e come direzione intellettuale<br />
e morale”.<br />
Quest’ultima funzione è demandata ai cosiddetti<br />
intellettuali “organici”, cioè legati organicamente al<br />
gruppo sociale fondamentale e dominante, svolgendo<br />
10
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
“funzioni organizzative e connettive”, di direzione<br />
ideologica e culturale.<br />
L'egemonia è dunque il dominio di una classe sulle<br />
altre attraverso un'operazione di controllo culturale e<br />
ideologico e di esercizio del potere, sia in senso<br />
coercitivo, che di persuasione razionale, di influenza<br />
sul pensiero, sulla vita, sulla moralità, sulle abitudini<br />
sociali dei singoli.<br />
L'esercizio dell'egemonia ,tipico dei regimi liberali e<br />
parlamentari, è caratterizzato dalla combinazione e<br />
dall'equilibrio fra forza e consenso. La forza deve<br />
sembrare sempre giustificata dal consenso della<br />
maggioranza; che è espresso dagli organi di opinione<br />
pubblica che, a questo scopo, “vengono moltiplicati<br />
artificiosamente”.<br />
Il neoliberalismo moderno risulta la concretizzazione<br />
della teoria gramsciana dell’egemonia culturale. La<br />
visione neoliberalista ha saputo sottomettere ogni<br />
dimensione dell’esistenza e delle relazioni umane alla<br />
razionalità economica , al calcolo del rapporto<br />
esistente tra costi e benefici, cui deve sottostare ogni<br />
azione e relazione umana. Ha sviluppato “pratiche e<br />
ricompense per dare corpo a tale visione” 1 .<br />
Il presente volume,i testi contenuti, vogliono essere<br />
una piccola risposta ed un piccolo contributo di<br />
“intellettuali tradizionali”, che si rappresentano come<br />
1 W.Brown,Neoliberalism and the end of Liberal Democracy<br />
(2003). Luciano Gallino Finanzcapilasmo la civiltà del denaro in<br />
crisi (2011)<br />
11
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
“autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante”, al<br />
dilagare dell’egemonia culturale esercitata dagli<br />
“intellettuali organici” gramscianamente intesi.<br />
12<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1. Sezione Poesia Inedita a tema libero<br />
1.1 L’altalena<br />
di Chris Mao<br />
Ora che il luogo<br />
è deserto,il gemito<br />
del vento trascina via<br />
piccole voci di fuggitivi;<br />
una rete a strascico<br />
sui pori dilatati del silenzio.<br />
L'ombra che sovrasta<br />
la nostalgia del giorno<br />
sorprende i quadranti<br />
pieni di fumo e panni stesi.<br />
Con gli stormi allineati<br />
sulle funi nere degli uomini,<br />
con l'altalena che non smette<br />
di dondolare,riappare<br />
la calma oscura della sera.<br />
13<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.2 Insostenibile risucchio esistenziale<br />
di Rita Stanzione<br />
Sarà che s’è prosciugata<br />
l’acqua delle riserve<br />
che è evaporata una circostanza<br />
o che sul letto il sole<br />
mi ha disegnato cocci…<br />
ho guardato le macchie sul planisfero<br />
e mi sono illuminata<br />
degli abissi dimensionali<br />
tra me e il resto del mondo.<br />
Sono invisibile<br />
e leggera. Troppo.<br />
…e il risucchio<br />
ha fauci spalancate.<br />
Faccio un giro di rivoluzione<br />
sui concetti preconfezionati<br />
e capisco che mi hanno gabbata<br />
a sufficienza…<br />
se rimescolo i dadi<br />
potrei riesumare la casualità.<br />
Mi sta pure stretta<br />
la patina della sobrietà<br />
disabilito le feste raccomandate<br />
e profano lo scaffale<br />
della psicologia esistenziale.<br />
Rigirato il senso del quotidiano<br />
mi leggo nel profondo<br />
da inesplorate prospettive.<br />
14
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Sono neo-nata.<br />
E proverò anche<br />
a leggermi<br />
da destra verso sinistra<br />
…è solo questione d’esercizio<br />
15<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.3 Blackout metafisico<br />
di Gennaro De Falco<br />
Questa notte<br />
che le stelle sono brandelli<br />
di un cielo inesistente<br />
Questa notte<br />
che non ci sono luci<br />
neppure in piazza Cinque Giornate<br />
Questa notte<br />
che anche le macchine<br />
vanno a fari spenti<br />
Proprio questa notte<br />
abbracciamoci per strada<br />
e restiamo in silenzio<br />
Non serve parlare<br />
tanto sappiamo come vorremmo il mondo<br />
Sogniamo a luci spente<br />
e prendiamo questi brandelli di stelle<br />
Ricostruiremo questo cielo inesistente.<br />
16<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.4 Un giorno qualunque<br />
di Silvia Napoleoni<br />
Il gergo del ferro detta le regole<br />
archiviato l'essere per l'avere<br />
quello che resta non è altro che fumo,<br />
sensi vietati e giorni di carta<br />
la vita in filodiffusione<br />
si siede e ascolta<br />
frasi fatte ad incorniciare il volto<br />
come luci intorno ad un Santo<br />
eroi in piume di struzzo fanno la fila<br />
per gli autografi della sera<br />
chiedono gloria ricevono fama<br />
un quarto d'ora può essere lungo<br />
quanto il respiro del vento<br />
passa l'ora<br />
si ricomincia da capo<br />
accontentarsi è un'arte senza memoria<br />
17<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.5 Ferragosto<br />
di Franco Romano Falzari<br />
Per un'ottica eccessivamente dilatata<br />
pronto a tutto<br />
regalo il didietro<br />
al primo che impartisce dogmi sul vivere<br />
e inchioda qui<br />
a rimestare un mondo in agrodolce<br />
il lunedì di ferragosto<br />
atto di fede nelle parole<br />
vendute ad altri giurando<br />
Nuvoloni coinvolgono gli umori<br />
ingrumano tristezze e rancori<br />
qualche parola fresca é nel cestino<br />
ripudiata<br />
quasi un funerale<br />
ai romanzi mai scritti<br />
per troppa confusione mentale<br />
18<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.6 A te che sei giovane<br />
di Giovanni Battista Basile<br />
A te che sei giovane,<br />
vorrei insegnare come si dovrebbe morire,<br />
con dignità e con uno sguardo bonario<br />
agli anfratti della memoria.<br />
A te che sei giovane,<br />
vorrei insegnare come si dovrebbe morire,<br />
e forse dovrei mentire,<br />
dicendo che non si muore soli.<br />
Vorrei vigilare sul tuo futuro cammino<br />
con la mia sapienza di vecchio;<br />
ma la saggezza l'ho costruita pietra su pietra,<br />
pietre amare erose dal vento del rimpianto.<br />
Si spegne l'ultimo sguardo del sole<br />
in questa buia stanza d'ospedale.<br />
Un Dio a me ignoto,<br />
forse compare di mille sventure,<br />
è questa croce dell'estrema unzione.<br />
19<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.7 Il tempo dei rimbombi<br />
di Emanuele Insinna<br />
Le lingue grigie delle ciminiere<br />
non salgono a sporcare l’azzurro.<br />
Uomini seduti guardano smarriti<br />
gli anni già passati,<br />
tra rimbombi<br />
e caldi sudori.<br />
Nell’amplesso<br />
silenzioso dei martelli<br />
e delle sirene ormai mute,<br />
la protesta non scende sulle strade<br />
ma sale sui tetti<br />
tra il vento e il gelo,<br />
dove rabbia e paura si fanno tutt’uno.<br />
Per queste mani che hanno creato,<br />
lavorato e recato sollievo<br />
non ci sarà domani,<br />
ma solo un maledetto oggi.<br />
20<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.8 Nelle cose<br />
di Roberto Ragazzi<br />
Non mi cercare ancora,<br />
tu mi hai già trovato.<br />
Sono nelle cose<br />
e nelle distanze del tempo,<br />
indeciso sogno in balia<br />
delle scelte mai fatte.<br />
Sono formica operosa<br />
che si prepara all'inverno<br />
e cicala canterina<br />
che si gode nel giorno.<br />
Sono spiga di grano<br />
per il pane quotidiano<br />
e papavero rosso<br />
che si crogiola al sole.<br />
Sono fiume tumultuoso<br />
che discende la valle<br />
e barbone stanziale<br />
che aspetta la sorte.<br />
Non mi cercare ancora,<br />
io sto nelle cose.<br />
21<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.9 Cono d’ombra<br />
di Gabriella Maddalena<br />
Inquietudine senza risposta.<br />
Sono un mondo poco esplorato<br />
con venti freddi<br />
e piogge torrenziali.<br />
Giro<br />
manovrata da oscure forze cosmiche.<br />
I miei pensieri come uccelli<br />
fuggono da me<br />
non si lasciano prendere.<br />
Temo il mio cono d'ombra<br />
inquietudine e ansia<br />
sono i fedeli compagni<br />
gli amici che mi tengono stretta<br />
nei miei giri solitari.<br />
Potessi catturare i miei pensieri!<br />
22<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
1.10 Nella gabbia<br />
di Cristina Mantisi<br />
Scrivere e poi cancellare.<br />
Riscrivere<br />
e cerchi disegnare perfetti,<br />
tutti tondi, senza fine,<br />
tutti uguali.<br />
Nella gabbia<br />
si può solo star seduti<br />
senza vedere oltre.<br />
Cosa possono gli occhi<br />
guardare fuori dal niente?<br />
E’ aver dimenticato già<br />
una sorta di miracolo,<br />
il puro oblio dalla follia,<br />
dolce paramento<br />
di maschere uniformi.<br />
Il carboncino<br />
traccia linee scure,<br />
montagne senza vette,<br />
segni di dolorose assenze,<br />
acromatici fondali senza mari<br />
nascosti nella dimenticanza<br />
di stanze senza memoria.<br />
Se soltanto potess’io alzarmi<br />
e uscire fuori dalla gabbia<br />
per una volta sola, uscire<br />
scappar via<br />
dove le stelle<br />
sono lì ad aspettare.<br />
23
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
24<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2. Sezione Racconto inedito a tema<br />
libero<br />
2.1 Maturità<br />
di Jessica Puliero<br />
Esame di stato. Schierati a mezzaluna, come un<br />
moderno plotone d'esecuzione. Equamente divisi in<br />
docenti esterni, provenienti da altri istituti, e docenti<br />
interni, ovvero insegnanti che conosco da cinque<br />
anni.<br />
Mi guardano e sembrano pensare ad altro, non<br />
ancora calati perfettamente nel contesto. Sono la<br />
prima della mattinata, ed i loro cervelli, quasi quanto<br />
il mio, stanno cercando di raccattare i neuroni<br />
necessari allo sforzo che li attende. Fino a qui tutto<br />
bene. Ho passato gli scritti senza infamia né gloria,<br />
attingendo alle risorse accumulate in questi anni di<br />
scuola, senza nessuna preparazione particolare frutto<br />
di studi approfonditi. Dev'essere questo che<br />
infastidisce gran parte delle persone. Che io ce la<br />
possa fare senza impegnarmi troppo. Come recita<br />
l'oracolo dello studente “Potrebbe ma non si<br />
applica”, con messaggio subliminale sul futuro<br />
“Potrai, ma non ce la farai”. Quelli come me non<br />
arrivano. Non studiano mai abbastanza, non hanno<br />
tanta cultura da essere considerati dei secchioni o<br />
geni, né troppo poca per ricevere aiuto. Si avviano<br />
lentamente verso la zona grigia, dove vivranno una<br />
vita media e moriranno, per lo più sconosciuti.<br />
25
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Per quanto non studiassi e non facessi nulla per farmi<br />
notare nell'ambito scolastico, riuscivo con facilità ad<br />
addomesticare le parole, mettendole con abilità sul<br />
foglio, inanellando frasi che destavano ammirazione<br />
sia nei compagni che arrivavano a leggerle che nei<br />
professori. E come vuole la sacrosanta legge del<br />
contrappasso, se da un lato si poteva affermare che<br />
possedessi una dote nella scrittura, dall'altro<br />
presentavo profonde e struggenti carenze nella<br />
comunicazione verbale. Il più delle volte ascoltavo la<br />
mia voce spandersi nell'aria, dando vita a pensieri ben<br />
formulati, sensati e lineari, e dopo pochi istanti<br />
potevo sentirla infrangersi su scogli inesistenti,<br />
barriere che solo lei vedeva e da cui non riuscivo a<br />
proteggerla. Allora il viso si accendeva di un rosso<br />
fluorescente, le corde vocali grattavano e<br />
s'impastavano in boli di saliva resa amara<br />
dall'imbarazzo. Ed ogni volta pensavo che sarei<br />
soffocata, nella mia stessa bava e vergogna. Ma non<br />
accadeva mai nulla di così tragico, non arrivava mai<br />
nessuno a salvarmi da quella situazione, ed io<br />
rimanevo impietrita, ebete con l'occhio fisso<br />
sull'interlocutore,divertito e crudele.<br />
“Signorina, con che cosa vuole iniziare?”<br />
Cerco nel labirinto celebrale l'incipit preparato con<br />
cura, fino a pochi minuti fa, oltre quel muro, al di là<br />
del vecchio portone in legno. Dove cazzo sta?<br />
“Vediamo” temporeggia uno dei commissari,<br />
sfogliando la tesina che ho presentato, accuratamente<br />
26
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
stampata e rilegata. Sta guardando ciò che so, mentre<br />
io sto qui e non riesco a dirlo.<br />
“Potrebbe parlarci del Pirandello, sembra esserle<br />
particolarmente piaciuto” . E' il professore di italiano<br />
a parlarmi. Mi soccorre o cerca di farlo. Gli sorrido,<br />
debole e dura. Le mani sudano, e si stropicciano l'un<br />
l'altra come bisce incazzate, mentre il sangue mi si<br />
ghiaccia nelle arterie. Mi aggrappo con forza a tutto<br />
l'ossigeno che riesco a far mio, e comincio a parlare.<br />
All'inizio non sembra nemmeno appartenermi, quella<br />
voce timorosa che inciampa qua e là tra frasi e<br />
pensieri. Poi la sento acquisire sicurezza. La<br />
letteratura è un territorio a me favorevole, e l'autore è<br />
tra i miei preferiti. Tutto il suo pensiero sulle<br />
maschere adottate dall'essere umano, la questione<br />
irrisolta tra io ed es è di gran lunga il concetto più<br />
realistico che la scuola mi abbia lasciato. Spazio<br />
tranquilla dalla vita, alla bibliografia, per poi<br />
addentrarmi con profondità nelle tematiche delle<br />
opere, con le sue teorie disincantate sulla natura degli<br />
uomini e sui modi di rapportarsi tra loro. Mi appare<br />
così semplice e vero ciò che scrive da riuscire a<br />
spiegarlo senza filosofeggiare inutilmente. Stupito<br />
dall'euforia del mio monologo, il presidente di<br />
commissione m'interrompe.<br />
“L'ha colpita questa filosofia pirandelliana. Strano,<br />
ascoltiamo a ripetizione diserzioni leopardiane o<br />
foscoliane, per non parlare della letteratura<br />
scapigliata. Un vero flagello della maturità. Ha<br />
27
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
qualche motivo per essere così attratta dal Nostro,<br />
oltre al suo mero gusto personale?”<br />
“Direi di sì,” tentenno<br />
“Direbbe?” incalza.<br />
“Sì”, ribadisco secca.<br />
Certo d'aver intravisto un nervo scoperto, quello<br />
continua. Quanti studenti ha già visto e quanti<br />
attendono ancora il suo giudizio da qui alla pensione.<br />
Potrebbe averne fatti fuori a decine, schiacciandoli<br />
col peso del suo potere travestito da sapere, altri<br />
invece li avrà certamente gratificati. Mi son sempre<br />
chiesta in base a cosa si decide chi sale e chi scende,<br />
chi vivrà e chi no, a chi va data la possibilità di<br />
provarci e a chi vengono tranciate le gambe di netto.<br />
Ed ora, quest'uomo brizzolato, ben vestito, lavato,<br />
profumato, con la fede d'oro<br />
all'anulare un po' troppo stretta, le scarpe odorose di<br />
lucidante ed uno sguardo azzurro un po' troppo<br />
acquoso per essere sincero, che maschera indossa<br />
costui? Che ne vuol fare del mio destino?<br />
“Continui, la prego, sento che può degnarci di una<br />
pregevole perla di saggezza. Direi quasi un raggio<br />
luminoso in questa grigia ed afosa mattinata d'estate.”<br />
Dice, ruotando la testa e raccogliendo sorrisi e<br />
consensi dagli altri docenti.<br />
E’sfida.<br />
Il prof. d'italiano, l'unico che conosce abbastanza<br />
bene i miei pregi e difetti non solo studenteschi, cerca<br />
d'inviarmi sguardi eloquenti del tipo “Lascia perdere,<br />
questo ti strizza e poi ti schiaccia” di cui il sottotitolo<br />
28
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
poteva essere “e ti giochi pure il voto della maturità”.<br />
Ma ormai del voto mi frega poco o niente. Se<br />
vogliono prendersi quei pochi numeri che possono<br />
far di me una persona mediamente sufficiente, beh,<br />
che lo facciano. Qui, ora, dirò quello che penso.<br />
Ignoro quindi il consiglio silenzioso del mio mentore,<br />
e avanzo per la mia strada, quale che sia.<br />
“Signori, vogliamo forse negare che tutti, presenti<br />
non esclusi, indossiamo delle maschere? Prenda me.<br />
Di fronte a voi, che esercitate un potere datovi dal<br />
Ministero, mantengo un atteggiamento consono,<br />
frutto di anni di “educazione” familiare e scolastica<br />
dedita al trasformarmi in un perfetto e mansueto<br />
esemplare del genere umano. Simulo sottomissione<br />
perché è questo che voi vi aspettate io faccia.<br />
Rispondo alle vostre domande in base a quello che<br />
voi e i vostri libri avete preteso di insegnarmi, con i<br />
modi che ritenete più corretti. Appare chiaro che se<br />
non approvassi un vostro concetto non potrei dirlo<br />
apertamente, ne andrebbe l'esito di questo esame ed,<br />
in definitiva, il mio futuro. Questo è il ricatto col<br />
quale ci tenete in scacco ed il fulcro di tutto il vostro<br />
insegnamento. Una maschera di finta conoscenza,<br />
approvata dalla vostra casta, e dalla quale ogni<br />
diversità non sarà tollerata, anzi espulsa.”<br />
“Se non ho capito male, il sottoinsieme dei diversi<br />
sarebbe qui rappresentato da lei?” sembrava divertirlo<br />
il fuori programma. E tuttavia appariva più inquieto,<br />
magari non si aspettava una reazione così articolata.<br />
“Potrebbe. La disturba vero?” gli fisso negli occhi<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
uno sguardo sicuro, rabbioso. Non si torna sui propri<br />
passi.<br />
Tace. Immobile, sembra gestire la situazione, mentre<br />
gli altri son presi da un parziale sgomento,<br />
inaspettato. Continuo.<br />
“Guardi l'atteggiamento di questa commissione.<br />
Sembrano confusi, stizziti da questo inutile dialogo<br />
che non li riguarda e non porta a nulla di concreto.<br />
Non solo non lo capiscono, ma nemmeno li interessa.<br />
Eppure dovrebbe. Ma questi non vogliono pensarci.<br />
Perché? Bisogna cercare il momento, quel frangente<br />
invisibile agli occhi ed ormai anche alle coscienze, in<br />
cui han smesso d'essere uomini o donne per<br />
diventare giudici di noi studenti. Dopo essersi<br />
svuotati sul cesso, dopo aver lavato via il greve fiato<br />
della notte, dopo il caffè, dopo il giornale. Prima<br />
d'infilare la soglia di casa per uscire. Eccoli.<br />
Guardarsi allo specchio, con occhi stanchi e vuoti,<br />
disillusi sul futuro che sembra già passato. La<br />
prendono e se la mettono in faccia. Ad alcuni<br />
potrebbe anche non piacere, non del tutto. Ma la vita<br />
continua, e questi son bocconi amari che van<br />
comunque digeriti no? Ed escono, con la loro bella<br />
maschera da insegnante, sicuri di sé, pronti a regalar<br />
fortuna e gioia ai meritevoli o ai più simpatici e scaltri.<br />
Pronti anche alla rivalsa, sbriciolando le certezze degli<br />
incapaci o dei ribelli, gli scostanti, gli indifferenti. La<br />
cultura mi pare c'entri poco, non trova?”<br />
Ci saranno più di trenta gradi nell'aula, eppure il gelo<br />
si stende tra i presenti. Sguardi interrogativi, risentiti<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
s'incrociano a mezz'aria. Solo uno di essi si esclude da<br />
quel vortice, cercando i miei occhi. E’ severo, è<br />
benevolo. Un po' rassegnato, ma comprensivo. Io<br />
sorrido debolmente, so d'averla combinata. Inclino la<br />
testa ed allargo le braccia. “A professo', si vede che<br />
era destino.” sussurro. L'orale continua,<br />
inspiegabilmente, tra l'indifferenza generale. Dopo i<br />
primi attimi d'inquietudine e silenzio, l'insegnante di<br />
francese riprende con le domande. Il presidente non<br />
mi degna di uno sguardo per tutta la durata<br />
dell'esame. L'indifferenza non sempre è un segnale<br />
positivo. Temo la ritorsione dell'intero corpo docenti.<br />
Nonostante questo, continuo a ribattere, domanda su,<br />
domanda, colpo su colpo, materia dopo materia.<br />
Storia, calcolo, diritto, economia, tedesco, biologia. I<br />
professori con le loro domande, si alternano al mio<br />
cospetto. Ora assumono sguardi attenti, ora distratti.<br />
Per la maggior parte del tempo confermano ciò che<br />
già pensavo, del nostro futuro se ne sbattono. Tutto<br />
quello che fanno è ricoprire più o meno<br />
dignitosamente questo ruolo, per cui vengono pagati.<br />
Il resto è solo vanesio corredo di una professione<br />
mercenaria.<br />
Guardo l'orologio. Le nove e trenta. Sono dentro da<br />
un'ora. Nessun orale, quest'anno, è durato così a<br />
lungo. Si vede che gli piaccio.<br />
“Ha qualche altro impegno Signorina P.?” colta in<br />
flagrante dal presidente di commissione.<br />
“Ehmm... ... no no.” tentenno. Non ricordo d'aver<br />
mai parlato così tanto in tutta la mia vita, studentesca<br />
31
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
e non. Sono provata. Vorrei uscire, se col diploma o<br />
meno fate voi.<br />
Con quell'aria solenne che caratterizza ogni suo<br />
singolo movimento, studiato e mediato, si rivolge ai<br />
presenti.<br />
“Colleghi. Direi che può bastare. Che ne dite?”<br />
Distratti cenni d'assenso, misti alla rassegnata<br />
consapevolezza d'essere appena all'inizio della<br />
mattinata d'esame.<br />
“Non vogliamo rubarle altro tempo, che immagino<br />
davvero prezioso se investito in pensieri così<br />
profondi e rivoluzionari.” Si rivolge a me, con quel<br />
ghigno malefico che conosco, da un'ora a questa<br />
parte. E di cui mi ricorderò per molti anni ancora.<br />
“Può andare.”<br />
Raccolgo le mie poche cose, disposte a cerchio<br />
attorno alla sedia. Lo zaino. Le dispense. La copia<br />
della tesina. Un piccolo portafortuna appoggiato<br />
vicino ai miei piedi, nascosto dietro ad essi. Mi alzo.<br />
“E domani, cosa farà domani?” domanda a<br />
bruciapelo, sparata a distanza ravvicinata come un<br />
colpo alla tempia. Mi spiazza. Che vuole ancora<br />
quest'individuo?<br />
“Domani? Credo andrò al mare!” rispondo,<br />
candidamente.<br />
Una risata sinceramente sprezzante spezza il silenzio<br />
artefatto dell'aula afosa. La bile mi avvolge lo<br />
stomaco. Vorrei saltare su quel banchetto in<br />
compensato verde sbiadito, e tirare un calcio nei denti<br />
a quel cazzone borioso. Vorrei scomporlo da quel<br />
32
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
suo completo ben lavato e stirato, sgualcirlo,<br />
prenderlo a pugni. Ferirlo come lui tenta di fare con<br />
me. I miei occhi azzurri, furibondi, vagano alla ricerca<br />
di un punto di contatto terreno, che porti la mente<br />
lontana da questi propositi attaccabrighe. Vigile, il<br />
prof di italiano mi lancia il salvagente che aspettavo.<br />
Mi sorride. E’ fatta ormai, l'esame è passato. Non<br />
sporcare tutto. Lascia andare la provocazione di<br />
questo vecchio stanco, frustrato nel corpo e<br />
nell'intelletto da una vita probabilmente priva di<br />
grandi emozioni.<br />
Tutto questo non me lo dice, lui, ma lo capisco. O<br />
almeno credo. E funziona.<br />
Gli altri insegnanti seguono il misero esempio del<br />
loro superiore, abbandonandosi a grasse risate di cui<br />
nemmeno sembrano capirne il significato sino in<br />
fondo. Il tempo delle domande è finito. Per oggi<br />
almeno. Con quest'ultima risposta credono d'aver<br />
classificato il mio futuro. Una persona senza idee<br />
chiare sul domani, senza uno scopo, un obiettivo<br />
concreto che la faccia elevare dalla condizione<br />
mediocre in cui si trova. E questo pare rincuorarli, è il<br />
giusto epilogo che spetta alle teste come le mie,<br />
ignoranti e ribelli. Poveri borghesi acculturati. Non<br />
prendersi troppo seriamente, non significa di certo<br />
non sapere dove andare o che fare della propria vita.<br />
E se tra qualche giorno o settimana, o mese o chissà,<br />
dovessi decidere di scegliere un futuro scomodo,<br />
incerto, povero ma libero, profondo, senza la<br />
finzione di quelle maschere che portate di continuo,<br />
33
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
beh di certo non sarà il vostro giudizio ad influenzare<br />
le mie scelte. Né quelle risate che accompagnano la<br />
mia uscita dall'aula e dalle vostre vite.<br />
indice<br />
34
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.2 Il Caduto<br />
di Gabriele Fumagalli<br />
Dov’è la gloria? Dove l’onore, promesso alla<br />
partenza, esaltato nelle parole di generali e ministri,<br />
mostrato con una croce da quel sovrano che mai<br />
imbracciò il fucile con quelli come noi?<br />
Dov’è la Nazione? Dove la superiorità di uno come<br />
me, rispetto al contadino della Baviera o all’operaio di<br />
Colonia? Dove il pericolo negli occhi colmi di terrore,<br />
del mio stesso terrore, degli uomini che ho ucciso?<br />
Dove la bestialità, il terribile nemico, negli uomini che<br />
hanno condiviso con me regali, cibo e una partita di<br />
calcio, in quel caldo, caldo Natale del ’14?<br />
Dove i preti che hanno benedetto le nostre armi?<br />
Dove erano quando siamo morti e dove era il loro<br />
Dio, dov’è adesso, il loro Dio?<br />
Dov’è il riconoscimento della Patria per quelli che<br />
sono tornati a casa, mutilati nel corpo o nello spirito,<br />
e per quelli come me, che vagano su questo eterno,<br />
grigio campo di battaglia, le vesti lacere indosso, le<br />
ferite come trofei? I nostri cadaveri sono ormai ossa<br />
sbiancate o polvere nella terra e le nostre armi nulla<br />
più che trofei per musei colmi di ardore patriottico;<br />
eppure noi camminiamo, da sempre camminiamo, su<br />
questi campi e odiamo il rombo delle bombe, il<br />
fragore del fucile, il ritmo della mitragliatrice: ahimè,<br />
quante armi per sterminare gli uomini!<br />
E con me camminano tanti altri uomini, decine di<br />
milioni di uomini, ognuno con la sua storia, ognuno<br />
con la sua morte, ognuno con i suoi perché: c’è<br />
35
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Pietro, nato a Cento, che è stato contadino per<br />
trent’anni e che è morto quando, dopo essere uscito<br />
dalla trincea con la minaccia della baionetta dei<br />
Carabinieri nella schiena, si è gettato in una buca di<br />
una bomba per scampare alle mitragliatrici austriache<br />
e quello stesso carabiniere gli ha sparato dritto nel<br />
cuore; c’è Hans, nato a Colonia, cresciuto in miniera,<br />
che è stato disintegrato da una granata; c’è Franz,<br />
nato a Vienna, cresciuto ed educato, strappato<br />
all’università per combattere sulle Dolomiti e fatto<br />
saltare in aria con metà della montagna su cui stava da<br />
una mina italiana; c’è Jean, nato a Brest, marinaio per<br />
tutta una vita, trasferito in questo inferno di fango<br />
che è stato il Fronte Occidentale e soffocato dal gas a<br />
Yipres, quanto meno vicino al suo amato sciacquio<br />
delle onde; c’è Ian, nato a Inverness, trascinato con la<br />
sua cornamusa a dare il passo durante gli assalti,<br />
falciato da una mitragliatrice tedesca; c’è Dimitrij,<br />
nato a Pietroburgo e gettato nella mischia senza<br />
null’altro che il fucile, ucciso con una baionetta<br />
tedesca nello stomaco; c’è Pierot il canadese, e James<br />
l’australiano, e Claude il senegalese, e Luke l’irlandese.<br />
Ci sono anche io, che rimpiango il mio amato<br />
Yorkshire, le sue basse colline, i suoi castelli, la sua<br />
erica così viola nelle tiepide estati, la cui vista mi è<br />
stata negata per l’eternità.<br />
Io la ricordo bene, questa fottuta guerra, perché l’ho<br />
vissuta tutta, da quel dannato agosto del 1914 sino al<br />
novembre del 1918. Ero partito volontario, sì, perché<br />
la Corona ci aveva chiamato, ci aveva chiesto di<br />
36
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
proteggere le nostre amate, i nostri figli, la nostra<br />
terra, dalla barbarie tedesca, ma non ci aveva detto<br />
che saremmo diventati dei barbari a nostra volta.<br />
Ho passato quattro lunghi anni a sporgermi dalle<br />
trincee, ad assaltare e a uccidere uomini che erano<br />
come me, e ogni volta vedevo me riflesso nello<br />
specchio delle loro lacrime, del loro dolore, del loro<br />
terrore e della loro tristezza.<br />
Ci hanno fatto sentire nostra una guerra che non lo<br />
era e ce ne siamo tutti resi conto sin dal primo<br />
giorno, dalla prima granata che si è portata via un<br />
amico, dalla prima scheggia incandescente che ci ha<br />
scagliato fra le mani il sangue o le viscere del<br />
compagno che ci affiancava fino a un attimo prima;<br />
ce ne siamo resi conto tutti nell’inferno della<br />
battaglia, che fossimo tedeschi, francesi, russi, italiani<br />
o austriaci: a nulla valeva la nostra nazionalità, se non<br />
a darci uniformi di colori diversi per essere bersaglio<br />
di altri.<br />
È davvero difficile esprimere la banalità della guerra,<br />
perché non è altro che la banalità degli uomini:<br />
odiavamo quella guerra, sapevamo che non era cosa<br />
nostra e infatti ci eravamo uniti a festeggiare il Natale<br />
del ’14 come se fossimo tornati tutti uomini, e non<br />
soldati, eppure non volemmo mai abbandonare il<br />
fronte, forse per orgoglio, forse perché in fondo<br />
pensavamo davvero che fosse giusto così.<br />
Non lo so. So solo che fu una resistenza inutile, che<br />
uccise e fece uccidere tutti quelli che adesso<br />
37
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
camminano con me in questo bigio mondo di ombre<br />
e suoni lontani.<br />
Ho incontrato un italiano che ha combattuto sul<br />
Carso, che ha dato l’assalto a ogni singola vetta, con<br />
la sua squadra, che è stata spazzata via tre volte. E lui<br />
è sopravvissuto a tutti, per farsi uccidere nella sacca di<br />
Caporetto. Mi ha spiegato che gli alti comandi non<br />
hanno mai capito nulla della guerra e del fronte. Poi si<br />
è allontanato, sconsolato, conscio del fatto che nel<br />
mondo i paesi e le città hanno intitolato le loro vie a<br />
quei grandi macellai.<br />
Pochi uomini hanno voluto la guerra e milioni<br />
l’hanno combattuta e sono morti, sono stati mutilati,<br />
sono stati portati alla pazzia, mentre quei pochi che<br />
l’hanno tanto agognata sono sopravvissuti al caldo dei<br />
loro salotti borghesi e nobiliari fino alla vecchiaia,<br />
senza mai conoscere l’orrore del fronte. Eppure era<br />
per i loro ordini folli, per i loro dispacci che ci<br />
ordinavano la carica, che siamo tutti morti.<br />
Non c’è una via intitolata a William, che non ce l’ha<br />
fatta a sparare a quel diciottenne tedesco sconvolto<br />
dal fragore delle bombe e ne ha rimediato una<br />
baionetta nel polmone dall’altro, troppo spaventato<br />
per pensare; non c’è una via intitolata a Luigi, che ha<br />
preso in spalla un austriaco con una gamba<br />
spappolata e lo ha cercato di portare al campo<br />
medico, venendo fucilato per fratellanza col nemico;<br />
non c’è una via dedicata all’umanità dell’uomo nella<br />
bestialità della guerra, ma solo alle bestie più truci che<br />
38
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
hanno usato gli uomini come carne da cannone per<br />
vincere una guerra da cui nessuno è uscito vincitore.<br />
Meglio ancora è andata a Henry Truman, che il<br />
giorno 11 novembre del 1918, arringava i suoi<br />
sottoposti alla postazione di artiglieria a riguardo del<br />
fatto che finire la guerra quel giorno era una follia,<br />
che lui voleva entrare nelle città tedesche e sgozzare i<br />
bambini, torturare i vecchi e stuprare quelle cagne<br />
delle loro donne, per porre fine a quella razza orribile;<br />
presidente degli Stati Uniti d’America, esempio di<br />
rettitudine in conformità a queste sue affermazioni,<br />
un certo Oppenheimer mi ha detto, in lacrime, che ha<br />
ordinato di sganciare due testate nucleari su civili<br />
inermi nel Giappone del 1945. Le loro ombre vagano<br />
per questi campi, le pelli sciolte, i volti distorti in<br />
atroci maschere di morte. Eccola, la gloria.<br />
Per quelli come me è stata solo una grande, trista<br />
beffa. Attendevamo quella maledetta undicesima ora,<br />
dell’undicesimo giorno, dell’undicesimo mese del<br />
1918, e gli ordini erano chiari: non cessare il fuoco<br />
fino allo scoccare delle undici in punto. Sportomi<br />
malauguratamente dalla trincea, un proiettile mi ha<br />
scoperchiato il cranio. E come me, migliaia in quel<br />
triste giorno.<br />
È davvero difficile descrivere la banalità della guerra;<br />
ma l’idiozia umana, quella è sotto gli occhi di tutti<br />
ogni giorno: l’ubbidire cieco agli ordini, il non<br />
pensare a quello che ci circonda, il farci trascinare<br />
dall’odio e dalla massa, il delegare ad altri quello che<br />
dovremmo decidere noi.<br />
39
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
E noi ne abbiamo pagato lo scotto con la vita.<br />
Era l’11 novembre 1918, già sette giorni dopo il<br />
cessate il fuoco sul fronte italiano, e adesso, dopo<br />
novant’anni di tetro vagare, posso assicurare a tutti<br />
voi che state comodi nelle vostre case, che non vi<br />
curate di quello che avviene nel mondo, che non<br />
ricordate quello che è successo, che qui con noi si<br />
sono aggiunti centinaia di milioni di uomini.<br />
Vittime del silenzio.<br />
Vittime dell’accondiscendenza.<br />
Vittime dell’uomo.<br />
indice<br />
40
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.3 Anime elette<br />
di Mario Fulvio Giordano<br />
Quale custode capo del cimitero comunale, mentre<br />
discuteva con i rappresentanti di due imprese funebri<br />
gli orari di tre importanti funerali previsti per il giorno<br />
seguente, notò alcune persone varcare il cancello<br />
principale. Poiché altre stavano arrivando alla<br />
spicciolata si chiese a che cosa fosse dovuto<br />
quell’afflusso, discreto ma continuo.<br />
Con un'occhiata controllò la lista da tempo<br />
predisposta.<br />
Come logico nulla di speciale era programmato per<br />
quella mattina Nessuno vuol farsi seppellire di<br />
venerdì: porta scarogna.<br />
Era segnato solo quello di una vecchia signora, il cui<br />
nome, non era seguito dal cognome del marito o<br />
ved... Una zitella dunque.<br />
Una donna senza importanza.<br />
Per questa poveretta era prevista la forma più<br />
semplice di sepoltura in terra.<br />
Poiché il calendario non evidenziava nulla di<br />
importante; era un santo qualunque e non era<br />
neanche la ricorrenza di un luttuoso avvenimento,<br />
quale una catastrofe, una importante strage o<br />
sciagura, dopo venti e più anni di anzianità di servizio<br />
non poteva commettere una simile dimenticanza,<br />
questo afflusso inconsueto rimaneva un mistero.<br />
In quel momento un tipo di mezza età, distinto, alto e<br />
magro, svoltò nel cancello e si diresse furtivo verso il<br />
41
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
complesso delle tombe monumentali: i sepolcri delle<br />
grandi famiglie che avevano fatto la storia della città.<br />
Quando si rese conto di essere stato notato da un<br />
gruppetto di altri visitatori, suoi conoscenti ed in<br />
qualche caso vecchi amici, andò loro incontro<br />
sfoderando un mesto sorriso di circostanza.<br />
“E allora professore, come mai al cimitero oggi?”<br />
“Non potevo certo mancare per questo ultimo saluto.<br />
Era conosciuta da tutti. A ben pensarci ha fatto più<br />
bene lei di molti altri. Nella sua vita ha aiutato tre<br />
generazioni di uomini.”<br />
Tutti assentirono in un modo o nell'altro.<br />
Come succede sempre quando gli argomenti<br />
scarseggiano poco dopo saltarono fuori le solite frasi<br />
di circostanza.<br />
- Siamo solo di passaggio -. Prima o poi entriamo<br />
tutti da quel cancello per non uscirne più.<br />
- Polvere eravamo e polvere torniamo.<br />
Uno del gruppo, per far bella figura, cercando di<br />
mettere in evidenza la sua profonda preparazione<br />
umanistica, passò alle citazioni latine.<br />
Traducendone una, a suo dire molto importante, fece<br />
notare che per gli antichi romani l'uomo nasceva due<br />
volte: una quando veniva alla luce, l'altra quando<br />
faceva la prima scopata.<br />
Solo in quel secondo momento veniva al mondo un<br />
nuovo essere virile.<br />
L'ultimo arrivato, onde non essere da meno, era<br />
consigliere di maggioranza in comune e non voleva<br />
42
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
passare sotto silenzio, sentenziò: “Nemo profeta in<br />
patria”.<br />
Quando si accorse che questa sua uscita non solo non<br />
era stata apprezzata, ma accolta con un risolino di<br />
compassione, cercò di girare il discorso sulla politica<br />
pescando nella scorta di vecchi detti popolari che<br />
teneva sempre pronti e che tante volte lo avevano<br />
tolto dall'imbarazzo quando veniva messo alle strette<br />
dai suoi avversari.<br />
Scartò le arcinote, ma troppo piene di significati<br />
reconditi: tanto va la gatta al lardo oppure chi rompe<br />
paga.<br />
Si stava orientando su: meglio un uovo oggi che una<br />
gallina domani, ma venne interrotto.<br />
In quel momento uno dei presenti, noto sindacalista,<br />
prendendo la palla al balzo,indicò le scritte sulle<br />
tombe ed esclamò indignato:” avete notato? Erano<br />
tutte persone degne, madri e padri esemplari vergini<br />
illuminate, esempio di virtù, ed avanti di questo<br />
passo.<br />
E' proprio vero che la storia la fanno i vincitori.”<br />
Sentendosi tirato in ballo il professore consigliere<br />
esclamò:<br />
“Cosa vuol dire con questo, perché tira in ballo i<br />
vincitori? In questo posto sono tutti perdenti.”<br />
Il rappresentante operaio fece cenno di no col capo<br />
ed alzò il tono di voce per mettere bene in chiaro che,<br />
anche al cimitero, ci sono vinti e vincitori.<br />
Questi ultimi, quando sono ancora in vita, si fanno<br />
erigere dei veri e propri palazzi a futura memoria,<br />
43
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
inondandoli di iscrizioni commemorative che ne<br />
lodano le innumerevoli virtù, peraltro solo a loro ben<br />
note, con lettere fuse nel bronzo o scolpite a mano in<br />
costoso marmo di Carrara.<br />
I vinti, la povera gente, finisce nei loculi, le case<br />
popolari dei morti o in terra.<br />
Per loro nessun elogio od eterno rimpianto, è già<br />
troppa grazia se ci mettono il nome.<br />
Se fosse obbligatorio incidere la verità le lapidi<br />
sarebbero piene di diciture del tipo: figlio di puttana -<br />
vecchia baldracca - venduto - furfante - traditore -<br />
avaraccio - gran cornuto ed avanti di questo passo.<br />
Il professore consigliere comunale, non potendo<br />
lasciare l'ultima parola ad uno dell'opposizione, di<br />
rimando disse con fare pensoso:<br />
“Se cani e gatti avessero le mani per lavarsi non si<br />
leccherebbero il culo.”<br />
Questo cosa significa chiesero da più parti, facendogli<br />
notare che era andato sfacciatamente fuori tema con<br />
quella sconcia battuta.<br />
“E' una considerazione filosofica, più profonda di<br />
molte altre, solo che è più originale, moderna ed<br />
ambientalista. Se non la capite significa che non avete<br />
la necessaria apertura mentale; vi manca l'agilità<br />
dialettica. Ecco tutto.”<br />
Il lungo momento di silenziosa e raccolta meditazione<br />
che ne seguì venne interrotto dall'arrivo del solo<br />
furgone funebre, senza seguito.<br />
La consueta cerimonia religiosa fu liquidata un pochi<br />
minuti.<br />
44
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Anche il prete non si dilungò. Non perse tempo a<br />
magnificare le umane virtù della defunta e passò<br />
subito alla benedizione.<br />
Qualcuno sussurrò che una simile indifferenza era<br />
ingiusta, perché nella sua lunga attività professionale<br />
la defunta aveva aiutato tutti quelli che avevano<br />
bussato alla sua porta, che era sempre aperta.<br />
Non rifiutava mai la sua opera. Era sempre pronta a<br />
far credito, nella cristiana fiducia che prima o poi<br />
avrebbe ottenuto il suo compenso.<br />
Era indubbiamente un'anima eletta.<br />
Molti dei presenti gettarono piccoli oggetti nella<br />
fossa, mentre veniva interrata; altri lasciarono dei<br />
piccoli mazzi di fiori, quale estremo gesto d'amore<br />
che sarebbe stato molto apprezzato dalla destinataria,<br />
se mai avesse potuto prenderne atto.<br />
Per ultimo il sindacalista, quello che amava la verità<br />
sopra ogni cosa, scrisse con il pennarello indelebile<br />
alcune parole sul solito cartone identificativo che<br />
viene posto sulle tombe, in attesa della lapide<br />
definitiva.<br />
A cerimonia ultimata il custode capo, ricordandosi di<br />
colpo che con quel morto si arrivava alle centomila<br />
salme, si avvicinò al tumulo per capire chi fosse,<br />
riservandosi di chiedere al comune di organizzare una<br />
commovente cerimonia ufficiale per celebrare<br />
l'evento.<br />
Con immenso stupore si accorse che molte delle<br />
piccole confezioni di fiori erano legate con dei<br />
preservativi; osservando poi il cartello vide la<br />
45
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
seguente scritta aggiuntiva, dopo le generalità: della<br />
defunta:<br />
-Puttana per libera scelta, ha sempre svolto con<br />
profonda dedizione la sua missione terrena.<br />
Profondamente colpito e sorpreso, volgendo smarrito<br />
lo sguardo a terra scorse un piccolo involucro, che<br />
evidentemente non era stato gettato in tempo nella<br />
fossa, lo raccolse: era una confezione multipla di<br />
contraccettivi Hatù ad effetto ritardato, i più costosi.<br />
Date le circostanze decise che non era il caso di<br />
proporre la celebrazione di quel particolare evento, la<br />
comunità non avrebbe apprezzato il gesto.<br />
Era preferibile attendere un morto illustre e poi,<br />
barando sul numero, avrebbero indetto una toccante<br />
cerimonia ufficiale, facendo notare come il caso<br />
avesse scelto proprio un'anima eletta per quell’<br />
importante ricorrenza.<br />
Con deferenza depose sulla tomba il piccolo<br />
involucro.<br />
Diamo a Cesare quel che è di Cesare pensò e poi<br />
andò a chiudere il cancello grande del cimitero<br />
comunale.<br />
indice<br />
46
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.4 L’isola tartaruga<br />
di Cinzia Balestra<br />
-“Papà guarda” urlò Pietro indicando l'orizzonte con<br />
il dito indice teso. Pietro non ci poteva credere.<br />
Si trovava davanti alla tartaruga più grande che avesse<br />
mai visto. Era là dall'altra parte del mare che<br />
procedeva incurante dello stupore che si alzava in<br />
prossimità della riva.<br />
Il papà di Pietro sorrideva mentre prendeva il figlio in<br />
braccio traboccante di emozione.<br />
Era indeciso se dire a Pietro che la tartaruga verso la<br />
quale protendeva tutta la tensione del suo corpo non<br />
era una vera e propria tartaruga, ma semplicemente<br />
un'isola.<br />
-“Dobbiamo portarle da mangiare!” urlò Pietro<br />
interrompendo i dubbi di suo padre.<br />
Non era la prima volta che i loro piedi calcavano quel<br />
lungomare.<br />
Non era la prima volta che Pietro notava quell'isola<br />
vicino alla costa, ma quella mattina, con la stessa<br />
rapidità di un quadro che cade, eccola là, al posto di<br />
un pezzo di terra sul mare, il piccolo scorgeva la più<br />
grande tartaruga che avesse mai visto.<br />
“In effetti” pensava il padre “sembra proprio una<br />
grande tartaruga” e si stupiva del fatto che non se ne<br />
fosse mai accorto prima. Cosa che, se mai fosse<br />
possibile, faceva aumentare ancora di più l'amore che<br />
provava per la creatura che gli saltellava intorno.<br />
-“Che cosa mangiano le tartarughe papà?”<br />
47
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Il papà di Pietro non lo sapeva, come del resto non<br />
sapeva tante altre cose. Non aveva sempre tutte le<br />
risposte. Non sapeva rispondere quando Pietro gli<br />
chiedeva con la stessa innocenza dove era andata la<br />
sua mamma e quando sarebbe tornata.<br />
“Presto” rispondeva il padre senza avere la minima<br />
voglia di rispondere. Non le voleva le domande.<br />
Voleva solo essere lasciato in pace e morire d'inerzia<br />
dietro un dolore che non lascia via di fuga.<br />
E invece doveva rispondere, rispondere e mentire.<br />
Pietro non aveva ancora compiuto tre anni e si<br />
ritrovava già senza madre e con un padre bugiardo e<br />
infelice.<br />
-“Andiamo ad accarezzare la tartaruga, papà?”<br />
-“Non si può Pietro, se ci avviciniamo lei scappa via”.<br />
La risposta convinse il bimbo che con le guance rosse<br />
tornò a studiare i contorni di quello strano animale in<br />
silenzio.<br />
Prima il lungo collo, poi il grande carapace colorato<br />
di verde. Le zampe non si vedevano in quanto<br />
sommerse dall'acqua.<br />
Pietro era cresciuto, mancava poco e sarebbe arrivato<br />
quasi all'altezza della vita di suo padre.<br />
Come può cambiare la vita di un bambino nell'altezza<br />
che separa una ginocchia da un'anca di un uomo.<br />
-“Pietro andiamo a casa”, disse il padre<br />
interrompendo i pensieri del bambino immobile<br />
come una statua di sale.<br />
-“Ancora cinque minuti, papà”.<br />
48
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
-“Va bene, cinque minuti, ma non di più. Il sole sta<br />
tramontando”.<br />
Il cielo azzurro e sereno si macchiava di rosso. Un<br />
rosso vivo e intenso che risplendeva sulle guance di<br />
Pietro.<br />
Il tramonto portava via con sé quella giornata così<br />
normale da essere perfetta. Una giornata dove un<br />
padre bugiardo assaporava i frutti dolci delle sue<br />
bugie.<br />
Quando era piccolo il papà di Pietro si arrabbiava se<br />
non gli raccontavano tutta la verità solo perché era un<br />
bambino.<br />
Ora che era abbastanza grande per capirla, la verità,<br />
non la capiva e tanto meno riusciva a gestirla.<br />
Ma faceva del suo meglio per garantire a suo figlio<br />
quelle bugie che l'avrebbero tenuto al sicuro, protetto<br />
da una realtà che non lo aveva guardato in faccia e<br />
che non era stata disposta a scendere a compromessi.<br />
Amava suo figlio più di quanto la realtà avrebbe<br />
potuto immaginare. Se la realtà non era stata disposta<br />
a scendere a patti, lui sì, era stato capace a scendere a<br />
patti con se stesso.<br />
Le prime volte mentì senza sceglierlo. Le parole<br />
vennero alla bocca da sole. Poi, superate le prime<br />
volte, decise coscientemente di mentire a suo figlio,<br />
più che poteva, ogni volta che poteva.<br />
Ci sarebbe stato tempo per presentargli la realtà.<br />
La verità è che non voleva niente di meglio per suo<br />
figlio che una giornata piena di verità camuffate<br />
ingenuamente da bugie.<br />
49
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Una giornata dove poter credere che Mamma è in<br />
viaggio e che prima o poi, quando meno se lo<br />
sarebbero aspettato, sarebbe arrivata alla porta con<br />
tanti regali e sorrisi per tutti. Una giornata dove poter<br />
credere che un pezzo di terra che si stacca dalla costa<br />
in tempi immemori diventa una tartaruga gigante<br />
intenta a nuotare silenziosa.<br />
Pietro era felice. Questa era la sola cosa che<br />
importava a suo padre. In fondo lo sapevano<br />
entrambi che quella non era una tartaruga vera e che<br />
Mamma non avrebbe più preparato la sua torta di<br />
mele. Nessuno dei due però lo avrebbe mai detto,<br />
almeno per ora.<br />
La realtà delle cose era il loro piccolo segreto<br />
quotidiano. Ogni giorno la verità sbiadiva di fronte al<br />
loro bisogno di sognante complicità.<br />
-“Andiamo Pietro. I cinque minuti sono finiti”.<br />
-“Ma papà e se la tartaruga va via e domani non è più<br />
qui?”<br />
-“Non andrà da nessuna parte”.<br />
-“Come fai ad esserne così sicuro?”<br />
-“Perché sta aspettando quella poltrona della sua<br />
amica che tarda ad arrivare! Lo sai no che le<br />
tartarughe non viaggiano mai da sole? Vedrai che<br />
domani la tartaruga sarà ancora lì!”<br />
-“Già” disse Pietro “non si viaggia mai da soli”.<br />
Prese la mano che suo padre gli tendeva, la strinse<br />
forte e s'incamminò verso casa con lo stomaco che<br />
brontolava per la fame.<br />
50
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
L'isola tartaruga, intanto, si specchiava<br />
nell'increspature dell'acqua marina tinta di rosso<br />
rubino, incurante di realtà e di bugie.<br />
indice<br />
51
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.5 Sull’accelerato<br />
di Alessandro Cuppini<br />
Questo successe sull’accelerato, come si chiamava<br />
allora, che da Torino andava a Savona, ai primi anni<br />
’50 del secolo scorso. Gli accelerati erano gli attuali<br />
regionali: treni costituiti quasi totalmente da carrozze<br />
di terza classe, con gli scompartimenti aperti e<br />
arredati da panchette di legno e una folla di pendolari<br />
che dalla provincia si muoveva verso la città ogni<br />
giorno oppure settimanalmente.<br />
A Torino quando avevi vent’anni ci andavi per due<br />
motivi: per lavorare o, chi poteva, per studiare. Di<br />
ragazzi in gamba a Savona ce n’erano tanti; ma quelli<br />
che il papà poteva mantenere per cinque anni a fare lo<br />
studente in città erano pochini. Gli studenti si<br />
conoscevano tutti sul treno: partivano il lunedì prima<br />
dell’alba per essere a lezione alle nove e ritornavano al<br />
venerdì sera con l’accelerato che arrivava a Savona<br />
alle 21,08. Negli scompartimenti e negli anni si<br />
formavano compagnie di amici. Il lunedì mattina si<br />
chiacchierava, si dormicchiava o si leggeva; e c’era<br />
anche chi tentava di ripassare qualcosa in vista<br />
dell’esame che avrebbe avuto quella mattina. Ma il<br />
venerdì tornando a casa gli studenti giocavano a carte,<br />
cantavano e scherzavano, programmando gite al mare<br />
con la Topolino di papà o un film nell’ultima fila<br />
dell’Excelsior con la morosa.<br />
Pendolava con gli studenti anche un controllore, tal<br />
Casalegno, sempre quello.<br />
Sempre impeccabile nella sua divisa azzurra, gli<br />
occhiali cerchiati d’oro e i baffetti curatissimi, era alto<br />
sì e no uno e sessanta, ma lui suppliva all’evidente<br />
52
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
complesso che l’affliggeva con un cipiglio e un modo<br />
rigido di trattare gli studenti che l’aveva sùbito reso<br />
oggetto di caricature ed imitazioni. I soliti ben<br />
informàti dicevano che era stato un fascista convinto,<br />
che nel settembre ’43 si era nascosto aspettando che<br />
passasse la buriana e che nel ’46 aveva ripreso servizio<br />
nelle Ferrovie dello Stato. Ma a cinquant’anni la testa<br />
non si cambia, e lui adottava forse anche senza<br />
accorgersene quei modi e quel fare arrogante e<br />
tronfio che durante il ventennio gli era stato familiare.<br />
La divisa e il cappello gli davano l’importanza e il<br />
rispetto cui ambiva.<br />
Forse all’inferiorità fisica si aggiungeva quella<br />
intellettuale: Casalegno era consapevole di aver a che<br />
fare con persone più istruite di lui, e quindi<br />
recuperava con il Regolamento ferroviario che, quello<br />
sì, nessuno di loro conosceva meglio di lui. Sapendo<br />
che in una discussione di pura logica avrebbe avuto la<br />
peggio, si mascherava dietro la Norma ed era<br />
inflessibile e rigido, che in paragone il vetro era più<br />
elastico.<br />
Il lunedì mattina passava a controllare gli<br />
abbonamenti mensili. La regola voleva che<br />
l’abbonamento andasse sempre portato con sé,<br />
tuttavia poteva succedere di dimenticarlo.<br />
Biglietto?, chiedeva allo studente smemorato, ben<br />
sapendo che di abbonamento si trattava dato che<br />
quello lo vedeva tutte le settimane ormai da anni. Lo<br />
studente smemorato conosceva la sua sorte e tuttavia<br />
provava ad intenerire cuor-di-pietra Casalegno:<br />
Signor Casalegno, l’ho dimenticato a casa. Ma lei sa che ho<br />
l’abbonamento mensile e dunque…<br />
53
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Che importa? Lei sa bene cosa dice il Regolamento: il titolo di<br />
viaggio va esibito ad ogni richiesta, e qui Casalegno<br />
contemporaneamente alzava un dito, la voce di due<br />
toni e i tacchi di un centimetro buono…ad o-gni richie-sta,<br />
ripeto, del personale direttivo.<br />
Amava riferirsi a sé stesso come personale direttivo.<br />
Lo so bene, tentava ancóra di convincerlo lo studente<br />
smemorato. Glielo faccio vedere la prossima settimana,<br />
quando torno a casa.<br />
Casalegno neanche rispondeva. Stava già scrivendo<br />
sul suo formulario, tutto concentrato nell’emettere un<br />
nuovo biglietto, più il supplemento perché era stato<br />
staccato sul treno, più la multa per aver sorpreso lo<br />
studente smemorato senza biglietto: il massimo della<br />
cifra possibile, insomma.<br />
Intorno ai due che discutevano si era formato il solito<br />
capannello di sostenitori, studenti che protestavano<br />
rivivendo nella disavventura dello studente<br />
smemorato una loro personale vicenda. Perché a tutti,<br />
prima o poi, càpita di dimenticare nella tasca dell’altra<br />
giacca l’abbonamento.<br />
Ma scusi, signor Casalegno, interveniva uno. Non potrebbe<br />
evitare di appioppargli la multa? In fondo lui l’abbonamento ce<br />
l’ha, lo sa bene.<br />
Io non appioppo, io applico il Regolamento! , rispondeva<br />
rude.<br />
Ma potrebbe fargli pagare solo il biglietto, non le pare?<br />
Tutto inutile. E guai se poi qualcuno, nella rabbia, si<br />
lasciava sfuggire un’esclamazione mormorata:<br />
Che stronzo!<br />
54
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Come ha detto?, chiedeva Casalegno, l’occhio<br />
inferocito e l’udito finissimo.<br />
Vuol ripetere? Vuole che la denunci per ingiurie a pubblico<br />
ufficiale?<br />
Lo studente offensivo si girava dall’altra parte<br />
masticando fiele, senza dire più verbo. E lui,<br />
Casalegno, girava sui doppi tacchi e si allontanava con<br />
la testa girata all’indietro e gli occhi fiammeggianti, a<br />
sfidare il gruppo di studenti che attorno allo<br />
smemorato cercavano di consolarlo. E passava allo<br />
scompartimento successivo, probabilmente con la<br />
segreta speranza di trovare qualche altro<br />
inadempiente e ripetere la rappresentazione.<br />
La stessa scena si ripeteva se capitava a qualche<br />
studente di lasciar scadere la cosiddetta tessera, ossia il<br />
documento che dava diritto all’abbonamento scontato<br />
per studenti pendolari. La tessera aveva una validità<br />
annuale; il suo rinnovo era praticamente automatico,<br />
e consisteva nell’apposizione da parte della biglietteria<br />
di Savona di un timbro con una nuova data<br />
posticipata di un altro anno, oltre che nell’esazione di<br />
una modesta tassa. Ma gli studenti avevano una<br />
pericolosa e singolare tendenza a dimenticare questa<br />
banale operazione burocratica. Casalegno controllava<br />
pignolo ogni data di emissione, guardandosi bene<br />
dall’avvisare il malcapitato se notava la prossimità<br />
della scadenza, gioendo quando beccava in fallo il<br />
malcapitato.<br />
Ma l’ha vista quattro giorni fa, la mia tessera! Non poteva<br />
avvisarmi, signor Casalegno?, protestava lo studente<br />
distratto.<br />
Non sono mica qui a farle da segretario, caro signore!,<br />
rispondeva il controllore mentre con gli occhiali a<br />
55
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
cavallo del naso e a gambe aperte, compilava il<br />
modulo della multa in bella calligrafia, bilanciandosi<br />
sulle punte dei piedi.<br />
Una sera d’estate il treno tornava a Savona. Era<br />
affollato di studenti felici per il fine settimana a casa<br />
che si stava avvicinando. I finestrini erano spalancati,<br />
l’aria calda della campagna piemontese circolava<br />
liberamente nelle carrozze.<br />
Dopo la stazione di Ceva i pendolari locali<br />
scendevano quasi tutti, e gli studenti rimanevano<br />
padroni del treno fino a Savona. Quella sera però<br />
nella prima carrozza c’era un passeggero in più, un<br />
signore elegante e silenzioso che seguiva bonario gli<br />
scherzi e le chiacchiere degli studenti con un sorriso<br />
di partecipazione distaccata.<br />
Che sia un viaggiatore di commercio?, si chiedevano i suoi<br />
compagni di viaggio. Ma i viaggiatori di commercio<br />
tornano a casa il venerdì sera, e quel signore non era<br />
di Savona, l’avevano capìto dalle poche parole che<br />
aveva scambiato con uno di loro mentre sistemava la<br />
valigia sulla reticella sopra la sua testa. Non era<br />
nemmeno un turista: non erano ancóra i tempi del<br />
turismo mordi-e-fuggi del fine settimana. E poi quel<br />
signore era troppo elegante per fare sia il viaggiatore<br />
di commercio che il turista.<br />
Forse è un nobile che va a giocarsi la villa a Sanremo! ,<br />
azzardò uno studente fantasioso.<br />
Venne Casalegno a controllare i biglietti. Tutto era in<br />
ordine. Stava già per uscire dallo scompartimento<br />
quando scorse la valigia del misterioso viaggiatore<br />
sopra la reticella. E chiese gentilmente:<br />
Di chi è quella valigia?<br />
56
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
È mia, ripose il signore elegante.<br />
Me la può far vedere?<br />
Il signore elegante un po’ sorpreso si alzò, prese la<br />
bella valigia in pelle marrone e l’appoggiò sul sedile.<br />
Gli studenti conoscevano bene l’espressione che<br />
Casalegno aveva stampata sul volto: stava preparando<br />
una scena delle sue. Quelli che erano seduti negli<br />
scompartimenti a fianco si girarono e si misero in<br />
ginocchio sulle panche, uno sull’altro come fossero in<br />
loggione a teatro. Altri che erano in piedi lungo il<br />
corridoio andarono nelle carrozze vicine a chiamare<br />
gli amici e un piccolo assembramento si andava<br />
formando all’ingresso del primo scompartimento.<br />
Il metro di Casalegno era di quelli pieghevoli,<br />
suddivisi in frazioni di venti centimetri l’una; lui lo<br />
aprì con aria condiscendente e prese a misurare la<br />
valigia.<br />
La sua valigia è fuori di un centimetro in lunghezza rispetto<br />
alle dimensioni consentite, sentenziò con una voce<br />
sepolcrale, fissando il malcapitato come se l’avesse<br />
sorpreso mentre stava massacrando la madre. Il<br />
signore elegante con molta signorilità protestò:<br />
Mi par strano. L’ho comperata in una delle migliori valigerie<br />
di Torino. Ma è sicuro?<br />
Guardi anche lei, disse Casalegno.<br />
Ed insieme verificarono di nuovo le misure.<br />
Sono costretto a farle la multa, disse il controllore.<br />
Ma via, signor Casalegno!, disse lo studente fantasioso.<br />
Ma le pare? Per un centimetro!<br />
Anche gli altri studenti protestavano in coro<br />
prendendo le difese del signore elegante:<br />
Che ne sapeva questo signore delle misure ufficiali delle FFSS?<br />
57
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Mica è un baule. È una valigia di cuoio molle. Il centimetro<br />
mentre misura va e viene!<br />
Il signore elegante stava in piedi con un mezzo<br />
sorriso sulle labbra, voltandosi a destra e a sinistra nel<br />
seguire le voci concitate degli studenti, ma sempre<br />
con distacco signorile.<br />
Casalegno rispose a tutti con una sola frase:<br />
Prego lor signori di evitare di immischiarsi in una faccenda di<br />
rispetto del Regolamento che riguarda solo il signore qui<br />
presente.<br />
Poi finì di compilare il suo modulo, che, riguardando<br />
un’infrazione non usuale, aveva richiesto un certo<br />
studio delle norme vigenti. Alla fine la multa fu<br />
stabilita in lire 435, che non era per niente poco a<br />
quei tempi. Il signore elegante non disse nulla.<br />
Estrasse un portafoglio di lama e pagò. Anzi: oblò,<br />
come avrebbe detto Casalegno.<br />
Il controllore incassò le mille lire, fornì il resto e stava<br />
per andarsene quando il signore elegante disse:<br />
Scusi: mi può far vedere il suo metro per favore?<br />
Casalegno girò su sé stesso con un sopracciglio<br />
sollevato in segno di sorpresa: Perché?<br />
Così, per una mia curiosità.<br />
Non sono qui per soddisfare le sue curiosità, caro lei!, fu la<br />
risposta sprezzante di Casalegno.<br />
Vede, caro signore, disse il signore elegante. Lei purtroppo<br />
non può rifiutarsi perché io sono un funzionario dell’Ufficio<br />
Pesi e Misure che ha sede presso l’Istituto Galileo Ferraris di<br />
Torino.<br />
E così dicendo il signore elegante estrasse un<br />
tesserino che chi gli era a fianco ed ebbe modo di<br />
intravedere descrisse come particolarmente<br />
58
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
complicato e colorato. Dopo che Casalegno gli ebbe<br />
dato un’occhiata, il signore elegante continuò:<br />
Come lei sa, qualunque cittadino che utilizzi sistemi di misura<br />
quale il metro, la bilancia, il cronometro e così via per scopi<br />
pubblici o di compravendita ha il dovere di mostrare il suo<br />
strumento a richiesta di un funzionario dell’Ufficio Pesi e<br />
Misure. Perciò mi favorisca il suo metro per cortesia.<br />
La folla di studenti che circondavano il primo<br />
scompartimento era diventata nel frattempo strabocchevole;<br />
malgrado i finestrini aperti nel piccolo<br />
scompartimento si sudava per la ressa. Ciononostante<br />
il silenzio gravava e si poteva udire solo il ritmico<br />
sferragliare del treno. Casalegno era impallidito: per la<br />
prima volta da quando era in servizio come<br />
controllore qualcuno gli stava tenendo testa,<br />
affrontandolo per giunta sul suo terreno, quello dei<br />
Regolamenti e delle Norme. La sua autorità non era<br />
ancóra stata scalfita ma tutto dipendeva da come<br />
sarebbe terminata la faccenda. Estrasse il metro di<br />
tasca, un normale metro pieghevole di legno dipinto<br />
d’arancio; lo porse al signore elegante senza dire una<br />
parola. Questi lo prese con mani esperte e andò<br />
sùbito a verificare nella prima sezione, il tratto da 0 a<br />
20 centimetri.<br />
Ahi, ahi, ahi!, disse il signore elegante. Vedo che sono<br />
quattro anni che lei non fa verificare il suo strumento presso<br />
l’Ufficio Pesi e Misure. Lei sa certamente che avrebbe dovuto<br />
farlo verificare annualmente e l’Ufficio le avrebbe rilasciato un<br />
certificato di conformità all’uso. Come mai non l’ha fatto?<br />
Il balbettio di Casalegno fu coperto dall’ululato della<br />
folla di studenti festanti:<br />
Come mai non l’ha fatto, signor Casalegno?, urlò lo<br />
studente fantasioso.<br />
59
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Io lo sapevo, ma non sono mica qui a farle da segretario!,<br />
rincarò lo studente distratto.<br />
Eppure il Regolamento parla chiaro!, chiosò lo studente<br />
smemorato.<br />
Tutto il treno ormai si era trasferito nella prima<br />
carrozza, richiamato da un tam-tam rapidissimo che<br />
aveva percorso tutti i vagoni.<br />
C’è uno che sta menando Casalegno!, era la voce che<br />
girava.<br />
Non era vero naturalmente, ma era servita a coagulare<br />
ancor più velocemente tutti gli studenti in un unico<br />
grumo che ondeggiava nella prima carrozza. Alcuni<br />
cori irriverenti e offensivi iniziarono spontaneamente,<br />
coordinati dallo studente oltraggioso, che col<br />
Casalegno ce l’aveva particolarmente. In un frastuono<br />
infernale, ingigantito dallo sferragliare del treno nella<br />
lunga galleria tra Ceva e Cengio, nessuno udì le parole<br />
che si scambiarono i due. Si vide il signore elegante<br />
tirare fuori dalla valigia incriminata un suo formulario<br />
che rapidamente riempì; si vide Casalegno, con una<br />
smorfia servile tirare fuori la multa che aveva<br />
comminato al signore elegante e fare il gesto di<br />
stracciarla; si vide il signore elegante fare un cenno di<br />
diniego e chi gli era più vicino poté udirlo<br />
pronunciare queste parole:<br />
Troppo tardi, caro signore. E poi sul Regolamento, lei capisce,<br />
non posso transigere.<br />
Poi tutti videro Casalegno tirare fuori un biglietto da<br />
mille, forse lo stesso che gli aveva appena dato il<br />
signore elegante, mentre questi gli passava la ricevuta.<br />
Le urla e gli ululati a quel punto raggiunsero il<br />
diapason.<br />
60
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Il treno frenò con un lungo stridio entrando nella<br />
stazione di Cengio. Scesero tre persone: due studenti<br />
e Casalegno, mentre dai finestrini tra gli schiamazzi<br />
alcuni lo richiamavano:<br />
Dove va signor Casalegno? Non mi ha ancóra controllato<br />
l’abbonamento, a me!<br />
Signor Casalegno! Lo studente Bacigalupo ha la tessera<br />
scaduta da tre giorni!<br />
Intanto nel primo scompartimento della prima<br />
carrozza almeno venti studenti vezzeggiavano il loro<br />
eroe, il signore elegante:<br />
Prenda una sigaretta, signore!<br />
Gradisce una mentina?<br />
Lui sorrideva e non diceva nulla. Il lunedì successivo<br />
sul treno da Savona a Torino c’era un altro<br />
controllore, e di Casalegno non si seppe più nulla.<br />
Storia vera, raccontata da un ingegnere di Savona che<br />
aveva pendolato e frequentato il Poli in quegli anni.<br />
indice<br />
61
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.6 Gelido soffio di vento<br />
di Giulia Pirrini<br />
Una fredda mattina invernale, una solitaria ed esile<br />
figura dai capelli corvini contemplava il sorgere del<br />
sole: il cielo era cereo e la foschia accarezzava<br />
dolcemente le colline, verso l’orizzonte.<br />
Nemmeno quella notte Nadia era riuscita a dormire,<br />
fissando il soffitto per ore pensando alla vita. E alla<br />
morte.<br />
C’era una leggera brezza gelida che lacerava le sue<br />
calde e candide carni. Lei però pareva non avvertirla,<br />
il suo sguardo era lontano, gli occhi malinconici:<br />
ammirava la vallata, il suo paese natale, che tanto<br />
amava, che tanto le aveva dato e tanto le aveva tolto.<br />
Quella mattina, si era alzata di buon’ora e si era<br />
diretta al terrazzo panoramico: aveva sempre adorato<br />
quel posto, le sue pietre rosse, l’atmosfera<br />
confortante, dal sapore antico, che la avvolgeva e la<br />
portava lontano. Si poteva raggiungere soltanto da un<br />
piccolo sentiero acciottolato, tra le case della città<br />
vecchia; varcato l’enorme cancello di metallo nero, si<br />
poteva ammirare una chiesa, silenziosa, austera e<br />
davanti, nella corte, un pozzo in pietra bianca, ormai<br />
in disuso, ma dal grande fascino, dovuto alle tante<br />
leggende locali.<br />
Per un istante, un tenero sorriso illuminò il viso di<br />
Nadia, all’improvviso tornata bambina, mentre<br />
correva per quelle strade lastricate, divertendosi a<br />
sentire il rumore dei tacchi di sua madre, con l’eco<br />
delle risate che vagava per le vie del borgo. Quella<br />
62
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
bambina non c’era più, svanita molti anni prima, al<br />
suo posto una giovane donna frustrata, stanca, senza<br />
più desideri o fantasie. Anche l’eco ormai era andato<br />
perduto, dissolto nello scorrere del tempo.<br />
Una lacrima rigò la guancia scarna di Nadia, che<br />
parve destarsi da un meraviglioso ma effimero sogno.<br />
Distolse lo sguardo dai ricordi, sapeva bene che il<br />
passato non poteva tornare, e nemmeno quella<br />
bambina, per quanto lo desiderasse ardentemente, per<br />
quanto il presente fosse insopportabilmente vuoto. I<br />
pensieri che avevano tormentato le sue notti<br />
all’improvviso tornarono e le dilaniarono il cuore e<br />
l’anima, profondamente.<br />
Vuota, ecco com’era la sua esistenza: il nulla saturava<br />
il suo cuore, non c’era spazio per nient’altro. Il futuro<br />
che fin da piccola aveva sognato, che aveva rincorso a<br />
perdifiato, con passione, che adesso era lì, tangibile, si<br />
era rivelato solo una fredda e vana illusione. Di notte,<br />
nel silenzio, la tristezza si faceva strada fra<br />
l’ingombrante vuoto e la destava dall’apatia, una<br />
tristezza furiosa, violenta, lacerante, che la piegava, la<br />
vinceva. Il vuoto però era lì, tenace e paziente<br />
compagno di viaggio, pronto a prendersi ciò che<br />
restava di lei.<br />
Fino a quel momento Nadia aveva desiderato<br />
ardentemente di continuare a soffrire, quella<br />
sofferenza era l’unica cosa che le facesse sentire la<br />
vita. Resisteva in lei una flebile fiamma di speranza,<br />
l’illusione che qualcosa potesse ancora cambiare.<br />
Aveva trascorso così lunghe notti, in bilico fra<br />
63
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
disperazione e vuoto, a rincorrere freneticamente<br />
qualcosa che le desse la forza di urlare via inutilità e<br />
mediocrità.<br />
Mediocrità.<br />
Così si sentiva, profondamente e disgustosamente<br />
mediocre, inutile. E non c’è scampo. Non si può<br />
uscire da questo sistema, si è costretti a<br />
inginocchiarsi, ad abbassare la testa, a perdere la<br />
propria diversità, la propria personalità, sguazzando<br />
nella mediocrità, esaltando l’apparenza e soffocando<br />
la sostanza.<br />
Il mondo è avido di mediocrità, non ne è mai sazio.<br />
Milioni e milioni di individui tutti uguali, stesso<br />
lavoro, stessa casa, stessa automobile, persone<br />
addestrate fin da piccole, anno dopo anno. Il mondo<br />
è una immensa catena di montaggio che produce ciò<br />
che gli serve: operai, impiegati, artigiani; le rare<br />
eccezioni servono solo per produrre nuova<br />
mediocrità: nuove invenzioni necessitano di nuovi<br />
involucri lavoranti e la mediocrità si aggiunge alla<br />
mediocrità, fino alla fine del mondo.<br />
Lentamente, subdolamente, ci assuefanno all’idea<br />
della nostra inutilità: nessuno è indispensabile, siamo<br />
“tutti sulla stessa barca”, “lo fanno tutti”, così questa<br />
condizione viene accettata, quasi giustificata.<br />
Incessantemente e intenzionalmente, la coscienza<br />
viene distratta da cose effimere, superflue: prolificano<br />
centri commerciali, si susseguono mode, prodotti di<br />
ogni tipo, pubblicità. Comprare, spendere, possedere<br />
diventa il pane dell’anima, marcio surrogato della<br />
64
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
felicità, e non si è mai soddisfatti: più consumi, più<br />
possiedi e più sei importante, più sei parte del<br />
meccanismo, inconsapevole, forse, ma mai<br />
incolpevole. Allora il vuoto ti prende, un pezzettino<br />
per volta e ti uccide, sempre di più, inesorabilmente.<br />
Nadia aveva provato a lottare, a liberarsi del vuoto<br />
che putrefà lo spirito, che lo avvelena, ma il nulla è<br />
forte, è ovunque e vince sempre, in un modo o<br />
nell’altro. E alla fine del cammino, resta soltanto<br />
l’amarezza di non aver vissuto, la penosa<br />
consapevolezza di essere stato solo un insignificante e<br />
fuggevole ingranaggio in un meccanismo freddo e<br />
sterile.<br />
Nadia abbassò lo sguardo, vitreo.<br />
Cos’è la vita, in fondo. È nient’altro che un solitario,<br />
gelido soffio di vento nell’universo; non sposta<br />
montagne, non prosciuga oceani, non oscura cieli. Un<br />
filo d’erba, talvolta, viene mosso dolcemente, per<br />
pochi istanti, impercettibilmente, poi tutto torna<br />
immobile. Fra pochi istanti, nemmeno quel filo d’erba<br />
esisterà più. E cosa è rimasto di quel soffio, cosa di<br />
quel momento? Anche i ricordi con il tempo si<br />
affievoliscono e muoiono. Di te, della tua essenza, di<br />
quello che hai fatto e detto, di quello che hai provato<br />
e pensato, cosa resta? Tu esistevi, eri lì, vivevi in<br />
quell’istante, però di te niente è rimasto. Il tempo è<br />
un nemico che non si può sconfiggere, non lascia<br />
tracce, cancella ogni cosa, ogni respiro, ogni filo<br />
d’erba, facilitato dall’assurda e caparbia mediocrità<br />
dell’esistenza.<br />
65
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Camminiamo lungo il sentiero della vita, soli, nel<br />
silenzio, nel vuoto che ci avvolge, di cui facciamo<br />
parte noi stessi; gli sforzi che facciamo ogni istante<br />
per vivere, per sopravvivere, per amare, per odiare,<br />
per primeggiare, per partire, per arrivare, per<br />
migliorare, sono solo vane illusioni, hanno<br />
unicamente scopo egoistico, spinti dalla necessità di<br />
mentire a noi stessi, di sentirci importanti per<br />
qualcosa o per qualcuno, di convincerci che<br />
lasceremo una qualche traccia, qualcosa di<br />
importante, che congelerà la memoria che il mondo<br />
ha di noi.<br />
Invece non siamo altro che un piccolo, effimero,<br />
gelido soffio di vento.<br />
Nadia trascinava con sé il peso di questi pensieri,<br />
divenuto ormai insostenibile.<br />
La domanda che ogni notte aveva respinto con forza<br />
la trovò ora debole, inerme e le squarciò l’animo,<br />
come una fredda lama lacera la carne: che la morte<br />
potesse finalmente separarla da quell’ingombrante<br />
nulla, donandole la serenità che in vita non era<br />
riuscita a raggiungere?<br />
La consapevolezza si fece violentemente strada nella<br />
sua coscienza, la flebile fiamma di speranza<br />
tenacemente sopravvissuta nel suo cuore, infine, si<br />
arrese.<br />
Nadia strinse a sé, delicatamente, i pochi brandelli<br />
rimasti della sua esistenza, guardò ancora una volta la<br />
sua città, le sorrise, con gratitudine, e svanì, nel gelido<br />
vento d’inverno.<br />
66
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
67<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.7 Il destino non buca il biglietto<br />
di Mario Trapletti (Trap)<br />
“A vent’anni si è stupidi davvero / quante balle si ha<br />
in testa a quell’età”.<br />
Venti: quelli che avevo io; ‘Eskimo’, invece, solo uno.<br />
La cantavamo sulla spiaggia intorno al fuoco, tra una<br />
canna e l’altra. No prego, non sono andato fuori di<br />
testa per la roba io, ero l’ottantaseiesimo io. Ci pensi<br />
e il cervello va su un binario morto se no deragli.<br />
Allora tanto valeva. Due canne avremo fatto ma<br />
erano i vent’anni. La sera del venerdì niente figa in<br />
giro, anche se era il primo agosto.<br />
- E io vi dico – mi fosse morta la lingua in quel<br />
momento – che mi faccio tutto un viaggio in treno<br />
senza pagare il biglietto e non mi beccano! Le sfide<br />
dello stupido, che giochi con la vita e non lo sai.<br />
Ancora canne e birra e la mattina presto da Sirolo mi<br />
portano in macchina (quella 2CV che pareva un<br />
presagio) alla stazione di Ancona. Il primo treno che<br />
partiva era l’Adria Express 13534 Ancona-Basilea che<br />
neanche sapevamo dov’era. “Zfizzerrra!” c’ha<br />
scatarrato un biondone che gli facevamo schifo. Solo<br />
cinquecento lire avevo in tasca che sai dove c’andavo.<br />
- Vi porto il cioccolato svizzero con le scritte<br />
tedesche - gli ho promesso e sono saltato su che mi<br />
ballavano le gambe di sonno e di canne e quei<br />
sacramenti dei miei soci ridevano come se lo<br />
sapevano che era l’ultima volta che li facevo ridere. Il<br />
treno era pieno che mi chiedevo dove andava tutta<br />
68
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
quella gente in Svizzera. Macché! tanti erano italiani<br />
che andavano solo a Rimini o rientravano in Emilia<br />
Romagna dal Conero. C’era su di tutto; tante lingue.<br />
Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />
- Mi dava un po’ fastidio quello sballottamento<br />
continuo perché io mica stavo fermo che poi mi<br />
beccava il bucabiglietti. Erano quegli scompartimenti<br />
con la porta scorrevole che la gente la tiene chiusa<br />
così è convinta di stare a casa sua; qualcuno tira<br />
anche le tendine per l’intimità. Tante casette a<br />
schiera, manca solo l’orticello. C’era di quelli che<br />
facevano colazione e bevevano e ridevano e gli<br />
svizzeri li guardavano con gli occhi che dicevano<br />
“italiani terroni spaghetti”.<br />
Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />
I bambini giocavano strillavano saltavano, qualcuno<br />
scappava fuori e la mamma “Andrea… Gigino…<br />
Marco torna dentroooo!”. Proprio come tante<br />
casette: donne che si truccavano, giovani che si<br />
baciavano, gente che leggeva il giornale e io passavo<br />
e li guardavo dai vetri come nelle vetrine di negozi<br />
dove si vendeva la vita semplice di tutti i giorni. La<br />
vita la vita la vita! che io potevo essere<br />
l’ottantaseiesimo. Lo conosco a memoria l’elenco:<br />
…<br />
Mader Eckhardt, anni 14<br />
Mader Kai, anni 8<br />
69
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Mader Margret Rohrs, anni 39<br />
Manea Ved. De Marchi Elisabetta, anni 60<br />
Marangon Maria Angela, anni 22<br />
Marceddu Rossella, anni 19<br />
Marino Angela, anni 23<br />
…<br />
Lì tra<br />
Marceddu Rossella, anni 19<br />
e<br />
Marino Angela, anni 23<br />
ci dovevo stare io Marchetti Giulio, anni 20. Ci<br />
dovevo stare io ci dovevo stare io ci dovevo stare io.<br />
Una stazione ogni tanto scendevo e guardavo il treno<br />
da sotto che era anche bello, cominciava a piacermi<br />
con tutta quella vita che andava e veniva, saliva e<br />
scendeva come formiche in ferie. Il treno sembra<br />
proprio la vita che si sale e a un certo punto si scende:<br />
incontri gli altri che anche loro salgono e scendono,<br />
uno qua uno là. Sul treno si fa tutto. Che storia, mi<br />
stava prendendo e qualcuno di quelli che andavano<br />
lontano mi riconosceva mi salutava mi offriva da<br />
mangiare e da bere e una ragazza mi ha baciato e<br />
fumavo nei corridoi con gli uomini che ridevano<br />
perché traballavo un po’ e dicevo scemenze e<br />
avevano capito che scappavo per il biglietto. Uno<br />
anziano mi ha offerto di tirare la pipa e aveva 85 anni<br />
70
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
e io potevo essere l’ottantaseiesimo se il mio nome lo<br />
leggevo tra Marceddu Rossella, anni 19 e Marino<br />
Angela, anni 23. Perché io ero Marchetti Giulio, anni<br />
20, ero.<br />
Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />
Però non ci sono nell’elenco, l’ho letto e riletto tante<br />
volte e non avevo fumato. L’Adria Express 13534 è<br />
arrivato quasi puntuale a Bologna alle 10:20, dieci<br />
minuti di sosta e ripartivamo. Il treno è una bella<br />
bestia che tira il fiato un attimo, una pisciatina e via di<br />
nuovo a far scintille sui binari. Gente che scende,<br />
gente che sale. Ero seduto che giocavo a carte con<br />
una svizzerina tenera come una simmenthal e uno mi<br />
ha gridato “Il controllore!”. Ho perso quel momento<br />
a dare un bacio sulla guancia alla biondina e quello mi<br />
ha visto che scappavo. Io via! Mi cade l’occhio sul<br />
grande orologio della stazione, le 10:24. E lui dietro<br />
giù per i gradini e io via a salti e spinte e la svizzerina<br />
“Zcappa! Zcappa!” e fortuna che siamo sul primo<br />
binario e vedo il cartello USCITA e lui a gridare:<br />
- Fermalo! Fermalo! - e io che sono già fuori dalla<br />
stazione e corro ancora e mi infilo fra i taxi e<br />
Quel bastardo mi si è buttato addosso, ho pensato intanto<br />
che finivo per terra con un sacco di cemento sulle<br />
spalle. Ma quel tuono che erano mille tuoni quegli<br />
schianti quelle urla – mi scorticano quelle urla! –<br />
quelle invocazioni quelle sirene quell’inferno, non<br />
c’entravo io col mio biglietto.<br />
71
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Volete sapere che ore sono? Le 10:25, il mio orologio<br />
segna solo le 10:25. Sempre. Però io non sono<br />
l’ottantaseiesimo dell’elenco ma le ho viste le foto<br />
delle due carrozze sul primo binario e lì dentro c’era<br />
la mia svizzerina, c’ero stato io lì.<br />
Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />
Ma la mia testa la mia testa la mia testa è rimasta là a<br />
quel 2 agosto 1980.<br />
85 morti.<br />
L’ho più preso il treno.<br />
72<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.8 La pensione<br />
di Pierangelo Colombo<br />
Un canglore metallico susseguì la lucente moneta<br />
inserita nella feritoia della macchinetta, mentre le dita,<br />
correndo lungo la tastiera, ne sfiorò i pulsanti<br />
severamente allineati, premendo infine il più usurato<br />
selezionando un caffè espresso.<br />
La porta a vetri della saletta filtrava appena il fracasso<br />
dell’officina: torni, frese, presse, una sirena che<br />
segnalava il blocco di un macchinario; rumori che si<br />
mescolarono alla voce di due giovani colleghi che, già<br />
servitisi alla macchinetta, discutevano<br />
appassionatamente di calcio, mentre Raffaele,<br />
immerso nei propri pensieri, osservava il caffè cadere<br />
a cascata nel bicchierino di plastica.<br />
La luce bianca al neon sviliva ancor di più il grigiore<br />
della giornata autunnale che filtrava a stento<br />
attraverso i vetri satinati delle finestrelle, mentre<br />
l’orologio scandiva inesorabile i minuti di quella pausa<br />
turno.<br />
Accompagnando i gesti con un sospiro, Raffaele<br />
prelevò il bicchiere fumante portandoselo alle labbra.<br />
Le dita indurite dai calli percepirono appena,<br />
attraverso l’esiguo spessore del bicchierino, il calore<br />
del caffè bollente. Calore che assaporò attraverso il<br />
palmo della mano, mentre l’aroma del caffè si<br />
mescolava all’odore di olio chimico che ne<br />
impregnava la pelle assieme al sapone: vanamente<br />
adoperato per attutirne l’afrore.<br />
73
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Raffaele fissò le proprie mani: dita tozze da<br />
carpentiere, dove il grasso e l’olio usati sul tornio<br />
andavano ad annerirne i solchi fra le creste delle pelle<br />
esaltandone così l’impronta digitale. Le vibrazioni del<br />
macchinario, assorbite attraverso la pelle, sembravano<br />
rimbombare nella mano in una infinita eco per poi<br />
essere rilasciate lentamente attraverso un lieve<br />
tremore.<br />
Mani che, nonostante il lungo sfregare con sapone e<br />
detergenti, sembravano sempre lorde. Mani di cui<br />
Raffaele a volte provava vergogna. Le aveva tenute<br />
strette a pugno quando aveva accompagnato la figlia<br />
all’altare; disagio che aveva provato anche quando,<br />
dinanzi la fonte battesimale, con quelle dita che<br />
parevano insudiciarne la candida veste aveva tenuto il<br />
nipotino facendogli da padrino.<br />
Mani però, che in quasi trentanove anni di lavoro, gli<br />
avevano sempre permesso di guadagnare il pane<br />
onestamente, senza scorciatoie o compromessi, e di<br />
questo ne andava fiero, nonostante siano valori sviliti<br />
al tempo d’oggi.<br />
Sorseggiò lentamente quel caffè che sentì amaro<br />
come non mai. L’ultimo caffè da operaio. Alle<br />
quattordici in punto infatti, timbrando l’uscita<br />
avrebbe chiuso definitivamente con la vita lavorativa.<br />
Il miraggio illusorio di un’indipendenza economica<br />
l’avevano spinto, poco più che sedicenne, a scegliere<br />
il lavoro al tedio studio dell’algebra e del latino.<br />
Lasciando i banchi di scuola, per quelli assai più ardui<br />
dell’officina, aveva dato inizio a lunghi anni dove la<br />
74
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
sirena chiamava alle otto ore che sembravano non<br />
passare mai nel fischiettare la solitudine per<br />
alleggerire la fatica.<br />
Lunghi i pomeriggi estivi, quando la canicola rendeva<br />
irrespirabile l’aria pregna di polvere e sudore, quando<br />
la limaglia pareva penetrare nella pelle<br />
punzecchiandola come spilli, rendendo una doccia<br />
più ambibile dell’oro.<br />
Pungenti i freddi mattini d’inverno, quando le mani<br />
intorpidite dal freddo faticavano a manovrare gli<br />
utensili gelati e il pensiero correva svelto a quel letto<br />
caldo lasciato prima ancora dell’alba, quando, facendo<br />
il primo turno, puntava la sveglia alle cinque e cinque<br />
rubando così qualche minuto al tempo tiranno.<br />
Sonno dissolto lentamente sulla corriera che,<br />
dall’entroterra, lo portava alla città della “Lanterna”<br />
che, austera, pareva ergersi dal mare nero dell’alba<br />
indicandogli la meta. Fitta la nebbia che pareva<br />
trasformare quella corriera in un fantasma diretto<br />
verso le luci di una fabbrica dove i dialetti si<br />
confondono soffocati dal rumore e tante storie<br />
diverse s’incrociano in un unico destino.<br />
Raffaele attendeva il pensionamento con la stessa<br />
ansia con cui un soldato di leva conta i giorni<br />
mancanti al tanto sospirato congedo.<br />
Non era così però che aveva sognato quel suo ultimo<br />
caffè, quelle sue ultime ore in tuta blu che ormai<br />
indossava come una seconda pelle. Sognava una<br />
bottiglia di prosecco con i compagni di una vita,<br />
qualche pasterella a fine turno ribattendo a scherni e<br />
75
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
battute di spirito. Immaginava le pacche degli amici,<br />
le vigorose strette di mano ad accompagnare magari<br />
una leggera malinconia capace di far lucidare lo<br />
sguardo di tutti.<br />
Era solo invece in quella saletta, dove il brusio della<br />
macchinetta indicava l’uscita dei due colleghi di cui<br />
conosceva soltanto il nome. La crisi, il riassetto della<br />
società, avevano portato lo scompiglio con la cassa<br />
integrazione, la mobilità, il riposo compensativo,<br />
perciò Raffaele si trovava in un turno e un reparto<br />
che non erano il suo. A rendere più amaro quel caffè<br />
però, era la strana sensazione che provava dinanzi a<br />
quel prepensionamento a cui era stato aggiunto un<br />
incentivo per “togliere il disturbo”, risolvendo il<br />
problema d’esubero del personale.<br />
Raffaele sapeva per esperienza che nessuno era<br />
indispensabile: troppi i colleghi visti andandosene con<br />
l’arrogante presunzione d’essere insostituibili,<br />
rimpiazzati invece senza alcun disagio. Credeva però,<br />
o meglio sperava, d’essere qualcosa in più di un<br />
semplice numero su di un cartellino; ed ora pagava<br />
pesantemente lo scotto d’essersi illuso nella sua<br />
meticolosità, la disponibilità nei confronti delle<br />
esigenze dell’azienda, la docile sottomissione ad ogni<br />
richiesta. Bruciava la consapevolezza d’essere di<br />
troppo, superfluo, un peso per l’azienda; così come<br />
bruciava il pensiero di ricevere soldi per andarsene:<br />
una specie di rottamazione.<br />
Malinconicamente, uscì dalla saletta diretto alle ultime<br />
due ore di lavoro, come un mulo che si accinge al<br />
76
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
giogo, quando, in lontananza vide la figura del<br />
caporeparto, dirigersi verso di lui.<br />
Una speranza, fievole come un lumicino, si accese nel<br />
suo animo. Illusione dettata da un beffardo sorriso<br />
dipinto sul viso dell’uomo che, ambiguo, si dirigeva<br />
verso di lui.<br />
“Eccolo, ora mi dirà di salire in direzione, ne sono<br />
certo, forse mi daranno una lettera di ringraziamento;<br />
forse un orologio, magari una patacca, una penna o<br />
una medaglia. Oh mio Dio cosa dirò? Mi sudano già<br />
le mani!” il cuore esplose in una corsa sfrenata.<br />
«Belandi! Allora sei pronto per fare il nonno a tempo<br />
pieno?» eruppe il caporeparto con un gran sorriso<br />
mentre, con una pacca sulla spalla infuse un<br />
entusiasmo tale in Raffaele da fargli tremare le mani.<br />
Raffaele ristette in attesa di quella frase che tanto gli<br />
coceva dentro, con il desiderio di rivalutazione, di<br />
farsi finalmente una persona e non un numero.<br />
«Senti un po’, ho visto Luca del personale..» Raffaele<br />
trattenne il fiato aspettando una conferma ai propri<br />
desideri, «dice che il tesserino puoi lasciarlo in<br />
portineria quando esci, senza salire in ufficio.»<br />
Raffaele ristette senza parole, sentendo tutto il peso<br />
della delusione cocente piombargli addosso con la<br />
stessa soffocante potenza di una slavina.<br />
«Grazie!» disse poi, tornando mestamente al suo<br />
posto.<br />
indice<br />
77
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.9 Il disertore<br />
di Gianni Martinetti<br />
Così ne parlavano i giornali:<br />
“ ... frammento di memoriale trovato nelle tasche del disertore<br />
Vannini Giulio, di anni 23, ucciso da un colpo di arma da<br />
fuoco, sfuggito, accidentalmente, al sottufficiale di P.S. Franchi<br />
Artemisio…”<br />
Questa volta starò bene attento e, se vorranno<br />
riprendermi, dovranno faticare a lungo.<br />
Loro, i capoccioni, questa la chiamano diserzione, io,<br />
libertà.<br />
Ma perché non riescono a convincersi che non posso<br />
sottomettermi alla costrizione di una divisa, di un<br />
orario da rispettare, di una successione monotona di<br />
atti, tutti programmati?<br />
Io sono nato per essere libero: non ho mai avuto<br />
programmi e scadenze, non ho mai cercato di<br />
accaparrare denaro, non ho mai posseduto una casa.<br />
Sono nato nei boschi, sono sempre vissuto nei boschi<br />
e voglio morire nei boschi.<br />
Non ho altri desideri, non faccio del male ... e allora<br />
perché non mi si lascia in pace?<br />
Non ho mai cercato niente, non ho mai dato noia a<br />
nessuno, chiedo solo di essere lasciato nella mia<br />
solitudine.<br />
E’ così difficile ottenere una cosa tanto semplice?<br />
Non m'importa di essere chiamato animale selvatico,<br />
straccione, eremita: le parole lasciano solo un breve<br />
scompiglio superficiale, per poi fuggire via come il<br />
vento di marzo.<br />
78
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non voglio essere obbligato ad ossequiare un altro<br />
uomo, solamente perché porta dei gradi. Non capisco<br />
perché dovrei farlo: è un estraneo che non conosco e<br />
che non ho mai cercato di conoscere.<br />
Io voglio salutare solamente il sorgere dell'alba e<br />
l'arrivo di un nuovo giorno; voglio poter cantare con<br />
le cicale la mia gioia di vivere.<br />
Non voglio appartenere alla comunità: troppi odi,<br />
troppo rancore, troppa slealtà.<br />
Le mie lepri e i miei scoiattoli non sono così.<br />
Forse se i capoccioni avessero capito questo modo di<br />
vivere mi avrebbero lasciato andare.<br />
Non hanno voluto ascoltare le mie ragioni e si sono<br />
sentiti in dovere di privarmi dell'unico bene che ho<br />
avuto e che adesso cerco di riavere: la mia libertà.<br />
Tre volte sono scappato, tre volte mi hanno ripreso,<br />
tre volte mi hanno condannato.<br />
Ho passato più di un anno in carcere.<br />
Il solo ricordo di quella detenzione forzata mi fa<br />
venire i brividi.<br />
Continuavo a misurare quei cinque metri quadri della<br />
cella a passo rabbioso, quasi animalesco, nella<br />
disperata attesa del ritorno al reggimento per poter<br />
tentare di nuovo la fuga.<br />
Questa volta però non mi farò riprendere; proteggerò<br />
con astuzia la mia riconquistata libertà.<br />
Mi attenderanno certamente all'imboccatura della mia<br />
caverna, sicuramente nascosti nei pressi: sono<br />
convinti che prima o poi vi farò ritorno, come ho<br />
fatto le altre volte, ma non sarò cosi ingenuo.<br />
79
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non ritornerò mai più. Troverò un altro buco in cui<br />
ripararsi di notte dal freddo e dalle intemperie.<br />
Loro non possono sapere che, prima, una ragione<br />
ben precisa mi costringeva a ritornare: volevo<br />
rivedere il mio grillo.<br />
Quando mi hanno preso l'ultima volta, me l'hanno<br />
ucciso schiacciandolo sotto i piedi.<br />
E pensare che quel grillo era lì da tanto tempo.<br />
Eravamo diventati amici e io non l'avevo mai<br />
dimenticato.<br />
Sono stati cattivi.<br />
Ma perché non riescono a capire?<br />
Forse non è che non riescono, non vogliono.<br />
E’ una colpa voler essere al di fuori degli schemi della<br />
società?<br />
Eppure non sono dannoso per gli altri, sono soltanto,<br />
secondo il loro linguaggio, passivo.<br />
O è inumano anche l'essere passivo?<br />
Non ho mai cercato la carità per sopravvivere; mi<br />
sono sempre bastati pochi frutti raccogliticci.<br />
Ma perché devo difendermi?<br />
Non mi sento in colpa. Dovrebbero essere loro a<br />
sentirsi in colpa.<br />
Loro, la Giustizia - che bei termini usano nelle loro<br />
definizioni - e i suoi responsabili: i giustizieri, loro<br />
sono i colpevoli.<br />
Io non ho mai accettato codici e leggi: loro mi ci<br />
hanno costretto con la scusa della superiore volontà.<br />
Io non ho mai imposto a nessuno di seguire il mio<br />
modo di vita.<br />
80
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non ho mai costretto nessuno -se non gli garbava - a<br />
danzare nudo sotto la pioggia come faccio io.<br />
L'unica persona a cui l'avevo proposto, una pastorella<br />
incontrata per caso sull'alpe, si era adirata o aveva<br />
finto e se ne era fuggita via, dandomi del matto.<br />
Forse avrà avuto paura di prendere un raffreddore.<br />
Peccato, perché non saprà mai quanto sia bello<br />
distendersi nel muschio del sottobosco e sentire le<br />
gocce d'acqua saturare i pori della pelle, accarezzare i<br />
peli della pancia e giocherellare sullo stomaco e sul<br />
ventre. Non conoscerà mai quegli attimi meravigliosi<br />
in cui ci si sente totalmente immersi nelle profondità<br />
naturali come piccole particelle di un grande spirito.<br />
O forse avrà avuto timore di mostrare le sue nudità.<br />
Nel mio mondo non ci sono pudori, non ci sono<br />
inibizioni; mi sento parte integrante della natura, non<br />
sconvolgo l'equilibrio delle cose.<br />
Ma perché non vogliono capire?<br />
Non importa.<br />
Questa volta non riusciranno a scovarmi anche se per<br />
acciuffare un “disertore recidivo” come me, sono<br />
capaci di organizzare una battuta a largo raggio.<br />
Che strano: come si prendano tanta pena per chi non<br />
vuole sottostare alle loro leggi.<br />
Preferiscono spendere un sacco di soldi per<br />
riagguantarmi e mantenermi in galera, anziché<br />
lasciarmi libero e indipendente sulle mie rocce.<br />
Chissà se useranno anche i cani?<br />
Chissà se mi spareranno addosso?<br />
Ho paura.<br />
81
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non devono trovarmi, non mi lascerò trovare.<br />
Ma perché non vogliono capire?<br />
Uno come me non può dar fastidio.<br />
Forse per loro costituisco un esempio da non imitare,<br />
che non deve essere seguito da altri e quindi un<br />
esempio da castigo esemplare e, al limite, da<br />
eliminare.<br />
Ecco il perché di tanta fatica: io sono - per usare il<br />
loro linguaggio - un rivoluzionario, un disfattista, un<br />
anarcoide ribelle alle superiori autorità.<br />
Devo essere eliminato, altrimenti potrei venire<br />
additato come - e cito sempre parole loro -<br />
catalizzatore di pericolosi sfaldamenti nei confronti di<br />
un'autorità che deve essere arbitra assoluta della<br />
convivenza sociale. Non so se l'autorità sia una cosa<br />
giusta per gli altri uomini, non mi interessa: so<br />
soltanto che è una limitazione della mia libertà.<br />
Mi ribello a questo sopruso: è nel mio diritto di uomo<br />
libero.<br />
Non voglio autorità e per questo non mi devono<br />
trovare.<br />
... (parole illeggibili perché slavate dalla pioggia - o, forse,<br />
macchiate dal sangue)<br />
Chissà se mi spareranno addosso?<br />
indice<br />
82
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
2.10 La Collanina<br />
di Maria Carla Bracaccini<br />
Il convegno è appena terminato e, di tutto quanto è<br />
stato detto, non riesco che a pensare alla frase con cui<br />
una signora ha finito il suo intervento.<br />
Colpita dal cancro, ancora viva e decisa a continuare<br />
la sua strada.<br />
Come me!<br />
“Siamo delle lungoviventi grazie alla scienza e per<br />
questo dobbiamo sfruttare al meglio questa seconda<br />
possibilità che ci è offerta.”<br />
Lungovivente, io sono una lungovivente, mi ripeto<br />
camminando per tornare a casa.<br />
E' estate, le vie dei centro della mia città sono tutte<br />
illuminate, i negozi ancora aperti nonostante l'ora<br />
tarda e dalla piazza arriva il suono di un'orchestrina.<br />
Gli ambulanti hanno quasi terminato di sistemare le<br />
loro bancarelle. Domani sarà la festa del patrono della<br />
città e mi sono ripromessa di rispettare tutte le<br />
tradizioni, cosa che da alcuni anni non faccio.<br />
Avere i figli e le loro famiglie tutti riuniti attorno alla<br />
tavola imbandita con piatti tradizionali, comprare ai<br />
grandi il “ciuffoletto” un piccolo regalo, andare con i<br />
piccoli per bancarelle a cercare i giochi che da tempo<br />
chiedono.<br />
Ma “quella” ha rovinato tutto. Accidenti, ci voleva<br />
proprio che pronunciasse quella parola.<br />
Ho impiegato tanto tempo e tanta fatica per riuscire a<br />
riprendere in mano la mia vita e non ho ancora<br />
83
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
terminato perché ogni giorno debbo fare un piccolo<br />
passo in avanti.<br />
La malattia mi ha costretto a mettere in discussione<br />
tutto il mio vissuto.<br />
Molte cose che “prima” ritenevo importanti hanno<br />
quasi perso significato.<br />
Le domande che mi pongo frequentemente e che mi<br />
fanno star male sono sempre le stesse.<br />
“Perché? Ho delle colpe? E' tutto finito qui? Sono<br />
anch'io tra coloro che ce la fanno? Merito una<br />
seconda possibilità?”.<br />
Lentamente, molto lentamente, grazie all'amore per la<br />
vita e per chi mi è caro, riesco ad essere meno<br />
spaventata, gioisco per piccoli gesti, come un<br />
abbraccio dei miei piccolini, un sorriso dell'uomo<br />
della mia vita, un lavoretto che sono riuscita a portare<br />
a termine ma soprattutto comincio di nuovo a vedere<br />
davanti a me un futuro, ad avere voglia di fare<br />
progetti, a sognare.<br />
Oggi mi sono alzata piena di energia ed ho trascorso<br />
la giornata ad organizzarmi per domani.<br />
Nonostante io mi sforzi per far sì che ogni giorno sia<br />
migliore di quello appena trascorso, a volte basta una<br />
parola, un avvenimento per farmi tornare indietro,<br />
per sentirmi angosciata e questa sera la signora è<br />
riuscita in questo.<br />
Tutta presa dai miei pensieri non riesco neanche a<br />
dare uno sguardo alle bancarelle.<br />
Alla fine della via però, sono attratta da una musica<br />
che per me è molto importante.<br />
84
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Mi fermo. La ballerina del carillon gira lentamente<br />
accompagnata dalla ninna nanna di Brahms.<br />
Associo sempre questa musica a mio padre ed anche<br />
ora sento nel cuore quella dolce malinconia che il suo<br />
ricordo mi provoca sempre.<br />
Rimango ferma a fissare la ballerina dal bianco tutù,<br />
le braccia sollevate, il visino perfetto inclinato e nel<br />
momento in cui cessano la musica ed il suo dolce<br />
volteggiare, odo una voce dal forte accento straniero.<br />
“Per quel collo da principessa ci vuole una collana<br />
che brilli”.Un anziano uomo di colore con due occhi<br />
colmi di dolcezza, mi guarda rivolgendomi un caldo<br />
sorriso.<br />
Sul momento non credo si rivolga a me, ma lì ci sono<br />
solo io.<br />
In mano ha una collanina di minuscole perline<br />
bianche che brillano sotto la luce del faretto posto al<br />
centro della sua bancarella e me la porge.<br />
Non so che fare. Allora lui si alza, mi si avvicina,<br />
prende la mia mano, ci posa la collanina e,chinando il<br />
capo da un lato dice. “Prego, provala, è stata fatta<br />
proprio per te!”<br />
Sì, è proprio carina e corta proprio come piace a me.<br />
La indosso e guardandomi in un piccolo specchio che<br />
il signore tiene in mano, trovo che mi stia veramente<br />
bene.<br />
Chiedo il prezzo, pago e lo saluto con un semplice<br />
buonasera.<br />
Lui invece, prima di tornare a sedersi mormora. “Ciao<br />
bella signora, fai brillare anche i tuoi occhi.”<br />
85
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Una semplice parola mi ha riempito di angoscia, una<br />
collanina ed il sorriso di un vecchio signore mi hanno<br />
scaldato il cuore.<br />
Riacquisto la mia serenità.<br />
Sì, è vero che una tremenda malattia mi ha colpito, sì<br />
è vero che grazie alla scienza io ora sono qui.<br />
Sì e vero, sono una lungovivente ma con un collo da<br />
principessa ed una collana che lo fa brillare, mi dico<br />
con un sorriso mentre apro la porta della mia casa,<br />
del mio regno.<br />
indice<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3. Sezione Donna<br />
3.1 Ogni sera, tranne il giovedì<br />
di Vanes Ferlini<br />
Le compravo una rosa ogni sera. Mi compravo il suo<br />
sorriso, che ogni sera svaniva sempre più<br />
velocemente. Lasciava il posto alla maschera<br />
indecifrabile del viso da eterna bambina che non si<br />
rassegna allo scorrere del tempo. L'unico a sorridere<br />
davvero era il pakistano. Si presentava puntuale al<br />
nostro tavolo: alle nove e trenta, ogni sera tranne il<br />
giovedì, con il mazzo di rose a stelo lungo. Non<br />
avevo voglia di tirare sul prezzo e lui ne approfittava:<br />
la stessa rosa costava ogni sera sempre più cara. Era<br />
l'unico regalo che lei accettava da me e questo mi<br />
sollevava parecchio, perché non avrei potuto<br />
permettermi doni più costosi.<br />
Forse anche il pakistano si chiedeva come mai quella<br />
bella signora, elegante ma non appariscente,<br />
voluttuosa ma non sfacciata, non sorrideva più come<br />
al principio. Piccoli mutamenti, gesti insignificanti,<br />
parole sfuggite come per caso. Sintomi imprevedibili.<br />
Un pennacchio di fumo che sale dal vulcano<br />
dormiente. Nessuno si preoccupa: in definitiva si<br />
tratta solo di un esile filo di fumo.<br />
Nemmeno io mi preoccupai. La noia, la mancanza di<br />
interessi radicati, una vita affettiva ridotta a una<br />
scatola vuota. Motivi più che sufficienti a spiegare il<br />
suo stato di sfiducia e apatia.<br />
87
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Mi resi conto che soffriva di solitudine. Non era<br />
causata dal recente divorzio, doveva possedere radici<br />
ben più lontane, ben ramificate negli interstizi delle<br />
banalità di ogni giorno. Forse per questo lei si<br />
attaccò tanto a me. Le piaceva ricevere piccole<br />
attenzioni, come quelle degli innamorati ai primi<br />
incontri. La faceva sentire giovane e desiderabile... e<br />
non ne faceva mistero.<br />
Il tavolo riservato. Sempre lo stesso, a partire dal<br />
primo incontro. Tutte le sere ad eccezione del<br />
giovedì. Il maitre ci accompagnava al tavolo, quindi ci<br />
lasciava soli per una mezz'oretta prima di tornare a<br />
prendere l'ordinazione. Nel frattempo lei mi aveva<br />
raccontato la sua giornata o per meglio dire le<br />
sensazioni della giornata e io avevo ascoltato in<br />
religioso silenzio, come un confessore troppo buono<br />
che non osa interrompere il penitente.<br />
Luci vellutate e notturni di Chopin suonati dal<br />
pianista all'angolo opposto della sala. Creavano<br />
l'illusione di un universo parallelo, limpido e<br />
incorruttibile, che non possedeva nulla in comune<br />
con il mondo di fuori. Nessuna possibilità di<br />
contatto.<br />
A volte entravano nella sala uomini d'affari o dirigenti<br />
d'azienda, impettiti nei loro gessati, stirati alla<br />
perfezione. Tutti la notavano, non potevano farne a<br />
meno. Qualcuno si ostinava a fissarla a lungo. Lei era<br />
consapevole degli sguardi che si ritrovava addosso,<br />
ma non li ricambiava mai.<br />
88
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Si limitava a sorridermi lievemente, con la complicità<br />
dei bambini, e io mi sentivo importante, perché<br />
snobbava tutti gli altri, guardava me solo.<br />
Non ho mai capito, né d'altronde me lo sono chiesto,<br />
perché prediligesse quel locale. Era stata lei a<br />
sceglierlo, la prima volta, e non mi passò mai per la<br />
mente di proporle una variazione. Là dentro tutto<br />
sembrava armonico e perfetto: qualcuno aveva creato<br />
l'ambiente ideale nel quale specchiarsi e trovarsi<br />
migliori di come ci vediamo di solito.<br />
A me chiedeva solo la presenza, lo sguardo, una frase<br />
dolce di tanto in tanto... e io glieli offrivo volentieri,<br />
tutte le sere. Tranne il giovedì.<br />
Era sempre lei a pagare il conto. Anche perché, con il<br />
mio stipendio da interinale, non me lo sarei potuto<br />
permettere. All'inizio lo trovai imbarazzante, ma<br />
diventò presto una consuetudine. Le mie timide<br />
proteste suonavano ancora più false di quanto non<br />
fossero in realtà, quindi la lasciai fare, sfidando gli<br />
sguardi ficcanti dei camerieri. Ben presto venne meno<br />
anche il sottile disagio che mi prendeva quando lei<br />
estraeva la carta di credito dal portafoglio di Armani.<br />
“Tu fai così tanto, per me” mi sussurrava.<br />
In realtà non facevo nulla. Stavo ad ascoltarla per<br />
gran parte della serata.<br />
Sono bravo ad ascoltare. Non è facile come si crede,<br />
non è sufficiente capire ciò che l'altro ti vuole dire.<br />
Bisogna assimilare le parole, rielaborarle, come la<br />
creta nelle mani dello scultore, quindi restituirle al<br />
mittente sotto forma di comprensione. E’ sufficiente<br />
89
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
anche una frase di dieci parole, purché siano quelle<br />
che l'interlocutore vuol sentirsi dire.<br />
Con lei tutto questo mi riusciva facile. Non era una<br />
finzione, la mia. Mi piaceva restare ad ascoltarla per<br />
ore... e lei lo sapeva.<br />
Non si lasciava mai andare agli sproloqui. Discorsi<br />
asciutti, frasi misurate, cadenzate sul velluto di una<br />
voce profonda da contralto, incrinata però dalle<br />
troppe sigarette. E forse da qualcos'altro.<br />
In quelle ore di intimità, il solco generazionale che ci<br />
divideva sembrava sparire come per incanto. Lei si<br />
sforzava di colmarlo, di approssimarsi a me in ogni<br />
modo, dato che io ero troppo giovane per<br />
avvicinarmi a lei. Portava i suoi cinquantadue anni in<br />
modo splendido. Mi confidava che, con le nuove<br />
conoscenze maschili, si spacciava per una<br />
quarantenne neo-divorziata alla ricerca di una<br />
relazione sincera e duratura. Utopia.<br />
Con la stessa sincerità disarmante confessava che le<br />
nuove conoscenze naufragavano nel giro di due o tre<br />
settimane. Gli uomini non la soddisfacevano in nulla,<br />
non sapevano infonderle quello stimolo nuovo alla<br />
vita che lei stava cercando con ostinazione disperata.<br />
Un paio di volte mi disse di essere stata a letto con<br />
uomini appena conosciuti. Non lo esplicitò a chiare<br />
lettere, me lo fece capire con giri di parole. Una vera<br />
signora, in tutto. In quelle circostanze mi fissò a<br />
lungo, forse per cogliere in me qualche sintomo di<br />
gelosia.<br />
90
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non ero geloso né scandalizzato per le sue<br />
confessioni intime. Non potevo esserlo: ci<br />
conoscevamo da troppo tempo. Ciò che davvero mi<br />
metteva a disagio era la sua solitudine, ma non riuscii<br />
a immaginare quanto fosse tremenda.<br />
Ero il suo confidente. Discreto e sicuro, perché<br />
sapeva che non avrei mai fatto alcun cenno ad anima<br />
viva. Comprensivo, perché le offrivo la parola giusta<br />
proprio quando lei se l'aspettava.<br />
Le sue confessioni non erano mai dirette, non<br />
sembravano premeditate. Era capace di discorrere di<br />
argomenti futili (almeno dal mio punto di vista) per la<br />
serata intera, per scivolare all'improvviso sull'intimo,<br />
approfittando di una liaison involontaria o di una<br />
associazione di idee in apparenza casuale. Cercavo di<br />
cogliere questi momenti e di farle capire che li avevo<br />
fatti miei. Scorgevo allora nei suoi occhi un lampo di<br />
fuoco antico, un risveglio di fiamma rimasta sopita<br />
troppo a lungo sotto la cenere del vuoto quotidiano.<br />
Di rado mi azzardavo a darle consigli. Per lei era<br />
comunque sufficiente sapere che partecipavo alle sue<br />
emozioni più intime. Le serate trascorrevano con<br />
velocità imprevedibile, ogni cena aveva il sapore della<br />
prima volta. Tranne il giovedì.<br />
Dopo una settimana smettemmo di darci<br />
l'appuntamento. Ci ritrovavamo al medesimo tavolo,<br />
sempre alla stessa ora, per accordo tacito.<br />
Durante il giorno non mi chiamava mai, né in ufficio<br />
né sul cellulare. Nemmeno io la chiamavo. Del resto,<br />
non avevo nulla da dirle. La sera, invece, eravamo<br />
91
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
immersi nel nostro mondo esclusivo, dove le parole<br />
fluivano facili e tutto sembrava possibile. Oppure<br />
impossibile, dipendeva dalla serata.<br />
Tenevo spesso lo sguardo fisso sul suo viso. La bocca<br />
languida, gli occhi verde pallido e minuscole rughe a<br />
zampa di gallina sugli angoli. Diventavano più<br />
pronunciate quando rideva.<br />
Adoravo quelle rughe. Una sera mi disse che, per la<br />
prima volta in vita sua, intendeva rivolgersi a un<br />
chirurgo estetico per farle sparire.<br />
Minacciai di non presentarmi più all'appuntamento se<br />
avesse posto in atto quel piano sciagurato. Lei rise di<br />
gusto, come non accadde più, in seguito.<br />
Con il passare del tempo diventò abulica. Non<br />
riuscivo più a farla ridere di sé stessa (è sempre una<br />
gran medicina) e anche quando sorrideva delle mie<br />
battute sembrava facesse più che altro per<br />
accontentarmi. Non mi accorsi a quale punto fosse<br />
giunta la sua solitudine. O forse, in modo inconscio,<br />
non volli rendermene conto.<br />
“Il giovedì sera è triste, non so mai cosa fare” mi<br />
disse. Era il giorno di chiusura del nostro locale. Le<br />
risposi con un motto di spirito che non ricordo<br />
neppure.<br />
Lei non mi fece mai una colpa per non aver saputo<br />
aiutarla anzi, anche nelle sere più tristi non mancava<br />
di regalarmi sguardi pieni di dolcezza, come non ho<br />
mai avuto da nessuna donna.<br />
92
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Mi resta però il rimorso di non aver captato i segnali<br />
di aiuto che mi lanciava. Talvolta erano così palesi<br />
che adesso vorrei sbattere la testa al muro.<br />
“Oggi non sono andata in ufficio. Ho aspettato che<br />
si facesse sera.”<br />
Una frase che poteva significare tutto oppure nulla.<br />
Un filo di fumo. E io non l'ho capita, ero troppo<br />
lusingato del ruolo che lei mi attribuiva. Ero la<br />
persona più importante della sua vita... lo sarei<br />
sempre stato. Quando mi fissava negli occhi, era<br />
come se rivendicasse la mia appartenenza a lei.Io le<br />
appartenevo ma lei non era mia.<br />
In tutto quel tempo non ci siamo mai neppure<br />
sfiorati. Nessun bacio sulla guancia, né un lieve tocco<br />
di mani. Eppure lei era così intensamente dentro di<br />
me.<br />
Non le piaceva ricevere apprezzamenti per<br />
l'abbigliamento o la pettinatura. Frasi udite troppe<br />
volte da altri uomini. Non era quello che voleva da<br />
me. Di conseguenza non mi curavo troppo della sua<br />
mise o di come si truccava. Era sempre di un'eleganza<br />
sobria, incorruttibile.<br />
Una sera aveva indossato una gonna corta, sopra il<br />
ginocchio. Non portava calze. Mentre pagava il<br />
conto, mi sorpresi a osservare le sue caviglie<br />
affusolate. Non potei neppure evitare il confronto<br />
con le gambe della mia ragazza. Quest'ultima ne uscì<br />
irrimediabilmente sconfitta, ahimè.<br />
L'insistenza del mio sguardo fu tale che lei se ne<br />
accorse. Per dissimulare l'imbarazzo inventai una<br />
93
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
battuta di spirito, l'ennesima delle mie stupidaggini<br />
senza capo né coda.<br />
Lei mi sorrise in modo nuovo, stringendo gli occhi,<br />
come non l'avevo mai veduta prima. Non era certo<br />
per la mia pessima uscita. Era rimasta lusingata dal<br />
mio sguardo impudente, lo considerava un<br />
complimento muto e, per questo, assai più sincero<br />
delle parole.<br />
Da quella sera la nostra complicità si accrebbe,<br />
fomentata dall'atmosfera surreale del locale.<br />
Ogni sera, appena seduti al tavolo, spegnevamo il<br />
cellulare. Era il rito propiziatorio per isolarci da tutto<br />
ciò che non fosse noi. In tutto questo non ci trovavo<br />
nulla di male. Anche i camerieri, dopo la terza serata,<br />
smisero di rivolgerci occhiate curiose. Eravamo<br />
entrambi convinti che le nostre serate non avrebbero<br />
avuto un termine, sarebbero durate per sempre.<br />
“Buona notte, Elisabetta.”<br />
La salutavo sempre così, mentre ci incamminavamo<br />
sul marciapiede, in direzioni opposte. Lei rispondeva:<br />
“Ciao” e mi guardava di sottecchi.<br />
Ero l'unico a chiamarla con il suo vero nome, per<br />
esteso. Per tutti gli altri lei era Lisa, Elisa oppure<br />
Betta. La maledetta mania dei nomignoli. Io invece la<br />
chiamavo Elisabetta e scandivo bene tutte le sillabe.<br />
Lei doveva essere contenta, capiva che rappresentava<br />
qualcosa di speciale per me, impossibile da<br />
pronunciare con sillabe diverse dal suo nome.<br />
94
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
La gente, invece, trova singolare che un figlio si<br />
rivolga alla madre con il suo nome di battesimo,<br />
come fosse un'amica.<br />
Una sera mi telefonò Anna, la migliore amica di<br />
Elisabetta. O per lo meno, la ritenevo tale. “E’<br />
successa una disgrazia. Tua madre è caduta dal<br />
balcone di casa” mi disse.<br />
Una comunicazione telegrafica, come un flash<br />
d'agenzia.<br />
E’ impossibile cadere da quel balcone, se proprio non<br />
si vuole.<br />
Immaginai le dolci rughe, agli angoli degli occhi,<br />
tumefatte sull'asfalto. Era giovedì sera.<br />
Rimasi davanti allo specchio, per convincermi che<br />
non era colpa mia.<br />
Non erano servite le rose che le avevo regalato. In<br />
realtà non avevo saputo ascoltare, non l'avevo mai<br />
capita... non avevo capito nulla.<br />
Adesso neppure il pakistano sorride. Entrambi orfani<br />
di una parte di noi.<br />
indice<br />
95
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.2 Elegia<br />
di Marco Romagnoli<br />
Il tralucere di un raggio di sole filtra appena dalla<br />
finestra accostata e ti alzi dal letto per<br />
cominciare un nuovo giorno. “Sveglia è mattina,<br />
hanno aperto già il portone…”<br />
Raggiungi il bagno, accendi la luce e ti guardi. Guardi<br />
i tuoi occhi ancora assonnati che<br />
riflettono immagini oniriche già lontane... in quel<br />
prato, forse troppo verde, quasi abbagliante, dove<br />
correvi inseguita da non si sa chi e che cosa, mentre<br />
qualcuno, dietro una pianta sulla collina delle more,<br />
rideva forte la sua gioia di esistere e la tua incapacità<br />
di comprendere. Guardi i tuoi capelli scomposti, presi<br />
da un vortice di cuscino e violati; ribelli, forse. Guardi<br />
le tue mani, i piedi. Ti tocchi, vedi te stessa senza<br />
pudori; l'immagine di una presenza che si perpetua<br />
nel suo durare.<br />
Ti osservi interessata, non capitava da un po'. Di<br />
solito sei attenta ad altre cose.<br />
“Sveglia, è mattina, il caffè scotta... troppo.” Il tuo<br />
corpo è lì, a giudicarti, a domandarti<br />
qualcosa, a rappresentarti. “Siamo divinità, e ci<br />
muoviamo nello spazio profondo. Corriamo dietro i<br />
tuoni.”<br />
Il tuo corpo è lì, triste per non essere celebrato come<br />
dovrebbe. Usato più che servito, a volte sollecitato<br />
più del consentito. Quasi mai corteggiato o conteso.<br />
Il tuo corpo piange riflettendo nello specchio la sua<br />
impotenza, la sua sottomissione. E tu, per un attimo,<br />
96
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
ne provi tenerezza, quasi gli parli come a un figlio<br />
amato senza cortesia.<br />
“Ma non ti accorgi che stando in alto vedi il mondo<br />
da lontano?” Il tuo corpo ti determina e tu lo escludi.<br />
Ti concede, e tu lo dimentichi. Ti ama, e tu lo biasimi.<br />
Ma allora... fu inganno quando, bambina, ti divertivi<br />
con lui, giocavi per ore senza che fosse stanco, lo<br />
rincorrevi felice perché non ti abbandonasse? Il tuo<br />
corpo continua a piangere.<br />
“Di te, sì, proprio di te che non hai paura, che chiedi<br />
se qualcuno ti presta la faccia e stai facendo una<br />
magra figura...”<br />
Esci dal bagno senza quasi esserti lavata, infili il golf<br />
del giorno prima, i soliti jeans, le solite scarpe da<br />
tennis. Traversi veloce la cucina... te ne vai.<br />
“Lontano si ferma un treno ... che bella mattinata. Il<br />
cielo è sereno.”<br />
indice<br />
97
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.3 Parole (da donna a donna)<br />
di Chiara Loria<br />
(Leggendo alcune liriche di Antonia Pozzi..)<br />
Le tue parole<br />
povera anima di donna<br />
infelice quanto me<br />
fan tremare il cuore<br />
povere e nude come sono.<br />
Il cuore sente l'impotenza<br />
e vorrebbe morire:<br />
non sa dire parole<br />
come le tue.<br />
Ma bastano le tue per piangere.<br />
Una stella mi guarda:<br />
colgo nel suo sfavillio<br />
un moto di pena<br />
per me<br />
che non so parlare...<br />
98<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.4 Le sorelle Q<br />
di Tiziana D’Oppido<br />
Le sorelle Q. escono di casa solo alla mattina o, più<br />
raramente, al pomeriggio. Il buio della sera può<br />
nascondere insidie e quindi preferiscono restare al<br />
sicuro tra le pareti domestiche. I loro genitori<br />
concordano compiaciuti. Se le sorelle si attardano per<br />
strada e non tornano all'orario stabilito, loro si<br />
preoccupano, cercano di rintracciarle telefonicamente<br />
e i loro volti ansiosi fanno capolino dietro le tende<br />
finemente ricamate delle finestre fino a che non le<br />
vedono rincasare. Quando arriva l'inverno gelido,<br />
spesso possono passare giorni o settimane intere<br />
senza che le sorelle mettano il naso fuori di casa. Gli<br />
sbalzi di temperatura possono essere insidiosi per la<br />
salute e portare i classici malanni di stagione, se non<br />
vere e proprie malattie. Talvolta si sentono in giro<br />
delle storie spaventose a riguardo, gente che<br />
apparentemente scoppia di salute muore da un giorno<br />
all'altro per un virus preso nell'aria, per il contagio di<br />
un'infezione, per una bronchite mal curata.<br />
Le sorelle Q. sono cordiali e affabili con i loro parenti<br />
e conoscenti. Di solito non fanno visite ma talvolta<br />
ne ricevono e sono ben liete di poter scambiare<br />
qualche chiacchiera con gli amici e di poter offrire<br />
loro qualche gustoso manicaretto preparato dalla<br />
mamma.<br />
A volte si cimentano pure loro nelle fatiche dell'arte<br />
culinaria. Amano mangiare sano, anche spendendo<br />
qualcosa in più perché sanno bene quanto è<br />
99
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
importante seguire un regime alimentare corretto per<br />
salvaguardare la propria salute. Nel bucato, non è<br />
raro che diano una mano alla loro madre, soprattutto<br />
per quanto riguarda il lavaggio e l'amidatura della loro<br />
biancheria intima. Ascoltano docilmente i consigli dei<br />
loro genitori, li rispettano e li accudiscono<br />
amorevolmente, ora che sono più anziani e pieni di<br />
acciacchi. Le sorelle Q. non guidano la macchina né<br />
avvertono l'esigenza di avere la patente. In fondo<br />
abitano in centro città dove tutto è a portata di mano<br />
e questa è una grande fortuna.<br />
I genitori le appoggiano e le incoraggiano nelle loro<br />
scelte, infondendo loro sicurezza e tranquillità ma<br />
anche disapprovandole e indirizzandole sulla strada<br />
giusta quando ritengono che stiano sbagliando per<br />
loro inesperienza o ingenuità.<br />
Le sorelle Q. sono di buona famiglia e appartenenti<br />
alla media borghesia. Non sono ricche ma<br />
economicamente in casa non manca nulla e grazie alla<br />
pensione del papà non hanno mai avuto<br />
preoccupazioni legate alla mancanza di danaro. Del<br />
resto non amano viaggiare né cedono a sfizi o vizi<br />
come alcool, sigarette, cene fuori casa o discoteche.<br />
Indossano solo capi di boutique: vestiti caldi e<br />
comodi d'inverno, freschi e delicati d'estate. Di tanto<br />
in tanto cambiano parrucchiere, non per capriccio,<br />
ma perché ha esagerato con la tinta o perché anziché<br />
dare una spuntatina ai capelli ha effettuato un taglio<br />
troppo o troppo poco corto. Hanno entrambe<br />
adottato una pettinatura pratica, di media lunghezza,<br />
100
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
che appesantisce il capello, così quando fuori è umido<br />
o piovoso si riesce a tenere a bada la chioma e a<br />
evitare che si elettrizzi o sia in disordine.<br />
Le sorelle si coricano presto la sera, perché fa bene<br />
alla salute e perché una buona dormita nelle ore<br />
giuste fa risvegliare con la pelle riposata e liscia.<br />
Condividono la stanza da letto e a volte può capitare<br />
che prima d'addormentarsi si raccontino qualche<br />
curiosità letta sul giornale, facciano il punto su<br />
qualche impegno per il giorno dopo o confidino l'un<br />
l'altra con malcelata emozione i loro progetti per<br />
l'avvenire.<br />
Quando le sorelle Q. finiranno l'Università,<br />
cominceranno a pensare, senza fretta, al loro futuro<br />
lavorativo. C'è la crisi ma se la caveranno, perché<br />
studiano discipline umanistiche e sono serie e con la<br />
testa a posto e quindi il mondo lavorativo saprà<br />
apprezzare due persone come loro. Col lavoro si<br />
comincerà a pensare anche a un degno compagno e<br />
bisognerà tenere gli occhi aperti, perché di questi<br />
tempi è difficile riuscire a trovare un ragazzo per bene<br />
e senza grilli per la testa. Ma per adesso non se ne<br />
preoccupano e sorridono alla vita fiduciose e serene.<br />
Le sorelle Q. hanno cinquantacinque anni e un<br />
radioso futuro davanti.<br />
indice<br />
101
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.5 Stasera<br />
di Sabrina Balbinetti<br />
C'è qualcosa di magico<br />
stasera.<br />
Madame<br />
ha messo il suo foulard migliore<br />
di seta arancio e oro.<br />
Le sue spalle<br />
sinuose di mare<br />
sono morbide curve<br />
che catturano i sensi.<br />
Una gonna<br />
di sabbia e conchiglie<br />
nasconde<br />
un ventre di donna<br />
che instancabilmente<br />
ci dona la vita.<br />
102<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.6 E’ donna<br />
di Stefania Pellegrini<br />
Passi di rugiada nel vento<br />
ombre di foglie nell'aria<br />
danzano<br />
il ritmo delle note<br />
la leggerezza del cuore.<br />
Armonie di forme<br />
sposano la bellezza<br />
nella genesi<br />
di un dono supremo.<br />
Fuoco, passione<br />
alimento di forza<br />
nello spirito che sostiene.<br />
Dolcezza e amore<br />
essenze nel tuo nome.<br />
Tutto questo<br />
è<br />
Donna.<br />
103<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.7 Giovanna, una ragazza allegra<br />
di Francesca Levo Calvi<br />
Ti guardo mentre dormi accanto a me. Sembri un<br />
angelo. Il tuo viso è disteso, la bocca accenna a un<br />
sorriso e sono sicura che tu stia sognando: un sogno<br />
appagante vista la tua espressione.<br />
Mi hai raccontato che spesso sogni il mare e te che<br />
nuoti verso una spiaggia di rena candida, con dietro<br />
una fitta pineta. Uguale a quella che tanti anni fa<br />
abbiamo percorso in tandem io e te ridendo a non<br />
finire, come ridono due ventenni innamorati in libera<br />
uscita.<br />
Chiudo gli occhi e mi rivedo.<br />
Sono allegra, i miei capelli rossi, una massa fulgente,<br />
raccolti in capo con un nastro che hai legato tu,<br />
baciandomi sul collo.<br />
Sono allegra, si e anche in forma, e sul tandem voglio<br />
mettermi davanti; batto i piedi, faccio i capricci e tu<br />
ridi, un poco sbronzo per tutta la birra che abbiamo<br />
bevuto a pranzo nel piccolo bar accanto al lago.<br />
Sono allegra e ti abbraccio, cercando di aderire al tuo<br />
corpo forte, robusto. Tu mi circondi la vita con le<br />
braccia abbronzate e finiamo dietro un boschetto a<br />
far l’amore, a baciarci sino allo sfinimento.<br />
Sono sempre allegra quando, ancora seminudi ti<br />
lancio la sfida di chi arriva prima alla macchina e<br />
scattando mi metto a correre, senza scarpe, afferrata<br />
al volo la camicia che m’infilo in piena luce. Ma che<br />
importa, ho ventanni, sono bella, sono felice e vinco<br />
la scommessa.<br />
104
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Tu arrivi ansante, mi guardi fisso con i tuoi occhi<br />
azzurri improvvisamente glaciali e d’un tratto mi<br />
molli un ceffone, poi mi prendi i polsi stringendoli<br />
forte e guardandomi, davanti al mio stupore mi intimi<br />
di non sfidarti. Che non accada mai più o sarà peggio<br />
per me.<br />
In macchina al ritorno non parliamo, io troppo<br />
stupita non sento neppure il bruciore dello schiaffo,<br />
tu inquieto guidi forte, sorpassi a destra<br />
sull’autostrada, vai fuori dei limiti, sei a tavoletta.<br />
Non ti guardo, spaventata come sono. Ho<br />
conosciuto una parte di te nascosta, un altro uomo,<br />
violento e arrogante, un uomo che non avevo<br />
neppure intravisto. La scena mi torna sempre davanti,<br />
il tuo freddo sguardo, io spaurita. Penso a cosa posso<br />
aver fatto per scatenare quella violenza, penso che<br />
forse hai bevuto troppo, penso che ne riparleremo,<br />
penso che certo tu ti scuserai.<br />
Ora, dieci anni dopo, ti guardo dormire accanto a me,<br />
in questa casa, in cui dopo esserci sposati, siamo<br />
venuti ad abitare. Regalo dei tuoi, questo cottage con<br />
giardino, piccola piscina, due cani da guardia. E qui<br />
viviamo noi due.<br />
Io allegra davvero non lo sono più stata. Tu violento<br />
lo sei stato ancora e ancora e ancora. In tante<br />
circostanze, troppe, tutte per me inspiegabili. Non<br />
riesco ancora adesso a capire cosa succeda nella tua<br />
mente quando ti trasformi in quell’essere pazzo che<br />
mi insegue per casa per picchiarmi, insultarmi,<br />
105
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
violentarmi. Una malattia, mi sono detta spesso, forse<br />
per scusarti.<br />
Non ne parliamo mai e tu non mi chiedi scusa. Io<br />
taccio con tutti, anche con i miei, che vivono in<br />
un’altra città. Sono a disagio anche quando mi<br />
telefonano, come se riuscissero a vedere le ferite che<br />
ho sul corpo e nell’anima. Tante volte ho pensato di<br />
andarmene, di scappare, ma dove?<br />
Mi vergogno di te, di me, di una situazione che<br />
credevo di saper gestire fidandomi del nostro amore,<br />
che avrebbe sicuramente prodotto un tuo<br />
cambiamento, una maturità che ti avrebbe fatto<br />
capire i tuoi errori.<br />
Nulla di tutto questo è accaduto.<br />
Vivere per me è diventato sempre più difficile, con la<br />
paura dentro e l’incapacità di chiedere aiuto. Sento<br />
disagio e vergogna anche nei confronti degli estranei,<br />
del portalettere che mi suona alla porta e che vede il<br />
mio labbro spaccato o un braccio ingessato. Sento<br />
che il disagio sta diventando un insopportabile peso,<br />
che devo fare qualcosa per non morire.<br />
E adesso aspetto un bambino.<br />
Smetto di guardarti dormire, mi alzo faticosamente<br />
dal letto divenuto troppo basso per me, ormai al sesto<br />
mese.<br />
Vado in bagno, ho molto caldo, mi voglio rinfrescare<br />
e aprendo la doccia mi cade l’attenzione sul vicino<br />
specchio che hai rotto con un pugno ieri. Mi metto di<br />
fronte alla miriade di schegge che miracolosamente<br />
stanno insieme senza cadere. Sembra una magia per<br />
106
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
riflettere una, dieci, cento volte il mio volto<br />
tumefatto, un occhio nerastro e un labbro tagliato.<br />
Mi accade spesso, e se non mi guardo nello specchio,<br />
non me ne ricordo, cancello.<br />
Per uscire mi trucco molto, mi metto spesso cappelli<br />
a falda larga oppure quello che mi piace di più, nero<br />
con la veletta che ripara il mio viso dagli sguardi<br />
altrui. Nelle belle giornate aspetto che tramonti e poi<br />
vado a passeggiare un poco, almeno un’oretta ha<br />
detto il medico, per le gambe e per il bimbo, ma<br />
soprattutto, mi ha detto guardandomi fisso negli<br />
occhi, “per te, tesoro”. Mi chiama tesoro: è mio<br />
cognato ma non mi chiede mai nulla. È il fratello di<br />
quest’uomo che dorme beatamente nel nostro letto<br />
matrimoniale. Otto ore filate, da sempre e per<br />
sempre. Senza ritegno. Si, senza ritegno, senza<br />
vergogna per quello che fa a me, a noi, al nostro<br />
bambino.<br />
Non cambierà mai nulla, ora lo so. Nascerà un<br />
bambino dai capelli rossi che prenderà da me e dagli<br />
occhi azzurri come il padre.<br />
Nascerà una nuova vita che dovrà condividere con<br />
me un marito e un padre amoroso e paziente ma che<br />
forse, ogni tanto, sorprendendo entrambi prenderà a<br />
calci la moglie dopo averla sbattuta per terra, oppure<br />
le sputerà addosso torcendole i polsi, magari a causa<br />
di una frittata poco cotta o per una telefonata troppo<br />
lunga.<br />
E la splendida creatura che uscirà alla vita sarà<br />
costretta ad assistere e intuirà, con il passare del<br />
107
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
tempo, le angherie, i soprusi, le violenze con cui suo<br />
padre sta lentamente uccidendo sua madre.<br />
Ma io ti salverò piccolo mio.<br />
Tu mi darai la forza.<br />
Ecco perché ora sono qui, seduta sulla sedia azzurra,<br />
dalla parte del suo letto e vedo le sue spalle robuste,<br />
intuisco i muscoli sotto il pigiama di seta blu. Respiro<br />
con affanno e non bastano le finestre aperte sul<br />
giardino. Respiro con affanno impugnando a due<br />
mani la tua rivoltella carica, quella con cui mi hai già<br />
minacciato e che conservi nel cassetto dello studio.<br />
Mi appoggio allo schienale della seggiola e sorrido<br />
perché so che sarò coraggiosa, proprio io che ho<br />
persino paura dei grilli anche quando passeggiamo io<br />
e te, bambino mio, in giardino. Lo devo a te, si,<br />
questo coraggio e sento che ci salveremo entrambi.<br />
Mi alzo, vado verso il bagno e faccio insieme alla mia<br />
creatura una lunga doccia che lava tutto: la pena, la<br />
paura, l’angoscia, il rimorso. Ti accarezzo e attraverso<br />
la mia pelle sento il nostro legame, forte,<br />
indissolubile. Ti nutri di me e nel tuo crescere e<br />
muoverti sento gioia e orgoglio.<br />
Sì, tu per me sei la salvezza.<br />
Ora sono una donna nuova e dopo essermi vestita<br />
dell’abito più bello che posso indossare e che avvolge<br />
la mia grande pancia compierò un ultimo atto.<br />
Che ora posso, che ora devo fare.<br />
Prendo il telefono e, accarezzando dolcemente la mia<br />
pancia in cui tu, creatura splendida, sei al sicuro,<br />
formo il numero della polizia e alla voce neutra che<br />
108
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
mi risponde dico con voce ferma:<br />
«Sono Alessandra De Giorgis, abito in Viale Monti al<br />
numero 12.<br />
Voglio denunciare mio marito per gravi violenze su<br />
di me. Sono incinta. Potete venire subito?<br />
Temo che si svegli. Grazie. »<br />
Mi rilasso, sempre tenendo la pistola con le mani<br />
incrociate sul mio grembo.<br />
Come se l’avessi chiamato, l’ombra di mio marito<br />
appare nell’arco del soggiorno e poi viene avanti,<br />
verso di me, lo sguardo stupito e ancora assonnato-<br />
Alzo il braccio, stringo i denti e, girandomi lenta<br />
verso di lui, gli punto la pistola : - Resta lì, non ti<br />
avvicinare. Ti ho denunciato ai carabinieri, che stanno<br />
arrivando. Finalmente ne ho avuto il coraggio.-<br />
E alzandomi con fatica lo fronteggio senza più<br />
paura e guardandolo negli occhi gli dico quello che<br />
per anni ho solo pensato:<br />
“Sappi che sia io che mio figlio siamo pronti a tutto<br />
per liberarci per sempre dalla belva che c’è in te.”<br />
indice<br />
109
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.8 La vacuità<br />
di Vadis Cappa<br />
Mi dono<br />
senza ricever denaro<br />
mi offro<br />
senza pretender riguardo<br />
Prostituisco il mio cervello<br />
accogliendo la vacuità<br />
E poi stanca di inseguire l'amore<br />
cedo il mio corpo<br />
a chi vorrà usarlo<br />
110<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.9 Cronaca di un interno molto particolare<br />
di Daniela Mascotto<br />
Non mostrar mai<br />
né il fondo della tua borsa<br />
né del tuo animo<br />
(Proverbio italiano)<br />
In quell’istante ho avuto l’impressione che mi<br />
sarebbe accaduto qualcosa. Qualcosa di insolito e<br />
di travolgente sia in senso fisico che mentale. Sta<br />
di fatto che ho corso realmente il rischio di finire<br />
nelle cantonali galere svizzere e tutto per un<br />
fraintendimento sorto al confine, quando mi è<br />
stato chiesto di aprire la borsa e di rovesciarne il<br />
contenuto sul banco della gendarmeria.<br />
E’ noto quanto l’interno della borsa di una donna<br />
sia misterioso e al tempo stesso rivelatore della<br />
personalità della legittima proprietaria. E’ altresì<br />
risaputo che nella borsa ogni donna inserisce ciò<br />
che vuole, salvo poi trovarsi in reale difficoltà a<br />
reperire quello che le serve al momento<br />
opportuno. Pertanto, dovendo esibire il<br />
passaporto alla frontiera e non riuscendo a<br />
trovarlo all’interno della mia capiente borsa, ho<br />
preso a tirare fuori ad una ad una le cose che mi<br />
capitavano tra le mani per riuscire prima o poi a<br />
estrarre anche il passaporto. Insospettito dalla<br />
stranezza degli oggetti che afferravo alla cieca,<br />
l’agente mi ha intimato di rivoltare la borsa, cosa<br />
che io ho fatto senza alcun ripensamento. E da lì<br />
111
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
è emerso tutto il mio mondo di archeologa, di<br />
donna e di mamma: un mondo a me correlato e<br />
parallelo, che, tuttavia, ha suscitato equivoci e<br />
fraintendimenti rivelandosi, in quel contesto,<br />
tutto un altro mondo.<br />
Nel corso dei miei studi orientati sulle civiltà<br />
paleocristiane, ho acquisito una discreta<br />
esperienza in fatto di iscrizioni rupestri e reperti<br />
di vario genere rinvenuti in necropoli di zone al<br />
confine italo-svizzero. Studiando segni e oggetti<br />
volti per lo più ad esaltare il concetto di fertilità e<br />
di abbondanza, ho finito per acquisire e<br />
catalogare una simbologia che, tra i tanti segni, ne<br />
annovera alcuni con riferimenti sessuali<br />
coinvolgenti la sfera riproduttiva. Che poi io li<br />
abbia classificati e raccolti in un quaderno, che<br />
porto sempre con me, facendo corrispondere ad<br />
ogni segno il significato preciso del termine<br />
tradotto in italiano ed in tedesco, questo è stato<br />
solo uno dei tanti modi per procedere nella mia<br />
ricerca. Così come un altro modo è stato quello<br />
di farmi riprodurre, da artigiani valenti, non solo i<br />
simboli stessi, quanto anche le principali<br />
tipologie di statuette antropomorfe con attributi<br />
sessuali evidenziati. Il tutto al fine di raffrontare i<br />
nuovi reperti con quelli da me già riprodotti, fare<br />
accostamenti e dedurre epoche di appartenenza.<br />
Orbene, se la logica delle cose fosse stata<br />
rispettata, tutto sarebbe andato liscio al momento<br />
di riversare il contenuto della mia borsa sul<br />
112
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
bancone della dogana. Avrei potuto dimostrare,<br />
anche a parole, la mia posizione di archeologa e<br />
di studiosa di certa simbologia. Cosa che non ho<br />
potuto fare data l’irruenza con cui sono stata<br />
trattata: un’aggressione in piena regola. Provare<br />
imbarazzo e paura per me è stato un tutt’uno,<br />
mentre stupore e stordimento mi assalivano nel<br />
vedermi ammanettare all’istante e condurre su un<br />
mezzo blindato alla più vicina stazione di polizia<br />
per essere interrogata.<br />
Pur sapendomi destreggiare con la lingua tedesca,<br />
ho impiegato parecchie ore a far capire agli agenti<br />
che il quaderno e i reperti riprodotti li portavo in<br />
borsa per motivi di studio e non per chissà quale<br />
patologica perversione da esportare oltre<br />
frontiera e venderla a prezzo d’oro all’interno di<br />
un giro illecito di oggetti di antiquariato o peggio<br />
di un ignobile mercato del sesso. Senza contare<br />
che, una volta convinti gli agenti che io ero una<br />
archeologa - il tutto grazie anche ai contatti messi<br />
in atto con le scuole di scavi italiana e svizzera -<br />
gli agenti mi hanno contestato il possesso di<br />
materiale a loro avviso sottratto dai siti e da me<br />
illegittimamente posseduto. Riuscita a<br />
dimostrare, attraverso opportune fatture, che si<br />
trattava di riproduzioni fatte eseguire per motivi<br />
di studio, ho dovuto dibattermi ancora contro<br />
una ultima infamante accusa. Quella simbologia<br />
per gli agenti avrebbe potuto richiamare anche la<br />
simbologia di una nota società segreta creata per<br />
113
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
osteggiare l’integrazione razziale. E questa è stata<br />
l’accusa più pesante che io mi sia mai sentita<br />
rivolgere, sia per la mia natura pacifista, sia per il<br />
convincimento che ho sempre avuto in fatto di<br />
parità di diritti tra i popoli. Oltretutto la mia<br />
formazione umanistica non potrebbe che<br />
portarmi ad una benigna predisposizione verso il<br />
prossimo. Ma non è stato così: mai battaglia fu<br />
più dura che contro quel manipolo di agenti<br />
svizzeri intestarditi nel non volermi riconoscere<br />
un destino di studiosa e di donna perbene.<br />
Grazie all’intervento del Consolato, la situazione<br />
si è sbrogliata, non prima in ogni caso che<br />
passasse una intera giornata. Alla fine mi sono<br />
stati dati indietro gli effetti personali, più<br />
precisamente la borsa e, a parte, il relativo<br />
contenuto raccolto in un sacchetto di plastica<br />
trasparente. A quel punto, nel riprendere quanto<br />
di mia appartenenza, mi sono vergognata e ancor<br />
prima meravigliata per quanta roba così<br />
disassortita io portassi con me in quella borsa:<br />
oltre a quanto già oggetto di contestazione, come<br />
le riproduzioni archeologiche e il quadernetto,<br />
solo in quel mentre ho realizzato che nella mia<br />
borsa stavano, mescolati alla rinfusa, strumenti<br />
per la pulizia dei reperti come pennellini,<br />
scovolini, taglierini, ma anche pettini, fermagli,<br />
fatture varie, ciucci del bambino, monetine<br />
sciolte, caramelline, foglietti volanti appuntati,<br />
scontrini fiscali, rossetto, documenti, paperotti di<br />
114
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
gomma, biglietti di mezzi di trasporto, snacks,<br />
penne variamente colorate e matite, chiodi<br />
arrugginiti, chewingum, punti del latte per la<br />
raccolta premi, briciole, specchietto, fazzoletti,<br />
fiori secchi, cioccolatini, ombrellino, chiavi in uso<br />
e fuori uso evidentemente da buttare, CD e<br />
DVD, elastici, crema per mani e una quantità di<br />
altra spazzatura, non da ultimo reperti di polvere<br />
cumulata in matassine giusto per rendersi visibile<br />
e avere un posto onorevole tra tutta quella<br />
incredibile miscellanea, sorta di intricato<br />
guazzabuglio lasciato macerare a tempo<br />
indeterminato, fintanto che un imprevisto, sia<br />
pure increscioso, mi ha indotto a ricredermi su<br />
quel contenuto inteso nel suo dettaglio. Sono<br />
addirittura arrivata al punto di pensare che il<br />
sospetto degli agenti possa anche essere dipeso,<br />
più che dai reperti archeologici, soprattutto dalla<br />
imprevedibile quantità di cose, le più varie,<br />
all’interno di una borsa apparentemente<br />
insignificante oltre che usurata.<br />
Quell’episodio, sul momento, mi ha fatto dare<br />
l’addio alle borse grandi. Anzi, me lo ha imposto.<br />
In ogni caso, in chiusura di quella giornata<br />
campale, al momento di tornare in possesso di<br />
quanto ancora mi apparteneva nonostante<br />
l’arresto, mi sono ripresa la borsa e gli effetti<br />
personali, che ho voluto tenere così come mi<br />
erano stati consegnati: nel sacchetto di<br />
cellophane, rigorosamente separati dalla borsa; di<br />
115
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
essi avrei fatto una cernita a casa, lontana da<br />
occhi indiscreti.<br />
Dopo il fattaccio e col senno di poi, ho pensato<br />
di orientarmi su borse più piccole, un modo<br />
come un altro per riprendermi dalla sconcertante<br />
avventura alla dogana e risorgere dalle ceneri<br />
come l’araba fenice. Dell’uccello di fuoco è noto<br />
il detto "che vi sia ciascun lo dice, dove sia<br />
nessun lo sa". E, prima che mi accadesse<br />
l’inconveniente al confine, questa era la legge a<br />
cui mi appellavo ogni volta che mettevo mano<br />
alla borsa per cercare qualcosa: rovistavo,<br />
rovistavo, rovistavo, sapendo che quanto cercavo<br />
era dentro, senza arrivare quasi mai a trovarlo;<br />
alla fine desistevo convinta di poterne fare anche<br />
a meno, ma lo facevo più per sfinimento che<br />
convinzione, lontana dall’idea di svuotare la<br />
borsa, poiché constatare gli oggetti in essa<br />
contenuti sarebbe stato per me troppo faticoso e<br />
disorientante. E, rinunciando a frugare dentro<br />
alla borsa, mi sentivo rinascere in quanto mi<br />
assolvevo dalla colpa di non saperne gestire il<br />
contenuto. Evitavo elegantemente il problema.<br />
Imponendomi, invece, di smettere la borsa<br />
grande a favore di una borsa più piccola, all’inizio<br />
ho ritenuto che qualcosa per me potesse<br />
cambiare. Come sempre avviene con le novità,<br />
sono partita con intenzioni di ordine ferreo<br />
delineandomi una nuova linea di condotta, che si<br />
sarebbe potuta protrarre fin quando la mia nuova<br />
116
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
borsa, per causa di forza maggiore, avesse<br />
raggiunto i suoi massimi contenutivi al pari<br />
dell’omologa che l’ha preceduta, facendomi così<br />
ricredere sui propositi iniziali. Continuando a<br />
ragionare in termini di progressione temporale,<br />
mi sono detta che l’adozione di una nuova borsa,<br />
quand’anche raggiungesse il livello di guardia del<br />
contenuto, potrebbe nuovamente comportare, da<br />
parte mia, la necessità di un ritorno a buoni<br />
propositi, sia pure di durata limitata, o<br />
all’acquisto di un altro modello in grado di<br />
contenere le cose in maniera più razionale.<br />
In ogni caso, passando da una intenzione all’altra<br />
o da una borsa all’altra, di certo muterebbero i<br />
miei propositi, ma non il mio effettivo<br />
comportamento. Bonariamente potrei anche<br />
trovarmi una giustificazione, pensando che in<br />
fondo così fan tutte le donne! Allora, se così fan<br />
tutte, perché mai smentirsi? Meglio passare la<br />
palla alla fortuna e sperare di non incorrere in<br />
una disavventura come quella alla frontiera italosvizzera.<br />
Le mie borse, in tal caso,<br />
continuerebbero ad essere le borse dalle mille e<br />
una risorsa, come tante donne si portano dietro<br />
sapendo di avere sempre con sé qualcosa di<br />
pronto all’occorrenza, ma irreperibile sul<br />
momento. Problema questo a quanto pare<br />
secondario, se, intanto, la storia del contenuto<br />
delle borse delle donne continua, rimanendo<br />
sempre uguale a se stessa. indice<br />
117
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
3.10 La prima parte<br />
di Bruno Bianco<br />
Mi sembra che la nave abbia lasciato il porto solo da<br />
pochi minuti e invece già non riesco più a vedere la<br />
costa; non ero mai stata in crociera prima d'ora e<br />
forse devo solo abituarmi al diverso scorrere del<br />
tempo di quando sei in vacanza. Mi stacco dal<br />
parapetto e mi guardo intorno sul ponte; lui non si<br />
vede, allora guardo verso l’ingresso del salone... ah sì,<br />
eccolo! Sta entrando per la cena e come lo vedo<br />
scendo di corsa dalla scala per raggiungere anch'io i<br />
tavoli di quella sala enorme. Mi hanno sistemato con<br />
quattro giovanotti vestiti come Christian De Sica in<br />
un film dei Vanzina e tre ragazze che avranno speso<br />
metà del loro patrimonio dal parrucchiere e l' altra<br />
metà per una scorta industriale di balsamo e fissante<br />
per capelli; penso proprio di essere finita in un tavolo<br />
di single che gli organizzatori hanno deciso di far<br />
accoppiare prima che venga il mattino. Cerco di non<br />
farmi notare e per la centesima volta da quando<br />
siamo partiti apro la mia trousse di raso e controllo di<br />
non aver dimenticato niente...<br />
-Come mai una ragazza giovane e carina come te va<br />
in crociera da sola? Non hai un marito, un fidanzato<br />
o anche solo uno spasimante?-<br />
-Tutti quelli che avevo mi hanno lasciato per andare<br />
in crociera da soli a fare i cascamorti con le donne<br />
che incontrano al loro tavolo!-<br />
E con questo i giovanotti sono sistemati; adesso devo<br />
mettere in riga le signorine che sanno parlare solo di<br />
118
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
vacanze a Porto Cervo e di vita notturna nelle<br />
discoteche di Milano.<br />
-Non dirmi che non sei mai stata all' Hollywood di<br />
Milano;la bella gente che trovi lì alle quattro del<br />
mattino non la vedi da nessun altra parte.-<br />
-E tu non dirmi che non sei mai stata ai Mercati<br />
Generali di Torino; la gente che scarica le cassette di<br />
frutta alle quattro del mattino la vedi anche dalle altre<br />
parti, ma forse tu hai orari differenti da loro.-<br />
E adesso che le mie compagne e i miei compagni di<br />
tavolo parlano tra loro ignorando del tutto la mia<br />
presenza, io posso finire con tranquillità il dolce<br />
senza smettere di controllare cosa capita dalla parte<br />
opposta della sala.<br />
Poi lo vedo alzarsi, salutare con eleganza i suoi<br />
compagni di tavolo e dirigersi verso il fondo del<br />
salone; allora mi alzo anch'io facendo cadere il<br />
tovagliolo che tenevo sulle ginocchia e saluto con un<br />
grugnito i miei compagni di tavolo.<br />
Lui esce dal salone e io lo seguo tenendomi a una<br />
decina di metri; prende le scale del ponte, sale di un<br />
piano e io sempre dietro. Mi sembra un instancabile<br />
camminatore, o forse un anima in pena, o forse tutte<br />
e due le cose. Sale ancora di un piano e sul ponte si<br />
dirige verso prua; io sto controllando a fatica il<br />
fiatone che mi è venuto un po' per lo sforzo e un po'<br />
per la paura che mi possa vedere. Finalmente si ferma<br />
a guardare l’acqua nera della notte, appena appoggiato<br />
al parapetto che lo separa dal mare. E' il mio<br />
momento; decido di usare un vecchio e banale trucco<br />
119
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
da film che si adatta perfettamente alla finzione della<br />
vita di crociera.<br />
-Mi scusi ma a forza di camminare in questo labirinto<br />
devo essermi persa; può essere cosi<br />
gentile da aiutarmi a ritornare al salone della festa?-<br />
Lui si volta di scatto tra lo stupito e l’infastidito; certo<br />
che è davvero un bell' uomo e i capelli sale e pepe dei<br />
suoi sessant'anni lo rendono ancora più attraente.<br />
-Torni indietro da questo lato e prenda la prima scala<br />
che incontra sulla sinistra; scenda di due piani e vedrà<br />
sulla destra le luci del salone.-<br />
A quel vecchio corso di recitazione che avevo fatto ai<br />
tempi del liceo ho imparato che per piangere basta<br />
pensare con intensità a una situazione di grande<br />
impatto emotivo e io non faccio fatica a farlo.<br />
-La ringrazio e mi scusi se l'ho disturbata.-<br />
I miei occhi sono ormai lucidi e lui non può non<br />
notare le lacrime che stanno annacquando il rimmel<br />
che avevo messo con tanta cura prima della cena.<br />
-Si sente bene signorina? Forse è meglio che aspetti<br />
un attimo prima di rientrare nel salone -<br />
-Non è niente di grave. E' solo che forse non è stata<br />
una buona idea venire in crociera da sola per<br />
lasciarmi alle spalle i segni di ferite troppo recenti.-<br />
Ormai le lacrime mi attraversano spietate le guance e<br />
mi lasciano ridicole strisciate di rimmel dagli occhi<br />
fino al collo ma l'importante è aver scardinato la<br />
freddezza di<br />
quell' uomo così affascinante.<br />
120
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
-Prenda il mio fazzoletto; non le servirà per le sue<br />
ferite recenti, ma almeno la leverà<br />
dall' imbarazzo di farsi vedere in questo stato da un<br />
perfetto sconosciuto quale io sono per lei.-<br />
Affascinante e gioviale; sono sempre più convinta che<br />
sto facendo la cosa giusta. Adesso lui si presenta e in<br />
pochi minuti ho già messo via il fazzoletto sporco di<br />
rimmel che prometto di rendergli nella giornata di<br />
domani; si stacca dal parapetto e mi dice che anche<br />
lui è da solo in crociera per lasciarsi alle spalle delle<br />
ferite recenti come le mie e che non è il caso di<br />
aggiungere sofferenza a quella che altri hanno già<br />
creato. Parliamo e camminiamo,camminiamo e<br />
parliamo. Restiamo sempre nella parte più periferica<br />
della nave perché a me non va di incontrare gente, di<br />
vedere luci, di sentire musica; lui lo ha capito e mi<br />
cammina di fianco come chi vuole proteggerti dai<br />
pericoli che ti stanno intorno.<br />
Dopo avere disceso e salito decine di scale esterne<br />
della nave, adesso siamo uno di fronte all'altra in<br />
quello che nella mia ignoranza nautica chiamo il<br />
piano terra della nave; alla nostra destra il parapetto ci<br />
protegge dal mare e riusciamo a vedere con chiarezza<br />
le onde grazie alla luce generosa che la luna spande<br />
tutto intorno.<br />
-Sono più delle due! Saremo anche in crociera, ma<br />
come prima serata direi che può andare.-<br />
-Se le andasse, domani sarei davvero lieto di pranzare<br />
con lei.-<br />
121
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
-In questo momento non me la sento di prendere<br />
impegni per la colazione, figuriamoci per il pranzo. Se<br />
vuole però mi lasci il suo numero di cellulare;<br />
prometto di chiamarla prima di mezzogiorno.-<br />
Apro la mia trousse di raso anche se so bene di non<br />
avere dentro né la biro né un foglio di carta, ma tanto<br />
lo so che sarà così premuroso da pensare lui sia al<br />
foglio sia alla biro;scrive il numero sul biglietto e<br />
adesso che me lo porge è davvero vicino, mentre i<br />
suoi occhi mi lanciano uno sguardo che sa essere allo<br />
stesso tempo paterno e sensuale. Io continuo ad<br />
armeggiare nella trousse, ma sento che ormai ho<br />
deciso; la sua faccia mi è vicina, i suoi occhi mi sono<br />
vicini, la sua bocca mi è vicina...<br />
Mi sveglio che la cabina è illuminata da un sole<br />
avanzato; guardo l’ora e vedo che è quasi<br />
mezzogiorno.<br />
I miei vestiti sono buttati alla rinfusa sulla poltrona;<br />
faccio la doccia e mi vesto con una lentezza che non<br />
ricordo di avere mai avuto. Prima di uscire per il<br />
pranzo ho ancora un' incombenza da fare; apro la<br />
trousse e mi assicuro che ci sia ancora la bomboletta<br />
spray con l’etere.<br />
Gliene ho fatto respirare più di metà, come quando<br />
continui a spruzzare l’insetticida sullo scarafaggio<br />
anche se vedi che è già completamente stecchito; d'<br />
altronde per prenderlo di peso e buttarlo in mare al di<br />
là del parapetto non potevo permettermi che fosse<br />
tanto sveglio. Sono anche soddisfatta perché prima<br />
che crollasse ho potuto urlargli nelle orecchie il mio<br />
122
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
nome in modo che capisse bene chi ero; poi la luna<br />
ha illuminato quel corpo che nel vuoto ha fatto<br />
quattro giri su se stesso prima di sbattere sull' acqua<br />
dura del mare.<br />
Il primo è per tutte le volte che è entrato nel mio<br />
letto dicendo che la mamma era molto contenta che<br />
lui mi mettesse le mani dentro le mutandine.<br />
Il secondo è per tutte le volte che è uscito dalla mia<br />
stanza per rientrare nel letto della mamma e fare<br />
l’amore con lei che pensava quanto era stata fortunata<br />
ad aver trovato un uomo così affettuoso dopo un<br />
matrimonio tanto disgraziato.<br />
Il terzo è per tutte le volte che si è ripetuto con altre<br />
bambine di dieci anni, figlie di donne vedove o<br />
divorziate sedotte da un uomo che quando si stufava<br />
delle figlie non aveva più nessun motivo per restare<br />
con le madri.<br />
Il quarto è per tutte le volte che in questi quindici<br />
anni ho dovuto aspettare prima di trovare l'occasione<br />
giusta, perché non vale la pena finire in galera per<br />
aver schiacciato uno scarafaggio e siccome il delitto<br />
perfetto non esiste bisogna avere la pazienza di<br />
aspettare l’occasione buona che nella vita prima o poi<br />
arriva, visto che c' è sempre una giustizia a questo<br />
mondo.<br />
-Non vorremmo disturbarti, ma avremmo qualcosa<br />
da dirti. -<br />
Ad aspettarmi sul ponte ci sono i quattro giovanotti a<br />
scusarsi per il comportamento alla cena della sera<br />
123
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
prima e a invitarmi a un aperitivo tutti insieme prima<br />
del pranzo.<br />
-Non volevamo infastidirti con i nostri discorsi insulsi<br />
di ieri sera, ma ci siamo fatte un po' prendere dal<br />
clima di festa che c' è tutto intorno.<br />
Anche le tre ragazze nella notte sembrano aver<br />
riflettuto sulle regole della buona creanza e mi<br />
chiedono di non mancare all' aperitivo.<br />
Io accetto le scuse di tutti e do appuntamento ai<br />
tavolini del bar tra qualche minuto; me li lascio alle<br />
spalle e vado oltre, nel punto esatto dove stanotte si è<br />
chiusa la prima parte della mia vita. Apro la trousse di<br />
raso, prendo la bomboletta che ho usato da<br />
insetticida e la butto lontano tra le onde del mare;<br />
mentre chiudo la cerniera vedo che è rimasto il<br />
biglietto dove aveva scritto il suo numero di telefono.<br />
Lo prendo e inizio stracciarlo con ordine e rigore, in<br />
due, in quattro, in otto; poi apro il pugno e i ritagli<br />
iniziano a cadere nel vuoto, oscillando con precisa<br />
lentezza.<br />
Resto a guardare fino a che anche l’ultimo coriandolo<br />
non scompare nello strato più profondo dell' acqua<br />
dura del mare; chiudo la trousse e sorrido.<br />
La prima parte della mia vita, quella passata<br />
annegando nelle onde molli, finisce; adesso inizio la<br />
seconda, quella che si appoggerà sull' acqua dura del<br />
mare.<br />
indice<br />
124
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4. Sezione (R)esistere<br />
4.1 Il rifiuto (Là, dietro la curva...)<br />
di Maria Teresa Montanaro<br />
La strada si snoda a tratti più stretta, a tratti più<br />
ampia, salendo verso le colline che abbracciano da<br />
sempre Torino.<br />
Il caos del traffico scema, la gente che si incontra<br />
cammina più lentamente, ai grovigli di strade si<br />
sostituiscono gli alberi.<br />
Sembra che il tempo, qui fuori dal centro, si dilati per<br />
lasciare alle persone la possibilità di riflettere, di<br />
pensare.<br />
Una grande curva che piega a destra; il panorama è<br />
molto bello, si vede tutta la città.<br />
Parcheggio ed osservo l'edificio.<br />
Chi transita velocemente non può capire di che cosa<br />
si tratta, l'indicazione è troppo piccola...<br />
L'entrata, costituita da un cancello scorrevole,<br />
potrebbe essere quella di un asilo come quella<br />
di un'autorimessa.<br />
Entrando, un ampio cortile quadrato. E appena ci si<br />
trova lì, il mondo che abbiamo lasciato fuori diventa<br />
lontano, sfuocato, irreale. Qui in questo cortile<br />
capisco paradossalmente che solo ora faccio parte<br />
della realtà.<br />
125
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Una porta, un breve corridoio; l'ascensore.<br />
I “dimenticati” sono qui sopra di me: al primo piano,<br />
gli autosufficienti; al secondo, parzialmente<br />
autosufficienti; al terzo piano gli altri. Vado all'ultimo<br />
piano.<br />
L'odore di medicinale mi assale ricordandomi che<br />
questo mondo è un pianeta a parte, con un'aria tutta<br />
sua, e non sempre piacevole da respirare.<br />
Non c'è tempo di perdersi nei pensieri: davanti a me,<br />
la prima camera.<br />
Due letti: in uno Giovanni, nell'altro più nessuno.<br />
Già, mi dimenticavo; lui, quello dell'altro letto, era qui<br />
perché un tumore stava pian piano invadendo tutto il<br />
suo corpo.<br />
Nel giro di una settimana ha smesso prima di<br />
mangiare, poi di camminare, poi di scherzare con il<br />
compagno di stanza, poi di sorridermi quando<br />
venivo, poi di parlarmi, poi di guardare nella mia<br />
direzione. Oggi non occupa più quel letto rifatto.<br />
Giovanni mi vede e subito i suoi occhi si fanno<br />
lucenti. Qualche volta mi racconta di sua figlia,<br />
qualche volta di quella mattina in cui metà del suo<br />
corpo ha smesso di vivere.<br />
In fondo al corridoio bianco c'è il salone. I letti<br />
percorrono tutto il suo perimetro. Ora si capisce<br />
meglio di essere in un istituto per anziani. Guardo<br />
negli occhi l'altra faccia dell'anzianità.<br />
126
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Molti occhi stanchi si posano su di me, qualcuno mi<br />
vede bene, per altri sono una macchia di colore.<br />
Le orecchie non sanno distinguere con esattezza i<br />
nomi che vengono chiamati o gridati.<br />
Alcuni chiamano l'infermiere, altri si lamentano di<br />
chissà quale dolore, parecchi vorrebbero cambiare<br />
posizione, ma da soli non possono farcela; alcuni mi<br />
dicono una parola, qualcuno infine chiama e basta.<br />
Molti non chiamano più.<br />
Quanti sono? Quanti anni hanno? Perché sono qui?<br />
Perché loro?<br />
Quanti frammenti di storia, quante vite vissute<br />
intensamente o con passività, quanti padri, quanti<br />
nonni.<br />
Nell'aria si sentono le fiamme spente di antichi amori,<br />
dei loro sogni, dei loro progetti, delle loro parole fatte<br />
o non dette mai, dei loro momenti belli o brutti, dei<br />
viaggi, delle delusioni; si avverte l'eco della loro antica<br />
forza, di un vigore che non torna, delle lacrime<br />
versate, del tempo sprecato in passato, quel tempo<br />
che poi è scivolato così rapido. Per tutti un destino<br />
comune, da vivere, questa volta, con tutto il tempo.<br />
Qui il tempo non fugge più, non ha più fretta. C'è<br />
tutto lo spazio per ... cosa?<br />
Per pensare, ripensare, pentirsi, rifare tutto con i<br />
sogni, rivivere ogni cosa con la memoria, cambiare il<br />
passato con la fantasia.<br />
127
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Ma questo presente è così immobile da soffocare la<br />
mente: e così il più delle volte le ore servono solo per<br />
piangere, per sentire il nulla inesorabile di una<br />
malattia, per aspettare l'ora successiva.<br />
Guardo questi uomini che giorno dopo giorno,<br />
settimana dopo settimana, perdono a poco a poco<br />
l'orgoglio, il pudore; ne scoprono l'infinità inutilità.<br />
Renato è in fondo al salone. E' paralizzato da otto o<br />
nove mesi. Prega moltissimo, progetta attività<br />
giovanili, si rattrista di aver parlato male al dottore o<br />
all'infermiera.<br />
Ma parla sempre di meno di quando uscirà. Non ci<br />
crede più.<br />
Giuseppe è nell'angolo in fondo a destra. Mi accosto<br />
al suo letto e volto le spalle al salone.<br />
Voglio parlare un po' con lui, c'è molto da imparare.<br />
Alle 18:30 l'infermiera porta la cena; ne approfitto per<br />
aiutarlo a mangiare: non può infatti portare i bocconi<br />
alla bocca da solo; è affetto da una malattia che ha<br />
leso tutto il suo corpo e il viso.<br />
Cosa dirgli? Di che cosa parlare con lui? Intanto,<br />
riempio il cucchiaio di pastina in brodo e lo imbocco.<br />
Deglutisce e sembra soffrire per ritrovare il filo del<br />
discorso interrotto: stringe gli occhi che vedono male<br />
e corruccia le sopracciglia in una smorfia che<br />
commuove.<br />
128
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Mi sembra di percepire lo sforzo della sua mente che<br />
fa ordine fra i pensieri: poi la sua voce simpatica,<br />
flemme ed ovattata, ritorna fra le voci drammatiche<br />
del salone.<br />
Guarda il soffitto, sorride di tanto in tanto; nel suo<br />
viso non c'è traccia di impazienza né di fastidio.<br />
Non traspare da lui nessuna insoddisfazione, nessun<br />
rancore.<br />
Può forse conoscere la fretta, l'ansia, il rimorso?<br />
Giuseppe no, non può provare questi sentimenti; non<br />
conosce paura, confusione, dubbio, vendetta,<br />
desiderio, sesso, sconfitta, gioia ...<br />
Giuseppe no, non può conoscerli, perché ha<br />
cinquanta anni e da quaranta è all'istituto.<br />
Chi è un bambino di dieci anni che ha chiuso la porta<br />
sul mondo e per il resto della vita è stato in un letto?<br />
Quante persone sono arrivate lì e poi se ne sono<br />
andate ... e lui era già là, c'era dopo, c'era sempre.<br />
Giuseppe non può leggere, non può vedere le foto di<br />
una rivista, non può camminare, non può stringere la<br />
mano di nessuno.<br />
-“Io non me la prendo proprio mai, io non mi<br />
arrabbio con nessuno.”- mi ha detto un giorno,<br />
sentenziandolo con la sua voce che sembra<br />
proclamare le grandi verità che non hanno tempo né<br />
fine.<br />
129
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
E per me lo sono diventate.<br />
Che idea ha del mondo, della vita, del “bene”, del<br />
“male”?<br />
Non riesco ad immaginarlo nonostante mi sforzi.<br />
Vorrei fosse lui a dirmelo, provo a dividere i suoi<br />
pensieri, ma cado in partenza<br />
Non posso, io, immaginare cosa significhi aspettare<br />
l'indomani per vedere lo stesso letto, lo stesso salone,<br />
le ore interminabili che si sono succedute per<br />
quaranta anni: solo, solissimo, con una mente<br />
immatura, con l'esperienza di dieci anni di vita, con i<br />
ricordi di quei pochi anni. Nessun passato vero,<br />
nessun futuro ... un interminabile presente vuoto di<br />
tutto.<br />
Però... la visita di un ragazzo, la mia visita:<br />
un'esplosione di novità!<br />
Gli verso un bicchiere di sciroppo di menta ed acqua:<br />
la settimana intera diventa movimentata; in un vuoto<br />
lungo più del doppio della mia stessa esistenza, un<br />
minuto con un visitatore è per lui un'emozione<br />
estrema, una gioia, un'avventura!<br />
Io sono lì e non so cosa dire, cosa fare, cosa<br />
raccontare, poi capisco che basta una parola, una<br />
banalità qualsiasi.<br />
E' il momento di andare.<br />
Fuori la vita non è più la stessa.<br />
130
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Torno a casa: la gente ride, la gente scherza, i clacson<br />
suonano forte, i negozi espongono ricchi prodotti<br />
colorati, le luci brillano di sera, i ragazzi passeggiano,<br />
ridono forte spensierati.<br />
Il contrasto fa male. Quale dei due era sogno? Che<br />
cos'è più vero?<br />
Due adulti litigano, una donna porta i sacchetti della<br />
spesa.<br />
Nell'aria, le mille emozioni dei minuti che corrono<br />
veloci, i ritardi, gli appuntamenti, gli impegni,<br />
l'angoscia, la tensione, le risate, gli affetti, il lavoro, gli<br />
amici, la casa, l'amore.<br />
L'istituto?<br />
Non sarebbe proprio possibile andarci oggi, non c'è<br />
tempo; domani?<br />
No, domani no, con tutto quello che c'è da fare...<br />
Io ritorno a casa, ho da studiare ancora qualcosa;<br />
devo sapere assolutamente in che anno è stato<br />
composto quel poemetto, devo ripassare il significato<br />
della congiunzione “e” nel sonetto, congiunzione che<br />
sottolinea il rapporto dialettico fra luce e buio, ecc.<br />
ecc.<br />
Devo saperlo per maturare, per diventare uomo.<br />
Certo.<br />
Tanto domani sarà tutto diverso, i compagni di<br />
scuola, il sole, le attività frenetiche di tutti i giorni.<br />
131
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Tanto da questa parte del mondo non è possibile<br />
vedere cosa c'è al di là di quella grande curva in<br />
collina.<br />
Dopo quella grande curva che separa due mondi così<br />
diversi, che nasconde Giuseppe, e gli altri del terzo<br />
piano...<br />
In quel girone dove la vita è senza tempo, dopo<br />
quella grande curva.<br />
132<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.2 I nostri pezzi che un giorno furono interi<br />
poeti<br />
di Dario Maria Desantis<br />
E noi guerrieri sopravvissuti che trasportiamo sulle<br />
[spalle le nostre tombe che bruciano]<br />
nella memoria del cemento dell'indifferenza, con tutti<br />
[i nostri pezzi che un giorno]<br />
furono interi poeti, dai tetti infangati di neve, dalle<br />
[terrazze di Brera e dell'Università Statale]<br />
scaraventavamo giù i fantocci fiammeggianti con le<br />
[foto dei generali imbonitori]<br />
di massacri capitalisti, perché il Cong ci era entrato<br />
[nel cuore sgolando hendrix-rock]<br />
e friggendo a sciami di api impazzite, perché il Cong<br />
[ci era entrato nel sangue corrente]<br />
di dolcissimi folli scolpiti in statue di tauromachia<br />
quando in piedi scopavamo le parlanti e liquide fighe<br />
[febbrili,]<br />
mentre urlavamo nei megafoni ammaccati come i<br />
[nostri crani fioriti di manganelli]<br />
gli slogan antimilitaristi e fiondavamo bottiglie<br />
[diaboliche sbracciandoci contro i poliziotti]<br />
che ci caricavano cingolati dietro le maschere di<br />
[kabuki proletario,]<br />
133
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
con le loro facce proletarie spaventate e omicide da<br />
[bravi ragazzi figli di proletari]<br />
contro la casta scintillante rivoluzionaria degli<br />
[studenti,]<br />
perché anche Pasolini ci odiava mentre noi lo<br />
[amavamo e ci odiava perché noi lo amavamo,]<br />
terrorizzato stregone troppo profetico per sopportare<br />
[se stesso]<br />
e l'asprezza della propria visione.<br />
Mentre noi roteanti spade di assoluta verità, corsari di<br />
[distruzione immortale]<br />
fendevamo il ghiaccio crepuscolare del tempo, sul<br />
[burrascoso vascello del nostro privilegio]<br />
di essere, dentro il tenebroso ventre della bestia<br />
[macellata, una scintilla splendente!]<br />
Giorni dell'ira scavati in trincee psichiatriche allagate<br />
[di vomito e pioggia animale]<br />
mentre aggrappati ai finestroni blindati vittime<br />
[catatoniche orinano il ricordo]<br />
delle loro anime psichedeliche che sognarono vincite<br />
[miliardarie]<br />
di incontaminata rivoluzione,<br />
lanciando contro il muro la moneta del destino e<br />
[invece inerpicate per sentieri di sterpi]<br />
134
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
e assolati deserti divoranti tutto quanto contenga una<br />
[goccia dello spirito umano]<br />
o un'inutile sembianza umana impastata d'angoscia<br />
[che estrae dalla piaga mentale]<br />
il tempo lo spazio e il significato di quello stesso<br />
[pronome che chiamiamo 'noi']<br />
che inorridisce specchiando se stesso in se stesso per<br />
[l'orrore di riconoscere]<br />
quella esiguità della mente in quella esiguità<br />
[dell'esistenza che nella solitudine]<br />
di milioni di anni, per affermare se stessa non fa altro<br />
[che invocare la morte.]<br />
135<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.3 Genesi 2,23 *<br />
di Paola Rivolta<br />
(*Dalla “Genesi”. “Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è<br />
carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà<br />
donna perché dall'uomo è stata tolta».”)<br />
Mi chiamo Lucia Rinaudi. Sono nata a Moncalieri il<br />
23 febbraio 1972 da Luciano Rinaudi e Elena Ceriani.<br />
Abito a Candiano, un paese di poche migliaia di<br />
persone in provincia di Torino, in una piccola<br />
abitazione unifamiliare ai margini del centro abitato.<br />
Il 27 aprile 2010, come sempre, mi sono svegliata alle<br />
sei del mattino per andare a lavorare. Sono andata in<br />
bagno. Il bagno è sempre freddo a quell'ora, anche<br />
d'estate. Mi sono seduta sul water e lì sono rimasta<br />
qualche attimo con la testa appoggiata al muro e gli<br />
occhi chiusi. Poi mi sono alzata, sono andata davanti<br />
al lavandino, mi sono sciacquata la faccia e l'ho<br />
asciugata nell'asciugamani appeso al termosifone. Ho<br />
spazzolato i capelli e li ho raccolti senza guardarmi<br />
nello specchio. I miei capelli un tempo erano così<br />
belli. L'invidia delle mie amiche. Neri e lucidi. Lo<br />
potrebbero essere ancora con qualche cura in più e<br />
una tinta per nascondere i primi capelli bianchi. Mi<br />
sono infilata i vestiti da lavoro: una vecchia tuta blu e,<br />
sopra, un grembiule di cotone dello stesso colore, un<br />
po' sbiadito. Li porto tutta la settimana, li lavo il<br />
sabato e sono asciutti per il lunedì successivo. Ho<br />
sceso le scale e sono andata in cucina. Beh, cucina ...<br />
se fosse in una casa diversa, più ricca, la<br />
136
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
chiamerebbero un angolo cottura. Tre mobiletti verde<br />
chiaro con la carta adesiva sul piano e un frigorifero.<br />
Di fronte, un tavolo con quattro sedie di metallo e<br />
formica, verde chiaro anch'essi. Di fianco al tavolo un<br />
divano letto. Ci dormiva mio fratello quando veniva a<br />
trovarmi. Ho acceso i fornelli. I fornelli sono vicini<br />
alla finestra. Da lì vedo la ferrovia e un tratto di<br />
strada. La luce del sole, al mattino, filtra di traverso<br />
sulla facciata della casa. Scosto con le dita la tenda e,<br />
quando è sereno, vedo la luce del sole illuminare la<br />
cancellata. Ho messo sul fuoco il latte per me e mio<br />
figlio. Ho un figlio, sì, di sette anni. Lo sono andata a<br />
svegliare con una carezza, come ogni mattina. Lui si è<br />
stropicciato gli occhi, ha scostato le lenzuola e si è<br />
alzato senza dire una parola. È andato verso il bagno<br />
strascinando i piedi nudi, con la testa china e gli occhi<br />
semi chiusi. È un caro ragazzo. Sono tornata in<br />
cucina e ho messo il latte nelle tazze. La sua è bianca<br />
con un elefante azzurro disegnato sopra e dei piccoli<br />
fiori rosa e gialli. Gliel'ho regalata io al suo terzo<br />
compleanno. Ci mette un attimo a lavarsi, Giorgio.<br />
Così si chiama mio figlio. Sono sicura che l'acqua non<br />
la tocchi quasi. Al tavolo della cucina lui si siede<br />
sempre allo stesso posto, con le spalle alla porta. Io<br />
resto in piedi, con la tazza in mano a guardare fuori<br />
da quella piccola finestra. Poche parole. Qualche<br />
sorriso. Finita la colazione, l'ho aiutato ad allacciarsi<br />
le scarpe e a rassettare la sua capigliatura. Non riesco<br />
ad immaginare di poter rinunciare a questi gesti.<br />
Nemmeno quando sarà grande. Quando avrà una<br />
137
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
ragazza e una motocicletta. Ho preso la mia borsa e<br />
lui il suo zaino e siamo usciti. L'ho accompagnato da<br />
mia suocera che abita in paese. Lo porta lei a scuola.<br />
Io farei tardi al lavoro. Lavoro in fabbrica. In una<br />
fabbrica che produce componenti elettriche. Dalle<br />
otto del mattino alle cinque del pomeriggio. Faccio le<br />
saldature su dei circuiti. Mio fratello una volta mi ha<br />
chiesto per cosa venissero fatti quei circuiti. Non l'ho<br />
mai saputo. Non mi è mai interessato. Quando ti<br />
passano tra le mani decine di quelle tavolette ogni<br />
ora, il cervello diviene attento solo al ritmo da tenere.<br />
Se pensi a qualcosa sei fottuta. Le mani si intrecciano<br />
e il tuo “pezzo” se ne va senza saldatura e tu rischi<br />
una bella strigliata dal capo reparto. Non mi lamento<br />
del mio lavoro, però. Mi stanco, sì. Mi fa un po' male<br />
la schiena. Ma non penso mentre lavoro e questo va<br />
bene. E mi pagano a fine mese.<br />
Il 27 aprile 2010 la sirena della fabbrica ha suonato<br />
come sempre alle cinque del pomeriggio. All'uscita,<br />
quella carogna di Giuseppe, uno che lavora nella<br />
postazione a fianco della mia, infilandosi la sigaretta<br />
in bocca, ad alta voce, ha detto - Cosa dai da mangiare a<br />
tuo marito, stasera? Carne cruda?! - L'ho fulminato con lo<br />
sguardo. È proprio uno stronzo. Ci aveva provato<br />
con me quando avevo cominciato a lavorare lì. Un<br />
giorno ho alzato la voce davanti agli altri operai per<br />
oppormi ai suoi abbracci. Non l'ha mai digerita.<br />
I compagni di lavoro non ci fanno più caso a queste<br />
sue battute. “Carne cruda?!” Lui l'ha visto mio marito.<br />
Un giorno al bar del paese picchiava duro Ernesto.<br />
138
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non lo riuscivano a fermare in tre. Come una belva<br />
inferocita. Mio marito lavora anche lui in una<br />
fabbrica. Una fabbrica metalmeccanica. Lui fa il turno<br />
di notte. Torna alle cinque del mattino. Dicono che la<br />
fabbrica chiuderà quando la Fiat se ne sarà andata<br />
dall'Italia. Tutti sanno che se ne andrà a produrre<br />
all'estero, ma fanno finta di non sapere. Ci si attacca a<br />
quello che si ha. Anche se è uno schifo. Sono salita in<br />
auto con le operaie che mi danno un passaggio fino a<br />
casa. Condividiamo le spese per l'auto di Mirella. Nel<br />
tragitto si fanno battute, pettegolezzi. Si scarica la<br />
tensione della giornata. È bello sentirle ridere. Sono<br />
arrivata a casa alle cinque e mezza. Ho appoggiato la<br />
borsa sulla sedia all'entrata. Ho salito le scale e aperto<br />
la porta della camera di mio figlio. - Giorgio? - Giorgio<br />
era seduto sulla sua seggiola davanti alla scrivania. Un<br />
piccolo tavolo, il tavolo su cui anch'io facevo i<br />
compiti da bambina. Con le spalle girate verso la<br />
porta. Ha davanti a sé il quaderno di scuola. Ho<br />
guardato la pagina bianca, mentre gli appoggiavo la<br />
mano sulla spalla. Per terra, vicino alla sedia un foglio<br />
a quadretti accartocciato. Ho chinato la testa di più<br />
per guardarlo in faccia. Due lacrime gli solcavano le<br />
guance. Ho pensato - Di nuovo! - Gli ho alzato la<br />
maglietta sulla schiena. C'era un segno rosso largo tre<br />
dita. Ho preso Giorgio per le spalle e l'ho costretto ad<br />
alzarsi. Lui si opponeva, diceva - Lascia stare, mamma,<br />
non importa. - alzava la voce e piangeva. Gli ho sfilato<br />
la maglia. Sulle braccia e sul petto altri segni, alcuni<br />
erano rosso cupo. Li conosco bene. Li ho visti su me<br />
139
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
stessa. Negli ultimi anni, spesso. Quando l'ho<br />
conosciuto ... mio marito ... non era così. Mi faceva la<br />
corte. Mi portava fiori, dolci. Era affettuoso. Nei<br />
primi anni di matrimonio forse mi avrà dato un paio<br />
di volte una sberla. Io non sapevo fare molto in casa<br />
a quell'epoca. Pensavo - Se imparo a essere più brava come<br />
moglie, passerà. - Ma non è stato così. Mi picchiava e<br />
poi mi chiedeva scusa. A poco a poco i nostri amici<br />
non ci frequentavano più. Nemmeno mio fratello<br />
veniva più a trovarmi. Non sopportava i miei lividi, il<br />
suo alzare la voce, i secchi scapaccioni che mi dava<br />
sul collo. Sorridendo, come se scherzasse. Non<br />
sopportava la mia paura.<br />
Il 27 aprile 2010 ho stretto mio figlio a me. La sua<br />
testa sulla mia pancia. Le mie mani che gli<br />
accarezzavano i capelli. Ho chiuso gli occhi,<br />
rovesciando leggermente la testa all'indietro. Poi li ho<br />
riaperti. Davanti a me c'era lo specchio che è a fianco<br />
della porta. Riflessa c'ero io ... mio figlio di schiena, i<br />
segni sulla sua pelle. Per un attimo mi è mancato il<br />
fiato. Poi ho allontanato delicatamente Giorgio. Gli<br />
ho asciugato le lacrime con le dita. Mi sono chinata<br />
verso di lui - Adesso fa i compiti. Io esco un attimo. Torno<br />
subito. Stai tranquillo. - Mi sono ascoltata dire quelle<br />
poche parole come se non fossi io a pronunciarle.<br />
Sono uscita dalla camera e ho chiuso la porta alle mie<br />
spalle. Ho sceso le scale lentamente. Sono entrata in<br />
cucina e ho preso un coltello che era nel primo<br />
cassetto. È il mio coltello preferito. Piccolo ma<br />
affilato, con il manico leggermente ricurvo. Ci taglio<br />
140
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
le verdure, la carne. È buono per tutto. Ho preso la<br />
borsa sulla seggiola all'ingresso e sono uscita. Ho<br />
attraversato il cortile. Ho aperto il cancello e l'ho<br />
richiuso dietro di me, con attenzione. Ho sentito il<br />
sole illuminarmi il viso. Mi sono diretta verso il<br />
centro del paese. Un passo dietro l'altro. Ho percorso<br />
per intero la strada principale. Il bar è vicino alla<br />
stazione. Ero sicura di trovarlo lì. Ci passa tutti i<br />
pomeriggi fino all'ora di cena. Come mi sono<br />
affacciata alla piazza, ho riconosciuto la sua sagoma<br />
attraverso la vetrata che dà luce alla sala da gioco.<br />
Sono entrata nel bar e sono passata davanti al<br />
bancone. È un lungo bancone di legno scuro con i<br />
riquadri sagomati e il piano d'acciaio. La macchina del<br />
caffè da un lato. La cassa dall'altro. Una larga apertura<br />
squadrata senza porta introduce alla sala con i tavoli.<br />
Il barista mi ha visto e mi ha fatto un cenno di saluto.<br />
Ci conosciamo tutti in paese.<br />
Il 27 aprile 2010 io sono entrata in quella sala. Il<br />
televisore, appeso in alto, nell'angolo opposto<br />
all'ingresso, era acceso. Mi sono avvicinata al tavolo<br />
dove lui stava giocando. I suoi compagni mi hanno<br />
guardata di sfuggita da sopra le carte. Lui non ha fatto<br />
un cenno. Mi sono messa dietro di lui. Ho infilato la<br />
mano destra nella tasca del grembiule da lavoro e ne<br />
ho estratto il coltello. Ho infilato le dita della mano<br />
sinistra tra i suoi capelli, ho chiuso le dita e con il<br />
coltello nella mano destra gli ho aperto la gola.<br />
Improvvisamente, il suo corpo ha cominciato a<br />
sussultare. Si è inarcato. Siamo caduti all'indietro.<br />
141
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Ancora un sobbalzo. Mi sono ritrovata seduta per<br />
terra. La schiena appoggiata al muro. Le braccia<br />
abbandonate lungo i fianchi. Sentivo di aver perso<br />
ogni forza: forse il calore di tutto quel sangue.<br />
Pesante sulle mie gambe, il corpo di mio marito.<br />
Quasi un parto, una nascita. Lui tra le mie gambe in<br />
quel lago di sangue. Avevo la testa pesante. In<br />
lontananza le urla della gente. Dentro di me un<br />
silenzio che rincorrevo da anni.<br />
142<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.4 Diario di un soldato<br />
di Claudio Prili<br />
Ho raschiato nel mio zaino<br />
fino a farlo sanguinare<br />
e sotto le unghie briciole<br />
delle ultime croste di pane.<br />
La lama affilata del coltello<br />
nascosta nello stivale<br />
e l'ultima stella cadente<br />
ormai arrugginita,<br />
rinchiusa in cantina<br />
sta ansando sudata.<br />
Affonda ogni sera nel vino<br />
il tuo viso sgualcito di carezze<br />
tra mosche sbadate<br />
in quest'aria malsana<br />
che aspra ristagna<br />
ancora nel naso.<br />
La piazza deserta<br />
rincorre un giornale<br />
tornato aquilone un momento<br />
per poi liquefarsi e marcire<br />
nei rari riflessi di un cielo<br />
graffiato da tetti senza colore.<br />
Coraggio capitano,<br />
tu che odori di salotto<br />
e vedi lontano,<br />
143
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
saltiamo quest'ultimo muro<br />
per correre nudi al mare<br />
e storditi dal sole<br />
finalmente capire<br />
che non resta più nulla<br />
da dover conquistare.<br />
144<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.5 massacro a Wounded Knee - Ginocchio<br />
Ferito<br />
di Domenico Garaffa<br />
miseria di conquista, progresso di ferrovia.<br />
bisonti: case con piccole corna<br />
abbattuti per gusto di lingua;<br />
nutrimento di popolo con quattordici paia di costole<br />
sterminati in uno spreco di pellicce.<br />
volevano portare la danza in tutte le Nazioni.<br />
volevano che nessuno più mentisse loro.<br />
cantare in cerchio, tenendosi per mano<br />
dita tra le dita, nel paese dove il sole<br />
tramonta con il Sacro colore Rosso.<br />
col quale dipinsero il Bastone del Ricordo.<br />
CentoQuarantaQuattroBastoni<br />
…………………………………………<br />
…………………………………………<br />
…………………………………………<br />
massacrati insieme alla Danza dello Spirito<br />
seppelliti in primavera.<br />
sono tornati<br />
con le loro pipe, penne d'aquila e pelli di bisonte.<br />
e i lunghi coltelli? più ottusi di prima<br />
li accolgono con cingolati, elicotteri, armi e tranelli.<br />
145
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
sbriciolano tutto ”il villaggio è libero”<br />
e aggiunsero<br />
DueBastoni<br />
. .<br />
dipinti di Sacro colore Rosso.<br />
Wounded Knee (Ginocchio Ferito) 29.12.1890 - 10.05.1973<br />
nb i punti-bastoni nella versione originale sono in rosso<br />
146<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.6 Il rumore del silenzio<br />
di Maria Denise Spinelli<br />
Di fuoco è il riflesso<br />
del sole<br />
sul mare<br />
arde impietoso<br />
non fa respirare.<br />
Profumo salmastro<br />
speranza<br />
sapore<br />
di vita affamati<br />
di gioia<br />
d’amore.<br />
La luna è un diamante<br />
e osserva pietosa<br />
la morte dei figli<br />
nell’onda furiosa.<br />
Assordante è il silenzio<br />
che cala sul mare<br />
nemmeno una mano<br />
che ti possa aiutare.<br />
Il silenzio ha un rumore<br />
che ti segna la sorte:<br />
Non meriti vita<br />
sei<br />
“condannato a morte”.<br />
147<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.7 Il comandante<br />
di Brunello Buonocore<br />
“Soddisfazione bipartisan al termine del Consiglio. La scuola<br />
non sarà intitolata al comandante partigiano Paride ma a<br />
Sandro Avanzini, il giovane cabarettista nostro concittadino,<br />
morto sette anni fa in un tragico incidente automobilistico”.<br />
- Meglio così - pensa Roberto Giannelli, mentre si<br />
reca con passo sostenuto all'istituto comprensivo.<br />
E' un supplente al primo incarico nella scuola media e<br />
fa fatica a tenere a bada gli studenti.<br />
Il preside ha dato disposizione di commentare la<br />
notizia del giorno: la scuola intitolata ad un<br />
concittadino illustre. Perciò sì discuterà<br />
dell'importanza del far ridere, della capacità di stare<br />
sul palcoscenico, dei grandi comici di ieri e di oggi ...<br />
non della Resistenza. -Lasciamo stare la guerra civile,<br />
mi raccomando; meglio non rievocare quei tristi<br />
momenti che hanno insanguinato il nostro Paese,<br />
mettendo fratello contro fratello...<br />
- si è raccomandato.- Ma quale guerra civile? -pensa<br />
Roberto- ma perché nessuno storico parla più dì<br />
Resistenza, di guerra di liberazione? e perché nessun<br />
insegnante di storia o di lettere si azzarda a sollevare<br />
questioni in merito?-. Nei primi tempi si è arrabbiato<br />
molto, poi si è quasi rassegnato. - Meglio così – pensa<br />
- visto che comunque il programma non prevede di<br />
arrivare oltre la prima guerra mondiale-.<br />
- Quando entra in classe, però, i ragazzi lo colgono di<br />
sorpresa.<br />
148
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
- Prof - gli domandano - ma chi era questo<br />
comandante Paride?-<br />
- Veramente oggi il preside ha dato ordine di parlare<br />
di Sandro Avanzini, un attore, molto promettente,<br />
un attore comico...<br />
- Avanzini lo sappiamo già chi era, prof.<br />
- Losi dice che Avanzini abitava nel suo palazzo e<br />
faceva sempre lo stupido...<br />
- Di Avanzini ci sono i filmati su youtube.<br />
- Avanzini ha scritto un libro di barzellette, che non<br />
fanno ridere nessuno.<br />
- Invece, chi era il comandante Paride? - ripetono -<br />
E alla fine, dopo molte insistenze, il professor<br />
Roberto decide di cedere e di levarsi la maschera:<br />
- Il Comandante Paride era mio nonno -.<br />
Questa mattina il livello di interesse supera ogni<br />
record. Nessuno chiede di andare in bagno e anche la<br />
ricreazione, sì, si fa, ma un'ora più tardi, verso<br />
mezzogiorno.<br />
-Non l'ho mai conosciuto. Ma mia mamma mi ha<br />
raccontato molte cose di lui e mi ha fatto vedere dei<br />
documenti e delle fotografie. Era un uomo grande,<br />
molto più alto di me. No, non aveva l’aria del soldato.<br />
Voleva fare il notaio e sembrava un notaio. Tutto<br />
capitò dopo l’ 8 settembre. Lo sapete che cosa è<br />
successo l’ 8 settembre? Così spiegato in due parole:<br />
l’ 8 settembre del 1943 è la data dell’armistizio, il<br />
momento in cui l’ Italia o meglio l’esercito italiano<br />
cessa le ostilità e in concreto si arrende agli Alleati.<br />
149
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Ma non scoppia la pace, anzi la situazione precipita:<br />
soldati sbandati un po' dappertutto ... tedeschi e<br />
fascisti che si scatenano contro i partigiani ... Mio<br />
nonno entra in una piccola banda e inizia a compiere<br />
qualche atto di sabotaggio, evitando sempre ogni<br />
inutile spargimento di sangue. Una sera mentre,<br />
insieme a un compagno, si sta recando in paese per<br />
un' azione contro l'abitazione del prefetto, viene<br />
fermato a un posto di blocco e arrestato. Mio nonno<br />
non lo sa che c'è il coprifuoco, torna da una riunione<br />
segreta e ha con sé armi, dinamite e volantini di<br />
propaganda. Il ragazzo che è con lui cerca di reagire,<br />
ma non riesce a sparare e viene ferito gravemente dai<br />
militi della Repubblica Sociale. Quella stessa sera<br />
vengono arrestati altri sette partigiani che, come mio<br />
nonno e il suo amico, stanno tutti tornando dalla<br />
stessa riunione politica; tra di loro anche il padre di<br />
mio nonno, il mio bisnonno. Per circa un mese i<br />
partigiani rimangono in carcere. Poi l'uccisione di uno<br />
squadrista, avvenuta nel bar del paese, fa precipitare<br />
la situazione. Assieme ad altre persone è processato<br />
da un tribunale militare straordinario e, unico fra gli<br />
imputati, viene condannato alla pena di morte per la<br />
sua attività partigiana che, in ogni caso, non era<br />
affatto collegata ai fatti di sangue accaduti in quei<br />
mesi.<br />
L' esecuzione ha luogo di notte, poco prima del<br />
Natale del 1943. Si racconta che al momento<br />
dell'esecuzione mio nonno abbia chiesto di conoscere<br />
i nomi di quelli incaricati di eseguire la sentenza e che<br />
150
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
li abbia abbracciati, perdonandoli per ciò che stavano<br />
per compiere. Mia mamma mi ha fatto vedere l'ultima<br />
lettera che ha scritto a casa, poco prima della<br />
fucilazione; dice qualcosa del tipo: “L'amavo troppo<br />
la mia patria; non la tradite, seguite la mia via nel<br />
ricostruire una nuova unità nazionale. Coloro che mi<br />
giustiziano non pensano che l'uccidersi non produrrà<br />
mai la concordia”. Morì così, a vent'anni.<br />
Il professor Roberto ha un momento di tristezza e<br />
rimane in silenzio per un minuto o due. Anche i<br />
ragazzi non fanno il minimo rumore. Subito dopo<br />
entra il preside.<br />
- Come mai siete così tranquilli? Nelle altre classi<br />
ancora un po' e si mettono a ballare sui banchi.<br />
- Stavamo parlando dell'incidente di Sandro<br />
Avanzini. E' per questo che siamo tristi - interviene<br />
uno studente<br />
- Non è vero, signor preside. - lo corregge Roberto -<br />
Abbiamo parlato del comandante Paride; era mio<br />
nonno: ho raccontato la sua storia.<br />
Lo studente di prima prende ancora l'iniziativa.<br />
- Preside, ma lei lo sa chi era il comandante Paride?<br />
- Certo che lo so. Era un partigiano, morto giovane,<br />
poverino ...<br />
- Non potremmo parlare ancora di lui, qualche volta?<br />
- Sì che potremmo. Lei che ne pensa, professore?<br />
- E' un argomento su cui posso prepararmi.<br />
Vedremo.<br />
All'uscita il professore trova il preside nel corridoio.<br />
151
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
- Signor preside, temo che lei non sia molto contento<br />
di me...<br />
- Al contrario, Giannelli, al contrario.<br />
- Ma come?. Ci ha quasi proibito di parlare dei<br />
partigiani, della Resistenza...<br />
Sconsigliato,non proibito. Ma cambiamo argomento.<br />
Quanti anni mi dà, Giannelli?.<br />
Sessantasei?<br />
No, sono quasi settanta. E tra un mese vado<br />
veramente in pensione. L'ho saputo oggi. E così<br />
posso diventare<br />
coraggioso. Da domani nella mia scuola si parlerà<br />
anche di cose su cui il ministero preferirebbe stendere<br />
un velo di silenzio. E guardi che non ho grande<br />
simpatia per i partigiani.<br />
Mio padre era un fascista e se n'è vantato fino a<br />
quando è vissuto. Ma io ho avuto modo di pensarci e<br />
a qualche conclusione sono arrivato, sa. Mio padre ha<br />
continuato ad esprimere liberamente la sua<br />
opinione;se fosse ancora vivo, stasera potrebbe<br />
andare in televisione a raccontare la sua vita e a<br />
rendere omaggio ad alcuni suoi amici,morti negli<br />
scontri con i partigiani ... Ma se avessero vinto i<br />
fascisti,se avessero vinto Hitler e Mussolini, lo sa,<br />
professore, lei questa mattina non avrebbe potuto<br />
parlare di suo nonno e gli altri insegnanti, i suoi<br />
colleghi, avrebbero dovuto censurare le battute<br />
migliori di Avanzini...<br />
Questo racconto riprende molto liberamente la vicenda di<br />
Giancarlo Puecher, bellissima figura di<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
partigiano, nato a Milano nel 1923 e morto fucilato a Erba<br />
(Co) il 23 dicembre 1943.<br />
indice<br />
153
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.8 Io ... schiava<br />
di Susanna Giannotti<br />
Tu, padrone ed io, schiava<br />
camminavo muta<br />
dietro il cancello<br />
chiuso di una fabbrica.<br />
Ora sono libera,<br />
posso inseguire<br />
la mia ombra lungo il muro<br />
come un aquilone.<br />
Tu, padrone ed io, schiava<br />
annusavo l'odore della polvere<br />
nella stanza buia di un ufficio.<br />
Ora sono libera,<br />
posso respirare l'aria del cielo<br />
e celare dentro il mio dolore.<br />
Tu, padrone ed io, schiava<br />
mi sentivo carne da macello<br />
in nome del tuo profitto.<br />
Ora sono libera,<br />
posso morsicarmi le dita<br />
e urlare la mia rabbia<br />
legata ad un letto d'ospedale.<br />
Mi licenziasti,<br />
un giorno,<br />
per aver risposto<br />
ad un tuo rimprovero<br />
154
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
ed averti detto “bastardo”<br />
tra i denti.<br />
Ora sono libera,<br />
posso vivere<br />
quel poco che mi resta ...<br />
un giorno dopo l'altro ...<br />
senza te, padrone.<br />
155<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.9 Ad un reduce<br />
di Emanuela Bertello<br />
Ti respiro<br />
oltre le barriere di un'indifferenza<br />
che colora di fango questa notte senza fine.<br />
Vedo le tue mani sporche di sangue<br />
di quei compagni - ormai perduti -<br />
il cui grido lacerante frantuma il silenzio<br />
delle stelle. In uno scricchiolio d'ossa<br />
immagino i tuoi occhi sbarrati della cieca<br />
paura e rischiarati da una flebile fiammella<br />
di speranza che tinge d'immenso quel muro<br />
d'ombra.<br />
Il tuo nome apparirà in un vivido pomeriggio<br />
illuminato dalle lacrime del cielo<br />
testimone indiscusso di questo scempio d'anime<br />
trascinate al largo dalla furia delle onde.<br />
E tu, sbarrato dietro agli occhi di chi non osa<br />
guardare oltre, ti riscalderai il cuore dalle<br />
coltri della pietà che colmeranno i vuoti<br />
di una giovinezza persa lungo il cammino.<br />
indice<br />
156
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
4.10 Una musica venuta da lontano<br />
di Mario De Fanis<br />
La casetta dove abitava il maestro, trovandosi sotto il<br />
livello stradale, s'affacciava con le finestrelle a sbarre<br />
direttamente sul marciapiede.<br />
Fu quello il palcoscenico sul quale si svolse il dramma<br />
d'iniziazione di Luciano alla musica!<br />
Lui ed Isacco divennero amici, ed il maestro fu<br />
prodigo di incoraggiamenti, ma sembrava proprio che<br />
tra il ragazzo e quella nobile arte non potesse esserci<br />
feeling.<br />
Di fronte alle sue evidenti difficoltà, Luciano scovò<br />
un giorno un pretesto: “Come vuoi che mi convinca<br />
ad insistere, se non ti ho mai sentito eseguire un<br />
brano per intero, insomma della vera musica?!”<br />
“Oh, è da tanto tempo che non suono un pezzo!” si<br />
schermì il vecchio “Le mie dita non hanno più né la<br />
forza, né la mobilità di una volta..<br />
“Ti prego, Isacco, l'anima mia ha sete di musica!”<br />
recitò con enfasi il ragazzo, congiungendo le mani in<br />
atto di preghiera.<br />
“No!No! Non fare così!” lo rimproverò il maestro,<br />
con voce improvvisamente accorata.<br />
“Riserva questo gesto alla vera preghiera, se mai un<br />
giorno ne sentirai il bisogno!”<br />
Restò un attimo sulle sue parole, poi pentito del<br />
rimprovero : “Va bene, va bene, ragazzo petulante, ti<br />
suonerò qualcosa.., ma dopo non me lo chiederai mai<br />
più, prometti?”<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
“Prometto!” acconsentì convinto l'allievo. Allora<br />
Isacco s'avvicinò al riquadro di velluto,<br />
sganciò la valigetta per estrarre lo strumento e dopo<br />
averlo sistemato tra collo e spalla prese a far scivolare<br />
più volte l'archetto sulle corde, provando diversi<br />
accordi, come alla ricerca di una tonalità smarrita;<br />
infine s'arrestò.<br />
Ogni cosa, nella stanza, sembrava in attesa: Mustafà ,<br />
sul divano, schiudeva ogni tanto le palpebre con<br />
indolenza; le ombre della sera occhieggiavano già<br />
dalle finestre. Il ragazzo s'era rincantucciato<br />
nell'angolo opposto a quello del gatto.<br />
All'improvviso, lieve come un sussurro nel silenzio, si<br />
levò nell'aria un'armonia dolce, ma ricolma di una<br />
tristezza che non era di quel tempo, ma di un tempo<br />
più remoto: si levava nella stanza come un volo di<br />
tortore e si spandeva, penetrava dappertutto. Si fece<br />
successivamente più suadente, abbandonandosi ad<br />
una malinconia nascosta, per diventare un attimo<br />
dopo più piena e sonora. Vibrava dentro quelle note<br />
la forza di una fede rasserenante e consolatoria; la<br />
prospettiva di una speranza condivisa, che niente,<br />
neppure la morte, avrebbe più potuto far tacere.<br />
Luciano non riusciva a distinguere il viso del maestro,<br />
chino sullo strumento con il trasporto di un<br />
innamorato, ma osservava affascinato l'archetto che<br />
accarezzava le corde ad evocarne le più nascoste<br />
armonie, per aggredirle poi a tratti con rabbia, quasi<br />
con furore.<br />
158
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Infine, al culmine di un appassionato crescendo, la<br />
musica tacque, si spense nella dolcezza triste di un<br />
addio.<br />
Il vecchio restò un attimo immobile, con l'archetto<br />
appoggiato al violino; poi alzò il viso, e Luciano<br />
s'accorse che piangeva: era un pianto sommesso,<br />
velato, che si scioglieva come se avesse finalmente<br />
trovato la strada per affiorare.<br />
Il giovane rimase nel suo angolo, incapace di parlare.<br />
Gli si affollavano nel cuore pensieri ed emozioni<br />
inesprimibili: s'accorse che in pochi istanti aveva<br />
attraversato un oceano di profonda pena, che la<br />
musica aveva reso puro come un diamante. La sua<br />
luce continuava a brillare in fondo al cuore di un<br />
vecchio e di un ragazzo.<br />
Poi le parole di Isacco bucarono il silenzio: “Ci<br />
facevano suonare sempre questo motivo, mentre li<br />
mandavano alle camere a gas! Capisci? Noi, i<br />
musicisti, suonavamo come per far festa, per coprire<br />
le grida dei compagni, che andavano a morire..E le<br />
note si mescolavano alle urla! Così, ogni volta che<br />
suono, rivedo quei momenti, quando la musica<br />
identificata sino allora come gioia si trasformò per me<br />
in un dolore senza fine.”<br />
Appoggiò il violino sul tavolo, poi si deterse la fronte<br />
madida con la mano sinistra: i polpastrelli delle dita,<br />
sulle falangette, mostravano piccoli tagli.<br />
“Ma hai le dita che sanguinano, Isacco!” esclamò<br />
Luciano, afferrando la mano del suonatore tra le sue.<br />
159
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
“Non è nulla, non è nulla! Le mani hanno perso<br />
mobilità, te l'ho detto.., così ho dovuto appoggiare<br />
sulle corde con tutta la forza..”<br />
“Perdonami! Perdonami!” fece il ragazzo “Non<br />
sapevo, non immaginavo..”<br />
“No! No, no, Luciano, non è colpa tua ...Anzi, ti<br />
ringrazio, sai, m'ha fatto bene.. Sapessi quanti anni<br />
erano, che non liberavo il cuore da questi fantasmi!”<br />
Poi riprese, portando ogni tanto le dita ferite alla<br />
bocca, per umettarle con la saliva: Iddio, nella sua<br />
misericordia, fece di me un suonatore di violino. Mi<br />
concesse, così, di vivere.., ed io ricevetti questo dono<br />
inconsapevole.<br />
In seguito, però, quante volte mi sono chiesto: che<br />
cosa hai fatto tu, che hai avuto in sorte di conservare la vita?<br />
E che colpa avevano gli altri, cui toccò di morire? Ah, è così<br />
imperscrutabile la misericordia di Dio..”<br />
Ripose con cura nei loro alloggiamenti l'archetto e lo<br />
strumento, facendo scattare i fermagli con sincronia,<br />
per poi continuare: “Sai, i primi tempi, tornato dal<br />
campo, m' ero illuso che con la musica sarei riuscito a<br />
dimenticare.. Invece, quando suonavo, io non facevo<br />
che ricordare, ricordare…, e ancora ricordare: mio<br />
padre che fruga alla cieca sul pavimento per ritrovare<br />
gli occhiali rotti; l'ultimo saluto con la mano di mia<br />
madre;mio fratello che scambiò il suo pane con un<br />
temperino, illudendosi che un giorno ci saremmo<br />
ribellati…. Capisci, adesso, che cosa significa per me,<br />
ogni volta, suonare il violino?”<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Luciano fece segno di sì, ed abbracciando con le<br />
lacrime agli occhi quel corpo minuto, fragile come un<br />
uccelletto, ebbe la sensazione di stringere tra le mani<br />
la sua anima.<br />
indice<br />
161
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
5. Fuori concorso<br />
5.1 Il cuore nel vaso<br />
di Linda Ghio<br />
C’è un segreto che, sotto sotto, tutte le donne<br />
conoscono, anche se non lo sanno.<br />
Immaginate: un prato, dove l’erba è cresciuta un po’<br />
troppo. È di un verde silenzioso, qua e là screziata di<br />
giallo dove il sole l’ha rosicchiata. Rimane<br />
scompigliata, piegata sotto i passi di una ragazza; lei<br />
cammina senza fretta, ad ampie falcate, e sta attenta<br />
ad aggirare i fiori. Porta in mano uno sgabello di<br />
legno; quando si ferma, lo apre con cura e si guarda<br />
intorno un’ultima volta prima di deporlo a terra. Le<br />
quattro gambe affondano nel folto di ciuffi di un<br />
verde luminoso, e mordono il suolo, salde.<br />
La ragazza è in piedi sullo sgabello, braccia lungo i<br />
fianchi: resta a guardare verso l’alto, per il tempo di<br />
un lungo respiro. Quando solleva le braccia, ha le<br />
mani spalancate; ci sono decine e decine di cuori a<br />
fluttuare nell’aria, bolle di un rosso antico a veleggiare<br />
nella brezza azzurra. Non ha bisogno di afferrarne<br />
alcuno; un piccolo cuore freme, sfarfalla, e curva con<br />
grazia seguendo un’onda di vento per posarsi nel suo<br />
palmo. La ragazza lo tiene fra le mani giunte in una<br />
coppa, e lo protende ancora una volta verso il cielo<br />
perché si impregni di quel sole che le scalda la pelle e<br />
le scivola fra le ciglia. Quando se lo porta al petto,<br />
chinando la testa per guardarlo bene, il piccolo cuore<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
è fresco e leggero; lei sorride senza schiudere le<br />
labbra e se lo mette in tasca prima di riattraversare il<br />
prato, e farsi strada fra i campi, fino a casa. In alto, i<br />
cuori hanno proseguito il loro volo e sono ormai<br />
spariti alla vista, nel loro viaggio di capriole e<br />
girotondi verso altre mani in attesa.<br />
Le istruzioni sono semplici, e non sono scritte da<br />
nessuna parte; il piccolo cuore è da portare a casa, e<br />
da conservare con cura. Si potrebbe tenere in una<br />
scatolina di fiammiferi, od un barattolo da cui si sono<br />
mangiati tutti i biscotti. Non può prendere freddo,<br />
altrimenti avvizzisce; non bisogna dimenticarlo in un<br />
canto, altrimenti diventa grigio e appassisce sotto la<br />
polvere; e bisogna tenerlo lontano dal fuoco, perché<br />
ha la tendenza ad infiammarsi e consumare tutto ciò<br />
che lo circonda, se non ci si sta attente. Ma la nostra<br />
ragazza è saggia, di quella saggezza speciale che<br />
appartiene da sempre alle donne; ed è il suo istinto a<br />
dettarle come prendersi cura del piccolo cuore<br />
arrivato dal cielo. Perché una donna sa come<br />
occuparsi di piccole vite che hanno bisogno di<br />
protezione e di un angolino riparato per poter<br />
crescere e acquistare forza. Così la ragazza conserva il<br />
piccolo cuore con cura; lo appoggia in un vaso di<br />
primule vicino alla finestra e lui sta placido e<br />
tranquillo, mormorando di vita sottile, ed aspetta.<br />
Immaginate: un po’ come camminare lungo un molo<br />
di legno, sandali che scricchiolano sulle tavole e onde<br />
grigioazzurre che frusciano nel mare circostante,<br />
seguendo una fila di pallide farfalle, color lilla e crema<br />
163
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
e celeste. Una volta in fondo, la ragazza appoggia le<br />
braccia al parapetto, e le guarda comporre spirali ed<br />
archi e segreti nel cielo, mentre si allontanano. E,<br />
quando abbassa gli occhi, c’è una piccola barca a remi<br />
che l’aspetta, grande giusto quanto basta. Ci vuole un<br />
bel coraggio a mettersi a remare da sole ed avviarsi<br />
alla ricerca di qualcosa che non si è ben sicure si saprà<br />
riconoscere, a malapena un pugno di farfalle ad<br />
indicare la via: ma nessuna impresa è troppo grande<br />
per queste piccole donne. Sono sempre loro; quelle<br />
che in silenzio tengono insieme persone, famiglie,<br />
interi Paesi; che bene o male sono sempre lì, a<br />
mandare avanti la baracca, non importa quel che<br />
accada. Quelle che sanno come crescere una fragile<br />
pianta in un campo di rovine, e come crescere piccoli<br />
esseri umani nella selva del mondo.<br />
Sembra quasi impossibile, non è vero – che, dopo<br />
tutto questo dare, alle nostre donne resti ancora<br />
qualche cosa per se stesse; che ancora trovino il<br />
tempo di accudire il piccolo cuore che hanno<br />
adottato, forse il giorno prima, forse anni e anni<br />
addietro. Ma la nostra ragazza, guardiamo lei; lei<br />
resiste, simile ad un piccolo giardino al riparo nel<br />
ventre della metropoli, dove tutti gli uccelli vanno a<br />
rifugiarsi, e dove ogni giorno rami ed arbusti sono<br />
nuovamente carichi di bacche. Le donne hanno radici<br />
profonde e capaci, sanno remare quando c’è bisogno,<br />
e non hanno paura di spingersi al largo, fin dove si<br />
renda necessario.<br />
164
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
E torniamo al nostro cuore, quello che riposa in un<br />
vaso di fiori nella cucina di una ragazza di cui non<br />
sappiamo il nome. Non è mica solo per bellezza; è lì<br />
per essere usato, quando fa troppo freddo o c’è<br />
troppo buio, o semplicemente quando se ne sente il<br />
bisogno. Immaginate: basta rimepire una tazza di<br />
acqua calda e deporvi il cuore, e lasciarvelo<br />
galleggiare. Proprio come una bustina di tè: quindi<br />
basta aspettare finchè l’acqua non si sia tinta di un<br />
bell’arancione, o magari rosa antico, a seconda<br />
dell’umore. Deve esserci silenzio, e bisogna essere al<br />
caldo, con indosso abiti comodi; la nostra ragazza è in<br />
pigiama, e si aggira per la cucina in calzini spaiati, e<br />
non se ne preoccupa. Si acciambella su una sedia,<br />
vicino al termosifone, ed aspetta; perché non è una<br />
cosa da fare di fretta, cercando di finire al più presto<br />
perché, insomma, avrebbe dovuto essere pronta da<br />
mezz’ora e dovrebbe già essere in macchina,<br />
dovrebbe. La tazza le scalda le mani, ed è bello<br />
pensare che, dopo essersi regalata un po’ di quel<br />
cuore, la nostra ragazza sia di nuovo pronta ad uscire<br />
e vedersela con il resto del mondo. Ogni tanto,<br />
bisogna dare un po’ a se stesse.<br />
Che poi, in verità – c’è un momento preciso in cui<br />
una ragazza avrà voglia di avventurarsi nei prati con il<br />
suo sgabello, pronta a dialogare con il vento ed il sole,<br />
in cerca di un cuore fluttuante. Forse, una donna<br />
nemmeno si accorge di averlo fatto; magari è sicura di<br />
averlo soltanto sognato. Prendiamo voi, ad esempio;<br />
riuscire a ricordare? Siete proprio sicure di sapere<br />
165
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
cosa c’è nel vostro barattolo dei biscotti, che non vi<br />
sia un piccolo cuore a pulsare nascosto sul fondo<br />
della vostra tazza? Immaginate…<br />
166<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
5.2 Io chiedo perdono<br />
di Svilen Angelov<br />
Lunghe file di uomini camminano<br />
passo dopo passo<br />
nel regno del silenzio<br />
dove l'aria fredda ristagna.<br />
Passo dopo passo...<br />
camice con la stella gialla<br />
camminano sulla terra zuppa<br />
abbracciando la furia della paura,<br />
ingoiando il grido del dolore<br />
nel buio più profondo<br />
della notte più estrema.<br />
Ingiustizia suprema<br />
come un mostro aggrappato<br />
sulla merce umana<br />
tra cenere e indifferenza!<br />
Lunghe file di uomini camminano<br />
come alberi spezzati,<br />
vite cambiate,<br />
speranze sperdute<br />
e sogni svaniti<br />
nell'ombra della luna calante d'inverno.<br />
Passo dopo passo…file di uomini<br />
considerati colpevoli di esistere<br />
continuavano a vivere morendo!<br />
Oggi il vento sussurra tra le betulle<br />
167
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
e la primavera esplode in fiori,<br />
ci sono di nuovo i magici tramonti,<br />
sentieri emersi nelle timide castagnette<br />
e cascate con nuvole bianche.<br />
Il mio cuore vede le file di uomini<br />
che camminano...<br />
e nel roseo crepuscolo del giorno<br />
in attesa del perdono<br />
i miei occhi dicono<br />
“Mai più”!<br />
168<br />
indice
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
5.3 La “Sciura Maria”<br />
di Daniela Vigliano<br />
Al paese e nei dintorni mi conoscono come la<br />
“Sciura Maria”, l’ostetrica. Qui li ho fatti nascere tutti<br />
io i bambini, che ormai sono adulti e hanno a loro<br />
volta figli che ho aiutato a venire al mondo. Qualche<br />
tempo fa mi hanno persino premiata con una<br />
medaglia d’oro al millesimo neonato che, con il mio<br />
aiuto, è arrivato su questa benedetta terra, e mi hanno<br />
fatto una gran festa. La medaglia d’oro l’ho riposta<br />
nel cassetto del comodino da notte, vicino alla foto di<br />
Adriano.<br />
Adesso sono vecchia e stanca e sono in pensione.<br />
Non me la sento più di andare su e giù per le strade<br />
ripide del paese, anche di notte, con l’affanno di<br />
arrivare in tempo perché madre e figlio possano star<br />
bene entrambi e io, per l’infinitesima volta, possa<br />
sentire il vagito del nuovo arrivato.<br />
Quanti parti, nella mia vita! Questo mestiere è forse<br />
uno dei più belli del mondo, io non avrei saputo né<br />
voluto fare altro, ma come ti regala tanta gioia<br />
quando tutto va bene, sa riempirti di angosciosa<br />
impotenza quando un bimbo non ce la fa e diventa<br />
un angioletto.<br />
Ogni volta che tiravo fuori la testina, gli occhi<br />
ancora chiusi e i capelli tutti bagnati, e poi, pian<br />
piano, il corpo, rosso di sangue e ancora incapace di<br />
respirare, l’ansia era sempre la stessa: sentire il primo<br />
vagito, il segnale della vita. Una piccola sculacciata e<br />
il pianto del bimbo mi faceva capire che tutto era a<br />
169
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
posto, che ancora una volta tutto era andato bene.<br />
Allora si faceva gran festa, il padre stappava la<br />
bottiglia più buona e, mentre la mamma e il piccolo<br />
venivano accuditi dalle madri o dalle zie, io brindavo<br />
con lui all’arrivo della nuova vita, a una vita piena di<br />
salute e di buona fortuna. Nessuno si accorgeva che,<br />
tra quelle lacrime di gioia, io nascondevo delle lacrime<br />
mie, mie soltanto, le lacrime del mio grande dolore.<br />
Tutti mi vogliono bene qui, in questo piccolo borgo<br />
incastrato tra i monti dell’Appennino ligure, dove il<br />
sole si vede per poche ore al giorno, dove gli inverni<br />
sono lunghi e freddissimi, dove i fitti boschi di<br />
castagni e di acacie sono il rifugio di lepri e di volpi, e<br />
non solo…<br />
Mio marito era cacciatore. Partiva la domenica col<br />
fucile in spalla e non tornava a casa finchè non aveva<br />
qualcosa che gli gonfiasse la cacciatora del suo<br />
giaccone di velluto a coste verde marcio.<br />
Ho sempre avversato quella sua passione, non mi<br />
piaceva che uccidesse animali indifesi.<br />
“Zunin” gli dicevo “io faccio nascere i bambini e tu<br />
vai ad uccidere delle povere creature. Non ci siamo,<br />
non ci siamo proprio…” Ma lui mi diceva che quasi<br />
tutti gli uomini del paese andavano a caccia, era uno<br />
svago, mica si doveva pensare che si andava ad<br />
ammazzare, si andava solo a divertirsi, a vedere se si<br />
era capaci a colpire qualcosa che vola, o che corre.<br />
Era fatto così, il mio Zunin. Lo chiamavo col<br />
cognome, come tutti in paese. Lavorava in ferrovia ed<br />
era un comunista sfegatato. Buono, un cuore grande<br />
170
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
e generoso, ma con una testa dura come il ferro. Se<br />
aveva in mente una cosa, quella era, ed era inutile<br />
provare a fargli cambiare idea.<br />
Mi ha lasciata sola dieci anni fa: stavamo pranzando e<br />
ad un tratto si è accasciato sul piatto, senza una<br />
parola. “Zunin, cos’hai? Non stai bene?”. Non mi<br />
sentiva già più. L’ha fatta veloce, lui.<br />
Come era nei suoi desideri, abbiamo fatto un funerale<br />
civile, che è stato, per quel tempo, una cosa<br />
eccezionale, disonorevole e immorale. Non certo per<br />
me e i suoi fratelli, o per quelli del paese che lo<br />
conoscevano bene e sapevano come la pensava, ma<br />
per alcuni parenti, che vi hanno partecipato,<br />
vergognandosi come cani. Sono rimasti di stucco, nel<br />
vedere il feretro andare dritto al cimitero senza<br />
passare dalla chiesa, con la banda che suonava<br />
l’Internazionale.<br />
Mi pareva di sentirli, i baciapile, commentare a denti<br />
stretti l’avvenimento. Ne avrebbero parlato per<br />
giorni, una volta ritornati a casa loro.<br />
Lui comunque, anche senza chiesa, credo sia andato<br />
nel posto dei buoni, non può essere altrimenti.<br />
Io, dal canto mio, aspetto ormai che venga il mio<br />
turno. Che ci sto a fare qui, senza Adriano, senza<br />
Zunin, senza Venuta? La mia vita ormai non ha più<br />
alcun senso, non sono più utile a nessuno, né alle<br />
mamme né ai bambini. Quante volte invece, quando<br />
qualcuno dei miei assistiti non aveva nemmeno un<br />
soldo per pagarmi, portavo coperte, pannolini,<br />
vestitini e, naturalmente, non volevo nulla per la mia<br />
171
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
prestazione. Anche per questo, qui, mi vogliono<br />
bene.<br />
“Ma sciura Maria” mi diceva Venuta, la nostra “tata”<br />
che è stata con noi da quando mi sono sposata fino a<br />
quando è morta, povera donna, “se fa così, come<br />
faremo a tirare alla fine del mese?”. “Non<br />
preoccuparti, Venuta, ce la faremo, vedrai. I soldi non<br />
sono poi così importanti. L’importante è che quella<br />
gente possa stare bene”.<br />
Venuta, la disponibilità e la bontà fatta persona. Una<br />
dedizione totale alla mia famiglia: per lei la famiglia<br />
eravamo noi. Quando è entrata in casa nostra, poco<br />
più che diciottenne, aveva perso i genitori da poco.<br />
Ricordo come fosse oggi quando si è presentata per<br />
venire a servizio: alta alta, magra magra, con i capelli<br />
neri pettinati lisci all’indietro e legati in una crocchia,<br />
un abito nero in maglia lungo fino alle caviglie che la<br />
rendeva più magra ancora. Mi ha fatto una tenerezza<br />
infinita: era una giovane che sembrava già vecchia,<br />
con il peso del suo dolore su quelle spalle gracili, negli<br />
occhi tristi la richiesta di conforto, di affetto, di aiuto.<br />
Non ho potuto dirle che non mi serviva una ragazza<br />
per le faccende domestiche. Ero fresca sposa e non<br />
avevo ancora molto lavoro che mi impegnasse<br />
lontano da casa tanto tempo da non permettermi di<br />
badare ai lavori casalinghi; ma quella sua aria da<br />
cucciolo spaurito, bisognoso d’amore, mi strinse il<br />
cuore e la assunsi.<br />
Da allora Venuta ha abitato con noi, facendo da<br />
mangiare, curando la casa, badando insomma a tutto<br />
172
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
quel che fa una domestica. Aveva la sua stanza, dove<br />
si ritirava soltanto dopo che noi eravamo andati a<br />
dormire, ed è diventata una di famiglia, quasi come<br />
una sorella per me, che ho soltanto fratelli, con cui<br />
quindi non posso avere grande affiatamento. Con lei<br />
mi confidavo e mi fidavo ciecamente della sua onestà<br />
al punto che le davo i soldi per il mese: per le spese<br />
del cibo, per quel che mancava in casa.<br />
Quando è nato Adriano, Venuta ha perso la sua<br />
immagine di zitellona ed è diventata una seconda<br />
mamma. La tenerezza e l’attenzione affettuosa con<br />
cui accudiva mio figlio, lo lavava, lo vestiva, lo faceva<br />
giocare erano unici. Ha riversato su di lui tutto<br />
l’amore materno di cui era colma, che aspettava<br />
soltanto di potersi manifestare; quel bambino<br />
rappresentava la sua gioia e il suo orgoglio, non solo<br />
il nostro.<br />
Adriano sapeva farsi amare: affettuoso, tenero,<br />
coccolone, trotterellava dietro alla sua “Nuta”<br />
seguendola per tutta la casa, e lei, conquistata da<br />
quell’amore di bimbo, obbediva ad ogni suo<br />
capriccio.<br />
Confesso che a volte provavo persino un po’ di<br />
gelosia per quella complicità che si era creata tra di<br />
loro, ma non poteva essere che così: io ero via quasi<br />
tutto il giorno e mio figlio stava più tempo con<br />
Venuta che con me. E inoltre io, da mamma, non lo<br />
viziavo come lei. Da quando Adriano era piccino fino<br />
a quel maledetto giorno in cui l’abbiamo perso per<br />
sempre, lei ha continuato a sbucciargli la frutta e a<br />
173
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
fargli trovare i pezzi già tagliati nel piatto. Usava<br />
quello stratagemma per fargli mangiare “le vitamine”,<br />
come le chiamava lei.<br />
Quando è mancata, dopo una breve malattia, ho<br />
perso la sorella che non avevo avuto. Mi riempiva la<br />
casa, era una presenza importante. Dopo la morte di<br />
mio marito, avvenuta così repentina, ho passato un<br />
brutto periodo e, se non avessi avuto lei vicina, che<br />
mi confortava e mi consolava, alleviando la mia pena,<br />
non so come avrei fatto a sopportare anche quella<br />
sofferenza. Il dolore pianto insieme per Adriano, me<br />
l’ha resa ancora più sorella. Io ero la madre, lei lo<br />
aveva allevato e amato come una madre. Ora che tutti<br />
se ne sono andati e mi hanno lasciata completamente<br />
sola, trascino la mia esistenza nell’ attesa di poterli<br />
ritrovare.<br />
La mia vita mi sembra uno scherzo del destino: ho<br />
aiutato a nascere mille bambini ma io, il mio, non<br />
sono riuscita a godermelo, se non per qualche anno.<br />
E ogni volta che una nuova vita veniva al mondo tra<br />
le mie mani, ogni volta era un ripercorrere la mia<br />
straziante sofferenza.<br />
Ogni giorno Adriano è nei miei pensieri, e, a volte,<br />
come una stupida sognatrice, mi ritrovo a immaginare<br />
che avrei potuto far nascere suo figlio: quale migliore<br />
ostetrica potrebbe esserci per il proprio nipotino? Ma<br />
poi ripiombo alla terribile realtà, alla mia casa vuota,<br />
al mio Adriano senza vita, le braccia inerti penzolanti<br />
dalla carriola, il petto squarciato dalle pallottole, e<br />
174
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
allora anche io vorrei morire, perché il dolore di una<br />
madre che sopravvive al figlio è insopportabile.<br />
28 settembre 1944. La giornata è uggiosa, sta<br />
venendo giù una pioggerellina fine, quasi autunnale.<br />
Qui, di questa stagione, a fine settembre è raro che le<br />
giornate siano belle e soleggiate. Già c’è poco sole<br />
d’estate, figuriamoci in questo periodo: gli Appennini<br />
ci stanno troppo sul collo, e le nuvole, certi giorni,<br />
sono così basse che sembrano nebbia. Bisogna<br />
rassegnarsi che stiamo entrando nella stagione più<br />
lunga, quella che sembra non finisca mai, che alle sei<br />
di sera è già notte e alle sei di mattino è ancora notte.<br />
Odio l’autunno e l’inverno: io che vorrei sempre<br />
vedere intorno a me la luce, il sole; vorrei il caldo,<br />
quel bel caldo che te ne puoi stare fuori anche di<br />
sera , solo col vestito, le spalle scoperte, a godere del<br />
calore dell’estate, a chiacchierare coi vicini fino a<br />
tarda sera sulle panche, a commentare i fatti del<br />
giorno, a spettegolare come delle vecchie comari<br />
linguacciute. Ma sono nata qui, tra queste aspre<br />
montagne, in questo paese che amo ma che non è il<br />
massimo che Dio fece. E pensare che il mare è<br />
soltanto lì dietro, a qualche decina di chilometri, ma<br />
per noi, qui, sembra distante come la luna.<br />
Sto tornando, verso sera, dal mio solito giro. Sono<br />
appena stata a medicare il cordone ombelicale di un<br />
piccolo nato tre giorni fa che ha urlato come un<br />
ossesso mentre lo disinfettavo.<br />
Poco prima mi era capitato uno di quei casi che non<br />
si augurerebbero nemmeno al peggior nemico: uno<br />
175
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
dei parti più difficili che possano verificarsi. Il<br />
bambino si è presentato podalico e ho dovuto faticare<br />
parecchio perché potesse uscire senza problemi<br />
dall’utero materno. In queste circostanze, non si sa<br />
mai come andrà a finire: il piccolo potrebbe nascere<br />
asfittico con gravi problemi, se non si fa in tempo a<br />
liberarlo dal cordone ombelicale che, come un<br />
cappio, gli si attorciglia attorno al collo. Bisogna agire<br />
in fretta, ma con la massima attenzione: un piccolo<br />
errore potrebbe essere fatale.<br />
Fortunatamente, il mio neonato è venuto alla luce un<br />
po’ blu, cianotico come si dice in termine medico, ma<br />
l’asfissia era lievissima, per cui, appena tagliato il<br />
cordone, ha ripreso il suo colore naturale e ha emesso<br />
l’atteso pianto liberatorio. Una nuova vita è appena<br />
uscita dalle mie mani, grazie a me lui ora vive: mi<br />
sento euforica, felice.<br />
Con la mia pesante borsa mi sto avvicinando alla<br />
porta d’entrata di casa. Lì davanti, un gruppo di tre<br />
ragazzi poco più che ventenni, vestiti con dei calzoni<br />
e dei giubbotti un po’ consunti, stanno fumando e<br />
sembra che aspettino me. Me ne accorgo perché da<br />
quando ho iniziato la discesa dopo la curva che dalla<br />
piazza della chiesa porta verso casa mia, i tre hanno<br />
incominciato a guardarmi e a parlottare tra di loro. Mi<br />
chiedo cosa vorranno da me dei ragazzi così giovani:<br />
certamente non un’ostetrica: sono troppo giovani per<br />
essere padri e troppo vecchi per essere fratelli di<br />
madri a cui possa essere utile un mio aiuto. Più mi<br />
avvicino e più i loro visi si fanno meno sfocati: strano<br />
176
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
che non li conosca, perché i giovani di quell’età, se<br />
sono del paese, li ho fatti nascere io e li ho visti poi<br />
crescere sotto i miei occhi. Non devono essere di<br />
queste parti, è evidente.<br />
Arrivo vicino al portone e sto tirando fuori di tasca le<br />
chiavi di casa, quando uno di loro, con fare<br />
circospetto, mi viene vicino vicino e quasi mi sussurra<br />
all’orecchio: “Lei è la sciura Maria?” Dico di sì, che<br />
sono io. “Avremmo bisogno dell’aiuto di suo figlio”,<br />
continua sottovoce. “Abbiamo un compagno ferito<br />
gravemente e ci hanno detto che suo figlio, Adriano<br />
vero?, studia da medico e cura i partigiani che sono<br />
stati feriti. Ci hanno detto che è in gamba e che sta<br />
dalla nostra parte. Gli dica di seguirci, solo lui può<br />
salvare il nostro amico. Siamo nascosti in un capanno<br />
nei boschi. Non possiamo portarlo allo scoperto,<br />
sarebbe troppo rischioso, qui girano un sacco di quei<br />
bastardi di fascisti”.<br />
Mi prende il panico. Non so perché, ma io che non<br />
ho mai paura di nulla e sono abituata, col mio lavoro,<br />
a dovere prendere decisioni immediate, in questo<br />
caso non so cosa fare e nemmeno cosa dire. Prendo<br />
tempo: “Credo che mio figlio non sia in casa.<br />
Quando arriverà, gli dirò di voi. Vedrà lui cosa fare”.<br />
“Signora, la prego, si metta una mano sulla coscienza!<br />
Non si può lasciare morire così un giovane! glielo<br />
dica che il nostro compagno ha una grossa ferita alla<br />
gamba, che perde molto sangue. Bisogna fare in<br />
fretta, altrimenti non se la caverà. Che prenda tutto<br />
177
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
l’occorrente, lui sa cosa serve, ma che venga subito,<br />
per l’amor di Dio!”.<br />
Oh Signore, ma cosa dico a questi? Chi li ha mai<br />
visti? Certo non posso conoscere tutti i partigiani<br />
della zona, qui i boschi ne sono pieni…però anche<br />
lasciar morire un giovane dissanguato…Adriano<br />
saprebbe come curarlo, fa solo il terzo anno di<br />
medicina, ma è un ragazzo in gamba, e poi si è fatto<br />
esperienza sul campo: è vero che ogni tanto va nei<br />
boschi a medicare i partigiani feriti.<br />
“Aspettate, vado a vedere se è a casa”. Corro su per<br />
le scale e spalanco la porta, come se qualcuno mi<br />
stesse rincorrendo.<br />
“Ehi, ma cosa succede? Ti sei ammattita?” mi fa<br />
Zunin, che vedendomi entrare stranamente affannata,<br />
si gira di scatto verso di me con aria sorpresa. E’ già<br />
sulla sua poltrona preferita vicino alla finestra. Sta<br />
imbrunendo e si è acceso l’abatjour: mi piace sempre<br />
guardarlo leggere assorto, gli occhiali calati sul naso,<br />
il profilo in controluce. Non è un bell’uomo, e ora,<br />
che sta invecchiando, ha messo su qualche chilo che<br />
lo rende un po’ goffo, ma è il mio Zunin, il mio buon<br />
marito, un buon padre per nostro figlio, un uomo che<br />
sotto la dura scorza del burbero comunista racchiude<br />
un animo generosissimo e io gli voglio bene come il<br />
primo giorno in cui ci siamo incontrati. Anzi, di più,<br />
perché l’amore e la passione dei primi anni si sono<br />
trasformati in affetto, amicizia, intimità, complicità.<br />
Sono contenta che sia il compagno della mia vita.<br />
178
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
“Non mi sono ammattita, ho solo fretta. Adriano è in<br />
casa?”<br />
“Sì, è di là in camera che studia. Perché?”<br />
“Ci sono tre ragazzi, giù, che avrebbero bisogno del<br />
suo aiuto. Sono partigiani, un loro compagno è ferito<br />
gravemente e vorrebbero che lui andasse con loro a<br />
curarlo”<br />
“Li conosci?”<br />
“No, non li ho mai visti, non credo siano delle nostre<br />
parti. Ma che c’entra, mica dobbiamo aiutare solo<br />
quelli che conosciamo”<br />
“Non volevo dire quello, Maria, ma dobbiamo stare<br />
in guardia. Di questi tempi non ci si può mai fidare di<br />
nessuno. Dico solo che sarebbe meglio conoscere<br />
quelli con cui si ha a che fare”. Intanto, mentre mi<br />
parla, sta guardando dalla finestra verso il basso, per<br />
cercare di capire chi siano i tre di cui gli ho parlato, e<br />
si avvicina talmente che il suo respiro crea una<br />
piccola zona appannata lì, dove il suo naso si<br />
appoggia al vetro.<br />
“Non essere così diffidente! Mi sono sembrati dei<br />
bravi ragazzi, solo spaventati e preoccupati per il loro<br />
amico. Vado a chiamare Adriano, magari lui li<br />
conosce”.<br />
La sua stanza è accesa: sono sicura che sta studiando.<br />
Deve dare un esame tra poco e, come d’abitudine,<br />
non si presenterà all’appello se non quando saprà<br />
tutto benissimo. E’ da quando fa le elementari che<br />
vuole essere sempre a posto con compiti e lezioni. E<br />
guai ad aiutarlo, ha sempre voluto fare tutto da solo.<br />
179
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non fa che darci soddisfazioni questo ragazzo, il suo<br />
libretto rosso di Medicina è pieno di voti altissimi,<br />
con molti 30. E’ intelligente, serio, studioso, ma è<br />
anche pieno di amici, con cui si diverte, discute di<br />
politica, fa baldoria nei giorni di festa; è sensibile, di<br />
quella sensibilità che non ti aspetteresti da un ragazzo<br />
così giovane, che gli permette di capire i suoi simili e<br />
di entrare subito in sintonia con loro. E poi è proprio<br />
bello: non starebbe a me dirlo, ma è vero e ha un<br />
sacco di ragazze che gli ronzano intorno, che<br />
vogliono uscire con lui. Insomma, non perché è mio,<br />
ma è il figlio che tutte le madri si augurerebbero di<br />
avere.<br />
Lo chiamo e lui mi invita ad entrare. Gli spiego dei<br />
tre giovani sotto, delle perplessità d suo padre. Come<br />
immaginavo, non si lascia impensierire dai timori di<br />
mio marito e scende le scale per raggiungerli e sentire<br />
di cosa abbiano bisogno, per capire cosa portare con<br />
sé.<br />
Li guardiamo dalla finestra avviarsi per la stradina che<br />
porta verso il bosco, dove si sa che si nascondono i<br />
partigiani. Mi prende sempre una stretta al cuore ogni<br />
volta che mio figlio va a curare qualche ferito, perché<br />
il pericolo che possano trovarlo i fascisti è ogni volta<br />
possibile.<br />
Questa maledetta lotta civile, questo ammazzarsi tra<br />
giovani di una stessa patria è quanto di più terribile<br />
possa essere successo in Italia dall’inizio della guerra.<br />
Anche la guerra, certo, è la disgrazia che ci ha portato<br />
via tanti e tanti giovani, ma gli scontri fratricidi che si<br />
180
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
stanno combattendo ora, italiani contro italiani,<br />
addirittura paesani contro paesani è assurda. Io non<br />
sto né con i fascisti né con i partigiani; capisco che,<br />
come dice Zunin, questi ultimi si battono per la<br />
liberazione, ma quello che più importa sono le vite<br />
che si perdono, i ragazzi che muoiono, le madri che<br />
piangono, il dolore che questa assurda lotta civile<br />
lascia dietro di sè come una lunga scia di sangue.<br />
Andiamo a dormire sperando che Adriano torni<br />
presto e che il ferito non sia tanto grave, ma io non<br />
riesco a prendere sonno. Ad ogni rumore sobbalzo,<br />
mi sembra sia lui che apre sotto la porta, ma poi non<br />
arriva nessuno. Di notte i problemi ingigantiscono, il<br />
buio esaspera ogni cosa e la mente torna sempre agli<br />
stessi pensieri, ricamandoci sopra con un unico<br />
colore: il nero. Mi giro e mi rigiro nel letto, finché,<br />
quando è quasi chiaro, mi alzo e vado in cucina a<br />
farmi un caffè, tanto ormai la notte è persa.<br />
Non capisco perché mio figlio non sia ancora<br />
tornato, ho dei brutti presentimenti, anzi ho proprio<br />
paura e mi accorgo che non è il freddo del mattino a<br />
farmi tremare. Possibile che il partigiano ferito sia<br />
così grave da obbligare Adriano a stare via tutta la<br />
notte? L’ansia non mi abbandona e mi sento stringere<br />
lo stomaco come in una morsa.<br />
Poco dopo entra mio marito: sono le sette e deve<br />
prepararsi per andare a lavorare.<br />
Mi chiede di Adriano, a che ora è arrivato. “Non è<br />
ancora tornato. Non ho dormito tutta la notte per<br />
aspettarlo, non so perché sia ancora via. Zunin, ho<br />
181
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
paura che sia successo qualcosa” e mentre lo dico, mi<br />
trovo a pensare che non “deve” essere successo nulla,<br />
perché ne morirei.<br />
Mio marito si avvicina, mi abbraccia e mi consola.<br />
Non è la prima volta che nostro figlio deve stare via<br />
tutta la notte per curare qualcuno. “Forse il ragazzo è<br />
proprio grave e tu sai come è Adriano, lui non viene a<br />
casa finché non vede che il ferito sta un po’ meglio.<br />
Dai, smettila di pensare sempre male, vedrai che tra<br />
poco arriva”. Poi mi saluta con un bacio e se ne va al<br />
lavoro.<br />
Non riesco a calmarmi. E’ via da troppe ore, deve<br />
essere successo qualcosa, qualche intoppo per cui<br />
non può tornare. Forse ha dovuto nascondersi,<br />
avranno sentito arrivare i fascisti e saranno rimasti<br />
chiusi nel capanno per non farsi scoprire. Sì, forse è<br />
così. Sicuramente non può muoversi perché c’è<br />
qualche fascista nei dintorni. Che stupida, ma certo,<br />
non può essere altrimenti. Ha ragione Zunin che<br />
penso sempre al peggio, ma quando si tratta di mio<br />
figlio non sono mai obiettiva, e mi lascio prendere<br />
dall’angoscia.<br />
Rasserenata da questi pensieri, anch’ io mi preparo<br />
per il mio solito giro di visite.<br />
Torno a casa all’ora di pranzo e Venuta, molto<br />
agitata, mi dice che Adriano non c è ancora.<br />
Mio Dio, aiutami! Ti prego, aiutami! Fallo tornare<br />
entro un’ora, ti prego, altrimenti non riesco più a<br />
vivere.<br />
182
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Arriva mio marito. “Adriano non c’è ancora!” gli<br />
grido disperata “Dobbiamo andare a cercarlo! Non è<br />
possibile che stia via tanto così per un ferito. Hai<br />
capito? Se non arriva entro un’ora andiamo, non<br />
possiamo più aspettare! Hai capito? Hai capito?”. Mi<br />
torco le mani, sono tutta un tremito e mi metto a<br />
piangere.<br />
“Maria, calmati, vedrai che adesso arriva, altrimenti sì,<br />
lo andiamo a cercare. Ma adesso calmati, su, stai<br />
tranquilla”.<br />
Passa un quarto d’ora e sentiamo suonare: ci<br />
precipitiamo ad affacciarci. E’ un amico di mio<br />
marito, uno che va sempre a caccia insieme a lui. Gli<br />
dice di scendere. Facciamo le scale volando, io non<br />
capisco più nulla, tremo soltanto e non riesco a<br />
fermare le lacrime che ormai scendono da sole.<br />
Luigi ci spiega che stamattina, mentre andava a<br />
caccia, è passato vicino a un capanno e ha visto<br />
nostro figlio. Dice che è ferito, che bisogna andare<br />
con qualcosa a prenderlo, perché non può reggersi in<br />
piedi. Magari una carriola, ecco, potrebbe andare<br />
bene una carriola. Noi non ce l’abbiamo, ma<br />
conosciamo un muratore che può prestarcela.<br />
“Vengo anche io” grido spaventata “aspettatemi, se è<br />
ferito lo posso medicare subito lì”.<br />
“No, sciura Maria, stia qua ad aspettarci. Andiamo<br />
noi, non c’è bisogno che venga anche lei”.<br />
“Vero, Maria, aspettaci qua, lo medichi poi a casa con<br />
calma”.<br />
Mi lascio convincere e li attendo fuori dalla porta.<br />
183
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Grazie Signore! E’ solo ferito, non è successo nulla di<br />
quel che temevo! Grazie, grazie! E, piangendo,<br />
abbraccio Venuta.<br />
Dopo un tempo che non so, vedo arrivare da lontano<br />
Luigi e mio marito. Sta spingendo lentamente la<br />
carriola, le spalle chine, la testa bassa. Sono ancora<br />
troppo lontani per vedere come sta mio figlio, vedo<br />
solo penzolare le braccia e le gambe: è così alto, come<br />
fa a stare dentro una carriola? Più si avvicinano e più<br />
il mio tremito ricomincia. Vedo Zunin, piange, sta<br />
singhiozzando. E poi vedo quello che una madre non<br />
dovrebbe vedere mai, mai, mai nella sua vita. Adriano<br />
ha il torace squarciato da colpi di pistola, è tutto un<br />
sangue, immobile, le braccia e le gambe inerti<br />
seguono il lento muoversi della carriola, la testa<br />
reclinata da una parte, nella fissità della morte.<br />
Mi precipito sul corpo. Quel corpo martoriato,<br />
trafitto, colpito, lacerato, ucciso. Ucciso. In<br />
un’imboscata: quei ragazzi erano fascisti, non<br />
partigiani. E me lo hanno ucciso. E mi hanno ucciso.<br />
Adriano, io muoio con te, tesoro mio, muoio con te.<br />
E mentre gli pulisco la faccia coperta di sangue e gli<br />
cullo la testa tra le mani, tutto intorno a me si fa buio.<br />
indice<br />
184
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
6. La classifica del concorso<br />
Sezione Poesia inedita a tema libero<br />
1) Gennaro De Falco Blackout metafisico<br />
2) Rita Stanzione Insostenibile<br />
risucchio esistenziale<br />
3) Emanuele Insinna Il tempo dei<br />
[rimbombi]<br />
4) Chris Mao L'altalena<br />
5) Silvia Napoleoni Un giorno<br />
qualunque<br />
6) Roberto Ragazzi Nelle cose<br />
7) Franco Romano Falzari Ferragosto<br />
8) Givanni Battista Basile A te che sei giovane<br />
9) Gabriella Maddalena Cono d'ombra<br />
10) Cristina Mantisi Nella gabbia<br />
Sezione Racconto inedito a tema libero<br />
1) Mario Trapletti Il destino non buca<br />
[il biglietto]<br />
2) Jessica Puliero Maturità<br />
3) Gianni Martinetti Il disertore<br />
4) Gabriele Fumagalli Il Caduto<br />
5) Mario Fulvio Giordanino Anime Elette<br />
6) Maria Carla Bracaccini La Collanina<br />
7) Cinzia Balestra L'isola tartaruga<br />
8) Alessandro Cuppini Sull’accelerato<br />
9) Giulia Pirrini Gelido soffio di<br />
[vento]<br />
10) Pierangelo Colombo La pensione<br />
185
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Sezione Donna<br />
1) Bruno Bianco La prima<br />
parte<br />
2) Vanes Ferlini Ogni sera,<br />
tranne il<br />
[giovedì]<br />
3) Vadis Cappa La Vacuità<br />
4) Chiara Loria Parole (da<br />
donna a<br />
[donna)]<br />
5) Tiziana D’Oppido Le sorelle Q<br />
6) Marco Romagnoli Elegia<br />
7) Sabrina Balbinetti Stasera<br />
8) Francesca Levo Calvi Giovanna,<br />
una<br />
[ragazza allegra]<br />
9) Stefania Pellegrini E' donna<br />
10) Daniela Mascotto Cronaca di un<br />
[interno molto particolare]<br />
186
<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Sezione (R)esistere<br />
1) Dario Maria Desantis I nostri pezzi che<br />
[un giorno furono interi poeti]<br />
2) Claudio Prili Diario di un soldato<br />
3) Maria Teresa Montanaro Il rifiuto<br />
[(…La dentro la curva…)]<br />
4) Rivolta Paola Genesi 2,23<br />
5) Susanna Giannotti Io schiava<br />
6) Domenico Garaffa Massacro a<br />
[Wounded Knee - Ginocchio Ferito]<br />
7) Emanuela Bertello Ad un reduce<br />
8) Brunello Buonocore Il Comandante<br />
9) Mario De Fanis Una musica venuta<br />
[da lontano]<br />
10) Maria Denise Spinelli Il rumore del<br />
[silenzio]<br />
Finito di stampare Giugno 2011<br />
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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
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