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Antologia Pagine Ribelli Volume Terzo

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Autori Vari<br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

<strong>Terzo</strong> <strong>Volume</strong><br />

2


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

Ad Agosto <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> compie tre anni di attività.<br />

Tre anni di intenso lavoro, di soddisfazioni, di<br />

entusiasmo, nei quali siamo riusciti a traguardare<br />

impegni importanti e progetti ambiziosi.<br />

Con orgoglio possiamo dire che questa realtà e<br />

questo gruppo è conosciuto sia in Italia che all’estero.<br />

A fianco di autori ormai affezionati alle nostre attività<br />

e ai nostri concorsi, si aggiungono e partecipano<br />

nuovi autori,giovani e meno giovani, che ci onorano<br />

della loro attenzione e collaborazione. Siamo riusciti a<br />

realizzare e a concretizzare tutto ciò grazie<br />

soprattutto a voi, a voi autori, che con i vostri scritti,<br />

la vostra attenzione e il vostro appoggio ci state<br />

supportando in modo significativo.<br />

Tre anni di vita e di attività non sono pochi, un<br />

risultato ed un traguardo per nulla<br />

scontato,soprattutto perché raggiunto in uno scenario<br />

in cui la deriva culturale, l’assopimento delle<br />

coscienze e delle menti umane è divenuto strategia<br />

dell’agire del potere politico ed economico.<br />

Il lavoro portato a termine da quella sera di agosto<br />

2008, nella quale si è deciso di intraprendere questo<br />

progetto, è stato tanto e ha visto come tappe<br />

fondamentali :<br />

• La realizzazione del sito www.pagineribelli.it<br />

3


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

• L’organizzazione del primo , del secondo e<br />

del terzo concorso letterario nazionale<br />

Adriano Zunino<br />

• L’organizzazione del concorso di poesia<br />

‘I Poeti di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong>’.Concorso gratuito<br />

esclusivamente on-line conclusosi con la<br />

realizzazione dell’omonima anotologia. Le<br />

adesioni sono state stratosferiche : 662<br />

Partecipanti (314 donne e 348 uomini) per<br />

2.492 Opere Inviate. Con una età media dei<br />

partecipanti di 39 anni.<br />

• Altro porgetto da ricordare è stato ‘Articolo<br />

32 Una Pillola Costituzionale’ legato al bando<br />

‘Adotta un articolo della costituzione’ indetto<br />

dall’ANPI provinciale di Savona al quale<br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> ha aderito adottando l’articolo<br />

32 e realizzando l’antologia ‘Articolo 32 una<br />

Pillola costituzionale’ contenente il DVD<br />

della registrazione dello spettacolo teatrale<br />

realizzato il 1° Aprile 2011. Questo progetto<br />

è stato realizzanto attingendo dalle opere che<br />

abbiamo ricevuto nelle precedenti edizioni<br />

dei nostri concorsi e da opere appositamente<br />

inviate per questo scopo che ben si<br />

prestavano a trattare l’articolo 32 della nostra<br />

costituzione,da un punto di vista tipicamente<br />

letterario..<br />

• L’incontro importante e qualificante con la<br />

compagnia teatrale TimoteoTeatro di Elio<br />

4


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Berti ‘I commedianti’. Da questa<br />

collaborazione sono scaturiti lavori di<br />

drammatizzazione,di rievocazione e di<br />

declamazione collettiva delle opere legate alle<br />

edizioni del nostro concorso che hanno<br />

arricchito di significato e di qualità il nostro<br />

lavoro. Testimonianza di quanto le varie<br />

espressioni artistiche: poesia, racconti,teatro<br />

e musica si compenetrino e permettano di<br />

realizzare e costruire momenti di incontro<br />

collettivo e di spettacolo che a pieno titolo si<br />

annoverano in ciò che comunemente viene<br />

definito “espressione artistica”.<br />

• La collaborazione importante e significativa<br />

con la prof. Roberta Melandri che cura<br />

l’aspetto musicale di tutte le manifestazioni<br />

pubbliche ha dato un ulteriore senso al<br />

nostro lavoro.<br />

• La disponibilità,la qualificata competenza<br />

degli esponenti della giuria ha assicurato una<br />

grande continuità e serietà nelle valutazioni<br />

delle opere.<br />

• Le adesioni e i lavori dei partecipanti ai nostri<br />

concorsi ci hanno permesso di traguardare<br />

risultati importanti per noi inimmaginabili<br />

all’inizio del nostro percorso. E di ciò<br />

ringraziamo ancora tutti gli autori e i<br />

partecipanti ai nostri concorsi.<br />

L’impegno per il futuro è di continuare e rafforzare<br />

questo progetto, aperto a tutti coloro i quali vorranno<br />

5


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

partecipare, al di la e al di sopra delle appartenenze<br />

politiche e partitiche dei singoli.<br />

Un ringraziamento sentito a tutti coloro i quali hanno<br />

realizzato tutto questo e vorranno continuare questa<br />

straordinaria esperienza.<br />

La redazione di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

Proprietà letteraria degli Autori<br />

A.A.V.V. – <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> © 2011<br />

www.pagineribelli.it<br />

Stampato in proprio nel giugno 2011<br />

I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.<br />

Nessuna parte di questo libro può essere usata,<br />

riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi senza<br />

autorizzazione scritta dell’autore.<br />

6


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Indice<br />

PAGINE RIBELLI.......................................................<br />

3<br />

PREFAZIONE<br />

......................................................... 10<br />

1. SEZIONE POESIA INEDITA A TEMA LIBERO...............<br />

13<br />

1.1 L’ALTALENA<br />

.................................................. 13<br />

1.2 INSOSTENIBILE RISUCCHIO ESISTENZIALE<br />

.............. 14<br />

1.3 BLACKOUT METAFISICO.....................................<br />

16<br />

1.4 UN GIORNO QUALUNQUE....................................<br />

17<br />

1.5 FERRAGOSTO<br />

1.6 A TE CHE SEI GIOVANE<br />

1.7 IL TEMPO DEI RIMBOMBI<br />

1.8 NELLE COSE<br />

1.9 CONO D’OMBRA<br />

1.10 NELLA GABBIA<br />

.................................................. 18<br />

..................................... 19<br />

................................... 20<br />

................................................... 21<br />

.............................................. 22<br />

.............................................. 23<br />

2. SEZIONE RACCONTO INEDITO A TEMA LIBERO..........<br />

25<br />

2.1 MATURITÀ<br />

2.3 ANIME ELETTE<br />

2.4 L’ISOLA TARTARUGA<br />

2.5 SULL’ACCELERATO<br />

2.6 GELIDO SOFFIO DI VENTO<br />

..................................................... 25<br />

................................................ 41<br />

2.7 IL DESTINO NON BUCA IL BIGLIETTO<br />

2.8 LA PENSIONE<br />

....................................... 47<br />

.......................................... 52<br />

.................................. 62<br />

................... 68<br />

.................................................. 73<br />

7


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.9 IL DISERTORE .................................................. 78<br />

2.10 LA COLLANINA<br />

............................................. 83<br />

3. SEZIONE DONNA................................................<br />

87<br />

3.1 OGNI SERA, TRANNE IL GIOVEDÌ..........................<br />

87<br />

3.2 ELEGIA<br />

......................................................... 96<br />

3.3 PAROLE (DA DONNA A DONNA) ........................... 98<br />

3.4 LE SORELLE Q.................................................<br />

99<br />

3.5 STASERA ...................................................... 102<br />

3.6 E’ DONNA<br />

.................................................... 103<br />

3.7 GIOVANNA, UNA RAGAZZA ALLEGRA..................<br />

104<br />

3.8 LA VACUITÀ<br />

................................................. 110<br />

3.9 CRONACA DI UN INTERNO MOLTO PARTICOLARE<br />

3.10 LA PRIMA PARTE<br />

.. 111<br />

......................................... 118<br />

4. SEZIONE (R)ESISTERE.......................................<br />

125<br />

4.1 IL RIFIUTO (LÀ, DIETRO LA CURVA...) ................ 125<br />

4.2 I NOSTRI PEZZI CHE UN GIORNO FURONO INTERI POETI<br />

......................................................................... 133<br />

4.3 GENESI 2,23 * .............................................. 136<br />

4.4 DIARIO DI UN SOLDATO<br />

.................................. 143<br />

4.5 MASSACRO A WOUNDED KNEE - GINOCCHIO FERITO<br />

......................................................................... 145<br />

8


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

NB I PUNTI-BASTONI NELLA VERSIONE ORIGINALE SONO IN<br />

ROSSO<br />

................................................................. 146<br />

4.6 IL RUMORE DEL SILENZIO<br />

4.7 IL COMANDANTE<br />

4.8 IO ... SCHIAVA<br />

4.9 AD UN REDUCE<br />

................................ 147<br />

............................................ 148<br />

............................................. 154<br />

............................................. 156<br />

4.10 UNA MUSICA VENUTA DA LONTANO<br />

................ 157<br />

5. FUORI CONCORSO.............................................<br />

162<br />

5.1 IL CUORE NEL VASO<br />

5.2 IO CHIEDO PERDONO<br />

5.3 LA “SCIURA MARIA”<br />

....................................... 162<br />

....................................... 167<br />

.................................... 169<br />

6. LA CLASSIFICA DEL CONCORSO...........................<br />

185<br />

SEZIONE POESIA INEDITA A TEMA LIBERO.................<br />

185<br />

SEZIONE RACCONTO INEDITO A TEMA LIBERO............<br />

185<br />

SEZIONE DONNA..................................................<br />

186<br />

SEZIONE (R)ESISTERE...........................................<br />

187<br />

9


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Prefazione<br />

La Redazione di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

Il rapporto esistente tra cultura e società, o meglio tra<br />

cultura e potere, è sempre stato al centro di un<br />

importante dibattito politico e filosofico.<br />

La “modernità liquida” ha profondamente segnato sia<br />

il concetto di cultura che le sue manifestazioni,<br />

lasciando inalterata l’importanza di alcuni concetti<br />

fondamentali a partire dalla definizione di cultura , di<br />

egemonia culturale, delle funzioni ed interconnessioni<br />

esistenti tra potere e cultura.<br />

Non a caso oggi si riaccendono i riflettori sul<br />

fenomeno della deriva culturale in atto nel nostro<br />

paese.<br />

Gramsci affermava che “tutti gli uomini sono<br />

intellettuali”, poiché ogni uomo, consapevolmente o<br />

meno, esplica “una qualche attività intellettuale”.<br />

Non esiste attività umana “da cui si possa escludere ogni<br />

intervento intellettuale”, “non si può separare l'homo faber<br />

dall'homo sapiens”. Tuttavia, “non tutti gli uomini hanno<br />

nella società la funzione di intellettuali”.<br />

Per Gramsci “la supremazia di un gruppo sociale si<br />

manifesta come egemonia e come direzione intellettuale<br />

e morale”.<br />

Quest’ultima funzione è demandata ai cosiddetti<br />

intellettuali “organici”, cioè legati organicamente al<br />

gruppo sociale fondamentale e dominante, svolgendo<br />

10


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“funzioni organizzative e connettive”, di direzione<br />

ideologica e culturale.<br />

L'egemonia è dunque il dominio di una classe sulle<br />

altre attraverso un'operazione di controllo culturale e<br />

ideologico e di esercizio del potere, sia in senso<br />

coercitivo, che di persuasione razionale, di influenza<br />

sul pensiero, sulla vita, sulla moralità, sulle abitudini<br />

sociali dei singoli.<br />

L'esercizio dell'egemonia ,tipico dei regimi liberali e<br />

parlamentari, è caratterizzato dalla combinazione e<br />

dall'equilibrio fra forza e consenso. La forza deve<br />

sembrare sempre giustificata dal consenso della<br />

maggioranza; che è espresso dagli organi di opinione<br />

pubblica che, a questo scopo, “vengono moltiplicati<br />

artificiosamente”.<br />

Il neoliberalismo moderno risulta la concretizzazione<br />

della teoria gramsciana dell’egemonia culturale. La<br />

visione neoliberalista ha saputo sottomettere ogni<br />

dimensione dell’esistenza e delle relazioni umane alla<br />

razionalità economica , al calcolo del rapporto<br />

esistente tra costi e benefici, cui deve sottostare ogni<br />

azione e relazione umana. Ha sviluppato “pratiche e<br />

ricompense per dare corpo a tale visione” 1 .<br />

Il presente volume,i testi contenuti, vogliono essere<br />

una piccola risposta ed un piccolo contributo di<br />

“intellettuali tradizionali”, che si rappresentano come<br />

1 W.Brown,Neoliberalism and the end of Liberal Democracy<br />

(2003). Luciano Gallino Finanzcapilasmo la civiltà del denaro in<br />

crisi (2011)<br />

11


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante”, al<br />

dilagare dell’egemonia culturale esercitata dagli<br />

“intellettuali organici” gramscianamente intesi.<br />

12<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1. Sezione Poesia Inedita a tema libero<br />

1.1 L’altalena<br />

di Chris Mao<br />

Ora che il luogo<br />

è deserto,il gemito<br />

del vento trascina via<br />

piccole voci di fuggitivi;<br />

una rete a strascico<br />

sui pori dilatati del silenzio.<br />

L'ombra che sovrasta<br />

la nostalgia del giorno<br />

sorprende i quadranti<br />

pieni di fumo e panni stesi.<br />

Con gli stormi allineati<br />

sulle funi nere degli uomini,<br />

con l'altalena che non smette<br />

di dondolare,riappare<br />

la calma oscura della sera.<br />

13<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.2 Insostenibile risucchio esistenziale<br />

di Rita Stanzione<br />

Sarà che s’è prosciugata<br />

l’acqua delle riserve<br />

che è evaporata una circostanza<br />

o che sul letto il sole<br />

mi ha disegnato cocci…<br />

ho guardato le macchie sul planisfero<br />

e mi sono illuminata<br />

degli abissi dimensionali<br />

tra me e il resto del mondo.<br />

Sono invisibile<br />

e leggera. Troppo.<br />

…e il risucchio<br />

ha fauci spalancate.<br />

Faccio un giro di rivoluzione<br />

sui concetti preconfezionati<br />

e capisco che mi hanno gabbata<br />

a sufficienza…<br />

se rimescolo i dadi<br />

potrei riesumare la casualità.<br />

Mi sta pure stretta<br />

la patina della sobrietà<br />

disabilito le feste raccomandate<br />

e profano lo scaffale<br />

della psicologia esistenziale.<br />

Rigirato il senso del quotidiano<br />

mi leggo nel profondo<br />

da inesplorate prospettive.<br />

14


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Sono neo-nata.<br />

E proverò anche<br />

a leggermi<br />

da destra verso sinistra<br />

…è solo questione d’esercizio<br />

15<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.3 Blackout metafisico<br />

di Gennaro De Falco<br />

Questa notte<br />

che le stelle sono brandelli<br />

di un cielo inesistente<br />

Questa notte<br />

che non ci sono luci<br />

neppure in piazza Cinque Giornate<br />

Questa notte<br />

che anche le macchine<br />

vanno a fari spenti<br />

Proprio questa notte<br />

abbracciamoci per strada<br />

e restiamo in silenzio<br />

Non serve parlare<br />

tanto sappiamo come vorremmo il mondo<br />

Sogniamo a luci spente<br />

e prendiamo questi brandelli di stelle<br />

Ricostruiremo questo cielo inesistente.<br />

16<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.4 Un giorno qualunque<br />

di Silvia Napoleoni<br />

Il gergo del ferro detta le regole<br />

archiviato l'essere per l'avere<br />

quello che resta non è altro che fumo,<br />

sensi vietati e giorni di carta<br />

la vita in filodiffusione<br />

si siede e ascolta<br />

frasi fatte ad incorniciare il volto<br />

come luci intorno ad un Santo<br />

eroi in piume di struzzo fanno la fila<br />

per gli autografi della sera<br />

chiedono gloria ricevono fama<br />

un quarto d'ora può essere lungo<br />

quanto il respiro del vento<br />

passa l'ora<br />

si ricomincia da capo<br />

accontentarsi è un'arte senza memoria<br />

17<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.5 Ferragosto<br />

di Franco Romano Falzari<br />

Per un'ottica eccessivamente dilatata<br />

pronto a tutto<br />

regalo il didietro<br />

al primo che impartisce dogmi sul vivere<br />

e inchioda qui<br />

a rimestare un mondo in agrodolce<br />

il lunedì di ferragosto<br />

atto di fede nelle parole<br />

vendute ad altri giurando<br />

Nuvoloni coinvolgono gli umori<br />

ingrumano tristezze e rancori<br />

qualche parola fresca é nel cestino<br />

ripudiata<br />

quasi un funerale<br />

ai romanzi mai scritti<br />

per troppa confusione mentale<br />

18<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.6 A te che sei giovane<br />

di Giovanni Battista Basile<br />

A te che sei giovane,<br />

vorrei insegnare come si dovrebbe morire,<br />

con dignità e con uno sguardo bonario<br />

agli anfratti della memoria.<br />

A te che sei giovane,<br />

vorrei insegnare come si dovrebbe morire,<br />

e forse dovrei mentire,<br />

dicendo che non si muore soli.<br />

Vorrei vigilare sul tuo futuro cammino<br />

con la mia sapienza di vecchio;<br />

ma la saggezza l'ho costruita pietra su pietra,<br />

pietre amare erose dal vento del rimpianto.<br />

Si spegne l'ultimo sguardo del sole<br />

in questa buia stanza d'ospedale.<br />

Un Dio a me ignoto,<br />

forse compare di mille sventure,<br />

è questa croce dell'estrema unzione.<br />

19<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.7 Il tempo dei rimbombi<br />

di Emanuele Insinna<br />

Le lingue grigie delle ciminiere<br />

non salgono a sporcare l’azzurro.<br />

Uomini seduti guardano smarriti<br />

gli anni già passati,<br />

tra rimbombi<br />

e caldi sudori.<br />

Nell’amplesso<br />

silenzioso dei martelli<br />

e delle sirene ormai mute,<br />

la protesta non scende sulle strade<br />

ma sale sui tetti<br />

tra il vento e il gelo,<br />

dove rabbia e paura si fanno tutt’uno.<br />

Per queste mani che hanno creato,<br />

lavorato e recato sollievo<br />

non ci sarà domani,<br />

ma solo un maledetto oggi.<br />

20<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.8 Nelle cose<br />

di Roberto Ragazzi<br />

Non mi cercare ancora,<br />

tu mi hai già trovato.<br />

Sono nelle cose<br />

e nelle distanze del tempo,<br />

indeciso sogno in balia<br />

delle scelte mai fatte.<br />

Sono formica operosa<br />

che si prepara all'inverno<br />

e cicala canterina<br />

che si gode nel giorno.<br />

Sono spiga di grano<br />

per il pane quotidiano<br />

e papavero rosso<br />

che si crogiola al sole.<br />

Sono fiume tumultuoso<br />

che discende la valle<br />

e barbone stanziale<br />

che aspetta la sorte.<br />

Non mi cercare ancora,<br />

io sto nelle cose.<br />

21<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.9 Cono d’ombra<br />

di Gabriella Maddalena<br />

Inquietudine senza risposta.<br />

Sono un mondo poco esplorato<br />

con venti freddi<br />

e piogge torrenziali.<br />

Giro<br />

manovrata da oscure forze cosmiche.<br />

I miei pensieri come uccelli<br />

fuggono da me<br />

non si lasciano prendere.<br />

Temo il mio cono d'ombra<br />

inquietudine e ansia<br />

sono i fedeli compagni<br />

gli amici che mi tengono stretta<br />

nei miei giri solitari.<br />

Potessi catturare i miei pensieri!<br />

22<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

1.10 Nella gabbia<br />

di Cristina Mantisi<br />

Scrivere e poi cancellare.<br />

Riscrivere<br />

e cerchi disegnare perfetti,<br />

tutti tondi, senza fine,<br />

tutti uguali.<br />

Nella gabbia<br />

si può solo star seduti<br />

senza vedere oltre.<br />

Cosa possono gli occhi<br />

guardare fuori dal niente?<br />

E’ aver dimenticato già<br />

una sorta di miracolo,<br />

il puro oblio dalla follia,<br />

dolce paramento<br />

di maschere uniformi.<br />

Il carboncino<br />

traccia linee scure,<br />

montagne senza vette,<br />

segni di dolorose assenze,<br />

acromatici fondali senza mari<br />

nascosti nella dimenticanza<br />

di stanze senza memoria.<br />

Se soltanto potess’io alzarmi<br />

e uscire fuori dalla gabbia<br />

per una volta sola, uscire<br />

scappar via<br />

dove le stelle<br />

sono lì ad aspettare.<br />

23


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

24<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2. Sezione Racconto inedito a tema<br />

libero<br />

2.1 Maturità<br />

di Jessica Puliero<br />

Esame di stato. Schierati a mezzaluna, come un<br />

moderno plotone d'esecuzione. Equamente divisi in<br />

docenti esterni, provenienti da altri istituti, e docenti<br />

interni, ovvero insegnanti che conosco da cinque<br />

anni.<br />

Mi guardano e sembrano pensare ad altro, non<br />

ancora calati perfettamente nel contesto. Sono la<br />

prima della mattinata, ed i loro cervelli, quasi quanto<br />

il mio, stanno cercando di raccattare i neuroni<br />

necessari allo sforzo che li attende. Fino a qui tutto<br />

bene. Ho passato gli scritti senza infamia né gloria,<br />

attingendo alle risorse accumulate in questi anni di<br />

scuola, senza nessuna preparazione particolare frutto<br />

di studi approfonditi. Dev'essere questo che<br />

infastidisce gran parte delle persone. Che io ce la<br />

possa fare senza impegnarmi troppo. Come recita<br />

l'oracolo dello studente “Potrebbe ma non si<br />

applica”, con messaggio subliminale sul futuro<br />

“Potrai, ma non ce la farai”. Quelli come me non<br />

arrivano. Non studiano mai abbastanza, non hanno<br />

tanta cultura da essere considerati dei secchioni o<br />

geni, né troppo poca per ricevere aiuto. Si avviano<br />

lentamente verso la zona grigia, dove vivranno una<br />

vita media e moriranno, per lo più sconosciuti.<br />

25


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Per quanto non studiassi e non facessi nulla per farmi<br />

notare nell'ambito scolastico, riuscivo con facilità ad<br />

addomesticare le parole, mettendole con abilità sul<br />

foglio, inanellando frasi che destavano ammirazione<br />

sia nei compagni che arrivavano a leggerle che nei<br />

professori. E come vuole la sacrosanta legge del<br />

contrappasso, se da un lato si poteva affermare che<br />

possedessi una dote nella scrittura, dall'altro<br />

presentavo profonde e struggenti carenze nella<br />

comunicazione verbale. Il più delle volte ascoltavo la<br />

mia voce spandersi nell'aria, dando vita a pensieri ben<br />

formulati, sensati e lineari, e dopo pochi istanti<br />

potevo sentirla infrangersi su scogli inesistenti,<br />

barriere che solo lei vedeva e da cui non riuscivo a<br />

proteggerla. Allora il viso si accendeva di un rosso<br />

fluorescente, le corde vocali grattavano e<br />

s'impastavano in boli di saliva resa amara<br />

dall'imbarazzo. Ed ogni volta pensavo che sarei<br />

soffocata, nella mia stessa bava e vergogna. Ma non<br />

accadeva mai nulla di così tragico, non arrivava mai<br />

nessuno a salvarmi da quella situazione, ed io<br />

rimanevo impietrita, ebete con l'occhio fisso<br />

sull'interlocutore,divertito e crudele.<br />

“Signorina, con che cosa vuole iniziare?”<br />

Cerco nel labirinto celebrale l'incipit preparato con<br />

cura, fino a pochi minuti fa, oltre quel muro, al di là<br />

del vecchio portone in legno. Dove cazzo sta?<br />

“Vediamo” temporeggia uno dei commissari,<br />

sfogliando la tesina che ho presentato, accuratamente<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

stampata e rilegata. Sta guardando ciò che so, mentre<br />

io sto qui e non riesco a dirlo.<br />

“Potrebbe parlarci del Pirandello, sembra esserle<br />

particolarmente piaciuto” . E' il professore di italiano<br />

a parlarmi. Mi soccorre o cerca di farlo. Gli sorrido,<br />

debole e dura. Le mani sudano, e si stropicciano l'un<br />

l'altra come bisce incazzate, mentre il sangue mi si<br />

ghiaccia nelle arterie. Mi aggrappo con forza a tutto<br />

l'ossigeno che riesco a far mio, e comincio a parlare.<br />

All'inizio non sembra nemmeno appartenermi, quella<br />

voce timorosa che inciampa qua e là tra frasi e<br />

pensieri. Poi la sento acquisire sicurezza. La<br />

letteratura è un territorio a me favorevole, e l'autore è<br />

tra i miei preferiti. Tutto il suo pensiero sulle<br />

maschere adottate dall'essere umano, la questione<br />

irrisolta tra io ed es è di gran lunga il concetto più<br />

realistico che la scuola mi abbia lasciato. Spazio<br />

tranquilla dalla vita, alla bibliografia, per poi<br />

addentrarmi con profondità nelle tematiche delle<br />

opere, con le sue teorie disincantate sulla natura degli<br />

uomini e sui modi di rapportarsi tra loro. Mi appare<br />

così semplice e vero ciò che scrive da riuscire a<br />

spiegarlo senza filosofeggiare inutilmente. Stupito<br />

dall'euforia del mio monologo, il presidente di<br />

commissione m'interrompe.<br />

“L'ha colpita questa filosofia pirandelliana. Strano,<br />

ascoltiamo a ripetizione diserzioni leopardiane o<br />

foscoliane, per non parlare della letteratura<br />

scapigliata. Un vero flagello della maturità. Ha<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

qualche motivo per essere così attratta dal Nostro,<br />

oltre al suo mero gusto personale?”<br />

“Direi di sì,” tentenno<br />

“Direbbe?” incalza.<br />

“Sì”, ribadisco secca.<br />

Certo d'aver intravisto un nervo scoperto, quello<br />

continua. Quanti studenti ha già visto e quanti<br />

attendono ancora il suo giudizio da qui alla pensione.<br />

Potrebbe averne fatti fuori a decine, schiacciandoli<br />

col peso del suo potere travestito da sapere, altri<br />

invece li avrà certamente gratificati. Mi son sempre<br />

chiesta in base a cosa si decide chi sale e chi scende,<br />

chi vivrà e chi no, a chi va data la possibilità di<br />

provarci e a chi vengono tranciate le gambe di netto.<br />

Ed ora, quest'uomo brizzolato, ben vestito, lavato,<br />

profumato, con la fede d'oro<br />

all'anulare un po' troppo stretta, le scarpe odorose di<br />

lucidante ed uno sguardo azzurro un po' troppo<br />

acquoso per essere sincero, che maschera indossa<br />

costui? Che ne vuol fare del mio destino?<br />

“Continui, la prego, sento che può degnarci di una<br />

pregevole perla di saggezza. Direi quasi un raggio<br />

luminoso in questa grigia ed afosa mattinata d'estate.”<br />

Dice, ruotando la testa e raccogliendo sorrisi e<br />

consensi dagli altri docenti.<br />

E’sfida.<br />

Il prof. d'italiano, l'unico che conosce abbastanza<br />

bene i miei pregi e difetti non solo studenteschi, cerca<br />

d'inviarmi sguardi eloquenti del tipo “Lascia perdere,<br />

questo ti strizza e poi ti schiaccia” di cui il sottotitolo<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

poteva essere “e ti giochi pure il voto della maturità”.<br />

Ma ormai del voto mi frega poco o niente. Se<br />

vogliono prendersi quei pochi numeri che possono<br />

far di me una persona mediamente sufficiente, beh,<br />

che lo facciano. Qui, ora, dirò quello che penso.<br />

Ignoro quindi il consiglio silenzioso del mio mentore,<br />

e avanzo per la mia strada, quale che sia.<br />

“Signori, vogliamo forse negare che tutti, presenti<br />

non esclusi, indossiamo delle maschere? Prenda me.<br />

Di fronte a voi, che esercitate un potere datovi dal<br />

Ministero, mantengo un atteggiamento consono,<br />

frutto di anni di “educazione” familiare e scolastica<br />

dedita al trasformarmi in un perfetto e mansueto<br />

esemplare del genere umano. Simulo sottomissione<br />

perché è questo che voi vi aspettate io faccia.<br />

Rispondo alle vostre domande in base a quello che<br />

voi e i vostri libri avete preteso di insegnarmi, con i<br />

modi che ritenete più corretti. Appare chiaro che se<br />

non approvassi un vostro concetto non potrei dirlo<br />

apertamente, ne andrebbe l'esito di questo esame ed,<br />

in definitiva, il mio futuro. Questo è il ricatto col<br />

quale ci tenete in scacco ed il fulcro di tutto il vostro<br />

insegnamento. Una maschera di finta conoscenza,<br />

approvata dalla vostra casta, e dalla quale ogni<br />

diversità non sarà tollerata, anzi espulsa.”<br />

“Se non ho capito male, il sottoinsieme dei diversi<br />

sarebbe qui rappresentato da lei?” sembrava divertirlo<br />

il fuori programma. E tuttavia appariva più inquieto,<br />

magari non si aspettava una reazione così articolata.<br />

“Potrebbe. La disturba vero?” gli fisso negli occhi<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

uno sguardo sicuro, rabbioso. Non si torna sui propri<br />

passi.<br />

Tace. Immobile, sembra gestire la situazione, mentre<br />

gli altri son presi da un parziale sgomento,<br />

inaspettato. Continuo.<br />

“Guardi l'atteggiamento di questa commissione.<br />

Sembrano confusi, stizziti da questo inutile dialogo<br />

che non li riguarda e non porta a nulla di concreto.<br />

Non solo non lo capiscono, ma nemmeno li interessa.<br />

Eppure dovrebbe. Ma questi non vogliono pensarci.<br />

Perché? Bisogna cercare il momento, quel frangente<br />

invisibile agli occhi ed ormai anche alle coscienze, in<br />

cui han smesso d'essere uomini o donne per<br />

diventare giudici di noi studenti. Dopo essersi<br />

svuotati sul cesso, dopo aver lavato via il greve fiato<br />

della notte, dopo il caffè, dopo il giornale. Prima<br />

d'infilare la soglia di casa per uscire. Eccoli.<br />

Guardarsi allo specchio, con occhi stanchi e vuoti,<br />

disillusi sul futuro che sembra già passato. La<br />

prendono e se la mettono in faccia. Ad alcuni<br />

potrebbe anche non piacere, non del tutto. Ma la vita<br />

continua, e questi son bocconi amari che van<br />

comunque digeriti no? Ed escono, con la loro bella<br />

maschera da insegnante, sicuri di sé, pronti a regalar<br />

fortuna e gioia ai meritevoli o ai più simpatici e scaltri.<br />

Pronti anche alla rivalsa, sbriciolando le certezze degli<br />

incapaci o dei ribelli, gli scostanti, gli indifferenti. La<br />

cultura mi pare c'entri poco, non trova?”<br />

Ci saranno più di trenta gradi nell'aula, eppure il gelo<br />

si stende tra i presenti. Sguardi interrogativi, risentiti<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

s'incrociano a mezz'aria. Solo uno di essi si esclude da<br />

quel vortice, cercando i miei occhi. E’ severo, è<br />

benevolo. Un po' rassegnato, ma comprensivo. Io<br />

sorrido debolmente, so d'averla combinata. Inclino la<br />

testa ed allargo le braccia. “A professo', si vede che<br />

era destino.” sussurro. L'orale continua,<br />

inspiegabilmente, tra l'indifferenza generale. Dopo i<br />

primi attimi d'inquietudine e silenzio, l'insegnante di<br />

francese riprende con le domande. Il presidente non<br />

mi degna di uno sguardo per tutta la durata<br />

dell'esame. L'indifferenza non sempre è un segnale<br />

positivo. Temo la ritorsione dell'intero corpo docenti.<br />

Nonostante questo, continuo a ribattere, domanda su,<br />

domanda, colpo su colpo, materia dopo materia.<br />

Storia, calcolo, diritto, economia, tedesco, biologia. I<br />

professori con le loro domande, si alternano al mio<br />

cospetto. Ora assumono sguardi attenti, ora distratti.<br />

Per la maggior parte del tempo confermano ciò che<br />

già pensavo, del nostro futuro se ne sbattono. Tutto<br />

quello che fanno è ricoprire più o meno<br />

dignitosamente questo ruolo, per cui vengono pagati.<br />

Il resto è solo vanesio corredo di una professione<br />

mercenaria.<br />

Guardo l'orologio. Le nove e trenta. Sono dentro da<br />

un'ora. Nessun orale, quest'anno, è durato così a<br />

lungo. Si vede che gli piaccio.<br />

“Ha qualche altro impegno Signorina P.?” colta in<br />

flagrante dal presidente di commissione.<br />

“Ehmm... ... no no.” tentenno. Non ricordo d'aver<br />

mai parlato così tanto in tutta la mia vita, studentesca<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e non. Sono provata. Vorrei uscire, se col diploma o<br />

meno fate voi.<br />

Con quell'aria solenne che caratterizza ogni suo<br />

singolo movimento, studiato e mediato, si rivolge ai<br />

presenti.<br />

“Colleghi. Direi che può bastare. Che ne dite?”<br />

Distratti cenni d'assenso, misti alla rassegnata<br />

consapevolezza d'essere appena all'inizio della<br />

mattinata d'esame.<br />

“Non vogliamo rubarle altro tempo, che immagino<br />

davvero prezioso se investito in pensieri così<br />

profondi e rivoluzionari.” Si rivolge a me, con quel<br />

ghigno malefico che conosco, da un'ora a questa<br />

parte. E di cui mi ricorderò per molti anni ancora.<br />

“Può andare.”<br />

Raccolgo le mie poche cose, disposte a cerchio<br />

attorno alla sedia. Lo zaino. Le dispense. La copia<br />

della tesina. Un piccolo portafortuna appoggiato<br />

vicino ai miei piedi, nascosto dietro ad essi. Mi alzo.<br />

“E domani, cosa farà domani?” domanda a<br />

bruciapelo, sparata a distanza ravvicinata come un<br />

colpo alla tempia. Mi spiazza. Che vuole ancora<br />

quest'individuo?<br />

“Domani? Credo andrò al mare!” rispondo,<br />

candidamente.<br />

Una risata sinceramente sprezzante spezza il silenzio<br />

artefatto dell'aula afosa. La bile mi avvolge lo<br />

stomaco. Vorrei saltare su quel banchetto in<br />

compensato verde sbiadito, e tirare un calcio nei denti<br />

a quel cazzone borioso. Vorrei scomporlo da quel<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

suo completo ben lavato e stirato, sgualcirlo,<br />

prenderlo a pugni. Ferirlo come lui tenta di fare con<br />

me. I miei occhi azzurri, furibondi, vagano alla ricerca<br />

di un punto di contatto terreno, che porti la mente<br />

lontana da questi propositi attaccabrighe. Vigile, il<br />

prof di italiano mi lancia il salvagente che aspettavo.<br />

Mi sorride. E’ fatta ormai, l'esame è passato. Non<br />

sporcare tutto. Lascia andare la provocazione di<br />

questo vecchio stanco, frustrato nel corpo e<br />

nell'intelletto da una vita probabilmente priva di<br />

grandi emozioni.<br />

Tutto questo non me lo dice, lui, ma lo capisco. O<br />

almeno credo. E funziona.<br />

Gli altri insegnanti seguono il misero esempio del<br />

loro superiore, abbandonandosi a grasse risate di cui<br />

nemmeno sembrano capirne il significato sino in<br />

fondo. Il tempo delle domande è finito. Per oggi<br />

almeno. Con quest'ultima risposta credono d'aver<br />

classificato il mio futuro. Una persona senza idee<br />

chiare sul domani, senza uno scopo, un obiettivo<br />

concreto che la faccia elevare dalla condizione<br />

mediocre in cui si trova. E questo pare rincuorarli, è il<br />

giusto epilogo che spetta alle teste come le mie,<br />

ignoranti e ribelli. Poveri borghesi acculturati. Non<br />

prendersi troppo seriamente, non significa di certo<br />

non sapere dove andare o che fare della propria vita.<br />

E se tra qualche giorno o settimana, o mese o chissà,<br />

dovessi decidere di scegliere un futuro scomodo,<br />

incerto, povero ma libero, profondo, senza la<br />

finzione di quelle maschere che portate di continuo,<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

beh di certo non sarà il vostro giudizio ad influenzare<br />

le mie scelte. Né quelle risate che accompagnano la<br />

mia uscita dall'aula e dalle vostre vite.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.2 Il Caduto<br />

di Gabriele Fumagalli<br />

Dov’è la gloria? Dove l’onore, promesso alla<br />

partenza, esaltato nelle parole di generali e ministri,<br />

mostrato con una croce da quel sovrano che mai<br />

imbracciò il fucile con quelli come noi?<br />

Dov’è la Nazione? Dove la superiorità di uno come<br />

me, rispetto al contadino della Baviera o all’operaio di<br />

Colonia? Dove il pericolo negli occhi colmi di terrore,<br />

del mio stesso terrore, degli uomini che ho ucciso?<br />

Dove la bestialità, il terribile nemico, negli uomini che<br />

hanno condiviso con me regali, cibo e una partita di<br />

calcio, in quel caldo, caldo Natale del ’14?<br />

Dove i preti che hanno benedetto le nostre armi?<br />

Dove erano quando siamo morti e dove era il loro<br />

Dio, dov’è adesso, il loro Dio?<br />

Dov’è il riconoscimento della Patria per quelli che<br />

sono tornati a casa, mutilati nel corpo o nello spirito,<br />

e per quelli come me, che vagano su questo eterno,<br />

grigio campo di battaglia, le vesti lacere indosso, le<br />

ferite come trofei? I nostri cadaveri sono ormai ossa<br />

sbiancate o polvere nella terra e le nostre armi nulla<br />

più che trofei per musei colmi di ardore patriottico;<br />

eppure noi camminiamo, da sempre camminiamo, su<br />

questi campi e odiamo il rombo delle bombe, il<br />

fragore del fucile, il ritmo della mitragliatrice: ahimè,<br />

quante armi per sterminare gli uomini!<br />

E con me camminano tanti altri uomini, decine di<br />

milioni di uomini, ognuno con la sua storia, ognuno<br />

con la sua morte, ognuno con i suoi perché: c’è<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Pietro, nato a Cento, che è stato contadino per<br />

trent’anni e che è morto quando, dopo essere uscito<br />

dalla trincea con la minaccia della baionetta dei<br />

Carabinieri nella schiena, si è gettato in una buca di<br />

una bomba per scampare alle mitragliatrici austriache<br />

e quello stesso carabiniere gli ha sparato dritto nel<br />

cuore; c’è Hans, nato a Colonia, cresciuto in miniera,<br />

che è stato disintegrato da una granata; c’è Franz,<br />

nato a Vienna, cresciuto ed educato, strappato<br />

all’università per combattere sulle Dolomiti e fatto<br />

saltare in aria con metà della montagna su cui stava da<br />

una mina italiana; c’è Jean, nato a Brest, marinaio per<br />

tutta una vita, trasferito in questo inferno di fango<br />

che è stato il Fronte Occidentale e soffocato dal gas a<br />

Yipres, quanto meno vicino al suo amato sciacquio<br />

delle onde; c’è Ian, nato a Inverness, trascinato con la<br />

sua cornamusa a dare il passo durante gli assalti,<br />

falciato da una mitragliatrice tedesca; c’è Dimitrij,<br />

nato a Pietroburgo e gettato nella mischia senza<br />

null’altro che il fucile, ucciso con una baionetta<br />

tedesca nello stomaco; c’è Pierot il canadese, e James<br />

l’australiano, e Claude il senegalese, e Luke l’irlandese.<br />

Ci sono anche io, che rimpiango il mio amato<br />

Yorkshire, le sue basse colline, i suoi castelli, la sua<br />

erica così viola nelle tiepide estati, la cui vista mi è<br />

stata negata per l’eternità.<br />

Io la ricordo bene, questa fottuta guerra, perché l’ho<br />

vissuta tutta, da quel dannato agosto del 1914 sino al<br />

novembre del 1918. Ero partito volontario, sì, perché<br />

la Corona ci aveva chiamato, ci aveva chiesto di<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

proteggere le nostre amate, i nostri figli, la nostra<br />

terra, dalla barbarie tedesca, ma non ci aveva detto<br />

che saremmo diventati dei barbari a nostra volta.<br />

Ho passato quattro lunghi anni a sporgermi dalle<br />

trincee, ad assaltare e a uccidere uomini che erano<br />

come me, e ogni volta vedevo me riflesso nello<br />

specchio delle loro lacrime, del loro dolore, del loro<br />

terrore e della loro tristezza.<br />

Ci hanno fatto sentire nostra una guerra che non lo<br />

era e ce ne siamo tutti resi conto sin dal primo<br />

giorno, dalla prima granata che si è portata via un<br />

amico, dalla prima scheggia incandescente che ci ha<br />

scagliato fra le mani il sangue o le viscere del<br />

compagno che ci affiancava fino a un attimo prima;<br />

ce ne siamo resi conto tutti nell’inferno della<br />

battaglia, che fossimo tedeschi, francesi, russi, italiani<br />

o austriaci: a nulla valeva la nostra nazionalità, se non<br />

a darci uniformi di colori diversi per essere bersaglio<br />

di altri.<br />

È davvero difficile esprimere la banalità della guerra,<br />

perché non è altro che la banalità degli uomini:<br />

odiavamo quella guerra, sapevamo che non era cosa<br />

nostra e infatti ci eravamo uniti a festeggiare il Natale<br />

del ’14 come se fossimo tornati tutti uomini, e non<br />

soldati, eppure non volemmo mai abbandonare il<br />

fronte, forse per orgoglio, forse perché in fondo<br />

pensavamo davvero che fosse giusto così.<br />

Non lo so. So solo che fu una resistenza inutile, che<br />

uccise e fece uccidere tutti quelli che adesso<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

camminano con me in questo bigio mondo di ombre<br />

e suoni lontani.<br />

Ho incontrato un italiano che ha combattuto sul<br />

Carso, che ha dato l’assalto a ogni singola vetta, con<br />

la sua squadra, che è stata spazzata via tre volte. E lui<br />

è sopravvissuto a tutti, per farsi uccidere nella sacca di<br />

Caporetto. Mi ha spiegato che gli alti comandi non<br />

hanno mai capito nulla della guerra e del fronte. Poi si<br />

è allontanato, sconsolato, conscio del fatto che nel<br />

mondo i paesi e le città hanno intitolato le loro vie a<br />

quei grandi macellai.<br />

Pochi uomini hanno voluto la guerra e milioni<br />

l’hanno combattuta e sono morti, sono stati mutilati,<br />

sono stati portati alla pazzia, mentre quei pochi che<br />

l’hanno tanto agognata sono sopravvissuti al caldo dei<br />

loro salotti borghesi e nobiliari fino alla vecchiaia,<br />

senza mai conoscere l’orrore del fronte. Eppure era<br />

per i loro ordini folli, per i loro dispacci che ci<br />

ordinavano la carica, che siamo tutti morti.<br />

Non c’è una via intitolata a William, che non ce l’ha<br />

fatta a sparare a quel diciottenne tedesco sconvolto<br />

dal fragore delle bombe e ne ha rimediato una<br />

baionetta nel polmone dall’altro, troppo spaventato<br />

per pensare; non c’è una via intitolata a Luigi, che ha<br />

preso in spalla un austriaco con una gamba<br />

spappolata e lo ha cercato di portare al campo<br />

medico, venendo fucilato per fratellanza col nemico;<br />

non c’è una via dedicata all’umanità dell’uomo nella<br />

bestialità della guerra, ma solo alle bestie più truci che<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

hanno usato gli uomini come carne da cannone per<br />

vincere una guerra da cui nessuno è uscito vincitore.<br />

Meglio ancora è andata a Henry Truman, che il<br />

giorno 11 novembre del 1918, arringava i suoi<br />

sottoposti alla postazione di artiglieria a riguardo del<br />

fatto che finire la guerra quel giorno era una follia,<br />

che lui voleva entrare nelle città tedesche e sgozzare i<br />

bambini, torturare i vecchi e stuprare quelle cagne<br />

delle loro donne, per porre fine a quella razza orribile;<br />

presidente degli Stati Uniti d’America, esempio di<br />

rettitudine in conformità a queste sue affermazioni,<br />

un certo Oppenheimer mi ha detto, in lacrime, che ha<br />

ordinato di sganciare due testate nucleari su civili<br />

inermi nel Giappone del 1945. Le loro ombre vagano<br />

per questi campi, le pelli sciolte, i volti distorti in<br />

atroci maschere di morte. Eccola, la gloria.<br />

Per quelli come me è stata solo una grande, trista<br />

beffa. Attendevamo quella maledetta undicesima ora,<br />

dell’undicesimo giorno, dell’undicesimo mese del<br />

1918, e gli ordini erano chiari: non cessare il fuoco<br />

fino allo scoccare delle undici in punto. Sportomi<br />

malauguratamente dalla trincea, un proiettile mi ha<br />

scoperchiato il cranio. E come me, migliaia in quel<br />

triste giorno.<br />

È davvero difficile descrivere la banalità della guerra;<br />

ma l’idiozia umana, quella è sotto gli occhi di tutti<br />

ogni giorno: l’ubbidire cieco agli ordini, il non<br />

pensare a quello che ci circonda, il farci trascinare<br />

dall’odio e dalla massa, il delegare ad altri quello che<br />

dovremmo decidere noi.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

E noi ne abbiamo pagato lo scotto con la vita.<br />

Era l’11 novembre 1918, già sette giorni dopo il<br />

cessate il fuoco sul fronte italiano, e adesso, dopo<br />

novant’anni di tetro vagare, posso assicurare a tutti<br />

voi che state comodi nelle vostre case, che non vi<br />

curate di quello che avviene nel mondo, che non<br />

ricordate quello che è successo, che qui con noi si<br />

sono aggiunti centinaia di milioni di uomini.<br />

Vittime del silenzio.<br />

Vittime dell’accondiscendenza.<br />

Vittime dell’uomo.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.3 Anime elette<br />

di Mario Fulvio Giordano<br />

Quale custode capo del cimitero comunale, mentre<br />

discuteva con i rappresentanti di due imprese funebri<br />

gli orari di tre importanti funerali previsti per il giorno<br />

seguente, notò alcune persone varcare il cancello<br />

principale. Poiché altre stavano arrivando alla<br />

spicciolata si chiese a che cosa fosse dovuto<br />

quell’afflusso, discreto ma continuo.<br />

Con un'occhiata controllò la lista da tempo<br />

predisposta.<br />

Come logico nulla di speciale era programmato per<br />

quella mattina Nessuno vuol farsi seppellire di<br />

venerdì: porta scarogna.<br />

Era segnato solo quello di una vecchia signora, il cui<br />

nome, non era seguito dal cognome del marito o<br />

ved... Una zitella dunque.<br />

Una donna senza importanza.<br />

Per questa poveretta era prevista la forma più<br />

semplice di sepoltura in terra.<br />

Poiché il calendario non evidenziava nulla di<br />

importante; era un santo qualunque e non era<br />

neanche la ricorrenza di un luttuoso avvenimento,<br />

quale una catastrofe, una importante strage o<br />

sciagura, dopo venti e più anni di anzianità di servizio<br />

non poteva commettere una simile dimenticanza,<br />

questo afflusso inconsueto rimaneva un mistero.<br />

In quel momento un tipo di mezza età, distinto, alto e<br />

magro, svoltò nel cancello e si diresse furtivo verso il<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

complesso delle tombe monumentali: i sepolcri delle<br />

grandi famiglie che avevano fatto la storia della città.<br />

Quando si rese conto di essere stato notato da un<br />

gruppetto di altri visitatori, suoi conoscenti ed in<br />

qualche caso vecchi amici, andò loro incontro<br />

sfoderando un mesto sorriso di circostanza.<br />

“E allora professore, come mai al cimitero oggi?”<br />

“Non potevo certo mancare per questo ultimo saluto.<br />

Era conosciuta da tutti. A ben pensarci ha fatto più<br />

bene lei di molti altri. Nella sua vita ha aiutato tre<br />

generazioni di uomini.”<br />

Tutti assentirono in un modo o nell'altro.<br />

Come succede sempre quando gli argomenti<br />

scarseggiano poco dopo saltarono fuori le solite frasi<br />

di circostanza.<br />

- Siamo solo di passaggio -. Prima o poi entriamo<br />

tutti da quel cancello per non uscirne più.<br />

- Polvere eravamo e polvere torniamo.<br />

Uno del gruppo, per far bella figura, cercando di<br />

mettere in evidenza la sua profonda preparazione<br />

umanistica, passò alle citazioni latine.<br />

Traducendone una, a suo dire molto importante, fece<br />

notare che per gli antichi romani l'uomo nasceva due<br />

volte: una quando veniva alla luce, l'altra quando<br />

faceva la prima scopata.<br />

Solo in quel secondo momento veniva al mondo un<br />

nuovo essere virile.<br />

L'ultimo arrivato, onde non essere da meno, era<br />

consigliere di maggioranza in comune e non voleva<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

passare sotto silenzio, sentenziò: “Nemo profeta in<br />

patria”.<br />

Quando si accorse che questa sua uscita non solo non<br />

era stata apprezzata, ma accolta con un risolino di<br />

compassione, cercò di girare il discorso sulla politica<br />

pescando nella scorta di vecchi detti popolari che<br />

teneva sempre pronti e che tante volte lo avevano<br />

tolto dall'imbarazzo quando veniva messo alle strette<br />

dai suoi avversari.<br />

Scartò le arcinote, ma troppo piene di significati<br />

reconditi: tanto va la gatta al lardo oppure chi rompe<br />

paga.<br />

Si stava orientando su: meglio un uovo oggi che una<br />

gallina domani, ma venne interrotto.<br />

In quel momento uno dei presenti, noto sindacalista,<br />

prendendo la palla al balzo,indicò le scritte sulle<br />

tombe ed esclamò indignato:” avete notato? Erano<br />

tutte persone degne, madri e padri esemplari vergini<br />

illuminate, esempio di virtù, ed avanti di questo<br />

passo.<br />

E' proprio vero che la storia la fanno i vincitori.”<br />

Sentendosi tirato in ballo il professore consigliere<br />

esclamò:<br />

“Cosa vuol dire con questo, perché tira in ballo i<br />

vincitori? In questo posto sono tutti perdenti.”<br />

Il rappresentante operaio fece cenno di no col capo<br />

ed alzò il tono di voce per mettere bene in chiaro che,<br />

anche al cimitero, ci sono vinti e vincitori.<br />

Questi ultimi, quando sono ancora in vita, si fanno<br />

erigere dei veri e propri palazzi a futura memoria,<br />

43


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

inondandoli di iscrizioni commemorative che ne<br />

lodano le innumerevoli virtù, peraltro solo a loro ben<br />

note, con lettere fuse nel bronzo o scolpite a mano in<br />

costoso marmo di Carrara.<br />

I vinti, la povera gente, finisce nei loculi, le case<br />

popolari dei morti o in terra.<br />

Per loro nessun elogio od eterno rimpianto, è già<br />

troppa grazia se ci mettono il nome.<br />

Se fosse obbligatorio incidere la verità le lapidi<br />

sarebbero piene di diciture del tipo: figlio di puttana -<br />

vecchia baldracca - venduto - furfante - traditore -<br />

avaraccio - gran cornuto ed avanti di questo passo.<br />

Il professore consigliere comunale, non potendo<br />

lasciare l'ultima parola ad uno dell'opposizione, di<br />

rimando disse con fare pensoso:<br />

“Se cani e gatti avessero le mani per lavarsi non si<br />

leccherebbero il culo.”<br />

Questo cosa significa chiesero da più parti, facendogli<br />

notare che era andato sfacciatamente fuori tema con<br />

quella sconcia battuta.<br />

“E' una considerazione filosofica, più profonda di<br />

molte altre, solo che è più originale, moderna ed<br />

ambientalista. Se non la capite significa che non avete<br />

la necessaria apertura mentale; vi manca l'agilità<br />

dialettica. Ecco tutto.”<br />

Il lungo momento di silenziosa e raccolta meditazione<br />

che ne seguì venne interrotto dall'arrivo del solo<br />

furgone funebre, senza seguito.<br />

La consueta cerimonia religiosa fu liquidata un pochi<br />

minuti.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Anche il prete non si dilungò. Non perse tempo a<br />

magnificare le umane virtù della defunta e passò<br />

subito alla benedizione.<br />

Qualcuno sussurrò che una simile indifferenza era<br />

ingiusta, perché nella sua lunga attività professionale<br />

la defunta aveva aiutato tutti quelli che avevano<br />

bussato alla sua porta, che era sempre aperta.<br />

Non rifiutava mai la sua opera. Era sempre pronta a<br />

far credito, nella cristiana fiducia che prima o poi<br />

avrebbe ottenuto il suo compenso.<br />

Era indubbiamente un'anima eletta.<br />

Molti dei presenti gettarono piccoli oggetti nella<br />

fossa, mentre veniva interrata; altri lasciarono dei<br />

piccoli mazzi di fiori, quale estremo gesto d'amore<br />

che sarebbe stato molto apprezzato dalla destinataria,<br />

se mai avesse potuto prenderne atto.<br />

Per ultimo il sindacalista, quello che amava la verità<br />

sopra ogni cosa, scrisse con il pennarello indelebile<br />

alcune parole sul solito cartone identificativo che<br />

viene posto sulle tombe, in attesa della lapide<br />

definitiva.<br />

A cerimonia ultimata il custode capo, ricordandosi di<br />

colpo che con quel morto si arrivava alle centomila<br />

salme, si avvicinò al tumulo per capire chi fosse,<br />

riservandosi di chiedere al comune di organizzare una<br />

commovente cerimonia ufficiale per celebrare<br />

l'evento.<br />

Con immenso stupore si accorse che molte delle<br />

piccole confezioni di fiori erano legate con dei<br />

preservativi; osservando poi il cartello vide la<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

seguente scritta aggiuntiva, dopo le generalità: della<br />

defunta:<br />

-Puttana per libera scelta, ha sempre svolto con<br />

profonda dedizione la sua missione terrena.<br />

Profondamente colpito e sorpreso, volgendo smarrito<br />

lo sguardo a terra scorse un piccolo involucro, che<br />

evidentemente non era stato gettato in tempo nella<br />

fossa, lo raccolse: era una confezione multipla di<br />

contraccettivi Hatù ad effetto ritardato, i più costosi.<br />

Date le circostanze decise che non era il caso di<br />

proporre la celebrazione di quel particolare evento, la<br />

comunità non avrebbe apprezzato il gesto.<br />

Era preferibile attendere un morto illustre e poi,<br />

barando sul numero, avrebbero indetto una toccante<br />

cerimonia ufficiale, facendo notare come il caso<br />

avesse scelto proprio un'anima eletta per quell’<br />

importante ricorrenza.<br />

Con deferenza depose sulla tomba il piccolo<br />

involucro.<br />

Diamo a Cesare quel che è di Cesare pensò e poi<br />

andò a chiudere il cancello grande del cimitero<br />

comunale.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.4 L’isola tartaruga<br />

di Cinzia Balestra<br />

-“Papà guarda” urlò Pietro indicando l'orizzonte con<br />

il dito indice teso. Pietro non ci poteva credere.<br />

Si trovava davanti alla tartaruga più grande che avesse<br />

mai visto. Era là dall'altra parte del mare che<br />

procedeva incurante dello stupore che si alzava in<br />

prossimità della riva.<br />

Il papà di Pietro sorrideva mentre prendeva il figlio in<br />

braccio traboccante di emozione.<br />

Era indeciso se dire a Pietro che la tartaruga verso la<br />

quale protendeva tutta la tensione del suo corpo non<br />

era una vera e propria tartaruga, ma semplicemente<br />

un'isola.<br />

-“Dobbiamo portarle da mangiare!” urlò Pietro<br />

interrompendo i dubbi di suo padre.<br />

Non era la prima volta che i loro piedi calcavano quel<br />

lungomare.<br />

Non era la prima volta che Pietro notava quell'isola<br />

vicino alla costa, ma quella mattina, con la stessa<br />

rapidità di un quadro che cade, eccola là, al posto di<br />

un pezzo di terra sul mare, il piccolo scorgeva la più<br />

grande tartaruga che avesse mai visto.<br />

“In effetti” pensava il padre “sembra proprio una<br />

grande tartaruga” e si stupiva del fatto che non se ne<br />

fosse mai accorto prima. Cosa che, se mai fosse<br />

possibile, faceva aumentare ancora di più l'amore che<br />

provava per la creatura che gli saltellava intorno.<br />

-“Che cosa mangiano le tartarughe papà?”<br />

47


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Il papà di Pietro non lo sapeva, come del resto non<br />

sapeva tante altre cose. Non aveva sempre tutte le<br />

risposte. Non sapeva rispondere quando Pietro gli<br />

chiedeva con la stessa innocenza dove era andata la<br />

sua mamma e quando sarebbe tornata.<br />

“Presto” rispondeva il padre senza avere la minima<br />

voglia di rispondere. Non le voleva le domande.<br />

Voleva solo essere lasciato in pace e morire d'inerzia<br />

dietro un dolore che non lascia via di fuga.<br />

E invece doveva rispondere, rispondere e mentire.<br />

Pietro non aveva ancora compiuto tre anni e si<br />

ritrovava già senza madre e con un padre bugiardo e<br />

infelice.<br />

-“Andiamo ad accarezzare la tartaruga, papà?”<br />

-“Non si può Pietro, se ci avviciniamo lei scappa via”.<br />

La risposta convinse il bimbo che con le guance rosse<br />

tornò a studiare i contorni di quello strano animale in<br />

silenzio.<br />

Prima il lungo collo, poi il grande carapace colorato<br />

di verde. Le zampe non si vedevano in quanto<br />

sommerse dall'acqua.<br />

Pietro era cresciuto, mancava poco e sarebbe arrivato<br />

quasi all'altezza della vita di suo padre.<br />

Come può cambiare la vita di un bambino nell'altezza<br />

che separa una ginocchia da un'anca di un uomo.<br />

-“Pietro andiamo a casa”, disse il padre<br />

interrompendo i pensieri del bambino immobile<br />

come una statua di sale.<br />

-“Ancora cinque minuti, papà”.<br />

48


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

-“Va bene, cinque minuti, ma non di più. Il sole sta<br />

tramontando”.<br />

Il cielo azzurro e sereno si macchiava di rosso. Un<br />

rosso vivo e intenso che risplendeva sulle guance di<br />

Pietro.<br />

Il tramonto portava via con sé quella giornata così<br />

normale da essere perfetta. Una giornata dove un<br />

padre bugiardo assaporava i frutti dolci delle sue<br />

bugie.<br />

Quando era piccolo il papà di Pietro si arrabbiava se<br />

non gli raccontavano tutta la verità solo perché era un<br />

bambino.<br />

Ora che era abbastanza grande per capirla, la verità,<br />

non la capiva e tanto meno riusciva a gestirla.<br />

Ma faceva del suo meglio per garantire a suo figlio<br />

quelle bugie che l'avrebbero tenuto al sicuro, protetto<br />

da una realtà che non lo aveva guardato in faccia e<br />

che non era stata disposta a scendere a compromessi.<br />

Amava suo figlio più di quanto la realtà avrebbe<br />

potuto immaginare. Se la realtà non era stata disposta<br />

a scendere a patti, lui sì, era stato capace a scendere a<br />

patti con se stesso.<br />

Le prime volte mentì senza sceglierlo. Le parole<br />

vennero alla bocca da sole. Poi, superate le prime<br />

volte, decise coscientemente di mentire a suo figlio,<br />

più che poteva, ogni volta che poteva.<br />

Ci sarebbe stato tempo per presentargli la realtà.<br />

La verità è che non voleva niente di meglio per suo<br />

figlio che una giornata piena di verità camuffate<br />

ingenuamente da bugie.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Una giornata dove poter credere che Mamma è in<br />

viaggio e che prima o poi, quando meno se lo<br />

sarebbero aspettato, sarebbe arrivata alla porta con<br />

tanti regali e sorrisi per tutti. Una giornata dove poter<br />

credere che un pezzo di terra che si stacca dalla costa<br />

in tempi immemori diventa una tartaruga gigante<br />

intenta a nuotare silenziosa.<br />

Pietro era felice. Questa era la sola cosa che<br />

importava a suo padre. In fondo lo sapevano<br />

entrambi che quella non era una tartaruga vera e che<br />

Mamma non avrebbe più preparato la sua torta di<br />

mele. Nessuno dei due però lo avrebbe mai detto,<br />

almeno per ora.<br />

La realtà delle cose era il loro piccolo segreto<br />

quotidiano. Ogni giorno la verità sbiadiva di fronte al<br />

loro bisogno di sognante complicità.<br />

-“Andiamo Pietro. I cinque minuti sono finiti”.<br />

-“Ma papà e se la tartaruga va via e domani non è più<br />

qui?”<br />

-“Non andrà da nessuna parte”.<br />

-“Come fai ad esserne così sicuro?”<br />

-“Perché sta aspettando quella poltrona della sua<br />

amica che tarda ad arrivare! Lo sai no che le<br />

tartarughe non viaggiano mai da sole? Vedrai che<br />

domani la tartaruga sarà ancora lì!”<br />

-“Già” disse Pietro “non si viaggia mai da soli”.<br />

Prese la mano che suo padre gli tendeva, la strinse<br />

forte e s'incamminò verso casa con lo stomaco che<br />

brontolava per la fame.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

L'isola tartaruga, intanto, si specchiava<br />

nell'increspature dell'acqua marina tinta di rosso<br />

rubino, incurante di realtà e di bugie.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.5 Sull’accelerato<br />

di Alessandro Cuppini<br />

Questo successe sull’accelerato, come si chiamava<br />

allora, che da Torino andava a Savona, ai primi anni<br />

’50 del secolo scorso. Gli accelerati erano gli attuali<br />

regionali: treni costituiti quasi totalmente da carrozze<br />

di terza classe, con gli scompartimenti aperti e<br />

arredati da panchette di legno e una folla di pendolari<br />

che dalla provincia si muoveva verso la città ogni<br />

giorno oppure settimanalmente.<br />

A Torino quando avevi vent’anni ci andavi per due<br />

motivi: per lavorare o, chi poteva, per studiare. Di<br />

ragazzi in gamba a Savona ce n’erano tanti; ma quelli<br />

che il papà poteva mantenere per cinque anni a fare lo<br />

studente in città erano pochini. Gli studenti si<br />

conoscevano tutti sul treno: partivano il lunedì prima<br />

dell’alba per essere a lezione alle nove e ritornavano al<br />

venerdì sera con l’accelerato che arrivava a Savona<br />

alle 21,08. Negli scompartimenti e negli anni si<br />

formavano compagnie di amici. Il lunedì mattina si<br />

chiacchierava, si dormicchiava o si leggeva; e c’era<br />

anche chi tentava di ripassare qualcosa in vista<br />

dell’esame che avrebbe avuto quella mattina. Ma il<br />

venerdì tornando a casa gli studenti giocavano a carte,<br />

cantavano e scherzavano, programmando gite al mare<br />

con la Topolino di papà o un film nell’ultima fila<br />

dell’Excelsior con la morosa.<br />

Pendolava con gli studenti anche un controllore, tal<br />

Casalegno, sempre quello.<br />

Sempre impeccabile nella sua divisa azzurra, gli<br />

occhiali cerchiati d’oro e i baffetti curatissimi, era alto<br />

sì e no uno e sessanta, ma lui suppliva all’evidente<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

complesso che l’affliggeva con un cipiglio e un modo<br />

rigido di trattare gli studenti che l’aveva sùbito reso<br />

oggetto di caricature ed imitazioni. I soliti ben<br />

informàti dicevano che era stato un fascista convinto,<br />

che nel settembre ’43 si era nascosto aspettando che<br />

passasse la buriana e che nel ’46 aveva ripreso servizio<br />

nelle Ferrovie dello Stato. Ma a cinquant’anni la testa<br />

non si cambia, e lui adottava forse anche senza<br />

accorgersene quei modi e quel fare arrogante e<br />

tronfio che durante il ventennio gli era stato familiare.<br />

La divisa e il cappello gli davano l’importanza e il<br />

rispetto cui ambiva.<br />

Forse all’inferiorità fisica si aggiungeva quella<br />

intellettuale: Casalegno era consapevole di aver a che<br />

fare con persone più istruite di lui, e quindi<br />

recuperava con il Regolamento ferroviario che, quello<br />

sì, nessuno di loro conosceva meglio di lui. Sapendo<br />

che in una discussione di pura logica avrebbe avuto la<br />

peggio, si mascherava dietro la Norma ed era<br />

inflessibile e rigido, che in paragone il vetro era più<br />

elastico.<br />

Il lunedì mattina passava a controllare gli<br />

abbonamenti mensili. La regola voleva che<br />

l’abbonamento andasse sempre portato con sé,<br />

tuttavia poteva succedere di dimenticarlo.<br />

Biglietto?, chiedeva allo studente smemorato, ben<br />

sapendo che di abbonamento si trattava dato che<br />

quello lo vedeva tutte le settimane ormai da anni. Lo<br />

studente smemorato conosceva la sua sorte e tuttavia<br />

provava ad intenerire cuor-di-pietra Casalegno:<br />

Signor Casalegno, l’ho dimenticato a casa. Ma lei sa che ho<br />

l’abbonamento mensile e dunque…<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Che importa? Lei sa bene cosa dice il Regolamento: il titolo di<br />

viaggio va esibito ad ogni richiesta, e qui Casalegno<br />

contemporaneamente alzava un dito, la voce di due<br />

toni e i tacchi di un centimetro buono…ad o-gni richie-sta,<br />

ripeto, del personale direttivo.<br />

Amava riferirsi a sé stesso come personale direttivo.<br />

Lo so bene, tentava ancóra di convincerlo lo studente<br />

smemorato. Glielo faccio vedere la prossima settimana,<br />

quando torno a casa.<br />

Casalegno neanche rispondeva. Stava già scrivendo<br />

sul suo formulario, tutto concentrato nell’emettere un<br />

nuovo biglietto, più il supplemento perché era stato<br />

staccato sul treno, più la multa per aver sorpreso lo<br />

studente smemorato senza biglietto: il massimo della<br />

cifra possibile, insomma.<br />

Intorno ai due che discutevano si era formato il solito<br />

capannello di sostenitori, studenti che protestavano<br />

rivivendo nella disavventura dello studente<br />

smemorato una loro personale vicenda. Perché a tutti,<br />

prima o poi, càpita di dimenticare nella tasca dell’altra<br />

giacca l’abbonamento.<br />

Ma scusi, signor Casalegno, interveniva uno. Non potrebbe<br />

evitare di appioppargli la multa? In fondo lui l’abbonamento ce<br />

l’ha, lo sa bene.<br />

Io non appioppo, io applico il Regolamento! , rispondeva<br />

rude.<br />

Ma potrebbe fargli pagare solo il biglietto, non le pare?<br />

Tutto inutile. E guai se poi qualcuno, nella rabbia, si<br />

lasciava sfuggire un’esclamazione mormorata:<br />

Che stronzo!<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Come ha detto?, chiedeva Casalegno, l’occhio<br />

inferocito e l’udito finissimo.<br />

Vuol ripetere? Vuole che la denunci per ingiurie a pubblico<br />

ufficiale?<br />

Lo studente offensivo si girava dall’altra parte<br />

masticando fiele, senza dire più verbo. E lui,<br />

Casalegno, girava sui doppi tacchi e si allontanava con<br />

la testa girata all’indietro e gli occhi fiammeggianti, a<br />

sfidare il gruppo di studenti che attorno allo<br />

smemorato cercavano di consolarlo. E passava allo<br />

scompartimento successivo, probabilmente con la<br />

segreta speranza di trovare qualche altro<br />

inadempiente e ripetere la rappresentazione.<br />

La stessa scena si ripeteva se capitava a qualche<br />

studente di lasciar scadere la cosiddetta tessera, ossia il<br />

documento che dava diritto all’abbonamento scontato<br />

per studenti pendolari. La tessera aveva una validità<br />

annuale; il suo rinnovo era praticamente automatico,<br />

e consisteva nell’apposizione da parte della biglietteria<br />

di Savona di un timbro con una nuova data<br />

posticipata di un altro anno, oltre che nell’esazione di<br />

una modesta tassa. Ma gli studenti avevano una<br />

pericolosa e singolare tendenza a dimenticare questa<br />

banale operazione burocratica. Casalegno controllava<br />

pignolo ogni data di emissione, guardandosi bene<br />

dall’avvisare il malcapitato se notava la prossimità<br />

della scadenza, gioendo quando beccava in fallo il<br />

malcapitato.<br />

Ma l’ha vista quattro giorni fa, la mia tessera! Non poteva<br />

avvisarmi, signor Casalegno?, protestava lo studente<br />

distratto.<br />

Non sono mica qui a farle da segretario, caro signore!,<br />

rispondeva il controllore mentre con gli occhiali a<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

cavallo del naso e a gambe aperte, compilava il<br />

modulo della multa in bella calligrafia, bilanciandosi<br />

sulle punte dei piedi.<br />

Una sera d’estate il treno tornava a Savona. Era<br />

affollato di studenti felici per il fine settimana a casa<br />

che si stava avvicinando. I finestrini erano spalancati,<br />

l’aria calda della campagna piemontese circolava<br />

liberamente nelle carrozze.<br />

Dopo la stazione di Ceva i pendolari locali<br />

scendevano quasi tutti, e gli studenti rimanevano<br />

padroni del treno fino a Savona. Quella sera però<br />

nella prima carrozza c’era un passeggero in più, un<br />

signore elegante e silenzioso che seguiva bonario gli<br />

scherzi e le chiacchiere degli studenti con un sorriso<br />

di partecipazione distaccata.<br />

Che sia un viaggiatore di commercio?, si chiedevano i suoi<br />

compagni di viaggio. Ma i viaggiatori di commercio<br />

tornano a casa il venerdì sera, e quel signore non era<br />

di Savona, l’avevano capìto dalle poche parole che<br />

aveva scambiato con uno di loro mentre sistemava la<br />

valigia sulla reticella sopra la sua testa. Non era<br />

nemmeno un turista: non erano ancóra i tempi del<br />

turismo mordi-e-fuggi del fine settimana. E poi quel<br />

signore era troppo elegante per fare sia il viaggiatore<br />

di commercio che il turista.<br />

Forse è un nobile che va a giocarsi la villa a Sanremo! ,<br />

azzardò uno studente fantasioso.<br />

Venne Casalegno a controllare i biglietti. Tutto era in<br />

ordine. Stava già per uscire dallo scompartimento<br />

quando scorse la valigia del misterioso viaggiatore<br />

sopra la reticella. E chiese gentilmente:<br />

Di chi è quella valigia?<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

È mia, ripose il signore elegante.<br />

Me la può far vedere?<br />

Il signore elegante un po’ sorpreso si alzò, prese la<br />

bella valigia in pelle marrone e l’appoggiò sul sedile.<br />

Gli studenti conoscevano bene l’espressione che<br />

Casalegno aveva stampata sul volto: stava preparando<br />

una scena delle sue. Quelli che erano seduti negli<br />

scompartimenti a fianco si girarono e si misero in<br />

ginocchio sulle panche, uno sull’altro come fossero in<br />

loggione a teatro. Altri che erano in piedi lungo il<br />

corridoio andarono nelle carrozze vicine a chiamare<br />

gli amici e un piccolo assembramento si andava<br />

formando all’ingresso del primo scompartimento.<br />

Il metro di Casalegno era di quelli pieghevoli,<br />

suddivisi in frazioni di venti centimetri l’una; lui lo<br />

aprì con aria condiscendente e prese a misurare la<br />

valigia.<br />

La sua valigia è fuori di un centimetro in lunghezza rispetto<br />

alle dimensioni consentite, sentenziò con una voce<br />

sepolcrale, fissando il malcapitato come se l’avesse<br />

sorpreso mentre stava massacrando la madre. Il<br />

signore elegante con molta signorilità protestò:<br />

Mi par strano. L’ho comperata in una delle migliori valigerie<br />

di Torino. Ma è sicuro?<br />

Guardi anche lei, disse Casalegno.<br />

Ed insieme verificarono di nuovo le misure.<br />

Sono costretto a farle la multa, disse il controllore.<br />

Ma via, signor Casalegno!, disse lo studente fantasioso.<br />

Ma le pare? Per un centimetro!<br />

Anche gli altri studenti protestavano in coro<br />

prendendo le difese del signore elegante:<br />

Che ne sapeva questo signore delle misure ufficiali delle FFSS?<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mica è un baule. È una valigia di cuoio molle. Il centimetro<br />

mentre misura va e viene!<br />

Il signore elegante stava in piedi con un mezzo<br />

sorriso sulle labbra, voltandosi a destra e a sinistra nel<br />

seguire le voci concitate degli studenti, ma sempre<br />

con distacco signorile.<br />

Casalegno rispose a tutti con una sola frase:<br />

Prego lor signori di evitare di immischiarsi in una faccenda di<br />

rispetto del Regolamento che riguarda solo il signore qui<br />

presente.<br />

Poi finì di compilare il suo modulo, che, riguardando<br />

un’infrazione non usuale, aveva richiesto un certo<br />

studio delle norme vigenti. Alla fine la multa fu<br />

stabilita in lire 435, che non era per niente poco a<br />

quei tempi. Il signore elegante non disse nulla.<br />

Estrasse un portafoglio di lama e pagò. Anzi: oblò,<br />

come avrebbe detto Casalegno.<br />

Il controllore incassò le mille lire, fornì il resto e stava<br />

per andarsene quando il signore elegante disse:<br />

Scusi: mi può far vedere il suo metro per favore?<br />

Casalegno girò su sé stesso con un sopracciglio<br />

sollevato in segno di sorpresa: Perché?<br />

Così, per una mia curiosità.<br />

Non sono qui per soddisfare le sue curiosità, caro lei!, fu la<br />

risposta sprezzante di Casalegno.<br />

Vede, caro signore, disse il signore elegante. Lei purtroppo<br />

non può rifiutarsi perché io sono un funzionario dell’Ufficio<br />

Pesi e Misure che ha sede presso l’Istituto Galileo Ferraris di<br />

Torino.<br />

E così dicendo il signore elegante estrasse un<br />

tesserino che chi gli era a fianco ed ebbe modo di<br />

intravedere descrisse come particolarmente<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

complicato e colorato. Dopo che Casalegno gli ebbe<br />

dato un’occhiata, il signore elegante continuò:<br />

Come lei sa, qualunque cittadino che utilizzi sistemi di misura<br />

quale il metro, la bilancia, il cronometro e così via per scopi<br />

pubblici o di compravendita ha il dovere di mostrare il suo<br />

strumento a richiesta di un funzionario dell’Ufficio Pesi e<br />

Misure. Perciò mi favorisca il suo metro per cortesia.<br />

La folla di studenti che circondavano il primo<br />

scompartimento era diventata nel frattempo strabocchevole;<br />

malgrado i finestrini aperti nel piccolo<br />

scompartimento si sudava per la ressa. Ciononostante<br />

il silenzio gravava e si poteva udire solo il ritmico<br />

sferragliare del treno. Casalegno era impallidito: per la<br />

prima volta da quando era in servizio come<br />

controllore qualcuno gli stava tenendo testa,<br />

affrontandolo per giunta sul suo terreno, quello dei<br />

Regolamenti e delle Norme. La sua autorità non era<br />

ancóra stata scalfita ma tutto dipendeva da come<br />

sarebbe terminata la faccenda. Estrasse il metro di<br />

tasca, un normale metro pieghevole di legno dipinto<br />

d’arancio; lo porse al signore elegante senza dire una<br />

parola. Questi lo prese con mani esperte e andò<br />

sùbito a verificare nella prima sezione, il tratto da 0 a<br />

20 centimetri.<br />

Ahi, ahi, ahi!, disse il signore elegante. Vedo che sono<br />

quattro anni che lei non fa verificare il suo strumento presso<br />

l’Ufficio Pesi e Misure. Lei sa certamente che avrebbe dovuto<br />

farlo verificare annualmente e l’Ufficio le avrebbe rilasciato un<br />

certificato di conformità all’uso. Come mai non l’ha fatto?<br />

Il balbettio di Casalegno fu coperto dall’ululato della<br />

folla di studenti festanti:<br />

Come mai non l’ha fatto, signor Casalegno?, urlò lo<br />

studente fantasioso.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Io lo sapevo, ma non sono mica qui a farle da segretario!,<br />

rincarò lo studente distratto.<br />

Eppure il Regolamento parla chiaro!, chiosò lo studente<br />

smemorato.<br />

Tutto il treno ormai si era trasferito nella prima<br />

carrozza, richiamato da un tam-tam rapidissimo che<br />

aveva percorso tutti i vagoni.<br />

C’è uno che sta menando Casalegno!, era la voce che<br />

girava.<br />

Non era vero naturalmente, ma era servita a coagulare<br />

ancor più velocemente tutti gli studenti in un unico<br />

grumo che ondeggiava nella prima carrozza. Alcuni<br />

cori irriverenti e offensivi iniziarono spontaneamente,<br />

coordinati dallo studente oltraggioso, che col<br />

Casalegno ce l’aveva particolarmente. In un frastuono<br />

infernale, ingigantito dallo sferragliare del treno nella<br />

lunga galleria tra Ceva e Cengio, nessuno udì le parole<br />

che si scambiarono i due. Si vide il signore elegante<br />

tirare fuori dalla valigia incriminata un suo formulario<br />

che rapidamente riempì; si vide Casalegno, con una<br />

smorfia servile tirare fuori la multa che aveva<br />

comminato al signore elegante e fare il gesto di<br />

stracciarla; si vide il signore elegante fare un cenno di<br />

diniego e chi gli era più vicino poté udirlo<br />

pronunciare queste parole:<br />

Troppo tardi, caro signore. E poi sul Regolamento, lei capisce,<br />

non posso transigere.<br />

Poi tutti videro Casalegno tirare fuori un biglietto da<br />

mille, forse lo stesso che gli aveva appena dato il<br />

signore elegante, mentre questi gli passava la ricevuta.<br />

Le urla e gli ululati a quel punto raggiunsero il<br />

diapason.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Il treno frenò con un lungo stridio entrando nella<br />

stazione di Cengio. Scesero tre persone: due studenti<br />

e Casalegno, mentre dai finestrini tra gli schiamazzi<br />

alcuni lo richiamavano:<br />

Dove va signor Casalegno? Non mi ha ancóra controllato<br />

l’abbonamento, a me!<br />

Signor Casalegno! Lo studente Bacigalupo ha la tessera<br />

scaduta da tre giorni!<br />

Intanto nel primo scompartimento della prima<br />

carrozza almeno venti studenti vezzeggiavano il loro<br />

eroe, il signore elegante:<br />

Prenda una sigaretta, signore!<br />

Gradisce una mentina?<br />

Lui sorrideva e non diceva nulla. Il lunedì successivo<br />

sul treno da Savona a Torino c’era un altro<br />

controllore, e di Casalegno non si seppe più nulla.<br />

Storia vera, raccontata da un ingegnere di Savona che<br />

aveva pendolato e frequentato il Poli in quegli anni.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.6 Gelido soffio di vento<br />

di Giulia Pirrini<br />

Una fredda mattina invernale, una solitaria ed esile<br />

figura dai capelli corvini contemplava il sorgere del<br />

sole: il cielo era cereo e la foschia accarezzava<br />

dolcemente le colline, verso l’orizzonte.<br />

Nemmeno quella notte Nadia era riuscita a dormire,<br />

fissando il soffitto per ore pensando alla vita. E alla<br />

morte.<br />

C’era una leggera brezza gelida che lacerava le sue<br />

calde e candide carni. Lei però pareva non avvertirla,<br />

il suo sguardo era lontano, gli occhi malinconici:<br />

ammirava la vallata, il suo paese natale, che tanto<br />

amava, che tanto le aveva dato e tanto le aveva tolto.<br />

Quella mattina, si era alzata di buon’ora e si era<br />

diretta al terrazzo panoramico: aveva sempre adorato<br />

quel posto, le sue pietre rosse, l’atmosfera<br />

confortante, dal sapore antico, che la avvolgeva e la<br />

portava lontano. Si poteva raggiungere soltanto da un<br />

piccolo sentiero acciottolato, tra le case della città<br />

vecchia; varcato l’enorme cancello di metallo nero, si<br />

poteva ammirare una chiesa, silenziosa, austera e<br />

davanti, nella corte, un pozzo in pietra bianca, ormai<br />

in disuso, ma dal grande fascino, dovuto alle tante<br />

leggende locali.<br />

Per un istante, un tenero sorriso illuminò il viso di<br />

Nadia, all’improvviso tornata bambina, mentre<br />

correva per quelle strade lastricate, divertendosi a<br />

sentire il rumore dei tacchi di sua madre, con l’eco<br />

delle risate che vagava per le vie del borgo. Quella<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

bambina non c’era più, svanita molti anni prima, al<br />

suo posto una giovane donna frustrata, stanca, senza<br />

più desideri o fantasie. Anche l’eco ormai era andato<br />

perduto, dissolto nello scorrere del tempo.<br />

Una lacrima rigò la guancia scarna di Nadia, che<br />

parve destarsi da un meraviglioso ma effimero sogno.<br />

Distolse lo sguardo dai ricordi, sapeva bene che il<br />

passato non poteva tornare, e nemmeno quella<br />

bambina, per quanto lo desiderasse ardentemente, per<br />

quanto il presente fosse insopportabilmente vuoto. I<br />

pensieri che avevano tormentato le sue notti<br />

all’improvviso tornarono e le dilaniarono il cuore e<br />

l’anima, profondamente.<br />

Vuota, ecco com’era la sua esistenza: il nulla saturava<br />

il suo cuore, non c’era spazio per nient’altro. Il futuro<br />

che fin da piccola aveva sognato, che aveva rincorso a<br />

perdifiato, con passione, che adesso era lì, tangibile, si<br />

era rivelato solo una fredda e vana illusione. Di notte,<br />

nel silenzio, la tristezza si faceva strada fra<br />

l’ingombrante vuoto e la destava dall’apatia, una<br />

tristezza furiosa, violenta, lacerante, che la piegava, la<br />

vinceva. Il vuoto però era lì, tenace e paziente<br />

compagno di viaggio, pronto a prendersi ciò che<br />

restava di lei.<br />

Fino a quel momento Nadia aveva desiderato<br />

ardentemente di continuare a soffrire, quella<br />

sofferenza era l’unica cosa che le facesse sentire la<br />

vita. Resisteva in lei una flebile fiamma di speranza,<br />

l’illusione che qualcosa potesse ancora cambiare.<br />

Aveva trascorso così lunghe notti, in bilico fra<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

disperazione e vuoto, a rincorrere freneticamente<br />

qualcosa che le desse la forza di urlare via inutilità e<br />

mediocrità.<br />

Mediocrità.<br />

Così si sentiva, profondamente e disgustosamente<br />

mediocre, inutile. E non c’è scampo. Non si può<br />

uscire da questo sistema, si è costretti a<br />

inginocchiarsi, ad abbassare la testa, a perdere la<br />

propria diversità, la propria personalità, sguazzando<br />

nella mediocrità, esaltando l’apparenza e soffocando<br />

la sostanza.<br />

Il mondo è avido di mediocrità, non ne è mai sazio.<br />

Milioni e milioni di individui tutti uguali, stesso<br />

lavoro, stessa casa, stessa automobile, persone<br />

addestrate fin da piccole, anno dopo anno. Il mondo<br />

è una immensa catena di montaggio che produce ciò<br />

che gli serve: operai, impiegati, artigiani; le rare<br />

eccezioni servono solo per produrre nuova<br />

mediocrità: nuove invenzioni necessitano di nuovi<br />

involucri lavoranti e la mediocrità si aggiunge alla<br />

mediocrità, fino alla fine del mondo.<br />

Lentamente, subdolamente, ci assuefanno all’idea<br />

della nostra inutilità: nessuno è indispensabile, siamo<br />

“tutti sulla stessa barca”, “lo fanno tutti”, così questa<br />

condizione viene accettata, quasi giustificata.<br />

Incessantemente e intenzionalmente, la coscienza<br />

viene distratta da cose effimere, superflue: prolificano<br />

centri commerciali, si susseguono mode, prodotti di<br />

ogni tipo, pubblicità. Comprare, spendere, possedere<br />

diventa il pane dell’anima, marcio surrogato della<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

felicità, e non si è mai soddisfatti: più consumi, più<br />

possiedi e più sei importante, più sei parte del<br />

meccanismo, inconsapevole, forse, ma mai<br />

incolpevole. Allora il vuoto ti prende, un pezzettino<br />

per volta e ti uccide, sempre di più, inesorabilmente.<br />

Nadia aveva provato a lottare, a liberarsi del vuoto<br />

che putrefà lo spirito, che lo avvelena, ma il nulla è<br />

forte, è ovunque e vince sempre, in un modo o<br />

nell’altro. E alla fine del cammino, resta soltanto<br />

l’amarezza di non aver vissuto, la penosa<br />

consapevolezza di essere stato solo un insignificante e<br />

fuggevole ingranaggio in un meccanismo freddo e<br />

sterile.<br />

Nadia abbassò lo sguardo, vitreo.<br />

Cos’è la vita, in fondo. È nient’altro che un solitario,<br />

gelido soffio di vento nell’universo; non sposta<br />

montagne, non prosciuga oceani, non oscura cieli. Un<br />

filo d’erba, talvolta, viene mosso dolcemente, per<br />

pochi istanti, impercettibilmente, poi tutto torna<br />

immobile. Fra pochi istanti, nemmeno quel filo d’erba<br />

esisterà più. E cosa è rimasto di quel soffio, cosa di<br />

quel momento? Anche i ricordi con il tempo si<br />

affievoliscono e muoiono. Di te, della tua essenza, di<br />

quello che hai fatto e detto, di quello che hai provato<br />

e pensato, cosa resta? Tu esistevi, eri lì, vivevi in<br />

quell’istante, però di te niente è rimasto. Il tempo è<br />

un nemico che non si può sconfiggere, non lascia<br />

tracce, cancella ogni cosa, ogni respiro, ogni filo<br />

d’erba, facilitato dall’assurda e caparbia mediocrità<br />

dell’esistenza.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Camminiamo lungo il sentiero della vita, soli, nel<br />

silenzio, nel vuoto che ci avvolge, di cui facciamo<br />

parte noi stessi; gli sforzi che facciamo ogni istante<br />

per vivere, per sopravvivere, per amare, per odiare,<br />

per primeggiare, per partire, per arrivare, per<br />

migliorare, sono solo vane illusioni, hanno<br />

unicamente scopo egoistico, spinti dalla necessità di<br />

mentire a noi stessi, di sentirci importanti per<br />

qualcosa o per qualcuno, di convincerci che<br />

lasceremo una qualche traccia, qualcosa di<br />

importante, che congelerà la memoria che il mondo<br />

ha di noi.<br />

Invece non siamo altro che un piccolo, effimero,<br />

gelido soffio di vento.<br />

Nadia trascinava con sé il peso di questi pensieri,<br />

divenuto ormai insostenibile.<br />

La domanda che ogni notte aveva respinto con forza<br />

la trovò ora debole, inerme e le squarciò l’animo,<br />

come una fredda lama lacera la carne: che la morte<br />

potesse finalmente separarla da quell’ingombrante<br />

nulla, donandole la serenità che in vita non era<br />

riuscita a raggiungere?<br />

La consapevolezza si fece violentemente strada nella<br />

sua coscienza, la flebile fiamma di speranza<br />

tenacemente sopravvissuta nel suo cuore, infine, si<br />

arrese.<br />

Nadia strinse a sé, delicatamente, i pochi brandelli<br />

rimasti della sua esistenza, guardò ancora una volta la<br />

sua città, le sorrise, con gratitudine, e svanì, nel gelido<br />

vento d’inverno.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

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indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.7 Il destino non buca il biglietto<br />

di Mario Trapletti (Trap)<br />

“A vent’anni si è stupidi davvero / quante balle si ha<br />

in testa a quell’età”.<br />

Venti: quelli che avevo io; ‘Eskimo’, invece, solo uno.<br />

La cantavamo sulla spiaggia intorno al fuoco, tra una<br />

canna e l’altra. No prego, non sono andato fuori di<br />

testa per la roba io, ero l’ottantaseiesimo io. Ci pensi<br />

e il cervello va su un binario morto se no deragli.<br />

Allora tanto valeva. Due canne avremo fatto ma<br />

erano i vent’anni. La sera del venerdì niente figa in<br />

giro, anche se era il primo agosto.<br />

- E io vi dico – mi fosse morta la lingua in quel<br />

momento – che mi faccio tutto un viaggio in treno<br />

senza pagare il biglietto e non mi beccano! Le sfide<br />

dello stupido, che giochi con la vita e non lo sai.<br />

Ancora canne e birra e la mattina presto da Sirolo mi<br />

portano in macchina (quella 2CV che pareva un<br />

presagio) alla stazione di Ancona. Il primo treno che<br />

partiva era l’Adria Express 13534 Ancona-Basilea che<br />

neanche sapevamo dov’era. “Zfizzerrra!” c’ha<br />

scatarrato un biondone che gli facevamo schifo. Solo<br />

cinquecento lire avevo in tasca che sai dove c’andavo.<br />

- Vi porto il cioccolato svizzero con le scritte<br />

tedesche - gli ho promesso e sono saltato su che mi<br />

ballavano le gambe di sonno e di canne e quei<br />

sacramenti dei miei soci ridevano come se lo<br />

sapevano che era l’ultima volta che li facevo ridere. Il<br />

treno era pieno che mi chiedevo dove andava tutta<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

quella gente in Svizzera. Macché! tanti erano italiani<br />

che andavano solo a Rimini o rientravano in Emilia<br />

Romagna dal Conero. C’era su di tutto; tante lingue.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

- Mi dava un po’ fastidio quello sballottamento<br />

continuo perché io mica stavo fermo che poi mi<br />

beccava il bucabiglietti. Erano quegli scompartimenti<br />

con la porta scorrevole che la gente la tiene chiusa<br />

così è convinta di stare a casa sua; qualcuno tira<br />

anche le tendine per l’intimità. Tante casette a<br />

schiera, manca solo l’orticello. C’era di quelli che<br />

facevano colazione e bevevano e ridevano e gli<br />

svizzeri li guardavano con gli occhi che dicevano<br />

“italiani terroni spaghetti”.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

I bambini giocavano strillavano saltavano, qualcuno<br />

scappava fuori e la mamma “Andrea… Gigino…<br />

Marco torna dentroooo!”. Proprio come tante<br />

casette: donne che si truccavano, giovani che si<br />

baciavano, gente che leggeva il giornale e io passavo<br />

e li guardavo dai vetri come nelle vetrine di negozi<br />

dove si vendeva la vita semplice di tutti i giorni. La<br />

vita la vita la vita! che io potevo essere<br />

l’ottantaseiesimo. Lo conosco a memoria l’elenco:<br />

…<br />

Mader Eckhardt, anni 14<br />

Mader Kai, anni 8<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mader Margret Rohrs, anni 39<br />

Manea Ved. De Marchi Elisabetta, anni 60<br />

Marangon Maria Angela, anni 22<br />

Marceddu Rossella, anni 19<br />

Marino Angela, anni 23<br />

…<br />

Lì tra<br />

Marceddu Rossella, anni 19<br />

e<br />

Marino Angela, anni 23<br />

ci dovevo stare io Marchetti Giulio, anni 20. Ci<br />

dovevo stare io ci dovevo stare io ci dovevo stare io.<br />

Una stazione ogni tanto scendevo e guardavo il treno<br />

da sotto che era anche bello, cominciava a piacermi<br />

con tutta quella vita che andava e veniva, saliva e<br />

scendeva come formiche in ferie. Il treno sembra<br />

proprio la vita che si sale e a un certo punto si scende:<br />

incontri gli altri che anche loro salgono e scendono,<br />

uno qua uno là. Sul treno si fa tutto. Che storia, mi<br />

stava prendendo e qualcuno di quelli che andavano<br />

lontano mi riconosceva mi salutava mi offriva da<br />

mangiare e da bere e una ragazza mi ha baciato e<br />

fumavo nei corridoi con gli uomini che ridevano<br />

perché traballavo un po’ e dicevo scemenze e<br />

avevano capito che scappavo per il biglietto. Uno<br />

anziano mi ha offerto di tirare la pipa e aveva 85 anni<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e io potevo essere l’ottantaseiesimo se il mio nome lo<br />

leggevo tra Marceddu Rossella, anni 19 e Marino<br />

Angela, anni 23. Perché io ero Marchetti Giulio, anni<br />

20, ero.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

Però non ci sono nell’elenco, l’ho letto e riletto tante<br />

volte e non avevo fumato. L’Adria Express 13534 è<br />

arrivato quasi puntuale a Bologna alle 10:20, dieci<br />

minuti di sosta e ripartivamo. Il treno è una bella<br />

bestia che tira il fiato un attimo, una pisciatina e via di<br />

nuovo a far scintille sui binari. Gente che scende,<br />

gente che sale. Ero seduto che giocavo a carte con<br />

una svizzerina tenera come una simmenthal e uno mi<br />

ha gridato “Il controllore!”. Ho perso quel momento<br />

a dare un bacio sulla guancia alla biondina e quello mi<br />

ha visto che scappavo. Io via! Mi cade l’occhio sul<br />

grande orologio della stazione, le 10:24. E lui dietro<br />

giù per i gradini e io via a salti e spinte e la svizzerina<br />

“Zcappa! Zcappa!” e fortuna che siamo sul primo<br />

binario e vedo il cartello USCITA e lui a gridare:<br />

- Fermalo! Fermalo! - e io che sono già fuori dalla<br />

stazione e corro ancora e mi infilo fra i taxi e<br />

Quel bastardo mi si è buttato addosso, ho pensato intanto<br />

che finivo per terra con un sacco di cemento sulle<br />

spalle. Ma quel tuono che erano mille tuoni quegli<br />

schianti quelle urla – mi scorticano quelle urla! –<br />

quelle invocazioni quelle sirene quell’inferno, non<br />

c’entravo io col mio biglietto.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Volete sapere che ore sono? Le 10:25, il mio orologio<br />

segna solo le 10:25. Sempre. Però io non sono<br />

l’ottantaseiesimo dell’elenco ma le ho viste le foto<br />

delle due carrozze sul primo binario e lì dentro c’era<br />

la mia svizzerina, c’ero stato io lì.<br />

Ta-tam! Ta-tam! Ta-tam!<br />

Ma la mia testa la mia testa la mia testa è rimasta là a<br />

quel 2 agosto 1980.<br />

85 morti.<br />

L’ho più preso il treno.<br />

72<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.8 La pensione<br />

di Pierangelo Colombo<br />

Un canglore metallico susseguì la lucente moneta<br />

inserita nella feritoia della macchinetta, mentre le dita,<br />

correndo lungo la tastiera, ne sfiorò i pulsanti<br />

severamente allineati, premendo infine il più usurato<br />

selezionando un caffè espresso.<br />

La porta a vetri della saletta filtrava appena il fracasso<br />

dell’officina: torni, frese, presse, una sirena che<br />

segnalava il blocco di un macchinario; rumori che si<br />

mescolarono alla voce di due giovani colleghi che, già<br />

servitisi alla macchinetta, discutevano<br />

appassionatamente di calcio, mentre Raffaele,<br />

immerso nei propri pensieri, osservava il caffè cadere<br />

a cascata nel bicchierino di plastica.<br />

La luce bianca al neon sviliva ancor di più il grigiore<br />

della giornata autunnale che filtrava a stento<br />

attraverso i vetri satinati delle finestrelle, mentre<br />

l’orologio scandiva inesorabile i minuti di quella pausa<br />

turno.<br />

Accompagnando i gesti con un sospiro, Raffaele<br />

prelevò il bicchiere fumante portandoselo alle labbra.<br />

Le dita indurite dai calli percepirono appena,<br />

attraverso l’esiguo spessore del bicchierino, il calore<br />

del caffè bollente. Calore che assaporò attraverso il<br />

palmo della mano, mentre l’aroma del caffè si<br />

mescolava all’odore di olio chimico che ne<br />

impregnava la pelle assieme al sapone: vanamente<br />

adoperato per attutirne l’afrore.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Raffaele fissò le proprie mani: dita tozze da<br />

carpentiere, dove il grasso e l’olio usati sul tornio<br />

andavano ad annerirne i solchi fra le creste delle pelle<br />

esaltandone così l’impronta digitale. Le vibrazioni del<br />

macchinario, assorbite attraverso la pelle, sembravano<br />

rimbombare nella mano in una infinita eco per poi<br />

essere rilasciate lentamente attraverso un lieve<br />

tremore.<br />

Mani che, nonostante il lungo sfregare con sapone e<br />

detergenti, sembravano sempre lorde. Mani di cui<br />

Raffaele a volte provava vergogna. Le aveva tenute<br />

strette a pugno quando aveva accompagnato la figlia<br />

all’altare; disagio che aveva provato anche quando,<br />

dinanzi la fonte battesimale, con quelle dita che<br />

parevano insudiciarne la candida veste aveva tenuto il<br />

nipotino facendogli da padrino.<br />

Mani però, che in quasi trentanove anni di lavoro, gli<br />

avevano sempre permesso di guadagnare il pane<br />

onestamente, senza scorciatoie o compromessi, e di<br />

questo ne andava fiero, nonostante siano valori sviliti<br />

al tempo d’oggi.<br />

Sorseggiò lentamente quel caffè che sentì amaro<br />

come non mai. L’ultimo caffè da operaio. Alle<br />

quattordici in punto infatti, timbrando l’uscita<br />

avrebbe chiuso definitivamente con la vita lavorativa.<br />

Il miraggio illusorio di un’indipendenza economica<br />

l’avevano spinto, poco più che sedicenne, a scegliere<br />

il lavoro al tedio studio dell’algebra e del latino.<br />

Lasciando i banchi di scuola, per quelli assai più ardui<br />

dell’officina, aveva dato inizio a lunghi anni dove la<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

sirena chiamava alle otto ore che sembravano non<br />

passare mai nel fischiettare la solitudine per<br />

alleggerire la fatica.<br />

Lunghi i pomeriggi estivi, quando la canicola rendeva<br />

irrespirabile l’aria pregna di polvere e sudore, quando<br />

la limaglia pareva penetrare nella pelle<br />

punzecchiandola come spilli, rendendo una doccia<br />

più ambibile dell’oro.<br />

Pungenti i freddi mattini d’inverno, quando le mani<br />

intorpidite dal freddo faticavano a manovrare gli<br />

utensili gelati e il pensiero correva svelto a quel letto<br />

caldo lasciato prima ancora dell’alba, quando, facendo<br />

il primo turno, puntava la sveglia alle cinque e cinque<br />

rubando così qualche minuto al tempo tiranno.<br />

Sonno dissolto lentamente sulla corriera che,<br />

dall’entroterra, lo portava alla città della “Lanterna”<br />

che, austera, pareva ergersi dal mare nero dell’alba<br />

indicandogli la meta. Fitta la nebbia che pareva<br />

trasformare quella corriera in un fantasma diretto<br />

verso le luci di una fabbrica dove i dialetti si<br />

confondono soffocati dal rumore e tante storie<br />

diverse s’incrociano in un unico destino.<br />

Raffaele attendeva il pensionamento con la stessa<br />

ansia con cui un soldato di leva conta i giorni<br />

mancanti al tanto sospirato congedo.<br />

Non era così però che aveva sognato quel suo ultimo<br />

caffè, quelle sue ultime ore in tuta blu che ormai<br />

indossava come una seconda pelle. Sognava una<br />

bottiglia di prosecco con i compagni di una vita,<br />

qualche pasterella a fine turno ribattendo a scherni e<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

battute di spirito. Immaginava le pacche degli amici,<br />

le vigorose strette di mano ad accompagnare magari<br />

una leggera malinconia capace di far lucidare lo<br />

sguardo di tutti.<br />

Era solo invece in quella saletta, dove il brusio della<br />

macchinetta indicava l’uscita dei due colleghi di cui<br />

conosceva soltanto il nome. La crisi, il riassetto della<br />

società, avevano portato lo scompiglio con la cassa<br />

integrazione, la mobilità, il riposo compensativo,<br />

perciò Raffaele si trovava in un turno e un reparto<br />

che non erano il suo. A rendere più amaro quel caffè<br />

però, era la strana sensazione che provava dinanzi a<br />

quel prepensionamento a cui era stato aggiunto un<br />

incentivo per “togliere il disturbo”, risolvendo il<br />

problema d’esubero del personale.<br />

Raffaele sapeva per esperienza che nessuno era<br />

indispensabile: troppi i colleghi visti andandosene con<br />

l’arrogante presunzione d’essere insostituibili,<br />

rimpiazzati invece senza alcun disagio. Credeva però,<br />

o meglio sperava, d’essere qualcosa in più di un<br />

semplice numero su di un cartellino; ed ora pagava<br />

pesantemente lo scotto d’essersi illuso nella sua<br />

meticolosità, la disponibilità nei confronti delle<br />

esigenze dell’azienda, la docile sottomissione ad ogni<br />

richiesta. Bruciava la consapevolezza d’essere di<br />

troppo, superfluo, un peso per l’azienda; così come<br />

bruciava il pensiero di ricevere soldi per andarsene:<br />

una specie di rottamazione.<br />

Malinconicamente, uscì dalla saletta diretto alle ultime<br />

due ore di lavoro, come un mulo che si accinge al<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

giogo, quando, in lontananza vide la figura del<br />

caporeparto, dirigersi verso di lui.<br />

Una speranza, fievole come un lumicino, si accese nel<br />

suo animo. Illusione dettata da un beffardo sorriso<br />

dipinto sul viso dell’uomo che, ambiguo, si dirigeva<br />

verso di lui.<br />

“Eccolo, ora mi dirà di salire in direzione, ne sono<br />

certo, forse mi daranno una lettera di ringraziamento;<br />

forse un orologio, magari una patacca, una penna o<br />

una medaglia. Oh mio Dio cosa dirò? Mi sudano già<br />

le mani!” il cuore esplose in una corsa sfrenata.<br />

«Belandi! Allora sei pronto per fare il nonno a tempo<br />

pieno?» eruppe il caporeparto con un gran sorriso<br />

mentre, con una pacca sulla spalla infuse un<br />

entusiasmo tale in Raffaele da fargli tremare le mani.<br />

Raffaele ristette in attesa di quella frase che tanto gli<br />

coceva dentro, con il desiderio di rivalutazione, di<br />

farsi finalmente una persona e non un numero.<br />

«Senti un po’, ho visto Luca del personale..» Raffaele<br />

trattenne il fiato aspettando una conferma ai propri<br />

desideri, «dice che il tesserino puoi lasciarlo in<br />

portineria quando esci, senza salire in ufficio.»<br />

Raffaele ristette senza parole, sentendo tutto il peso<br />

della delusione cocente piombargli addosso con la<br />

stessa soffocante potenza di una slavina.<br />

«Grazie!» disse poi, tornando mestamente al suo<br />

posto.<br />

indice<br />

77


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.9 Il disertore<br />

di Gianni Martinetti<br />

Così ne parlavano i giornali:<br />

“ ... frammento di memoriale trovato nelle tasche del disertore<br />

Vannini Giulio, di anni 23, ucciso da un colpo di arma da<br />

fuoco, sfuggito, accidentalmente, al sottufficiale di P.S. Franchi<br />

Artemisio…”<br />

Questa volta starò bene attento e, se vorranno<br />

riprendermi, dovranno faticare a lungo.<br />

Loro, i capoccioni, questa la chiamano diserzione, io,<br />

libertà.<br />

Ma perché non riescono a convincersi che non posso<br />

sottomettermi alla costrizione di una divisa, di un<br />

orario da rispettare, di una successione monotona di<br />

atti, tutti programmati?<br />

Io sono nato per essere libero: non ho mai avuto<br />

programmi e scadenze, non ho mai cercato di<br />

accaparrare denaro, non ho mai posseduto una casa.<br />

Sono nato nei boschi, sono sempre vissuto nei boschi<br />

e voglio morire nei boschi.<br />

Non ho altri desideri, non faccio del male ... e allora<br />

perché non mi si lascia in pace?<br />

Non ho mai cercato niente, non ho mai dato noia a<br />

nessuno, chiedo solo di essere lasciato nella mia<br />

solitudine.<br />

E’ così difficile ottenere una cosa tanto semplice?<br />

Non m'importa di essere chiamato animale selvatico,<br />

straccione, eremita: le parole lasciano solo un breve<br />

scompiglio superficiale, per poi fuggire via come il<br />

vento di marzo.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non voglio essere obbligato ad ossequiare un altro<br />

uomo, solamente perché porta dei gradi. Non capisco<br />

perché dovrei farlo: è un estraneo che non conosco e<br />

che non ho mai cercato di conoscere.<br />

Io voglio salutare solamente il sorgere dell'alba e<br />

l'arrivo di un nuovo giorno; voglio poter cantare con<br />

le cicale la mia gioia di vivere.<br />

Non voglio appartenere alla comunità: troppi odi,<br />

troppo rancore, troppa slealtà.<br />

Le mie lepri e i miei scoiattoli non sono così.<br />

Forse se i capoccioni avessero capito questo modo di<br />

vivere mi avrebbero lasciato andare.<br />

Non hanno voluto ascoltare le mie ragioni e si sono<br />

sentiti in dovere di privarmi dell'unico bene che ho<br />

avuto e che adesso cerco di riavere: la mia libertà.<br />

Tre volte sono scappato, tre volte mi hanno ripreso,<br />

tre volte mi hanno condannato.<br />

Ho passato più di un anno in carcere.<br />

Il solo ricordo di quella detenzione forzata mi fa<br />

venire i brividi.<br />

Continuavo a misurare quei cinque metri quadri della<br />

cella a passo rabbioso, quasi animalesco, nella<br />

disperata attesa del ritorno al reggimento per poter<br />

tentare di nuovo la fuga.<br />

Questa volta però non mi farò riprendere; proteggerò<br />

con astuzia la mia riconquistata libertà.<br />

Mi attenderanno certamente all'imboccatura della mia<br />

caverna, sicuramente nascosti nei pressi: sono<br />

convinti che prima o poi vi farò ritorno, come ho<br />

fatto le altre volte, ma non sarò cosi ingenuo.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non ritornerò mai più. Troverò un altro buco in cui<br />

ripararsi di notte dal freddo e dalle intemperie.<br />

Loro non possono sapere che, prima, una ragione<br />

ben precisa mi costringeva a ritornare: volevo<br />

rivedere il mio grillo.<br />

Quando mi hanno preso l'ultima volta, me l'hanno<br />

ucciso schiacciandolo sotto i piedi.<br />

E pensare che quel grillo era lì da tanto tempo.<br />

Eravamo diventati amici e io non l'avevo mai<br />

dimenticato.<br />

Sono stati cattivi.<br />

Ma perché non riescono a capire?<br />

Forse non è che non riescono, non vogliono.<br />

E’ una colpa voler essere al di fuori degli schemi della<br />

società?<br />

Eppure non sono dannoso per gli altri, sono soltanto,<br />

secondo il loro linguaggio, passivo.<br />

O è inumano anche l'essere passivo?<br />

Non ho mai cercato la carità per sopravvivere; mi<br />

sono sempre bastati pochi frutti raccogliticci.<br />

Ma perché devo difendermi?<br />

Non mi sento in colpa. Dovrebbero essere loro a<br />

sentirsi in colpa.<br />

Loro, la Giustizia - che bei termini usano nelle loro<br />

definizioni - e i suoi responsabili: i giustizieri, loro<br />

sono i colpevoli.<br />

Io non ho mai accettato codici e leggi: loro mi ci<br />

hanno costretto con la scusa della superiore volontà.<br />

Io non ho mai imposto a nessuno di seguire il mio<br />

modo di vita.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non ho mai costretto nessuno -se non gli garbava - a<br />

danzare nudo sotto la pioggia come faccio io.<br />

L'unica persona a cui l'avevo proposto, una pastorella<br />

incontrata per caso sull'alpe, si era adirata o aveva<br />

finto e se ne era fuggita via, dandomi del matto.<br />

Forse avrà avuto paura di prendere un raffreddore.<br />

Peccato, perché non saprà mai quanto sia bello<br />

distendersi nel muschio del sottobosco e sentire le<br />

gocce d'acqua saturare i pori della pelle, accarezzare i<br />

peli della pancia e giocherellare sullo stomaco e sul<br />

ventre. Non conoscerà mai quegli attimi meravigliosi<br />

in cui ci si sente totalmente immersi nelle profondità<br />

naturali come piccole particelle di un grande spirito.<br />

O forse avrà avuto timore di mostrare le sue nudità.<br />

Nel mio mondo non ci sono pudori, non ci sono<br />

inibizioni; mi sento parte integrante della natura, non<br />

sconvolgo l'equilibrio delle cose.<br />

Ma perché non vogliono capire?<br />

Non importa.<br />

Questa volta non riusciranno a scovarmi anche se per<br />

acciuffare un “disertore recidivo” come me, sono<br />

capaci di organizzare una battuta a largo raggio.<br />

Che strano: come si prendano tanta pena per chi non<br />

vuole sottostare alle loro leggi.<br />

Preferiscono spendere un sacco di soldi per<br />

riagguantarmi e mantenermi in galera, anziché<br />

lasciarmi libero e indipendente sulle mie rocce.<br />

Chissà se useranno anche i cani?<br />

Chissà se mi spareranno addosso?<br />

Ho paura.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non devono trovarmi, non mi lascerò trovare.<br />

Ma perché non vogliono capire?<br />

Uno come me non può dar fastidio.<br />

Forse per loro costituisco un esempio da non imitare,<br />

che non deve essere seguito da altri e quindi un<br />

esempio da castigo esemplare e, al limite, da<br />

eliminare.<br />

Ecco il perché di tanta fatica: io sono - per usare il<br />

loro linguaggio - un rivoluzionario, un disfattista, un<br />

anarcoide ribelle alle superiori autorità.<br />

Devo essere eliminato, altrimenti potrei venire<br />

additato come - e cito sempre parole loro -<br />

catalizzatore di pericolosi sfaldamenti nei confronti di<br />

un'autorità che deve essere arbitra assoluta della<br />

convivenza sociale. Non so se l'autorità sia una cosa<br />

giusta per gli altri uomini, non mi interessa: so<br />

soltanto che è una limitazione della mia libertà.<br />

Mi ribello a questo sopruso: è nel mio diritto di uomo<br />

libero.<br />

Non voglio autorità e per questo non mi devono<br />

trovare.<br />

... (parole illeggibili perché slavate dalla pioggia - o, forse,<br />

macchiate dal sangue)<br />

Chissà se mi spareranno addosso?<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

2.10 La Collanina<br />

di Maria Carla Bracaccini<br />

Il convegno è appena terminato e, di tutto quanto è<br />

stato detto, non riesco che a pensare alla frase con cui<br />

una signora ha finito il suo intervento.<br />

Colpita dal cancro, ancora viva e decisa a continuare<br />

la sua strada.<br />

Come me!<br />

“Siamo delle lungoviventi grazie alla scienza e per<br />

questo dobbiamo sfruttare al meglio questa seconda<br />

possibilità che ci è offerta.”<br />

Lungovivente, io sono una lungovivente, mi ripeto<br />

camminando per tornare a casa.<br />

E' estate, le vie dei centro della mia città sono tutte<br />

illuminate, i negozi ancora aperti nonostante l'ora<br />

tarda e dalla piazza arriva il suono di un'orchestrina.<br />

Gli ambulanti hanno quasi terminato di sistemare le<br />

loro bancarelle. Domani sarà la festa del patrono della<br />

città e mi sono ripromessa di rispettare tutte le<br />

tradizioni, cosa che da alcuni anni non faccio.<br />

Avere i figli e le loro famiglie tutti riuniti attorno alla<br />

tavola imbandita con piatti tradizionali, comprare ai<br />

grandi il “ciuffoletto” un piccolo regalo, andare con i<br />

piccoli per bancarelle a cercare i giochi che da tempo<br />

chiedono.<br />

Ma “quella” ha rovinato tutto. Accidenti, ci voleva<br />

proprio che pronunciasse quella parola.<br />

Ho impiegato tanto tempo e tanta fatica per riuscire a<br />

riprendere in mano la mia vita e non ho ancora<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

terminato perché ogni giorno debbo fare un piccolo<br />

passo in avanti.<br />

La malattia mi ha costretto a mettere in discussione<br />

tutto il mio vissuto.<br />

Molte cose che “prima” ritenevo importanti hanno<br />

quasi perso significato.<br />

Le domande che mi pongo frequentemente e che mi<br />

fanno star male sono sempre le stesse.<br />

“Perché? Ho delle colpe? E' tutto finito qui? Sono<br />

anch'io tra coloro che ce la fanno? Merito una<br />

seconda possibilità?”.<br />

Lentamente, molto lentamente, grazie all'amore per la<br />

vita e per chi mi è caro, riesco ad essere meno<br />

spaventata, gioisco per piccoli gesti, come un<br />

abbraccio dei miei piccolini, un sorriso dell'uomo<br />

della mia vita, un lavoretto che sono riuscita a portare<br />

a termine ma soprattutto comincio di nuovo a vedere<br />

davanti a me un futuro, ad avere voglia di fare<br />

progetti, a sognare.<br />

Oggi mi sono alzata piena di energia ed ho trascorso<br />

la giornata ad organizzarmi per domani.<br />

Nonostante io mi sforzi per far sì che ogni giorno sia<br />

migliore di quello appena trascorso, a volte basta una<br />

parola, un avvenimento per farmi tornare indietro,<br />

per sentirmi angosciata e questa sera la signora è<br />

riuscita in questo.<br />

Tutta presa dai miei pensieri non riesco neanche a<br />

dare uno sguardo alle bancarelle.<br />

Alla fine della via però, sono attratta da una musica<br />

che per me è molto importante.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi fermo. La ballerina del carillon gira lentamente<br />

accompagnata dalla ninna nanna di Brahms.<br />

Associo sempre questa musica a mio padre ed anche<br />

ora sento nel cuore quella dolce malinconia che il suo<br />

ricordo mi provoca sempre.<br />

Rimango ferma a fissare la ballerina dal bianco tutù,<br />

le braccia sollevate, il visino perfetto inclinato e nel<br />

momento in cui cessano la musica ed il suo dolce<br />

volteggiare, odo una voce dal forte accento straniero.<br />

“Per quel collo da principessa ci vuole una collana<br />

che brilli”.Un anziano uomo di colore con due occhi<br />

colmi di dolcezza, mi guarda rivolgendomi un caldo<br />

sorriso.<br />

Sul momento non credo si rivolga a me, ma lì ci sono<br />

solo io.<br />

In mano ha una collanina di minuscole perline<br />

bianche che brillano sotto la luce del faretto posto al<br />

centro della sua bancarella e me la porge.<br />

Non so che fare. Allora lui si alza, mi si avvicina,<br />

prende la mia mano, ci posa la collanina e,chinando il<br />

capo da un lato dice. “Prego, provala, è stata fatta<br />

proprio per te!”<br />

Sì, è proprio carina e corta proprio come piace a me.<br />

La indosso e guardandomi in un piccolo specchio che<br />

il signore tiene in mano, trovo che mi stia veramente<br />

bene.<br />

Chiedo il prezzo, pago e lo saluto con un semplice<br />

buonasera.<br />

Lui invece, prima di tornare a sedersi mormora. “Ciao<br />

bella signora, fai brillare anche i tuoi occhi.”<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Una semplice parola mi ha riempito di angoscia, una<br />

collanina ed il sorriso di un vecchio signore mi hanno<br />

scaldato il cuore.<br />

Riacquisto la mia serenità.<br />

Sì, è vero che una tremenda malattia mi ha colpito, sì<br />

è vero che grazie alla scienza io ora sono qui.<br />

Sì e vero, sono una lungovivente ma con un collo da<br />

principessa ed una collana che lo fa brillare, mi dico<br />

con un sorriso mentre apro la porta della mia casa,<br />

del mio regno.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3. Sezione Donna<br />

3.1 Ogni sera, tranne il giovedì<br />

di Vanes Ferlini<br />

Le compravo una rosa ogni sera. Mi compravo il suo<br />

sorriso, che ogni sera svaniva sempre più<br />

velocemente. Lasciava il posto alla maschera<br />

indecifrabile del viso da eterna bambina che non si<br />

rassegna allo scorrere del tempo. L'unico a sorridere<br />

davvero era il pakistano. Si presentava puntuale al<br />

nostro tavolo: alle nove e trenta, ogni sera tranne il<br />

giovedì, con il mazzo di rose a stelo lungo. Non<br />

avevo voglia di tirare sul prezzo e lui ne approfittava:<br />

la stessa rosa costava ogni sera sempre più cara. Era<br />

l'unico regalo che lei accettava da me e questo mi<br />

sollevava parecchio, perché non avrei potuto<br />

permettermi doni più costosi.<br />

Forse anche il pakistano si chiedeva come mai quella<br />

bella signora, elegante ma non appariscente,<br />

voluttuosa ma non sfacciata, non sorrideva più come<br />

al principio. Piccoli mutamenti, gesti insignificanti,<br />

parole sfuggite come per caso. Sintomi imprevedibili.<br />

Un pennacchio di fumo che sale dal vulcano<br />

dormiente. Nessuno si preoccupa: in definitiva si<br />

tratta solo di un esile filo di fumo.<br />

Nemmeno io mi preoccupai. La noia, la mancanza di<br />

interessi radicati, una vita affettiva ridotta a una<br />

scatola vuota. Motivi più che sufficienti a spiegare il<br />

suo stato di sfiducia e apatia.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi resi conto che soffriva di solitudine. Non era<br />

causata dal recente divorzio, doveva possedere radici<br />

ben più lontane, ben ramificate negli interstizi delle<br />

banalità di ogni giorno. Forse per questo lei si<br />

attaccò tanto a me. Le piaceva ricevere piccole<br />

attenzioni, come quelle degli innamorati ai primi<br />

incontri. La faceva sentire giovane e desiderabile... e<br />

non ne faceva mistero.<br />

Il tavolo riservato. Sempre lo stesso, a partire dal<br />

primo incontro. Tutte le sere ad eccezione del<br />

giovedì. Il maitre ci accompagnava al tavolo, quindi ci<br />

lasciava soli per una mezz'oretta prima di tornare a<br />

prendere l'ordinazione. Nel frattempo lei mi aveva<br />

raccontato la sua giornata o per meglio dire le<br />

sensazioni della giornata e io avevo ascoltato in<br />

religioso silenzio, come un confessore troppo buono<br />

che non osa interrompere il penitente.<br />

Luci vellutate e notturni di Chopin suonati dal<br />

pianista all'angolo opposto della sala. Creavano<br />

l'illusione di un universo parallelo, limpido e<br />

incorruttibile, che non possedeva nulla in comune<br />

con il mondo di fuori. Nessuna possibilità di<br />

contatto.<br />

A volte entravano nella sala uomini d'affari o dirigenti<br />

d'azienda, impettiti nei loro gessati, stirati alla<br />

perfezione. Tutti la notavano, non potevano farne a<br />

meno. Qualcuno si ostinava a fissarla a lungo. Lei era<br />

consapevole degli sguardi che si ritrovava addosso,<br />

ma non li ricambiava mai.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Si limitava a sorridermi lievemente, con la complicità<br />

dei bambini, e io mi sentivo importante, perché<br />

snobbava tutti gli altri, guardava me solo.<br />

Non ho mai capito, né d'altronde me lo sono chiesto,<br />

perché prediligesse quel locale. Era stata lei a<br />

sceglierlo, la prima volta, e non mi passò mai per la<br />

mente di proporle una variazione. Là dentro tutto<br />

sembrava armonico e perfetto: qualcuno aveva creato<br />

l'ambiente ideale nel quale specchiarsi e trovarsi<br />

migliori di come ci vediamo di solito.<br />

A me chiedeva solo la presenza, lo sguardo, una frase<br />

dolce di tanto in tanto... e io glieli offrivo volentieri,<br />

tutte le sere. Tranne il giovedì.<br />

Era sempre lei a pagare il conto. Anche perché, con il<br />

mio stipendio da interinale, non me lo sarei potuto<br />

permettere. All'inizio lo trovai imbarazzante, ma<br />

diventò presto una consuetudine. Le mie timide<br />

proteste suonavano ancora più false di quanto non<br />

fossero in realtà, quindi la lasciai fare, sfidando gli<br />

sguardi ficcanti dei camerieri. Ben presto venne meno<br />

anche il sottile disagio che mi prendeva quando lei<br />

estraeva la carta di credito dal portafoglio di Armani.<br />

“Tu fai così tanto, per me” mi sussurrava.<br />

In realtà non facevo nulla. Stavo ad ascoltarla per<br />

gran parte della serata.<br />

Sono bravo ad ascoltare. Non è facile come si crede,<br />

non è sufficiente capire ciò che l'altro ti vuole dire.<br />

Bisogna assimilare le parole, rielaborarle, come la<br />

creta nelle mani dello scultore, quindi restituirle al<br />

mittente sotto forma di comprensione. E’ sufficiente<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

anche una frase di dieci parole, purché siano quelle<br />

che l'interlocutore vuol sentirsi dire.<br />

Con lei tutto questo mi riusciva facile. Non era una<br />

finzione, la mia. Mi piaceva restare ad ascoltarla per<br />

ore... e lei lo sapeva.<br />

Non si lasciava mai andare agli sproloqui. Discorsi<br />

asciutti, frasi misurate, cadenzate sul velluto di una<br />

voce profonda da contralto, incrinata però dalle<br />

troppe sigarette. E forse da qualcos'altro.<br />

In quelle ore di intimità, il solco generazionale che ci<br />

divideva sembrava sparire come per incanto. Lei si<br />

sforzava di colmarlo, di approssimarsi a me in ogni<br />

modo, dato che io ero troppo giovane per<br />

avvicinarmi a lei. Portava i suoi cinquantadue anni in<br />

modo splendido. Mi confidava che, con le nuove<br />

conoscenze maschili, si spacciava per una<br />

quarantenne neo-divorziata alla ricerca di una<br />

relazione sincera e duratura. Utopia.<br />

Con la stessa sincerità disarmante confessava che le<br />

nuove conoscenze naufragavano nel giro di due o tre<br />

settimane. Gli uomini non la soddisfacevano in nulla,<br />

non sapevano infonderle quello stimolo nuovo alla<br />

vita che lei stava cercando con ostinazione disperata.<br />

Un paio di volte mi disse di essere stata a letto con<br />

uomini appena conosciuti. Non lo esplicitò a chiare<br />

lettere, me lo fece capire con giri di parole. Una vera<br />

signora, in tutto. In quelle circostanze mi fissò a<br />

lungo, forse per cogliere in me qualche sintomo di<br />

gelosia.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non ero geloso né scandalizzato per le sue<br />

confessioni intime. Non potevo esserlo: ci<br />

conoscevamo da troppo tempo. Ciò che davvero mi<br />

metteva a disagio era la sua solitudine, ma non riuscii<br />

a immaginare quanto fosse tremenda.<br />

Ero il suo confidente. Discreto e sicuro, perché<br />

sapeva che non avrei mai fatto alcun cenno ad anima<br />

viva. Comprensivo, perché le offrivo la parola giusta<br />

proprio quando lei se l'aspettava.<br />

Le sue confessioni non erano mai dirette, non<br />

sembravano premeditate. Era capace di discorrere di<br />

argomenti futili (almeno dal mio punto di vista) per la<br />

serata intera, per scivolare all'improvviso sull'intimo,<br />

approfittando di una liaison involontaria o di una<br />

associazione di idee in apparenza casuale. Cercavo di<br />

cogliere questi momenti e di farle capire che li avevo<br />

fatti miei. Scorgevo allora nei suoi occhi un lampo di<br />

fuoco antico, un risveglio di fiamma rimasta sopita<br />

troppo a lungo sotto la cenere del vuoto quotidiano.<br />

Di rado mi azzardavo a darle consigli. Per lei era<br />

comunque sufficiente sapere che partecipavo alle sue<br />

emozioni più intime. Le serate trascorrevano con<br />

velocità imprevedibile, ogni cena aveva il sapore della<br />

prima volta. Tranne il giovedì.<br />

Dopo una settimana smettemmo di darci<br />

l'appuntamento. Ci ritrovavamo al medesimo tavolo,<br />

sempre alla stessa ora, per accordo tacito.<br />

Durante il giorno non mi chiamava mai, né in ufficio<br />

né sul cellulare. Nemmeno io la chiamavo. Del resto,<br />

non avevo nulla da dirle. La sera, invece, eravamo<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

immersi nel nostro mondo esclusivo, dove le parole<br />

fluivano facili e tutto sembrava possibile. Oppure<br />

impossibile, dipendeva dalla serata.<br />

Tenevo spesso lo sguardo fisso sul suo viso. La bocca<br />

languida, gli occhi verde pallido e minuscole rughe a<br />

zampa di gallina sugli angoli. Diventavano più<br />

pronunciate quando rideva.<br />

Adoravo quelle rughe. Una sera mi disse che, per la<br />

prima volta in vita sua, intendeva rivolgersi a un<br />

chirurgo estetico per farle sparire.<br />

Minacciai di non presentarmi più all'appuntamento se<br />

avesse posto in atto quel piano sciagurato. Lei rise di<br />

gusto, come non accadde più, in seguito.<br />

Con il passare del tempo diventò abulica. Non<br />

riuscivo più a farla ridere di sé stessa (è sempre una<br />

gran medicina) e anche quando sorrideva delle mie<br />

battute sembrava facesse più che altro per<br />

accontentarmi. Non mi accorsi a quale punto fosse<br />

giunta la sua solitudine. O forse, in modo inconscio,<br />

non volli rendermene conto.<br />

“Il giovedì sera è triste, non so mai cosa fare” mi<br />

disse. Era il giorno di chiusura del nostro locale. Le<br />

risposi con un motto di spirito che non ricordo<br />

neppure.<br />

Lei non mi fece mai una colpa per non aver saputo<br />

aiutarla anzi, anche nelle sere più tristi non mancava<br />

di regalarmi sguardi pieni di dolcezza, come non ho<br />

mai avuto da nessuna donna.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi resta però il rimorso di non aver captato i segnali<br />

di aiuto che mi lanciava. Talvolta erano così palesi<br />

che adesso vorrei sbattere la testa al muro.<br />

“Oggi non sono andata in ufficio. Ho aspettato che<br />

si facesse sera.”<br />

Una frase che poteva significare tutto oppure nulla.<br />

Un filo di fumo. E io non l'ho capita, ero troppo<br />

lusingato del ruolo che lei mi attribuiva. Ero la<br />

persona più importante della sua vita... lo sarei<br />

sempre stato. Quando mi fissava negli occhi, era<br />

come se rivendicasse la mia appartenenza a lei.Io le<br />

appartenevo ma lei non era mia.<br />

In tutto quel tempo non ci siamo mai neppure<br />

sfiorati. Nessun bacio sulla guancia, né un lieve tocco<br />

di mani. Eppure lei era così intensamente dentro di<br />

me.<br />

Non le piaceva ricevere apprezzamenti per<br />

l'abbigliamento o la pettinatura. Frasi udite troppe<br />

volte da altri uomini. Non era quello che voleva da<br />

me. Di conseguenza non mi curavo troppo della sua<br />

mise o di come si truccava. Era sempre di un'eleganza<br />

sobria, incorruttibile.<br />

Una sera aveva indossato una gonna corta, sopra il<br />

ginocchio. Non portava calze. Mentre pagava il<br />

conto, mi sorpresi a osservare le sue caviglie<br />

affusolate. Non potei neppure evitare il confronto<br />

con le gambe della mia ragazza. Quest'ultima ne uscì<br />

irrimediabilmente sconfitta, ahimè.<br />

L'insistenza del mio sguardo fu tale che lei se ne<br />

accorse. Per dissimulare l'imbarazzo inventai una<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

battuta di spirito, l'ennesima delle mie stupidaggini<br />

senza capo né coda.<br />

Lei mi sorrise in modo nuovo, stringendo gli occhi,<br />

come non l'avevo mai veduta prima. Non era certo<br />

per la mia pessima uscita. Era rimasta lusingata dal<br />

mio sguardo impudente, lo considerava un<br />

complimento muto e, per questo, assai più sincero<br />

delle parole.<br />

Da quella sera la nostra complicità si accrebbe,<br />

fomentata dall'atmosfera surreale del locale.<br />

Ogni sera, appena seduti al tavolo, spegnevamo il<br />

cellulare. Era il rito propiziatorio per isolarci da tutto<br />

ciò che non fosse noi. In tutto questo non ci trovavo<br />

nulla di male. Anche i camerieri, dopo la terza serata,<br />

smisero di rivolgerci occhiate curiose. Eravamo<br />

entrambi convinti che le nostre serate non avrebbero<br />

avuto un termine, sarebbero durate per sempre.<br />

“Buona notte, Elisabetta.”<br />

La salutavo sempre così, mentre ci incamminavamo<br />

sul marciapiede, in direzioni opposte. Lei rispondeva:<br />

“Ciao” e mi guardava di sottecchi.<br />

Ero l'unico a chiamarla con il suo vero nome, per<br />

esteso. Per tutti gli altri lei era Lisa, Elisa oppure<br />

Betta. La maledetta mania dei nomignoli. Io invece la<br />

chiamavo Elisabetta e scandivo bene tutte le sillabe.<br />

Lei doveva essere contenta, capiva che rappresentava<br />

qualcosa di speciale per me, impossibile da<br />

pronunciare con sillabe diverse dal suo nome.<br />

94


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

La gente, invece, trova singolare che un figlio si<br />

rivolga alla madre con il suo nome di battesimo,<br />

come fosse un'amica.<br />

Una sera mi telefonò Anna, la migliore amica di<br />

Elisabetta. O per lo meno, la ritenevo tale. “E’<br />

successa una disgrazia. Tua madre è caduta dal<br />

balcone di casa” mi disse.<br />

Una comunicazione telegrafica, come un flash<br />

d'agenzia.<br />

E’ impossibile cadere da quel balcone, se proprio non<br />

si vuole.<br />

Immaginai le dolci rughe, agli angoli degli occhi,<br />

tumefatte sull'asfalto. Era giovedì sera.<br />

Rimasi davanti allo specchio, per convincermi che<br />

non era colpa mia.<br />

Non erano servite le rose che le avevo regalato. In<br />

realtà non avevo saputo ascoltare, non l'avevo mai<br />

capita... non avevo capito nulla.<br />

Adesso neppure il pakistano sorride. Entrambi orfani<br />

di una parte di noi.<br />

indice<br />

95


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.2 Elegia<br />

di Marco Romagnoli<br />

Il tralucere di un raggio di sole filtra appena dalla<br />

finestra accostata e ti alzi dal letto per<br />

cominciare un nuovo giorno. “Sveglia è mattina,<br />

hanno aperto già il portone…”<br />

Raggiungi il bagno, accendi la luce e ti guardi. Guardi<br />

i tuoi occhi ancora assonnati che<br />

riflettono immagini oniriche già lontane... in quel<br />

prato, forse troppo verde, quasi abbagliante, dove<br />

correvi inseguita da non si sa chi e che cosa, mentre<br />

qualcuno, dietro una pianta sulla collina delle more,<br />

rideva forte la sua gioia di esistere e la tua incapacità<br />

di comprendere. Guardi i tuoi capelli scomposti, presi<br />

da un vortice di cuscino e violati; ribelli, forse. Guardi<br />

le tue mani, i piedi. Ti tocchi, vedi te stessa senza<br />

pudori; l'immagine di una presenza che si perpetua<br />

nel suo durare.<br />

Ti osservi interessata, non capitava da un po'. Di<br />

solito sei attenta ad altre cose.<br />

“Sveglia, è mattina, il caffè scotta... troppo.” Il tuo<br />

corpo è lì, a giudicarti, a domandarti<br />

qualcosa, a rappresentarti. “Siamo divinità, e ci<br />

muoviamo nello spazio profondo. Corriamo dietro i<br />

tuoni.”<br />

Il tuo corpo è lì, triste per non essere celebrato come<br />

dovrebbe. Usato più che servito, a volte sollecitato<br />

più del consentito. Quasi mai corteggiato o conteso.<br />

Il tuo corpo piange riflettendo nello specchio la sua<br />

impotenza, la sua sottomissione. E tu, per un attimo,<br />

96


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

ne provi tenerezza, quasi gli parli come a un figlio<br />

amato senza cortesia.<br />

“Ma non ti accorgi che stando in alto vedi il mondo<br />

da lontano?” Il tuo corpo ti determina e tu lo escludi.<br />

Ti concede, e tu lo dimentichi. Ti ama, e tu lo biasimi.<br />

Ma allora... fu inganno quando, bambina, ti divertivi<br />

con lui, giocavi per ore senza che fosse stanco, lo<br />

rincorrevi felice perché non ti abbandonasse? Il tuo<br />

corpo continua a piangere.<br />

“Di te, sì, proprio di te che non hai paura, che chiedi<br />

se qualcuno ti presta la faccia e stai facendo una<br />

magra figura...”<br />

Esci dal bagno senza quasi esserti lavata, infili il golf<br />

del giorno prima, i soliti jeans, le solite scarpe da<br />

tennis. Traversi veloce la cucina... te ne vai.<br />

“Lontano si ferma un treno ... che bella mattinata. Il<br />

cielo è sereno.”<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.3 Parole (da donna a donna)<br />

di Chiara Loria<br />

(Leggendo alcune liriche di Antonia Pozzi..)<br />

Le tue parole<br />

povera anima di donna<br />

infelice quanto me<br />

fan tremare il cuore<br />

povere e nude come sono.<br />

Il cuore sente l'impotenza<br />

e vorrebbe morire:<br />

non sa dire parole<br />

come le tue.<br />

Ma bastano le tue per piangere.<br />

Una stella mi guarda:<br />

colgo nel suo sfavillio<br />

un moto di pena<br />

per me<br />

che non so parlare...<br />

98<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.4 Le sorelle Q<br />

di Tiziana D’Oppido<br />

Le sorelle Q. escono di casa solo alla mattina o, più<br />

raramente, al pomeriggio. Il buio della sera può<br />

nascondere insidie e quindi preferiscono restare al<br />

sicuro tra le pareti domestiche. I loro genitori<br />

concordano compiaciuti. Se le sorelle si attardano per<br />

strada e non tornano all'orario stabilito, loro si<br />

preoccupano, cercano di rintracciarle telefonicamente<br />

e i loro volti ansiosi fanno capolino dietro le tende<br />

finemente ricamate delle finestre fino a che non le<br />

vedono rincasare. Quando arriva l'inverno gelido,<br />

spesso possono passare giorni o settimane intere<br />

senza che le sorelle mettano il naso fuori di casa. Gli<br />

sbalzi di temperatura possono essere insidiosi per la<br />

salute e portare i classici malanni di stagione, se non<br />

vere e proprie malattie. Talvolta si sentono in giro<br />

delle storie spaventose a riguardo, gente che<br />

apparentemente scoppia di salute muore da un giorno<br />

all'altro per un virus preso nell'aria, per il contagio di<br />

un'infezione, per una bronchite mal curata.<br />

Le sorelle Q. sono cordiali e affabili con i loro parenti<br />

e conoscenti. Di solito non fanno visite ma talvolta<br />

ne ricevono e sono ben liete di poter scambiare<br />

qualche chiacchiera con gli amici e di poter offrire<br />

loro qualche gustoso manicaretto preparato dalla<br />

mamma.<br />

A volte si cimentano pure loro nelle fatiche dell'arte<br />

culinaria. Amano mangiare sano, anche spendendo<br />

qualcosa in più perché sanno bene quanto è<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

importante seguire un regime alimentare corretto per<br />

salvaguardare la propria salute. Nel bucato, non è<br />

raro che diano una mano alla loro madre, soprattutto<br />

per quanto riguarda il lavaggio e l'amidatura della loro<br />

biancheria intima. Ascoltano docilmente i consigli dei<br />

loro genitori, li rispettano e li accudiscono<br />

amorevolmente, ora che sono più anziani e pieni di<br />

acciacchi. Le sorelle Q. non guidano la macchina né<br />

avvertono l'esigenza di avere la patente. In fondo<br />

abitano in centro città dove tutto è a portata di mano<br />

e questa è una grande fortuna.<br />

I genitori le appoggiano e le incoraggiano nelle loro<br />

scelte, infondendo loro sicurezza e tranquillità ma<br />

anche disapprovandole e indirizzandole sulla strada<br />

giusta quando ritengono che stiano sbagliando per<br />

loro inesperienza o ingenuità.<br />

Le sorelle Q. sono di buona famiglia e appartenenti<br />

alla media borghesia. Non sono ricche ma<br />

economicamente in casa non manca nulla e grazie alla<br />

pensione del papà non hanno mai avuto<br />

preoccupazioni legate alla mancanza di danaro. Del<br />

resto non amano viaggiare né cedono a sfizi o vizi<br />

come alcool, sigarette, cene fuori casa o discoteche.<br />

Indossano solo capi di boutique: vestiti caldi e<br />

comodi d'inverno, freschi e delicati d'estate. Di tanto<br />

in tanto cambiano parrucchiere, non per capriccio,<br />

ma perché ha esagerato con la tinta o perché anziché<br />

dare una spuntatina ai capelli ha effettuato un taglio<br />

troppo o troppo poco corto. Hanno entrambe<br />

adottato una pettinatura pratica, di media lunghezza,<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

che appesantisce il capello, così quando fuori è umido<br />

o piovoso si riesce a tenere a bada la chioma e a<br />

evitare che si elettrizzi o sia in disordine.<br />

Le sorelle si coricano presto la sera, perché fa bene<br />

alla salute e perché una buona dormita nelle ore<br />

giuste fa risvegliare con la pelle riposata e liscia.<br />

Condividono la stanza da letto e a volte può capitare<br />

che prima d'addormentarsi si raccontino qualche<br />

curiosità letta sul giornale, facciano il punto su<br />

qualche impegno per il giorno dopo o confidino l'un<br />

l'altra con malcelata emozione i loro progetti per<br />

l'avvenire.<br />

Quando le sorelle Q. finiranno l'Università,<br />

cominceranno a pensare, senza fretta, al loro futuro<br />

lavorativo. C'è la crisi ma se la caveranno, perché<br />

studiano discipline umanistiche e sono serie e con la<br />

testa a posto e quindi il mondo lavorativo saprà<br />

apprezzare due persone come loro. Col lavoro si<br />

comincerà a pensare anche a un degno compagno e<br />

bisognerà tenere gli occhi aperti, perché di questi<br />

tempi è difficile riuscire a trovare un ragazzo per bene<br />

e senza grilli per la testa. Ma per adesso non se ne<br />

preoccupano e sorridono alla vita fiduciose e serene.<br />

Le sorelle Q. hanno cinquantacinque anni e un<br />

radioso futuro davanti.<br />

indice<br />

101


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.5 Stasera<br />

di Sabrina Balbinetti<br />

C'è qualcosa di magico<br />

stasera.<br />

Madame<br />

ha messo il suo foulard migliore<br />

di seta arancio e oro.<br />

Le sue spalle<br />

sinuose di mare<br />

sono morbide curve<br />

che catturano i sensi.<br />

Una gonna<br />

di sabbia e conchiglie<br />

nasconde<br />

un ventre di donna<br />

che instancabilmente<br />

ci dona la vita.<br />

102<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.6 E’ donna<br />

di Stefania Pellegrini<br />

Passi di rugiada nel vento<br />

ombre di foglie nell'aria<br />

danzano<br />

il ritmo delle note<br />

la leggerezza del cuore.<br />

Armonie di forme<br />

sposano la bellezza<br />

nella genesi<br />

di un dono supremo.<br />

Fuoco, passione<br />

alimento di forza<br />

nello spirito che sostiene.<br />

Dolcezza e amore<br />

essenze nel tuo nome.<br />

Tutto questo<br />

è<br />

Donna.<br />

103<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.7 Giovanna, una ragazza allegra<br />

di Francesca Levo Calvi<br />

Ti guardo mentre dormi accanto a me. Sembri un<br />

angelo. Il tuo viso è disteso, la bocca accenna a un<br />

sorriso e sono sicura che tu stia sognando: un sogno<br />

appagante vista la tua espressione.<br />

Mi hai raccontato che spesso sogni il mare e te che<br />

nuoti verso una spiaggia di rena candida, con dietro<br />

una fitta pineta. Uguale a quella che tanti anni fa<br />

abbiamo percorso in tandem io e te ridendo a non<br />

finire, come ridono due ventenni innamorati in libera<br />

uscita.<br />

Chiudo gli occhi e mi rivedo.<br />

Sono allegra, i miei capelli rossi, una massa fulgente,<br />

raccolti in capo con un nastro che hai legato tu,<br />

baciandomi sul collo.<br />

Sono allegra, si e anche in forma, e sul tandem voglio<br />

mettermi davanti; batto i piedi, faccio i capricci e tu<br />

ridi, un poco sbronzo per tutta la birra che abbiamo<br />

bevuto a pranzo nel piccolo bar accanto al lago.<br />

Sono allegra e ti abbraccio, cercando di aderire al tuo<br />

corpo forte, robusto. Tu mi circondi la vita con le<br />

braccia abbronzate e finiamo dietro un boschetto a<br />

far l’amore, a baciarci sino allo sfinimento.<br />

Sono sempre allegra quando, ancora seminudi ti<br />

lancio la sfida di chi arriva prima alla macchina e<br />

scattando mi metto a correre, senza scarpe, afferrata<br />

al volo la camicia che m’infilo in piena luce. Ma che<br />

importa, ho ventanni, sono bella, sono felice e vinco<br />

la scommessa.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Tu arrivi ansante, mi guardi fisso con i tuoi occhi<br />

azzurri improvvisamente glaciali e d’un tratto mi<br />

molli un ceffone, poi mi prendi i polsi stringendoli<br />

forte e guardandomi, davanti al mio stupore mi intimi<br />

di non sfidarti. Che non accada mai più o sarà peggio<br />

per me.<br />

In macchina al ritorno non parliamo, io troppo<br />

stupita non sento neppure il bruciore dello schiaffo,<br />

tu inquieto guidi forte, sorpassi a destra<br />

sull’autostrada, vai fuori dei limiti, sei a tavoletta.<br />

Non ti guardo, spaventata come sono. Ho<br />

conosciuto una parte di te nascosta, un altro uomo,<br />

violento e arrogante, un uomo che non avevo<br />

neppure intravisto. La scena mi torna sempre davanti,<br />

il tuo freddo sguardo, io spaurita. Penso a cosa posso<br />

aver fatto per scatenare quella violenza, penso che<br />

forse hai bevuto troppo, penso che ne riparleremo,<br />

penso che certo tu ti scuserai.<br />

Ora, dieci anni dopo, ti guardo dormire accanto a me,<br />

in questa casa, in cui dopo esserci sposati, siamo<br />

venuti ad abitare. Regalo dei tuoi, questo cottage con<br />

giardino, piccola piscina, due cani da guardia. E qui<br />

viviamo noi due.<br />

Io allegra davvero non lo sono più stata. Tu violento<br />

lo sei stato ancora e ancora e ancora. In tante<br />

circostanze, troppe, tutte per me inspiegabili. Non<br />

riesco ancora adesso a capire cosa succeda nella tua<br />

mente quando ti trasformi in quell’essere pazzo che<br />

mi insegue per casa per picchiarmi, insultarmi,<br />

105


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

violentarmi. Una malattia, mi sono detta spesso, forse<br />

per scusarti.<br />

Non ne parliamo mai e tu non mi chiedi scusa. Io<br />

taccio con tutti, anche con i miei, che vivono in<br />

un’altra città. Sono a disagio anche quando mi<br />

telefonano, come se riuscissero a vedere le ferite che<br />

ho sul corpo e nell’anima. Tante volte ho pensato di<br />

andarmene, di scappare, ma dove?<br />

Mi vergogno di te, di me, di una situazione che<br />

credevo di saper gestire fidandomi del nostro amore,<br />

che avrebbe sicuramente prodotto un tuo<br />

cambiamento, una maturità che ti avrebbe fatto<br />

capire i tuoi errori.<br />

Nulla di tutto questo è accaduto.<br />

Vivere per me è diventato sempre più difficile, con la<br />

paura dentro e l’incapacità di chiedere aiuto. Sento<br />

disagio e vergogna anche nei confronti degli estranei,<br />

del portalettere che mi suona alla porta e che vede il<br />

mio labbro spaccato o un braccio ingessato. Sento<br />

che il disagio sta diventando un insopportabile peso,<br />

che devo fare qualcosa per non morire.<br />

E adesso aspetto un bambino.<br />

Smetto di guardarti dormire, mi alzo faticosamente<br />

dal letto divenuto troppo basso per me, ormai al sesto<br />

mese.<br />

Vado in bagno, ho molto caldo, mi voglio rinfrescare<br />

e aprendo la doccia mi cade l’attenzione sul vicino<br />

specchio che hai rotto con un pugno ieri. Mi metto di<br />

fronte alla miriade di schegge che miracolosamente<br />

stanno insieme senza cadere. Sembra una magia per<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

riflettere una, dieci, cento volte il mio volto<br />

tumefatto, un occhio nerastro e un labbro tagliato.<br />

Mi accade spesso, e se non mi guardo nello specchio,<br />

non me ne ricordo, cancello.<br />

Per uscire mi trucco molto, mi metto spesso cappelli<br />

a falda larga oppure quello che mi piace di più, nero<br />

con la veletta che ripara il mio viso dagli sguardi<br />

altrui. Nelle belle giornate aspetto che tramonti e poi<br />

vado a passeggiare un poco, almeno un’oretta ha<br />

detto il medico, per le gambe e per il bimbo, ma<br />

soprattutto, mi ha detto guardandomi fisso negli<br />

occhi, “per te, tesoro”. Mi chiama tesoro: è mio<br />

cognato ma non mi chiede mai nulla. È il fratello di<br />

quest’uomo che dorme beatamente nel nostro letto<br />

matrimoniale. Otto ore filate, da sempre e per<br />

sempre. Senza ritegno. Si, senza ritegno, senza<br />

vergogna per quello che fa a me, a noi, al nostro<br />

bambino.<br />

Non cambierà mai nulla, ora lo so. Nascerà un<br />

bambino dai capelli rossi che prenderà da me e dagli<br />

occhi azzurri come il padre.<br />

Nascerà una nuova vita che dovrà condividere con<br />

me un marito e un padre amoroso e paziente ma che<br />

forse, ogni tanto, sorprendendo entrambi prenderà a<br />

calci la moglie dopo averla sbattuta per terra, oppure<br />

le sputerà addosso torcendole i polsi, magari a causa<br />

di una frittata poco cotta o per una telefonata troppo<br />

lunga.<br />

E la splendida creatura che uscirà alla vita sarà<br />

costretta ad assistere e intuirà, con il passare del<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

tempo, le angherie, i soprusi, le violenze con cui suo<br />

padre sta lentamente uccidendo sua madre.<br />

Ma io ti salverò piccolo mio.<br />

Tu mi darai la forza.<br />

Ecco perché ora sono qui, seduta sulla sedia azzurra,<br />

dalla parte del suo letto e vedo le sue spalle robuste,<br />

intuisco i muscoli sotto il pigiama di seta blu. Respiro<br />

con affanno e non bastano le finestre aperte sul<br />

giardino. Respiro con affanno impugnando a due<br />

mani la tua rivoltella carica, quella con cui mi hai già<br />

minacciato e che conservi nel cassetto dello studio.<br />

Mi appoggio allo schienale della seggiola e sorrido<br />

perché so che sarò coraggiosa, proprio io che ho<br />

persino paura dei grilli anche quando passeggiamo io<br />

e te, bambino mio, in giardino. Lo devo a te, si,<br />

questo coraggio e sento che ci salveremo entrambi.<br />

Mi alzo, vado verso il bagno e faccio insieme alla mia<br />

creatura una lunga doccia che lava tutto: la pena, la<br />

paura, l’angoscia, il rimorso. Ti accarezzo e attraverso<br />

la mia pelle sento il nostro legame, forte,<br />

indissolubile. Ti nutri di me e nel tuo crescere e<br />

muoverti sento gioia e orgoglio.<br />

Sì, tu per me sei la salvezza.<br />

Ora sono una donna nuova e dopo essermi vestita<br />

dell’abito più bello che posso indossare e che avvolge<br />

la mia grande pancia compierò un ultimo atto.<br />

Che ora posso, che ora devo fare.<br />

Prendo il telefono e, accarezzando dolcemente la mia<br />

pancia in cui tu, creatura splendida, sei al sicuro,<br />

formo il numero della polizia e alla voce neutra che<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

mi risponde dico con voce ferma:<br />

«Sono Alessandra De Giorgis, abito in Viale Monti al<br />

numero 12.<br />

Voglio denunciare mio marito per gravi violenze su<br />

di me. Sono incinta. Potete venire subito?<br />

Temo che si svegli. Grazie. »<br />

Mi rilasso, sempre tenendo la pistola con le mani<br />

incrociate sul mio grembo.<br />

Come se l’avessi chiamato, l’ombra di mio marito<br />

appare nell’arco del soggiorno e poi viene avanti,<br />

verso di me, lo sguardo stupito e ancora assonnato-<br />

Alzo il braccio, stringo i denti e, girandomi lenta<br />

verso di lui, gli punto la pistola : - Resta lì, non ti<br />

avvicinare. Ti ho denunciato ai carabinieri, che stanno<br />

arrivando. Finalmente ne ho avuto il coraggio.-<br />

E alzandomi con fatica lo fronteggio senza più<br />

paura e guardandolo negli occhi gli dico quello che<br />

per anni ho solo pensato:<br />

“Sappi che sia io che mio figlio siamo pronti a tutto<br />

per liberarci per sempre dalla belva che c’è in te.”<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.8 La vacuità<br />

di Vadis Cappa<br />

Mi dono<br />

senza ricever denaro<br />

mi offro<br />

senza pretender riguardo<br />

Prostituisco il mio cervello<br />

accogliendo la vacuità<br />

E poi stanca di inseguire l'amore<br />

cedo il mio corpo<br />

a chi vorrà usarlo<br />

110<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.9 Cronaca di un interno molto particolare<br />

di Daniela Mascotto<br />

Non mostrar mai<br />

né il fondo della tua borsa<br />

né del tuo animo<br />

(Proverbio italiano)<br />

In quell’istante ho avuto l’impressione che mi<br />

sarebbe accaduto qualcosa. Qualcosa di insolito e<br />

di travolgente sia in senso fisico che mentale. Sta<br />

di fatto che ho corso realmente il rischio di finire<br />

nelle cantonali galere svizzere e tutto per un<br />

fraintendimento sorto al confine, quando mi è<br />

stato chiesto di aprire la borsa e di rovesciarne il<br />

contenuto sul banco della gendarmeria.<br />

E’ noto quanto l’interno della borsa di una donna<br />

sia misterioso e al tempo stesso rivelatore della<br />

personalità della legittima proprietaria. E’ altresì<br />

risaputo che nella borsa ogni donna inserisce ciò<br />

che vuole, salvo poi trovarsi in reale difficoltà a<br />

reperire quello che le serve al momento<br />

opportuno. Pertanto, dovendo esibire il<br />

passaporto alla frontiera e non riuscendo a<br />

trovarlo all’interno della mia capiente borsa, ho<br />

preso a tirare fuori ad una ad una le cose che mi<br />

capitavano tra le mani per riuscire prima o poi a<br />

estrarre anche il passaporto. Insospettito dalla<br />

stranezza degli oggetti che afferravo alla cieca,<br />

l’agente mi ha intimato di rivoltare la borsa, cosa<br />

che io ho fatto senza alcun ripensamento. E da lì<br />

111


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

è emerso tutto il mio mondo di archeologa, di<br />

donna e di mamma: un mondo a me correlato e<br />

parallelo, che, tuttavia, ha suscitato equivoci e<br />

fraintendimenti rivelandosi, in quel contesto,<br />

tutto un altro mondo.<br />

Nel corso dei miei studi orientati sulle civiltà<br />

paleocristiane, ho acquisito una discreta<br />

esperienza in fatto di iscrizioni rupestri e reperti<br />

di vario genere rinvenuti in necropoli di zone al<br />

confine italo-svizzero. Studiando segni e oggetti<br />

volti per lo più ad esaltare il concetto di fertilità e<br />

di abbondanza, ho finito per acquisire e<br />

catalogare una simbologia che, tra i tanti segni, ne<br />

annovera alcuni con riferimenti sessuali<br />

coinvolgenti la sfera riproduttiva. Che poi io li<br />

abbia classificati e raccolti in un quaderno, che<br />

porto sempre con me, facendo corrispondere ad<br />

ogni segno il significato preciso del termine<br />

tradotto in italiano ed in tedesco, questo è stato<br />

solo uno dei tanti modi per procedere nella mia<br />

ricerca. Così come un altro modo è stato quello<br />

di farmi riprodurre, da artigiani valenti, non solo i<br />

simboli stessi, quanto anche le principali<br />

tipologie di statuette antropomorfe con attributi<br />

sessuali evidenziati. Il tutto al fine di raffrontare i<br />

nuovi reperti con quelli da me già riprodotti, fare<br />

accostamenti e dedurre epoche di appartenenza.<br />

Orbene, se la logica delle cose fosse stata<br />

rispettata, tutto sarebbe andato liscio al momento<br />

di riversare il contenuto della mia borsa sul<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

bancone della dogana. Avrei potuto dimostrare,<br />

anche a parole, la mia posizione di archeologa e<br />

di studiosa di certa simbologia. Cosa che non ho<br />

potuto fare data l’irruenza con cui sono stata<br />

trattata: un’aggressione in piena regola. Provare<br />

imbarazzo e paura per me è stato un tutt’uno,<br />

mentre stupore e stordimento mi assalivano nel<br />

vedermi ammanettare all’istante e condurre su un<br />

mezzo blindato alla più vicina stazione di polizia<br />

per essere interrogata.<br />

Pur sapendomi destreggiare con la lingua tedesca,<br />

ho impiegato parecchie ore a far capire agli agenti<br />

che il quaderno e i reperti riprodotti li portavo in<br />

borsa per motivi di studio e non per chissà quale<br />

patologica perversione da esportare oltre<br />

frontiera e venderla a prezzo d’oro all’interno di<br />

un giro illecito di oggetti di antiquariato o peggio<br />

di un ignobile mercato del sesso. Senza contare<br />

che, una volta convinti gli agenti che io ero una<br />

archeologa - il tutto grazie anche ai contatti messi<br />

in atto con le scuole di scavi italiana e svizzera -<br />

gli agenti mi hanno contestato il possesso di<br />

materiale a loro avviso sottratto dai siti e da me<br />

illegittimamente posseduto. Riuscita a<br />

dimostrare, attraverso opportune fatture, che si<br />

trattava di riproduzioni fatte eseguire per motivi<br />

di studio, ho dovuto dibattermi ancora contro<br />

una ultima infamante accusa. Quella simbologia<br />

per gli agenti avrebbe potuto richiamare anche la<br />

simbologia di una nota società segreta creata per<br />

113


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

osteggiare l’integrazione razziale. E questa è stata<br />

l’accusa più pesante che io mi sia mai sentita<br />

rivolgere, sia per la mia natura pacifista, sia per il<br />

convincimento che ho sempre avuto in fatto di<br />

parità di diritti tra i popoli. Oltretutto la mia<br />

formazione umanistica non potrebbe che<br />

portarmi ad una benigna predisposizione verso il<br />

prossimo. Ma non è stato così: mai battaglia fu<br />

più dura che contro quel manipolo di agenti<br />

svizzeri intestarditi nel non volermi riconoscere<br />

un destino di studiosa e di donna perbene.<br />

Grazie all’intervento del Consolato, la situazione<br />

si è sbrogliata, non prima in ogni caso che<br />

passasse una intera giornata. Alla fine mi sono<br />

stati dati indietro gli effetti personali, più<br />

precisamente la borsa e, a parte, il relativo<br />

contenuto raccolto in un sacchetto di plastica<br />

trasparente. A quel punto, nel riprendere quanto<br />

di mia appartenenza, mi sono vergognata e ancor<br />

prima meravigliata per quanta roba così<br />

disassortita io portassi con me in quella borsa:<br />

oltre a quanto già oggetto di contestazione, come<br />

le riproduzioni archeologiche e il quadernetto,<br />

solo in quel mentre ho realizzato che nella mia<br />

borsa stavano, mescolati alla rinfusa, strumenti<br />

per la pulizia dei reperti come pennellini,<br />

scovolini, taglierini, ma anche pettini, fermagli,<br />

fatture varie, ciucci del bambino, monetine<br />

sciolte, caramelline, foglietti volanti appuntati,<br />

scontrini fiscali, rossetto, documenti, paperotti di<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

gomma, biglietti di mezzi di trasporto, snacks,<br />

penne variamente colorate e matite, chiodi<br />

arrugginiti, chewingum, punti del latte per la<br />

raccolta premi, briciole, specchietto, fazzoletti,<br />

fiori secchi, cioccolatini, ombrellino, chiavi in uso<br />

e fuori uso evidentemente da buttare, CD e<br />

DVD, elastici, crema per mani e una quantità di<br />

altra spazzatura, non da ultimo reperti di polvere<br />

cumulata in matassine giusto per rendersi visibile<br />

e avere un posto onorevole tra tutta quella<br />

incredibile miscellanea, sorta di intricato<br />

guazzabuglio lasciato macerare a tempo<br />

indeterminato, fintanto che un imprevisto, sia<br />

pure increscioso, mi ha indotto a ricredermi su<br />

quel contenuto inteso nel suo dettaglio. Sono<br />

addirittura arrivata al punto di pensare che il<br />

sospetto degli agenti possa anche essere dipeso,<br />

più che dai reperti archeologici, soprattutto dalla<br />

imprevedibile quantità di cose, le più varie,<br />

all’interno di una borsa apparentemente<br />

insignificante oltre che usurata.<br />

Quell’episodio, sul momento, mi ha fatto dare<br />

l’addio alle borse grandi. Anzi, me lo ha imposto.<br />

In ogni caso, in chiusura di quella giornata<br />

campale, al momento di tornare in possesso di<br />

quanto ancora mi apparteneva nonostante<br />

l’arresto, mi sono ripresa la borsa e gli effetti<br />

personali, che ho voluto tenere così come mi<br />

erano stati consegnati: nel sacchetto di<br />

cellophane, rigorosamente separati dalla borsa; di<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

essi avrei fatto una cernita a casa, lontana da<br />

occhi indiscreti.<br />

Dopo il fattaccio e col senno di poi, ho pensato<br />

di orientarmi su borse più piccole, un modo<br />

come un altro per riprendermi dalla sconcertante<br />

avventura alla dogana e risorgere dalle ceneri<br />

come l’araba fenice. Dell’uccello di fuoco è noto<br />

il detto "che vi sia ciascun lo dice, dove sia<br />

nessun lo sa". E, prima che mi accadesse<br />

l’inconveniente al confine, questa era la legge a<br />

cui mi appellavo ogni volta che mettevo mano<br />

alla borsa per cercare qualcosa: rovistavo,<br />

rovistavo, rovistavo, sapendo che quanto cercavo<br />

era dentro, senza arrivare quasi mai a trovarlo;<br />

alla fine desistevo convinta di poterne fare anche<br />

a meno, ma lo facevo più per sfinimento che<br />

convinzione, lontana dall’idea di svuotare la<br />

borsa, poiché constatare gli oggetti in essa<br />

contenuti sarebbe stato per me troppo faticoso e<br />

disorientante. E, rinunciando a frugare dentro<br />

alla borsa, mi sentivo rinascere in quanto mi<br />

assolvevo dalla colpa di non saperne gestire il<br />

contenuto. Evitavo elegantemente il problema.<br />

Imponendomi, invece, di smettere la borsa<br />

grande a favore di una borsa più piccola, all’inizio<br />

ho ritenuto che qualcosa per me potesse<br />

cambiare. Come sempre avviene con le novità,<br />

sono partita con intenzioni di ordine ferreo<br />

delineandomi una nuova linea di condotta, che si<br />

sarebbe potuta protrarre fin quando la mia nuova<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

borsa, per causa di forza maggiore, avesse<br />

raggiunto i suoi massimi contenutivi al pari<br />

dell’omologa che l’ha preceduta, facendomi così<br />

ricredere sui propositi iniziali. Continuando a<br />

ragionare in termini di progressione temporale,<br />

mi sono detta che l’adozione di una nuova borsa,<br />

quand’anche raggiungesse il livello di guardia del<br />

contenuto, potrebbe nuovamente comportare, da<br />

parte mia, la necessità di un ritorno a buoni<br />

propositi, sia pure di durata limitata, o<br />

all’acquisto di un altro modello in grado di<br />

contenere le cose in maniera più razionale.<br />

In ogni caso, passando da una intenzione all’altra<br />

o da una borsa all’altra, di certo muterebbero i<br />

miei propositi, ma non il mio effettivo<br />

comportamento. Bonariamente potrei anche<br />

trovarmi una giustificazione, pensando che in<br />

fondo così fan tutte le donne! Allora, se così fan<br />

tutte, perché mai smentirsi? Meglio passare la<br />

palla alla fortuna e sperare di non incorrere in<br />

una disavventura come quella alla frontiera italosvizzera.<br />

Le mie borse, in tal caso,<br />

continuerebbero ad essere le borse dalle mille e<br />

una risorsa, come tante donne si portano dietro<br />

sapendo di avere sempre con sé qualcosa di<br />

pronto all’occorrenza, ma irreperibile sul<br />

momento. Problema questo a quanto pare<br />

secondario, se, intanto, la storia del contenuto<br />

delle borse delle donne continua, rimanendo<br />

sempre uguale a se stessa. indice<br />

117


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

3.10 La prima parte<br />

di Bruno Bianco<br />

Mi sembra che la nave abbia lasciato il porto solo da<br />

pochi minuti e invece già non riesco più a vedere la<br />

costa; non ero mai stata in crociera prima d'ora e<br />

forse devo solo abituarmi al diverso scorrere del<br />

tempo di quando sei in vacanza. Mi stacco dal<br />

parapetto e mi guardo intorno sul ponte; lui non si<br />

vede, allora guardo verso l’ingresso del salone... ah sì,<br />

eccolo! Sta entrando per la cena e come lo vedo<br />

scendo di corsa dalla scala per raggiungere anch'io i<br />

tavoli di quella sala enorme. Mi hanno sistemato con<br />

quattro giovanotti vestiti come Christian De Sica in<br />

un film dei Vanzina e tre ragazze che avranno speso<br />

metà del loro patrimonio dal parrucchiere e l' altra<br />

metà per una scorta industriale di balsamo e fissante<br />

per capelli; penso proprio di essere finita in un tavolo<br />

di single che gli organizzatori hanno deciso di far<br />

accoppiare prima che venga il mattino. Cerco di non<br />

farmi notare e per la centesima volta da quando<br />

siamo partiti apro la mia trousse di raso e controllo di<br />

non aver dimenticato niente...<br />

-Come mai una ragazza giovane e carina come te va<br />

in crociera da sola? Non hai un marito, un fidanzato<br />

o anche solo uno spasimante?-<br />

-Tutti quelli che avevo mi hanno lasciato per andare<br />

in crociera da soli a fare i cascamorti con le donne<br />

che incontrano al loro tavolo!-<br />

E con questo i giovanotti sono sistemati; adesso devo<br />

mettere in riga le signorine che sanno parlare solo di<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

vacanze a Porto Cervo e di vita notturna nelle<br />

discoteche di Milano.<br />

-Non dirmi che non sei mai stata all' Hollywood di<br />

Milano;la bella gente che trovi lì alle quattro del<br />

mattino non la vedi da nessun altra parte.-<br />

-E tu non dirmi che non sei mai stata ai Mercati<br />

Generali di Torino; la gente che scarica le cassette di<br />

frutta alle quattro del mattino la vedi anche dalle altre<br />

parti, ma forse tu hai orari differenti da loro.-<br />

E adesso che le mie compagne e i miei compagni di<br />

tavolo parlano tra loro ignorando del tutto la mia<br />

presenza, io posso finire con tranquillità il dolce<br />

senza smettere di controllare cosa capita dalla parte<br />

opposta della sala.<br />

Poi lo vedo alzarsi, salutare con eleganza i suoi<br />

compagni di tavolo e dirigersi verso il fondo del<br />

salone; allora mi alzo anch'io facendo cadere il<br />

tovagliolo che tenevo sulle ginocchia e saluto con un<br />

grugnito i miei compagni di tavolo.<br />

Lui esce dal salone e io lo seguo tenendomi a una<br />

decina di metri; prende le scale del ponte, sale di un<br />

piano e io sempre dietro. Mi sembra un instancabile<br />

camminatore, o forse un anima in pena, o forse tutte<br />

e due le cose. Sale ancora di un piano e sul ponte si<br />

dirige verso prua; io sto controllando a fatica il<br />

fiatone che mi è venuto un po' per lo sforzo e un po'<br />

per la paura che mi possa vedere. Finalmente si ferma<br />

a guardare l’acqua nera della notte, appena appoggiato<br />

al parapetto che lo separa dal mare. E' il mio<br />

momento; decido di usare un vecchio e banale trucco<br />

119


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

da film che si adatta perfettamente alla finzione della<br />

vita di crociera.<br />

-Mi scusi ma a forza di camminare in questo labirinto<br />

devo essermi persa; può essere cosi<br />

gentile da aiutarmi a ritornare al salone della festa?-<br />

Lui si volta di scatto tra lo stupito e l’infastidito; certo<br />

che è davvero un bell' uomo e i capelli sale e pepe dei<br />

suoi sessant'anni lo rendono ancora più attraente.<br />

-Torni indietro da questo lato e prenda la prima scala<br />

che incontra sulla sinistra; scenda di due piani e vedrà<br />

sulla destra le luci del salone.-<br />

A quel vecchio corso di recitazione che avevo fatto ai<br />

tempi del liceo ho imparato che per piangere basta<br />

pensare con intensità a una situazione di grande<br />

impatto emotivo e io non faccio fatica a farlo.<br />

-La ringrazio e mi scusi se l'ho disturbata.-<br />

I miei occhi sono ormai lucidi e lui non può non<br />

notare le lacrime che stanno annacquando il rimmel<br />

che avevo messo con tanta cura prima della cena.<br />

-Si sente bene signorina? Forse è meglio che aspetti<br />

un attimo prima di rientrare nel salone -<br />

-Non è niente di grave. E' solo che forse non è stata<br />

una buona idea venire in crociera da sola per<br />

lasciarmi alle spalle i segni di ferite troppo recenti.-<br />

Ormai le lacrime mi attraversano spietate le guance e<br />

mi lasciano ridicole strisciate di rimmel dagli occhi<br />

fino al collo ma l'importante è aver scardinato la<br />

freddezza di<br />

quell' uomo così affascinante.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

-Prenda il mio fazzoletto; non le servirà per le sue<br />

ferite recenti, ma almeno la leverà<br />

dall' imbarazzo di farsi vedere in questo stato da un<br />

perfetto sconosciuto quale io sono per lei.-<br />

Affascinante e gioviale; sono sempre più convinta che<br />

sto facendo la cosa giusta. Adesso lui si presenta e in<br />

pochi minuti ho già messo via il fazzoletto sporco di<br />

rimmel che prometto di rendergli nella giornata di<br />

domani; si stacca dal parapetto e mi dice che anche<br />

lui è da solo in crociera per lasciarsi alle spalle delle<br />

ferite recenti come le mie e che non è il caso di<br />

aggiungere sofferenza a quella che altri hanno già<br />

creato. Parliamo e camminiamo,camminiamo e<br />

parliamo. Restiamo sempre nella parte più periferica<br />

della nave perché a me non va di incontrare gente, di<br />

vedere luci, di sentire musica; lui lo ha capito e mi<br />

cammina di fianco come chi vuole proteggerti dai<br />

pericoli che ti stanno intorno.<br />

Dopo avere disceso e salito decine di scale esterne<br />

della nave, adesso siamo uno di fronte all'altra in<br />

quello che nella mia ignoranza nautica chiamo il<br />

piano terra della nave; alla nostra destra il parapetto ci<br />

protegge dal mare e riusciamo a vedere con chiarezza<br />

le onde grazie alla luce generosa che la luna spande<br />

tutto intorno.<br />

-Sono più delle due! Saremo anche in crociera, ma<br />

come prima serata direi che può andare.-<br />

-Se le andasse, domani sarei davvero lieto di pranzare<br />

con lei.-<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

-In questo momento non me la sento di prendere<br />

impegni per la colazione, figuriamoci per il pranzo. Se<br />

vuole però mi lasci il suo numero di cellulare;<br />

prometto di chiamarla prima di mezzogiorno.-<br />

Apro la mia trousse di raso anche se so bene di non<br />

avere dentro né la biro né un foglio di carta, ma tanto<br />

lo so che sarà così premuroso da pensare lui sia al<br />

foglio sia alla biro;scrive il numero sul biglietto e<br />

adesso che me lo porge è davvero vicino, mentre i<br />

suoi occhi mi lanciano uno sguardo che sa essere allo<br />

stesso tempo paterno e sensuale. Io continuo ad<br />

armeggiare nella trousse, ma sento che ormai ho<br />

deciso; la sua faccia mi è vicina, i suoi occhi mi sono<br />

vicini, la sua bocca mi è vicina...<br />

Mi sveglio che la cabina è illuminata da un sole<br />

avanzato; guardo l’ora e vedo che è quasi<br />

mezzogiorno.<br />

I miei vestiti sono buttati alla rinfusa sulla poltrona;<br />

faccio la doccia e mi vesto con una lentezza che non<br />

ricordo di avere mai avuto. Prima di uscire per il<br />

pranzo ho ancora un' incombenza da fare; apro la<br />

trousse e mi assicuro che ci sia ancora la bomboletta<br />

spray con l’etere.<br />

Gliene ho fatto respirare più di metà, come quando<br />

continui a spruzzare l’insetticida sullo scarafaggio<br />

anche se vedi che è già completamente stecchito; d'<br />

altronde per prenderlo di peso e buttarlo in mare al di<br />

là del parapetto non potevo permettermi che fosse<br />

tanto sveglio. Sono anche soddisfatta perché prima<br />

che crollasse ho potuto urlargli nelle orecchie il mio<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

nome in modo che capisse bene chi ero; poi la luna<br />

ha illuminato quel corpo che nel vuoto ha fatto<br />

quattro giri su se stesso prima di sbattere sull' acqua<br />

dura del mare.<br />

Il primo è per tutte le volte che è entrato nel mio<br />

letto dicendo che la mamma era molto contenta che<br />

lui mi mettesse le mani dentro le mutandine.<br />

Il secondo è per tutte le volte che è uscito dalla mia<br />

stanza per rientrare nel letto della mamma e fare<br />

l’amore con lei che pensava quanto era stata fortunata<br />

ad aver trovato un uomo così affettuoso dopo un<br />

matrimonio tanto disgraziato.<br />

Il terzo è per tutte le volte che si è ripetuto con altre<br />

bambine di dieci anni, figlie di donne vedove o<br />

divorziate sedotte da un uomo che quando si stufava<br />

delle figlie non aveva più nessun motivo per restare<br />

con le madri.<br />

Il quarto è per tutte le volte che in questi quindici<br />

anni ho dovuto aspettare prima di trovare l'occasione<br />

giusta, perché non vale la pena finire in galera per<br />

aver schiacciato uno scarafaggio e siccome il delitto<br />

perfetto non esiste bisogna avere la pazienza di<br />

aspettare l’occasione buona che nella vita prima o poi<br />

arriva, visto che c' è sempre una giustizia a questo<br />

mondo.<br />

-Non vorremmo disturbarti, ma avremmo qualcosa<br />

da dirti. -<br />

Ad aspettarmi sul ponte ci sono i quattro giovanotti a<br />

scusarsi per il comportamento alla cena della sera<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

prima e a invitarmi a un aperitivo tutti insieme prima<br />

del pranzo.<br />

-Non volevamo infastidirti con i nostri discorsi insulsi<br />

di ieri sera, ma ci siamo fatte un po' prendere dal<br />

clima di festa che c' è tutto intorno.<br />

Anche le tre ragazze nella notte sembrano aver<br />

riflettuto sulle regole della buona creanza e mi<br />

chiedono di non mancare all' aperitivo.<br />

Io accetto le scuse di tutti e do appuntamento ai<br />

tavolini del bar tra qualche minuto; me li lascio alle<br />

spalle e vado oltre, nel punto esatto dove stanotte si è<br />

chiusa la prima parte della mia vita. Apro la trousse di<br />

raso, prendo la bomboletta che ho usato da<br />

insetticida e la butto lontano tra le onde del mare;<br />

mentre chiudo la cerniera vedo che è rimasto il<br />

biglietto dove aveva scritto il suo numero di telefono.<br />

Lo prendo e inizio stracciarlo con ordine e rigore, in<br />

due, in quattro, in otto; poi apro il pugno e i ritagli<br />

iniziano a cadere nel vuoto, oscillando con precisa<br />

lentezza.<br />

Resto a guardare fino a che anche l’ultimo coriandolo<br />

non scompare nello strato più profondo dell' acqua<br />

dura del mare; chiudo la trousse e sorrido.<br />

La prima parte della mia vita, quella passata<br />

annegando nelle onde molli, finisce; adesso inizio la<br />

seconda, quella che si appoggerà sull' acqua dura del<br />

mare.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4. Sezione (R)esistere<br />

4.1 Il rifiuto (Là, dietro la curva...)<br />

di Maria Teresa Montanaro<br />

La strada si snoda a tratti più stretta, a tratti più<br />

ampia, salendo verso le colline che abbracciano da<br />

sempre Torino.<br />

Il caos del traffico scema, la gente che si incontra<br />

cammina più lentamente, ai grovigli di strade si<br />

sostituiscono gli alberi.<br />

Sembra che il tempo, qui fuori dal centro, si dilati per<br />

lasciare alle persone la possibilità di riflettere, di<br />

pensare.<br />

Una grande curva che piega a destra; il panorama è<br />

molto bello, si vede tutta la città.<br />

Parcheggio ed osservo l'edificio.<br />

Chi transita velocemente non può capire di che cosa<br />

si tratta, l'indicazione è troppo piccola...<br />

L'entrata, costituita da un cancello scorrevole,<br />

potrebbe essere quella di un asilo come quella<br />

di un'autorimessa.<br />

Entrando, un ampio cortile quadrato. E appena ci si<br />

trova lì, il mondo che abbiamo lasciato fuori diventa<br />

lontano, sfuocato, irreale. Qui in questo cortile<br />

capisco paradossalmente che solo ora faccio parte<br />

della realtà.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Una porta, un breve corridoio; l'ascensore.<br />

I “dimenticati” sono qui sopra di me: al primo piano,<br />

gli autosufficienti; al secondo, parzialmente<br />

autosufficienti; al terzo piano gli altri. Vado all'ultimo<br />

piano.<br />

L'odore di medicinale mi assale ricordandomi che<br />

questo mondo è un pianeta a parte, con un'aria tutta<br />

sua, e non sempre piacevole da respirare.<br />

Non c'è tempo di perdersi nei pensieri: davanti a me,<br />

la prima camera.<br />

Due letti: in uno Giovanni, nell'altro più nessuno.<br />

Già, mi dimenticavo; lui, quello dell'altro letto, era qui<br />

perché un tumore stava pian piano invadendo tutto il<br />

suo corpo.<br />

Nel giro di una settimana ha smesso prima di<br />

mangiare, poi di camminare, poi di scherzare con il<br />

compagno di stanza, poi di sorridermi quando<br />

venivo, poi di parlarmi, poi di guardare nella mia<br />

direzione. Oggi non occupa più quel letto rifatto.<br />

Giovanni mi vede e subito i suoi occhi si fanno<br />

lucenti. Qualche volta mi racconta di sua figlia,<br />

qualche volta di quella mattina in cui metà del suo<br />

corpo ha smesso di vivere.<br />

In fondo al corridoio bianco c'è il salone. I letti<br />

percorrono tutto il suo perimetro. Ora si capisce<br />

meglio di essere in un istituto per anziani. Guardo<br />

negli occhi l'altra faccia dell'anzianità.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Molti occhi stanchi si posano su di me, qualcuno mi<br />

vede bene, per altri sono una macchia di colore.<br />

Le orecchie non sanno distinguere con esattezza i<br />

nomi che vengono chiamati o gridati.<br />

Alcuni chiamano l'infermiere, altri si lamentano di<br />

chissà quale dolore, parecchi vorrebbero cambiare<br />

posizione, ma da soli non possono farcela; alcuni mi<br />

dicono una parola, qualcuno infine chiama e basta.<br />

Molti non chiamano più.<br />

Quanti sono? Quanti anni hanno? Perché sono qui?<br />

Perché loro?<br />

Quanti frammenti di storia, quante vite vissute<br />

intensamente o con passività, quanti padri, quanti<br />

nonni.<br />

Nell'aria si sentono le fiamme spente di antichi amori,<br />

dei loro sogni, dei loro progetti, delle loro parole fatte<br />

o non dette mai, dei loro momenti belli o brutti, dei<br />

viaggi, delle delusioni; si avverte l'eco della loro antica<br />

forza, di un vigore che non torna, delle lacrime<br />

versate, del tempo sprecato in passato, quel tempo<br />

che poi è scivolato così rapido. Per tutti un destino<br />

comune, da vivere, questa volta, con tutto il tempo.<br />

Qui il tempo non fugge più, non ha più fretta. C'è<br />

tutto lo spazio per ... cosa?<br />

Per pensare, ripensare, pentirsi, rifare tutto con i<br />

sogni, rivivere ogni cosa con la memoria, cambiare il<br />

passato con la fantasia.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Ma questo presente è così immobile da soffocare la<br />

mente: e così il più delle volte le ore servono solo per<br />

piangere, per sentire il nulla inesorabile di una<br />

malattia, per aspettare l'ora successiva.<br />

Guardo questi uomini che giorno dopo giorno,<br />

settimana dopo settimana, perdono a poco a poco<br />

l'orgoglio, il pudore; ne scoprono l'infinità inutilità.<br />

Renato è in fondo al salone. E' paralizzato da otto o<br />

nove mesi. Prega moltissimo, progetta attività<br />

giovanili, si rattrista di aver parlato male al dottore o<br />

all'infermiera.<br />

Ma parla sempre di meno di quando uscirà. Non ci<br />

crede più.<br />

Giuseppe è nell'angolo in fondo a destra. Mi accosto<br />

al suo letto e volto le spalle al salone.<br />

Voglio parlare un po' con lui, c'è molto da imparare.<br />

Alle 18:30 l'infermiera porta la cena; ne approfitto per<br />

aiutarlo a mangiare: non può infatti portare i bocconi<br />

alla bocca da solo; è affetto da una malattia che ha<br />

leso tutto il suo corpo e il viso.<br />

Cosa dirgli? Di che cosa parlare con lui? Intanto,<br />

riempio il cucchiaio di pastina in brodo e lo imbocco.<br />

Deglutisce e sembra soffrire per ritrovare il filo del<br />

discorso interrotto: stringe gli occhi che vedono male<br />

e corruccia le sopracciglia in una smorfia che<br />

commuove.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Mi sembra di percepire lo sforzo della sua mente che<br />

fa ordine fra i pensieri: poi la sua voce simpatica,<br />

flemme ed ovattata, ritorna fra le voci drammatiche<br />

del salone.<br />

Guarda il soffitto, sorride di tanto in tanto; nel suo<br />

viso non c'è traccia di impazienza né di fastidio.<br />

Non traspare da lui nessuna insoddisfazione, nessun<br />

rancore.<br />

Può forse conoscere la fretta, l'ansia, il rimorso?<br />

Giuseppe no, non può provare questi sentimenti; non<br />

conosce paura, confusione, dubbio, vendetta,<br />

desiderio, sesso, sconfitta, gioia ...<br />

Giuseppe no, non può conoscerli, perché ha<br />

cinquanta anni e da quaranta è all'istituto.<br />

Chi è un bambino di dieci anni che ha chiuso la porta<br />

sul mondo e per il resto della vita è stato in un letto?<br />

Quante persone sono arrivate lì e poi se ne sono<br />

andate ... e lui era già là, c'era dopo, c'era sempre.<br />

Giuseppe non può leggere, non può vedere le foto di<br />

una rivista, non può camminare, non può stringere la<br />

mano di nessuno.<br />

-“Io non me la prendo proprio mai, io non mi<br />

arrabbio con nessuno.”- mi ha detto un giorno,<br />

sentenziandolo con la sua voce che sembra<br />

proclamare le grandi verità che non hanno tempo né<br />

fine.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

E per me lo sono diventate.<br />

Che idea ha del mondo, della vita, del “bene”, del<br />

“male”?<br />

Non riesco ad immaginarlo nonostante mi sforzi.<br />

Vorrei fosse lui a dirmelo, provo a dividere i suoi<br />

pensieri, ma cado in partenza<br />

Non posso, io, immaginare cosa significhi aspettare<br />

l'indomani per vedere lo stesso letto, lo stesso salone,<br />

le ore interminabili che si sono succedute per<br />

quaranta anni: solo, solissimo, con una mente<br />

immatura, con l'esperienza di dieci anni di vita, con i<br />

ricordi di quei pochi anni. Nessun passato vero,<br />

nessun futuro ... un interminabile presente vuoto di<br />

tutto.<br />

Però... la visita di un ragazzo, la mia visita:<br />

un'esplosione di novità!<br />

Gli verso un bicchiere di sciroppo di menta ed acqua:<br />

la settimana intera diventa movimentata; in un vuoto<br />

lungo più del doppio della mia stessa esistenza, un<br />

minuto con un visitatore è per lui un'emozione<br />

estrema, una gioia, un'avventura!<br />

Io sono lì e non so cosa dire, cosa fare, cosa<br />

raccontare, poi capisco che basta una parola, una<br />

banalità qualsiasi.<br />

E' il momento di andare.<br />

Fuori la vita non è più la stessa.<br />

130


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Torno a casa: la gente ride, la gente scherza, i clacson<br />

suonano forte, i negozi espongono ricchi prodotti<br />

colorati, le luci brillano di sera, i ragazzi passeggiano,<br />

ridono forte spensierati.<br />

Il contrasto fa male. Quale dei due era sogno? Che<br />

cos'è più vero?<br />

Due adulti litigano, una donna porta i sacchetti della<br />

spesa.<br />

Nell'aria, le mille emozioni dei minuti che corrono<br />

veloci, i ritardi, gli appuntamenti, gli impegni,<br />

l'angoscia, la tensione, le risate, gli affetti, il lavoro, gli<br />

amici, la casa, l'amore.<br />

L'istituto?<br />

Non sarebbe proprio possibile andarci oggi, non c'è<br />

tempo; domani?<br />

No, domani no, con tutto quello che c'è da fare...<br />

Io ritorno a casa, ho da studiare ancora qualcosa;<br />

devo sapere assolutamente in che anno è stato<br />

composto quel poemetto, devo ripassare il significato<br />

della congiunzione “e” nel sonetto, congiunzione che<br />

sottolinea il rapporto dialettico fra luce e buio, ecc.<br />

ecc.<br />

Devo saperlo per maturare, per diventare uomo.<br />

Certo.<br />

Tanto domani sarà tutto diverso, i compagni di<br />

scuola, il sole, le attività frenetiche di tutti i giorni.<br />

131


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Tanto da questa parte del mondo non è possibile<br />

vedere cosa c'è al di là di quella grande curva in<br />

collina.<br />

Dopo quella grande curva che separa due mondi così<br />

diversi, che nasconde Giuseppe, e gli altri del terzo<br />

piano...<br />

In quel girone dove la vita è senza tempo, dopo<br />

quella grande curva.<br />

132<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.2 I nostri pezzi che un giorno furono interi<br />

poeti<br />

di Dario Maria Desantis<br />

E noi guerrieri sopravvissuti che trasportiamo sulle<br />

[spalle le nostre tombe che bruciano]<br />

nella memoria del cemento dell'indifferenza, con tutti<br />

[i nostri pezzi che un giorno]<br />

furono interi poeti, dai tetti infangati di neve, dalle<br />

[terrazze di Brera e dell'Università Statale]<br />

scaraventavamo giù i fantocci fiammeggianti con le<br />

[foto dei generali imbonitori]<br />

di massacri capitalisti, perché il Cong ci era entrato<br />

[nel cuore sgolando hendrix-rock]<br />

e friggendo a sciami di api impazzite, perché il Cong<br />

[ci era entrato nel sangue corrente]<br />

di dolcissimi folli scolpiti in statue di tauromachia<br />

quando in piedi scopavamo le parlanti e liquide fighe<br />

[febbrili,]<br />

mentre urlavamo nei megafoni ammaccati come i<br />

[nostri crani fioriti di manganelli]<br />

gli slogan antimilitaristi e fiondavamo bottiglie<br />

[diaboliche sbracciandoci contro i poliziotti]<br />

che ci caricavano cingolati dietro le maschere di<br />

[kabuki proletario,]<br />

133


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

con le loro facce proletarie spaventate e omicide da<br />

[bravi ragazzi figli di proletari]<br />

contro la casta scintillante rivoluzionaria degli<br />

[studenti,]<br />

perché anche Pasolini ci odiava mentre noi lo<br />

[amavamo e ci odiava perché noi lo amavamo,]<br />

terrorizzato stregone troppo profetico per sopportare<br />

[se stesso]<br />

e l'asprezza della propria visione.<br />

Mentre noi roteanti spade di assoluta verità, corsari di<br />

[distruzione immortale]<br />

fendevamo il ghiaccio crepuscolare del tempo, sul<br />

[burrascoso vascello del nostro privilegio]<br />

di essere, dentro il tenebroso ventre della bestia<br />

[macellata, una scintilla splendente!]<br />

Giorni dell'ira scavati in trincee psichiatriche allagate<br />

[di vomito e pioggia animale]<br />

mentre aggrappati ai finestroni blindati vittime<br />

[catatoniche orinano il ricordo]<br />

delle loro anime psichedeliche che sognarono vincite<br />

[miliardarie]<br />

di incontaminata rivoluzione,<br />

lanciando contro il muro la moneta del destino e<br />

[invece inerpicate per sentieri di sterpi]<br />

134


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e assolati deserti divoranti tutto quanto contenga una<br />

[goccia dello spirito umano]<br />

o un'inutile sembianza umana impastata d'angoscia<br />

[che estrae dalla piaga mentale]<br />

il tempo lo spazio e il significato di quello stesso<br />

[pronome che chiamiamo 'noi']<br />

che inorridisce specchiando se stesso in se stesso per<br />

[l'orrore di riconoscere]<br />

quella esiguità della mente in quella esiguità<br />

[dell'esistenza che nella solitudine]<br />

di milioni di anni, per affermare se stessa non fa altro<br />

[che invocare la morte.]<br />

135<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.3 Genesi 2,23 *<br />

di Paola Rivolta<br />

(*Dalla “Genesi”. “Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è<br />

carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà<br />

donna perché dall'uomo è stata tolta».”)<br />

Mi chiamo Lucia Rinaudi. Sono nata a Moncalieri il<br />

23 febbraio 1972 da Luciano Rinaudi e Elena Ceriani.<br />

Abito a Candiano, un paese di poche migliaia di<br />

persone in provincia di Torino, in una piccola<br />

abitazione unifamiliare ai margini del centro abitato.<br />

Il 27 aprile 2010, come sempre, mi sono svegliata alle<br />

sei del mattino per andare a lavorare. Sono andata in<br />

bagno. Il bagno è sempre freddo a quell'ora, anche<br />

d'estate. Mi sono seduta sul water e lì sono rimasta<br />

qualche attimo con la testa appoggiata al muro e gli<br />

occhi chiusi. Poi mi sono alzata, sono andata davanti<br />

al lavandino, mi sono sciacquata la faccia e l'ho<br />

asciugata nell'asciugamani appeso al termosifone. Ho<br />

spazzolato i capelli e li ho raccolti senza guardarmi<br />

nello specchio. I miei capelli un tempo erano così<br />

belli. L'invidia delle mie amiche. Neri e lucidi. Lo<br />

potrebbero essere ancora con qualche cura in più e<br />

una tinta per nascondere i primi capelli bianchi. Mi<br />

sono infilata i vestiti da lavoro: una vecchia tuta blu e,<br />

sopra, un grembiule di cotone dello stesso colore, un<br />

po' sbiadito. Li porto tutta la settimana, li lavo il<br />

sabato e sono asciutti per il lunedì successivo. Ho<br />

sceso le scale e sono andata in cucina. Beh, cucina ...<br />

se fosse in una casa diversa, più ricca, la<br />

136


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

chiamerebbero un angolo cottura. Tre mobiletti verde<br />

chiaro con la carta adesiva sul piano e un frigorifero.<br />

Di fronte, un tavolo con quattro sedie di metallo e<br />

formica, verde chiaro anch'essi. Di fianco al tavolo un<br />

divano letto. Ci dormiva mio fratello quando veniva a<br />

trovarmi. Ho acceso i fornelli. I fornelli sono vicini<br />

alla finestra. Da lì vedo la ferrovia e un tratto di<br />

strada. La luce del sole, al mattino, filtra di traverso<br />

sulla facciata della casa. Scosto con le dita la tenda e,<br />

quando è sereno, vedo la luce del sole illuminare la<br />

cancellata. Ho messo sul fuoco il latte per me e mio<br />

figlio. Ho un figlio, sì, di sette anni. Lo sono andata a<br />

svegliare con una carezza, come ogni mattina. Lui si è<br />

stropicciato gli occhi, ha scostato le lenzuola e si è<br />

alzato senza dire una parola. È andato verso il bagno<br />

strascinando i piedi nudi, con la testa china e gli occhi<br />

semi chiusi. È un caro ragazzo. Sono tornata in<br />

cucina e ho messo il latte nelle tazze. La sua è bianca<br />

con un elefante azzurro disegnato sopra e dei piccoli<br />

fiori rosa e gialli. Gliel'ho regalata io al suo terzo<br />

compleanno. Ci mette un attimo a lavarsi, Giorgio.<br />

Così si chiama mio figlio. Sono sicura che l'acqua non<br />

la tocchi quasi. Al tavolo della cucina lui si siede<br />

sempre allo stesso posto, con le spalle alla porta. Io<br />

resto in piedi, con la tazza in mano a guardare fuori<br />

da quella piccola finestra. Poche parole. Qualche<br />

sorriso. Finita la colazione, l'ho aiutato ad allacciarsi<br />

le scarpe e a rassettare la sua capigliatura. Non riesco<br />

ad immaginare di poter rinunciare a questi gesti.<br />

Nemmeno quando sarà grande. Quando avrà una<br />

137


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

ragazza e una motocicletta. Ho preso la mia borsa e<br />

lui il suo zaino e siamo usciti. L'ho accompagnato da<br />

mia suocera che abita in paese. Lo porta lei a scuola.<br />

Io farei tardi al lavoro. Lavoro in fabbrica. In una<br />

fabbrica che produce componenti elettriche. Dalle<br />

otto del mattino alle cinque del pomeriggio. Faccio le<br />

saldature su dei circuiti. Mio fratello una volta mi ha<br />

chiesto per cosa venissero fatti quei circuiti. Non l'ho<br />

mai saputo. Non mi è mai interessato. Quando ti<br />

passano tra le mani decine di quelle tavolette ogni<br />

ora, il cervello diviene attento solo al ritmo da tenere.<br />

Se pensi a qualcosa sei fottuta. Le mani si intrecciano<br />

e il tuo “pezzo” se ne va senza saldatura e tu rischi<br />

una bella strigliata dal capo reparto. Non mi lamento<br />

del mio lavoro, però. Mi stanco, sì. Mi fa un po' male<br />

la schiena. Ma non penso mentre lavoro e questo va<br />

bene. E mi pagano a fine mese.<br />

Il 27 aprile 2010 la sirena della fabbrica ha suonato<br />

come sempre alle cinque del pomeriggio. All'uscita,<br />

quella carogna di Giuseppe, uno che lavora nella<br />

postazione a fianco della mia, infilandosi la sigaretta<br />

in bocca, ad alta voce, ha detto - Cosa dai da mangiare a<br />

tuo marito, stasera? Carne cruda?! - L'ho fulminato con lo<br />

sguardo. È proprio uno stronzo. Ci aveva provato<br />

con me quando avevo cominciato a lavorare lì. Un<br />

giorno ho alzato la voce davanti agli altri operai per<br />

oppormi ai suoi abbracci. Non l'ha mai digerita.<br />

I compagni di lavoro non ci fanno più caso a queste<br />

sue battute. “Carne cruda?!” Lui l'ha visto mio marito.<br />

Un giorno al bar del paese picchiava duro Ernesto.<br />

138


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non lo riuscivano a fermare in tre. Come una belva<br />

inferocita. Mio marito lavora anche lui in una<br />

fabbrica. Una fabbrica metalmeccanica. Lui fa il turno<br />

di notte. Torna alle cinque del mattino. Dicono che la<br />

fabbrica chiuderà quando la Fiat se ne sarà andata<br />

dall'Italia. Tutti sanno che se ne andrà a produrre<br />

all'estero, ma fanno finta di non sapere. Ci si attacca a<br />

quello che si ha. Anche se è uno schifo. Sono salita in<br />

auto con le operaie che mi danno un passaggio fino a<br />

casa. Condividiamo le spese per l'auto di Mirella. Nel<br />

tragitto si fanno battute, pettegolezzi. Si scarica la<br />

tensione della giornata. È bello sentirle ridere. Sono<br />

arrivata a casa alle cinque e mezza. Ho appoggiato la<br />

borsa sulla sedia all'entrata. Ho salito le scale e aperto<br />

la porta della camera di mio figlio. - Giorgio? - Giorgio<br />

era seduto sulla sua seggiola davanti alla scrivania. Un<br />

piccolo tavolo, il tavolo su cui anch'io facevo i<br />

compiti da bambina. Con le spalle girate verso la<br />

porta. Ha davanti a sé il quaderno di scuola. Ho<br />

guardato la pagina bianca, mentre gli appoggiavo la<br />

mano sulla spalla. Per terra, vicino alla sedia un foglio<br />

a quadretti accartocciato. Ho chinato la testa di più<br />

per guardarlo in faccia. Due lacrime gli solcavano le<br />

guance. Ho pensato - Di nuovo! - Gli ho alzato la<br />

maglietta sulla schiena. C'era un segno rosso largo tre<br />

dita. Ho preso Giorgio per le spalle e l'ho costretto ad<br />

alzarsi. Lui si opponeva, diceva - Lascia stare, mamma,<br />

non importa. - alzava la voce e piangeva. Gli ho sfilato<br />

la maglia. Sulle braccia e sul petto altri segni, alcuni<br />

erano rosso cupo. Li conosco bene. Li ho visti su me<br />

139


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

stessa. Negli ultimi anni, spesso. Quando l'ho<br />

conosciuto ... mio marito ... non era così. Mi faceva la<br />

corte. Mi portava fiori, dolci. Era affettuoso. Nei<br />

primi anni di matrimonio forse mi avrà dato un paio<br />

di volte una sberla. Io non sapevo fare molto in casa<br />

a quell'epoca. Pensavo - Se imparo a essere più brava come<br />

moglie, passerà. - Ma non è stato così. Mi picchiava e<br />

poi mi chiedeva scusa. A poco a poco i nostri amici<br />

non ci frequentavano più. Nemmeno mio fratello<br />

veniva più a trovarmi. Non sopportava i miei lividi, il<br />

suo alzare la voce, i secchi scapaccioni che mi dava<br />

sul collo. Sorridendo, come se scherzasse. Non<br />

sopportava la mia paura.<br />

Il 27 aprile 2010 ho stretto mio figlio a me. La sua<br />

testa sulla mia pancia. Le mie mani che gli<br />

accarezzavano i capelli. Ho chiuso gli occhi,<br />

rovesciando leggermente la testa all'indietro. Poi li ho<br />

riaperti. Davanti a me c'era lo specchio che è a fianco<br />

della porta. Riflessa c'ero io ... mio figlio di schiena, i<br />

segni sulla sua pelle. Per un attimo mi è mancato il<br />

fiato. Poi ho allontanato delicatamente Giorgio. Gli<br />

ho asciugato le lacrime con le dita. Mi sono chinata<br />

verso di lui - Adesso fa i compiti. Io esco un attimo. Torno<br />

subito. Stai tranquillo. - Mi sono ascoltata dire quelle<br />

poche parole come se non fossi io a pronunciarle.<br />

Sono uscita dalla camera e ho chiuso la porta alle mie<br />

spalle. Ho sceso le scale lentamente. Sono entrata in<br />

cucina e ho preso un coltello che era nel primo<br />

cassetto. È il mio coltello preferito. Piccolo ma<br />

affilato, con il manico leggermente ricurvo. Ci taglio<br />

140


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

le verdure, la carne. È buono per tutto. Ho preso la<br />

borsa sulla seggiola all'ingresso e sono uscita. Ho<br />

attraversato il cortile. Ho aperto il cancello e l'ho<br />

richiuso dietro di me, con attenzione. Ho sentito il<br />

sole illuminarmi il viso. Mi sono diretta verso il<br />

centro del paese. Un passo dietro l'altro. Ho percorso<br />

per intero la strada principale. Il bar è vicino alla<br />

stazione. Ero sicura di trovarlo lì. Ci passa tutti i<br />

pomeriggi fino all'ora di cena. Come mi sono<br />

affacciata alla piazza, ho riconosciuto la sua sagoma<br />

attraverso la vetrata che dà luce alla sala da gioco.<br />

Sono entrata nel bar e sono passata davanti al<br />

bancone. È un lungo bancone di legno scuro con i<br />

riquadri sagomati e il piano d'acciaio. La macchina del<br />

caffè da un lato. La cassa dall'altro. Una larga apertura<br />

squadrata senza porta introduce alla sala con i tavoli.<br />

Il barista mi ha visto e mi ha fatto un cenno di saluto.<br />

Ci conosciamo tutti in paese.<br />

Il 27 aprile 2010 io sono entrata in quella sala. Il<br />

televisore, appeso in alto, nell'angolo opposto<br />

all'ingresso, era acceso. Mi sono avvicinata al tavolo<br />

dove lui stava giocando. I suoi compagni mi hanno<br />

guardata di sfuggita da sopra le carte. Lui non ha fatto<br />

un cenno. Mi sono messa dietro di lui. Ho infilato la<br />

mano destra nella tasca del grembiule da lavoro e ne<br />

ho estratto il coltello. Ho infilato le dita della mano<br />

sinistra tra i suoi capelli, ho chiuso le dita e con il<br />

coltello nella mano destra gli ho aperto la gola.<br />

Improvvisamente, il suo corpo ha cominciato a<br />

sussultare. Si è inarcato. Siamo caduti all'indietro.<br />

141


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Ancora un sobbalzo. Mi sono ritrovata seduta per<br />

terra. La schiena appoggiata al muro. Le braccia<br />

abbandonate lungo i fianchi. Sentivo di aver perso<br />

ogni forza: forse il calore di tutto quel sangue.<br />

Pesante sulle mie gambe, il corpo di mio marito.<br />

Quasi un parto, una nascita. Lui tra le mie gambe in<br />

quel lago di sangue. Avevo la testa pesante. In<br />

lontananza le urla della gente. Dentro di me un<br />

silenzio che rincorrevo da anni.<br />

142<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.4 Diario di un soldato<br />

di Claudio Prili<br />

Ho raschiato nel mio zaino<br />

fino a farlo sanguinare<br />

e sotto le unghie briciole<br />

delle ultime croste di pane.<br />

La lama affilata del coltello<br />

nascosta nello stivale<br />

e l'ultima stella cadente<br />

ormai arrugginita,<br />

rinchiusa in cantina<br />

sta ansando sudata.<br />

Affonda ogni sera nel vino<br />

il tuo viso sgualcito di carezze<br />

tra mosche sbadate<br />

in quest'aria malsana<br />

che aspra ristagna<br />

ancora nel naso.<br />

La piazza deserta<br />

rincorre un giornale<br />

tornato aquilone un momento<br />

per poi liquefarsi e marcire<br />

nei rari riflessi di un cielo<br />

graffiato da tetti senza colore.<br />

Coraggio capitano,<br />

tu che odori di salotto<br />

e vedi lontano,<br />

143


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

saltiamo quest'ultimo muro<br />

per correre nudi al mare<br />

e storditi dal sole<br />

finalmente capire<br />

che non resta più nulla<br />

da dover conquistare.<br />

144<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.5 massacro a Wounded Knee - Ginocchio<br />

Ferito<br />

di Domenico Garaffa<br />

miseria di conquista, progresso di ferrovia.<br />

bisonti: case con piccole corna<br />

abbattuti per gusto di lingua;<br />

nutrimento di popolo con quattordici paia di costole<br />

sterminati in uno spreco di pellicce.<br />

volevano portare la danza in tutte le Nazioni.<br />

volevano che nessuno più mentisse loro.<br />

cantare in cerchio, tenendosi per mano<br />

dita tra le dita, nel paese dove il sole<br />

tramonta con il Sacro colore Rosso.<br />

col quale dipinsero il Bastone del Ricordo.<br />

CentoQuarantaQuattroBastoni<br />

…………………………………………<br />

…………………………………………<br />

…………………………………………<br />

massacrati insieme alla Danza dello Spirito<br />

seppelliti in primavera.<br />

sono tornati<br />

con le loro pipe, penne d'aquila e pelli di bisonte.<br />

e i lunghi coltelli? più ottusi di prima<br />

li accolgono con cingolati, elicotteri, armi e tranelli.<br />

145


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

sbriciolano tutto ”il villaggio è libero”<br />

e aggiunsero<br />

DueBastoni<br />

. .<br />

dipinti di Sacro colore Rosso.<br />

Wounded Knee (Ginocchio Ferito) 29.12.1890 - 10.05.1973<br />

nb i punti-bastoni nella versione originale sono in rosso<br />

146<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.6 Il rumore del silenzio<br />

di Maria Denise Spinelli<br />

Di fuoco è il riflesso<br />

del sole<br />

sul mare<br />

arde impietoso<br />

non fa respirare.<br />

Profumo salmastro<br />

speranza<br />

sapore<br />

di vita affamati<br />

di gioia<br />

d’amore.<br />

La luna è un diamante<br />

e osserva pietosa<br />

la morte dei figli<br />

nell’onda furiosa.<br />

Assordante è il silenzio<br />

che cala sul mare<br />

nemmeno una mano<br />

che ti possa aiutare.<br />

Il silenzio ha un rumore<br />

che ti segna la sorte:<br />

Non meriti vita<br />

sei<br />

“condannato a morte”.<br />

147<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.7 Il comandante<br />

di Brunello Buonocore<br />

“Soddisfazione bipartisan al termine del Consiglio. La scuola<br />

non sarà intitolata al comandante partigiano Paride ma a<br />

Sandro Avanzini, il giovane cabarettista nostro concittadino,<br />

morto sette anni fa in un tragico incidente automobilistico”.<br />

- Meglio così - pensa Roberto Giannelli, mentre si<br />

reca con passo sostenuto all'istituto comprensivo.<br />

E' un supplente al primo incarico nella scuola media e<br />

fa fatica a tenere a bada gli studenti.<br />

Il preside ha dato disposizione di commentare la<br />

notizia del giorno: la scuola intitolata ad un<br />

concittadino illustre. Perciò sì discuterà<br />

dell'importanza del far ridere, della capacità di stare<br />

sul palcoscenico, dei grandi comici di ieri e di oggi ...<br />

non della Resistenza. -Lasciamo stare la guerra civile,<br />

mi raccomando; meglio non rievocare quei tristi<br />

momenti che hanno insanguinato il nostro Paese,<br />

mettendo fratello contro fratello...<br />

- si è raccomandato.- Ma quale guerra civile? -pensa<br />

Roberto- ma perché nessuno storico parla più dì<br />

Resistenza, di guerra di liberazione? e perché nessun<br />

insegnante di storia o di lettere si azzarda a sollevare<br />

questioni in merito?-. Nei primi tempi si è arrabbiato<br />

molto, poi si è quasi rassegnato. - Meglio così – pensa<br />

- visto che comunque il programma non prevede di<br />

arrivare oltre la prima guerra mondiale-.<br />

- Quando entra in classe, però, i ragazzi lo colgono di<br />

sorpresa.<br />

148


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

- Prof - gli domandano - ma chi era questo<br />

comandante Paride?-<br />

- Veramente oggi il preside ha dato ordine di parlare<br />

di Sandro Avanzini, un attore, molto promettente,<br />

un attore comico...<br />

- Avanzini lo sappiamo già chi era, prof.<br />

- Losi dice che Avanzini abitava nel suo palazzo e<br />

faceva sempre lo stupido...<br />

- Di Avanzini ci sono i filmati su youtube.<br />

- Avanzini ha scritto un libro di barzellette, che non<br />

fanno ridere nessuno.<br />

- Invece, chi era il comandante Paride? - ripetono -<br />

E alla fine, dopo molte insistenze, il professor<br />

Roberto decide di cedere e di levarsi la maschera:<br />

- Il Comandante Paride era mio nonno -.<br />

Questa mattina il livello di interesse supera ogni<br />

record. Nessuno chiede di andare in bagno e anche la<br />

ricreazione, sì, si fa, ma un'ora più tardi, verso<br />

mezzogiorno.<br />

-Non l'ho mai conosciuto. Ma mia mamma mi ha<br />

raccontato molte cose di lui e mi ha fatto vedere dei<br />

documenti e delle fotografie. Era un uomo grande,<br />

molto più alto di me. No, non aveva l’aria del soldato.<br />

Voleva fare il notaio e sembrava un notaio. Tutto<br />

capitò dopo l’ 8 settembre. Lo sapete che cosa è<br />

successo l’ 8 settembre? Così spiegato in due parole:<br />

l’ 8 settembre del 1943 è la data dell’armistizio, il<br />

momento in cui l’ Italia o meglio l’esercito italiano<br />

cessa le ostilità e in concreto si arrende agli Alleati.<br />

149


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Ma non scoppia la pace, anzi la situazione precipita:<br />

soldati sbandati un po' dappertutto ... tedeschi e<br />

fascisti che si scatenano contro i partigiani ... Mio<br />

nonno entra in una piccola banda e inizia a compiere<br />

qualche atto di sabotaggio, evitando sempre ogni<br />

inutile spargimento di sangue. Una sera mentre,<br />

insieme a un compagno, si sta recando in paese per<br />

un' azione contro l'abitazione del prefetto, viene<br />

fermato a un posto di blocco e arrestato. Mio nonno<br />

non lo sa che c'è il coprifuoco, torna da una riunione<br />

segreta e ha con sé armi, dinamite e volantini di<br />

propaganda. Il ragazzo che è con lui cerca di reagire,<br />

ma non riesce a sparare e viene ferito gravemente dai<br />

militi della Repubblica Sociale. Quella stessa sera<br />

vengono arrestati altri sette partigiani che, come mio<br />

nonno e il suo amico, stanno tutti tornando dalla<br />

stessa riunione politica; tra di loro anche il padre di<br />

mio nonno, il mio bisnonno. Per circa un mese i<br />

partigiani rimangono in carcere. Poi l'uccisione di uno<br />

squadrista, avvenuta nel bar del paese, fa precipitare<br />

la situazione. Assieme ad altre persone è processato<br />

da un tribunale militare straordinario e, unico fra gli<br />

imputati, viene condannato alla pena di morte per la<br />

sua attività partigiana che, in ogni caso, non era<br />

affatto collegata ai fatti di sangue accaduti in quei<br />

mesi.<br />

L' esecuzione ha luogo di notte, poco prima del<br />

Natale del 1943. Si racconta che al momento<br />

dell'esecuzione mio nonno abbia chiesto di conoscere<br />

i nomi di quelli incaricati di eseguire la sentenza e che<br />

150


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

li abbia abbracciati, perdonandoli per ciò che stavano<br />

per compiere. Mia mamma mi ha fatto vedere l'ultima<br />

lettera che ha scritto a casa, poco prima della<br />

fucilazione; dice qualcosa del tipo: “L'amavo troppo<br />

la mia patria; non la tradite, seguite la mia via nel<br />

ricostruire una nuova unità nazionale. Coloro che mi<br />

giustiziano non pensano che l'uccidersi non produrrà<br />

mai la concordia”. Morì così, a vent'anni.<br />

Il professor Roberto ha un momento di tristezza e<br />

rimane in silenzio per un minuto o due. Anche i<br />

ragazzi non fanno il minimo rumore. Subito dopo<br />

entra il preside.<br />

- Come mai siete così tranquilli? Nelle altre classi<br />

ancora un po' e si mettono a ballare sui banchi.<br />

- Stavamo parlando dell'incidente di Sandro<br />

Avanzini. E' per questo che siamo tristi - interviene<br />

uno studente<br />

- Non è vero, signor preside. - lo corregge Roberto -<br />

Abbiamo parlato del comandante Paride; era mio<br />

nonno: ho raccontato la sua storia.<br />

Lo studente di prima prende ancora l'iniziativa.<br />

- Preside, ma lei lo sa chi era il comandante Paride?<br />

- Certo che lo so. Era un partigiano, morto giovane,<br />

poverino ...<br />

- Non potremmo parlare ancora di lui, qualche volta?<br />

- Sì che potremmo. Lei che ne pensa, professore?<br />

- E' un argomento su cui posso prepararmi.<br />

Vedremo.<br />

All'uscita il professore trova il preside nel corridoio.<br />

151


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

- Signor preside, temo che lei non sia molto contento<br />

di me...<br />

- Al contrario, Giannelli, al contrario.<br />

- Ma come?. Ci ha quasi proibito di parlare dei<br />

partigiani, della Resistenza...<br />

Sconsigliato,non proibito. Ma cambiamo argomento.<br />

Quanti anni mi dà, Giannelli?.<br />

Sessantasei?<br />

No, sono quasi settanta. E tra un mese vado<br />

veramente in pensione. L'ho saputo oggi. E così<br />

posso diventare<br />

coraggioso. Da domani nella mia scuola si parlerà<br />

anche di cose su cui il ministero preferirebbe stendere<br />

un velo di silenzio. E guardi che non ho grande<br />

simpatia per i partigiani.<br />

Mio padre era un fascista e se n'è vantato fino a<br />

quando è vissuto. Ma io ho avuto modo di pensarci e<br />

a qualche conclusione sono arrivato, sa. Mio padre ha<br />

continuato ad esprimere liberamente la sua<br />

opinione;se fosse ancora vivo, stasera potrebbe<br />

andare in televisione a raccontare la sua vita e a<br />

rendere omaggio ad alcuni suoi amici,morti negli<br />

scontri con i partigiani ... Ma se avessero vinto i<br />

fascisti,se avessero vinto Hitler e Mussolini, lo sa,<br />

professore, lei questa mattina non avrebbe potuto<br />

parlare di suo nonno e gli altri insegnanti, i suoi<br />

colleghi, avrebbero dovuto censurare le battute<br />

migliori di Avanzini...<br />

Questo racconto riprende molto liberamente la vicenda di<br />

Giancarlo Puecher, bellissima figura di<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

partigiano, nato a Milano nel 1923 e morto fucilato a Erba<br />

(Co) il 23 dicembre 1943.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.8 Io ... schiava<br />

di Susanna Giannotti<br />

Tu, padrone ed io, schiava<br />

camminavo muta<br />

dietro il cancello<br />

chiuso di una fabbrica.<br />

Ora sono libera,<br />

posso inseguire<br />

la mia ombra lungo il muro<br />

come un aquilone.<br />

Tu, padrone ed io, schiava<br />

annusavo l'odore della polvere<br />

nella stanza buia di un ufficio.<br />

Ora sono libera,<br />

posso respirare l'aria del cielo<br />

e celare dentro il mio dolore.<br />

Tu, padrone ed io, schiava<br />

mi sentivo carne da macello<br />

in nome del tuo profitto.<br />

Ora sono libera,<br />

posso morsicarmi le dita<br />

e urlare la mia rabbia<br />

legata ad un letto d'ospedale.<br />

Mi licenziasti,<br />

un giorno,<br />

per aver risposto<br />

ad un tuo rimprovero<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

ed averti detto “bastardo”<br />

tra i denti.<br />

Ora sono libera,<br />

posso vivere<br />

quel poco che mi resta ...<br />

un giorno dopo l'altro ...<br />

senza te, padrone.<br />

155<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.9 Ad un reduce<br />

di Emanuela Bertello<br />

Ti respiro<br />

oltre le barriere di un'indifferenza<br />

che colora di fango questa notte senza fine.<br />

Vedo le tue mani sporche di sangue<br />

di quei compagni - ormai perduti -<br />

il cui grido lacerante frantuma il silenzio<br />

delle stelle. In uno scricchiolio d'ossa<br />

immagino i tuoi occhi sbarrati della cieca<br />

paura e rischiarati da una flebile fiammella<br />

di speranza che tinge d'immenso quel muro<br />

d'ombra.<br />

Il tuo nome apparirà in un vivido pomeriggio<br />

illuminato dalle lacrime del cielo<br />

testimone indiscusso di questo scempio d'anime<br />

trascinate al largo dalla furia delle onde.<br />

E tu, sbarrato dietro agli occhi di chi non osa<br />

guardare oltre, ti riscalderai il cuore dalle<br />

coltri della pietà che colmeranno i vuoti<br />

di una giovinezza persa lungo il cammino.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

4.10 Una musica venuta da lontano<br />

di Mario De Fanis<br />

La casetta dove abitava il maestro, trovandosi sotto il<br />

livello stradale, s'affacciava con le finestrelle a sbarre<br />

direttamente sul marciapiede.<br />

Fu quello il palcoscenico sul quale si svolse il dramma<br />

d'iniziazione di Luciano alla musica!<br />

Lui ed Isacco divennero amici, ed il maestro fu<br />

prodigo di incoraggiamenti, ma sembrava proprio che<br />

tra il ragazzo e quella nobile arte non potesse esserci<br />

feeling.<br />

Di fronte alle sue evidenti difficoltà, Luciano scovò<br />

un giorno un pretesto: “Come vuoi che mi convinca<br />

ad insistere, se non ti ho mai sentito eseguire un<br />

brano per intero, insomma della vera musica?!”<br />

“Oh, è da tanto tempo che non suono un pezzo!” si<br />

schermì il vecchio “Le mie dita non hanno più né la<br />

forza, né la mobilità di una volta..<br />

“Ti prego, Isacco, l'anima mia ha sete di musica!”<br />

recitò con enfasi il ragazzo, congiungendo le mani in<br />

atto di preghiera.<br />

“No!No! Non fare così!” lo rimproverò il maestro,<br />

con voce improvvisamente accorata.<br />

“Riserva questo gesto alla vera preghiera, se mai un<br />

giorno ne sentirai il bisogno!”<br />

Restò un attimo sulle sue parole, poi pentito del<br />

rimprovero : “Va bene, va bene, ragazzo petulante, ti<br />

suonerò qualcosa.., ma dopo non me lo chiederai mai<br />

più, prometti?”<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“Prometto!” acconsentì convinto l'allievo. Allora<br />

Isacco s'avvicinò al riquadro di velluto,<br />

sganciò la valigetta per estrarre lo strumento e dopo<br />

averlo sistemato tra collo e spalla prese a far scivolare<br />

più volte l'archetto sulle corde, provando diversi<br />

accordi, come alla ricerca di una tonalità smarrita;<br />

infine s'arrestò.<br />

Ogni cosa, nella stanza, sembrava in attesa: Mustafà ,<br />

sul divano, schiudeva ogni tanto le palpebre con<br />

indolenza; le ombre della sera occhieggiavano già<br />

dalle finestre. Il ragazzo s'era rincantucciato<br />

nell'angolo opposto a quello del gatto.<br />

All'improvviso, lieve come un sussurro nel silenzio, si<br />

levò nell'aria un'armonia dolce, ma ricolma di una<br />

tristezza che non era di quel tempo, ma di un tempo<br />

più remoto: si levava nella stanza come un volo di<br />

tortore e si spandeva, penetrava dappertutto. Si fece<br />

successivamente più suadente, abbandonandosi ad<br />

una malinconia nascosta, per diventare un attimo<br />

dopo più piena e sonora. Vibrava dentro quelle note<br />

la forza di una fede rasserenante e consolatoria; la<br />

prospettiva di una speranza condivisa, che niente,<br />

neppure la morte, avrebbe più potuto far tacere.<br />

Luciano non riusciva a distinguere il viso del maestro,<br />

chino sullo strumento con il trasporto di un<br />

innamorato, ma osservava affascinato l'archetto che<br />

accarezzava le corde ad evocarne le più nascoste<br />

armonie, per aggredirle poi a tratti con rabbia, quasi<br />

con furore.<br />

158


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Infine, al culmine di un appassionato crescendo, la<br />

musica tacque, si spense nella dolcezza triste di un<br />

addio.<br />

Il vecchio restò un attimo immobile, con l'archetto<br />

appoggiato al violino; poi alzò il viso, e Luciano<br />

s'accorse che piangeva: era un pianto sommesso,<br />

velato, che si scioglieva come se avesse finalmente<br />

trovato la strada per affiorare.<br />

Il giovane rimase nel suo angolo, incapace di parlare.<br />

Gli si affollavano nel cuore pensieri ed emozioni<br />

inesprimibili: s'accorse che in pochi istanti aveva<br />

attraversato un oceano di profonda pena, che la<br />

musica aveva reso puro come un diamante. La sua<br />

luce continuava a brillare in fondo al cuore di un<br />

vecchio e di un ragazzo.<br />

Poi le parole di Isacco bucarono il silenzio: “Ci<br />

facevano suonare sempre questo motivo, mentre li<br />

mandavano alle camere a gas! Capisci? Noi, i<br />

musicisti, suonavamo come per far festa, per coprire<br />

le grida dei compagni, che andavano a morire..E le<br />

note si mescolavano alle urla! Così, ogni volta che<br />

suono, rivedo quei momenti, quando la musica<br />

identificata sino allora come gioia si trasformò per me<br />

in un dolore senza fine.”<br />

Appoggiò il violino sul tavolo, poi si deterse la fronte<br />

madida con la mano sinistra: i polpastrelli delle dita,<br />

sulle falangette, mostravano piccoli tagli.<br />

“Ma hai le dita che sanguinano, Isacco!” esclamò<br />

Luciano, afferrando la mano del suonatore tra le sue.<br />

159


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“Non è nulla, non è nulla! Le mani hanno perso<br />

mobilità, te l'ho detto.., così ho dovuto appoggiare<br />

sulle corde con tutta la forza..”<br />

“Perdonami! Perdonami!” fece il ragazzo “Non<br />

sapevo, non immaginavo..”<br />

“No! No, no, Luciano, non è colpa tua ...Anzi, ti<br />

ringrazio, sai, m'ha fatto bene.. Sapessi quanti anni<br />

erano, che non liberavo il cuore da questi fantasmi!”<br />

Poi riprese, portando ogni tanto le dita ferite alla<br />

bocca, per umettarle con la saliva: Iddio, nella sua<br />

misericordia, fece di me un suonatore di violino. Mi<br />

concesse, così, di vivere.., ed io ricevetti questo dono<br />

inconsapevole.<br />

In seguito, però, quante volte mi sono chiesto: che<br />

cosa hai fatto tu, che hai avuto in sorte di conservare la vita?<br />

E che colpa avevano gli altri, cui toccò di morire? Ah, è così<br />

imperscrutabile la misericordia di Dio..”<br />

Ripose con cura nei loro alloggiamenti l'archetto e lo<br />

strumento, facendo scattare i fermagli con sincronia,<br />

per poi continuare: “Sai, i primi tempi, tornato dal<br />

campo, m' ero illuso che con la musica sarei riuscito a<br />

dimenticare.. Invece, quando suonavo, io non facevo<br />

che ricordare, ricordare…, e ancora ricordare: mio<br />

padre che fruga alla cieca sul pavimento per ritrovare<br />

gli occhiali rotti; l'ultimo saluto con la mano di mia<br />

madre;mio fratello che scambiò il suo pane con un<br />

temperino, illudendosi che un giorno ci saremmo<br />

ribellati…. Capisci, adesso, che cosa significa per me,<br />

ogni volta, suonare il violino?”<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Luciano fece segno di sì, ed abbracciando con le<br />

lacrime agli occhi quel corpo minuto, fragile come un<br />

uccelletto, ebbe la sensazione di stringere tra le mani<br />

la sua anima.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

5. Fuori concorso<br />

5.1 Il cuore nel vaso<br />

di Linda Ghio<br />

C’è un segreto che, sotto sotto, tutte le donne<br />

conoscono, anche se non lo sanno.<br />

Immaginate: un prato, dove l’erba è cresciuta un po’<br />

troppo. È di un verde silenzioso, qua e là screziata di<br />

giallo dove il sole l’ha rosicchiata. Rimane<br />

scompigliata, piegata sotto i passi di una ragazza; lei<br />

cammina senza fretta, ad ampie falcate, e sta attenta<br />

ad aggirare i fiori. Porta in mano uno sgabello di<br />

legno; quando si ferma, lo apre con cura e si guarda<br />

intorno un’ultima volta prima di deporlo a terra. Le<br />

quattro gambe affondano nel folto di ciuffi di un<br />

verde luminoso, e mordono il suolo, salde.<br />

La ragazza è in piedi sullo sgabello, braccia lungo i<br />

fianchi: resta a guardare verso l’alto, per il tempo di<br />

un lungo respiro. Quando solleva le braccia, ha le<br />

mani spalancate; ci sono decine e decine di cuori a<br />

fluttuare nell’aria, bolle di un rosso antico a veleggiare<br />

nella brezza azzurra. Non ha bisogno di afferrarne<br />

alcuno; un piccolo cuore freme, sfarfalla, e curva con<br />

grazia seguendo un’onda di vento per posarsi nel suo<br />

palmo. La ragazza lo tiene fra le mani giunte in una<br />

coppa, e lo protende ancora una volta verso il cielo<br />

perché si impregni di quel sole che le scalda la pelle e<br />

le scivola fra le ciglia. Quando se lo porta al petto,<br />

chinando la testa per guardarlo bene, il piccolo cuore<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

è fresco e leggero; lei sorride senza schiudere le<br />

labbra e se lo mette in tasca prima di riattraversare il<br />

prato, e farsi strada fra i campi, fino a casa. In alto, i<br />

cuori hanno proseguito il loro volo e sono ormai<br />

spariti alla vista, nel loro viaggio di capriole e<br />

girotondi verso altre mani in attesa.<br />

Le istruzioni sono semplici, e non sono scritte da<br />

nessuna parte; il piccolo cuore è da portare a casa, e<br />

da conservare con cura. Si potrebbe tenere in una<br />

scatolina di fiammiferi, od un barattolo da cui si sono<br />

mangiati tutti i biscotti. Non può prendere freddo,<br />

altrimenti avvizzisce; non bisogna dimenticarlo in un<br />

canto, altrimenti diventa grigio e appassisce sotto la<br />

polvere; e bisogna tenerlo lontano dal fuoco, perché<br />

ha la tendenza ad infiammarsi e consumare tutto ciò<br />

che lo circonda, se non ci si sta attente. Ma la nostra<br />

ragazza è saggia, di quella saggezza speciale che<br />

appartiene da sempre alle donne; ed è il suo istinto a<br />

dettarle come prendersi cura del piccolo cuore<br />

arrivato dal cielo. Perché una donna sa come<br />

occuparsi di piccole vite che hanno bisogno di<br />

protezione e di un angolino riparato per poter<br />

crescere e acquistare forza. Così la ragazza conserva il<br />

piccolo cuore con cura; lo appoggia in un vaso di<br />

primule vicino alla finestra e lui sta placido e<br />

tranquillo, mormorando di vita sottile, ed aspetta.<br />

Immaginate: un po’ come camminare lungo un molo<br />

di legno, sandali che scricchiolano sulle tavole e onde<br />

grigioazzurre che frusciano nel mare circostante,<br />

seguendo una fila di pallide farfalle, color lilla e crema<br />

163


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e celeste. Una volta in fondo, la ragazza appoggia le<br />

braccia al parapetto, e le guarda comporre spirali ed<br />

archi e segreti nel cielo, mentre si allontanano. E,<br />

quando abbassa gli occhi, c’è una piccola barca a remi<br />

che l’aspetta, grande giusto quanto basta. Ci vuole un<br />

bel coraggio a mettersi a remare da sole ed avviarsi<br />

alla ricerca di qualcosa che non si è ben sicure si saprà<br />

riconoscere, a malapena un pugno di farfalle ad<br />

indicare la via: ma nessuna impresa è troppo grande<br />

per queste piccole donne. Sono sempre loro; quelle<br />

che in silenzio tengono insieme persone, famiglie,<br />

interi Paesi; che bene o male sono sempre lì, a<br />

mandare avanti la baracca, non importa quel che<br />

accada. Quelle che sanno come crescere una fragile<br />

pianta in un campo di rovine, e come crescere piccoli<br />

esseri umani nella selva del mondo.<br />

Sembra quasi impossibile, non è vero – che, dopo<br />

tutto questo dare, alle nostre donne resti ancora<br />

qualche cosa per se stesse; che ancora trovino il<br />

tempo di accudire il piccolo cuore che hanno<br />

adottato, forse il giorno prima, forse anni e anni<br />

addietro. Ma la nostra ragazza, guardiamo lei; lei<br />

resiste, simile ad un piccolo giardino al riparo nel<br />

ventre della metropoli, dove tutti gli uccelli vanno a<br />

rifugiarsi, e dove ogni giorno rami ed arbusti sono<br />

nuovamente carichi di bacche. Le donne hanno radici<br />

profonde e capaci, sanno remare quando c’è bisogno,<br />

e non hanno paura di spingersi al largo, fin dove si<br />

renda necessario.<br />

164


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

E torniamo al nostro cuore, quello che riposa in un<br />

vaso di fiori nella cucina di una ragazza di cui non<br />

sappiamo il nome. Non è mica solo per bellezza; è lì<br />

per essere usato, quando fa troppo freddo o c’è<br />

troppo buio, o semplicemente quando se ne sente il<br />

bisogno. Immaginate: basta rimepire una tazza di<br />

acqua calda e deporvi il cuore, e lasciarvelo<br />

galleggiare. Proprio come una bustina di tè: quindi<br />

basta aspettare finchè l’acqua non si sia tinta di un<br />

bell’arancione, o magari rosa antico, a seconda<br />

dell’umore. Deve esserci silenzio, e bisogna essere al<br />

caldo, con indosso abiti comodi; la nostra ragazza è in<br />

pigiama, e si aggira per la cucina in calzini spaiati, e<br />

non se ne preoccupa. Si acciambella su una sedia,<br />

vicino al termosifone, ed aspetta; perché non è una<br />

cosa da fare di fretta, cercando di finire al più presto<br />

perché, insomma, avrebbe dovuto essere pronta da<br />

mezz’ora e dovrebbe già essere in macchina,<br />

dovrebbe. La tazza le scalda le mani, ed è bello<br />

pensare che, dopo essersi regalata un po’ di quel<br />

cuore, la nostra ragazza sia di nuovo pronta ad uscire<br />

e vedersela con il resto del mondo. Ogni tanto,<br />

bisogna dare un po’ a se stesse.<br />

Che poi, in verità – c’è un momento preciso in cui<br />

una ragazza avrà voglia di avventurarsi nei prati con il<br />

suo sgabello, pronta a dialogare con il vento ed il sole,<br />

in cerca di un cuore fluttuante. Forse, una donna<br />

nemmeno si accorge di averlo fatto; magari è sicura di<br />

averlo soltanto sognato. Prendiamo voi, ad esempio;<br />

riuscire a ricordare? Siete proprio sicure di sapere<br />

165


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

cosa c’è nel vostro barattolo dei biscotti, che non vi<br />

sia un piccolo cuore a pulsare nascosto sul fondo<br />

della vostra tazza? Immaginate…<br />

166<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

5.2 Io chiedo perdono<br />

di Svilen Angelov<br />

Lunghe file di uomini camminano<br />

passo dopo passo<br />

nel regno del silenzio<br />

dove l'aria fredda ristagna.<br />

Passo dopo passo...<br />

camice con la stella gialla<br />

camminano sulla terra zuppa<br />

abbracciando la furia della paura,<br />

ingoiando il grido del dolore<br />

nel buio più profondo<br />

della notte più estrema.<br />

Ingiustizia suprema<br />

come un mostro aggrappato<br />

sulla merce umana<br />

tra cenere e indifferenza!<br />

Lunghe file di uomini camminano<br />

come alberi spezzati,<br />

vite cambiate,<br />

speranze sperdute<br />

e sogni svaniti<br />

nell'ombra della luna calante d'inverno.<br />

Passo dopo passo…file di uomini<br />

considerati colpevoli di esistere<br />

continuavano a vivere morendo!<br />

Oggi il vento sussurra tra le betulle<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e la primavera esplode in fiori,<br />

ci sono di nuovo i magici tramonti,<br />

sentieri emersi nelle timide castagnette<br />

e cascate con nuvole bianche.<br />

Il mio cuore vede le file di uomini<br />

che camminano...<br />

e nel roseo crepuscolo del giorno<br />

in attesa del perdono<br />

i miei occhi dicono<br />

“Mai più”!<br />

168<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

5.3 La “Sciura Maria”<br />

di Daniela Vigliano<br />

Al paese e nei dintorni mi conoscono come la<br />

“Sciura Maria”, l’ostetrica. Qui li ho fatti nascere tutti<br />

io i bambini, che ormai sono adulti e hanno a loro<br />

volta figli che ho aiutato a venire al mondo. Qualche<br />

tempo fa mi hanno persino premiata con una<br />

medaglia d’oro al millesimo neonato che, con il mio<br />

aiuto, è arrivato su questa benedetta terra, e mi hanno<br />

fatto una gran festa. La medaglia d’oro l’ho riposta<br />

nel cassetto del comodino da notte, vicino alla foto di<br />

Adriano.<br />

Adesso sono vecchia e stanca e sono in pensione.<br />

Non me la sento più di andare su e giù per le strade<br />

ripide del paese, anche di notte, con l’affanno di<br />

arrivare in tempo perché madre e figlio possano star<br />

bene entrambi e io, per l’infinitesima volta, possa<br />

sentire il vagito del nuovo arrivato.<br />

Quanti parti, nella mia vita! Questo mestiere è forse<br />

uno dei più belli del mondo, io non avrei saputo né<br />

voluto fare altro, ma come ti regala tanta gioia<br />

quando tutto va bene, sa riempirti di angosciosa<br />

impotenza quando un bimbo non ce la fa e diventa<br />

un angioletto.<br />

Ogni volta che tiravo fuori la testina, gli occhi<br />

ancora chiusi e i capelli tutti bagnati, e poi, pian<br />

piano, il corpo, rosso di sangue e ancora incapace di<br />

respirare, l’ansia era sempre la stessa: sentire il primo<br />

vagito, il segnale della vita. Una piccola sculacciata e<br />

il pianto del bimbo mi faceva capire che tutto era a<br />

169


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

posto, che ancora una volta tutto era andato bene.<br />

Allora si faceva gran festa, il padre stappava la<br />

bottiglia più buona e, mentre la mamma e il piccolo<br />

venivano accuditi dalle madri o dalle zie, io brindavo<br />

con lui all’arrivo della nuova vita, a una vita piena di<br />

salute e di buona fortuna. Nessuno si accorgeva che,<br />

tra quelle lacrime di gioia, io nascondevo delle lacrime<br />

mie, mie soltanto, le lacrime del mio grande dolore.<br />

Tutti mi vogliono bene qui, in questo piccolo borgo<br />

incastrato tra i monti dell’Appennino ligure, dove il<br />

sole si vede per poche ore al giorno, dove gli inverni<br />

sono lunghi e freddissimi, dove i fitti boschi di<br />

castagni e di acacie sono il rifugio di lepri e di volpi, e<br />

non solo…<br />

Mio marito era cacciatore. Partiva la domenica col<br />

fucile in spalla e non tornava a casa finchè non aveva<br />

qualcosa che gli gonfiasse la cacciatora del suo<br />

giaccone di velluto a coste verde marcio.<br />

Ho sempre avversato quella sua passione, non mi<br />

piaceva che uccidesse animali indifesi.<br />

“Zunin” gli dicevo “io faccio nascere i bambini e tu<br />

vai ad uccidere delle povere creature. Non ci siamo,<br />

non ci siamo proprio…” Ma lui mi diceva che quasi<br />

tutti gli uomini del paese andavano a caccia, era uno<br />

svago, mica si doveva pensare che si andava ad<br />

ammazzare, si andava solo a divertirsi, a vedere se si<br />

era capaci a colpire qualcosa che vola, o che corre.<br />

Era fatto così, il mio Zunin. Lo chiamavo col<br />

cognome, come tutti in paese. Lavorava in ferrovia ed<br />

era un comunista sfegatato. Buono, un cuore grande<br />

170


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

e generoso, ma con una testa dura come il ferro. Se<br />

aveva in mente una cosa, quella era, ed era inutile<br />

provare a fargli cambiare idea.<br />

Mi ha lasciata sola dieci anni fa: stavamo pranzando e<br />

ad un tratto si è accasciato sul piatto, senza una<br />

parola. “Zunin, cos’hai? Non stai bene?”. Non mi<br />

sentiva già più. L’ha fatta veloce, lui.<br />

Come era nei suoi desideri, abbiamo fatto un funerale<br />

civile, che è stato, per quel tempo, una cosa<br />

eccezionale, disonorevole e immorale. Non certo per<br />

me e i suoi fratelli, o per quelli del paese che lo<br />

conoscevano bene e sapevano come la pensava, ma<br />

per alcuni parenti, che vi hanno partecipato,<br />

vergognandosi come cani. Sono rimasti di stucco, nel<br />

vedere il feretro andare dritto al cimitero senza<br />

passare dalla chiesa, con la banda che suonava<br />

l’Internazionale.<br />

Mi pareva di sentirli, i baciapile, commentare a denti<br />

stretti l’avvenimento. Ne avrebbero parlato per<br />

giorni, una volta ritornati a casa loro.<br />

Lui comunque, anche senza chiesa, credo sia andato<br />

nel posto dei buoni, non può essere altrimenti.<br />

Io, dal canto mio, aspetto ormai che venga il mio<br />

turno. Che ci sto a fare qui, senza Adriano, senza<br />

Zunin, senza Venuta? La mia vita ormai non ha più<br />

alcun senso, non sono più utile a nessuno, né alle<br />

mamme né ai bambini. Quante volte invece, quando<br />

qualcuno dei miei assistiti non aveva nemmeno un<br />

soldo per pagarmi, portavo coperte, pannolini,<br />

vestitini e, naturalmente, non volevo nulla per la mia<br />

171


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

prestazione. Anche per questo, qui, mi vogliono<br />

bene.<br />

“Ma sciura Maria” mi diceva Venuta, la nostra “tata”<br />

che è stata con noi da quando mi sono sposata fino a<br />

quando è morta, povera donna, “se fa così, come<br />

faremo a tirare alla fine del mese?”. “Non<br />

preoccuparti, Venuta, ce la faremo, vedrai. I soldi non<br />

sono poi così importanti. L’importante è che quella<br />

gente possa stare bene”.<br />

Venuta, la disponibilità e la bontà fatta persona. Una<br />

dedizione totale alla mia famiglia: per lei la famiglia<br />

eravamo noi. Quando è entrata in casa nostra, poco<br />

più che diciottenne, aveva perso i genitori da poco.<br />

Ricordo come fosse oggi quando si è presentata per<br />

venire a servizio: alta alta, magra magra, con i capelli<br />

neri pettinati lisci all’indietro e legati in una crocchia,<br />

un abito nero in maglia lungo fino alle caviglie che la<br />

rendeva più magra ancora. Mi ha fatto una tenerezza<br />

infinita: era una giovane che sembrava già vecchia,<br />

con il peso del suo dolore su quelle spalle gracili, negli<br />

occhi tristi la richiesta di conforto, di affetto, di aiuto.<br />

Non ho potuto dirle che non mi serviva una ragazza<br />

per le faccende domestiche. Ero fresca sposa e non<br />

avevo ancora molto lavoro che mi impegnasse<br />

lontano da casa tanto tempo da non permettermi di<br />

badare ai lavori casalinghi; ma quella sua aria da<br />

cucciolo spaurito, bisognoso d’amore, mi strinse il<br />

cuore e la assunsi.<br />

Da allora Venuta ha abitato con noi, facendo da<br />

mangiare, curando la casa, badando insomma a tutto<br />

172


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

quel che fa una domestica. Aveva la sua stanza, dove<br />

si ritirava soltanto dopo che noi eravamo andati a<br />

dormire, ed è diventata una di famiglia, quasi come<br />

una sorella per me, che ho soltanto fratelli, con cui<br />

quindi non posso avere grande affiatamento. Con lei<br />

mi confidavo e mi fidavo ciecamente della sua onestà<br />

al punto che le davo i soldi per il mese: per le spese<br />

del cibo, per quel che mancava in casa.<br />

Quando è nato Adriano, Venuta ha perso la sua<br />

immagine di zitellona ed è diventata una seconda<br />

mamma. La tenerezza e l’attenzione affettuosa con<br />

cui accudiva mio figlio, lo lavava, lo vestiva, lo faceva<br />

giocare erano unici. Ha riversato su di lui tutto<br />

l’amore materno di cui era colma, che aspettava<br />

soltanto di potersi manifestare; quel bambino<br />

rappresentava la sua gioia e il suo orgoglio, non solo<br />

il nostro.<br />

Adriano sapeva farsi amare: affettuoso, tenero,<br />

coccolone, trotterellava dietro alla sua “Nuta”<br />

seguendola per tutta la casa, e lei, conquistata da<br />

quell’amore di bimbo, obbediva ad ogni suo<br />

capriccio.<br />

Confesso che a volte provavo persino un po’ di<br />

gelosia per quella complicità che si era creata tra di<br />

loro, ma non poteva essere che così: io ero via quasi<br />

tutto il giorno e mio figlio stava più tempo con<br />

Venuta che con me. E inoltre io, da mamma, non lo<br />

viziavo come lei. Da quando Adriano era piccino fino<br />

a quel maledetto giorno in cui l’abbiamo perso per<br />

sempre, lei ha continuato a sbucciargli la frutta e a<br />

173


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

fargli trovare i pezzi già tagliati nel piatto. Usava<br />

quello stratagemma per fargli mangiare “le vitamine”,<br />

come le chiamava lei.<br />

Quando è mancata, dopo una breve malattia, ho<br />

perso la sorella che non avevo avuto. Mi riempiva la<br />

casa, era una presenza importante. Dopo la morte di<br />

mio marito, avvenuta così repentina, ho passato un<br />

brutto periodo e, se non avessi avuto lei vicina, che<br />

mi confortava e mi consolava, alleviando la mia pena,<br />

non so come avrei fatto a sopportare anche quella<br />

sofferenza. Il dolore pianto insieme per Adriano, me<br />

l’ha resa ancora più sorella. Io ero la madre, lei lo<br />

aveva allevato e amato come una madre. Ora che tutti<br />

se ne sono andati e mi hanno lasciata completamente<br />

sola, trascino la mia esistenza nell’ attesa di poterli<br />

ritrovare.<br />

La mia vita mi sembra uno scherzo del destino: ho<br />

aiutato a nascere mille bambini ma io, il mio, non<br />

sono riuscita a godermelo, se non per qualche anno.<br />

E ogni volta che una nuova vita veniva al mondo tra<br />

le mie mani, ogni volta era un ripercorrere la mia<br />

straziante sofferenza.<br />

Ogni giorno Adriano è nei miei pensieri, e, a volte,<br />

come una stupida sognatrice, mi ritrovo a immaginare<br />

che avrei potuto far nascere suo figlio: quale migliore<br />

ostetrica potrebbe esserci per il proprio nipotino? Ma<br />

poi ripiombo alla terribile realtà, alla mia casa vuota,<br />

al mio Adriano senza vita, le braccia inerti penzolanti<br />

dalla carriola, il petto squarciato dalle pallottole, e<br />

174


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

allora anche io vorrei morire, perché il dolore di una<br />

madre che sopravvive al figlio è insopportabile.<br />

28 settembre 1944. La giornata è uggiosa, sta<br />

venendo giù una pioggerellina fine, quasi autunnale.<br />

Qui, di questa stagione, a fine settembre è raro che le<br />

giornate siano belle e soleggiate. Già c’è poco sole<br />

d’estate, figuriamoci in questo periodo: gli Appennini<br />

ci stanno troppo sul collo, e le nuvole, certi giorni,<br />

sono così basse che sembrano nebbia. Bisogna<br />

rassegnarsi che stiamo entrando nella stagione più<br />

lunga, quella che sembra non finisca mai, che alle sei<br />

di sera è già notte e alle sei di mattino è ancora notte.<br />

Odio l’autunno e l’inverno: io che vorrei sempre<br />

vedere intorno a me la luce, il sole; vorrei il caldo,<br />

quel bel caldo che te ne puoi stare fuori anche di<br />

sera , solo col vestito, le spalle scoperte, a godere del<br />

calore dell’estate, a chiacchierare coi vicini fino a<br />

tarda sera sulle panche, a commentare i fatti del<br />

giorno, a spettegolare come delle vecchie comari<br />

linguacciute. Ma sono nata qui, tra queste aspre<br />

montagne, in questo paese che amo ma che non è il<br />

massimo che Dio fece. E pensare che il mare è<br />

soltanto lì dietro, a qualche decina di chilometri, ma<br />

per noi, qui, sembra distante come la luna.<br />

Sto tornando, verso sera, dal mio solito giro. Sono<br />

appena stata a medicare il cordone ombelicale di un<br />

piccolo nato tre giorni fa che ha urlato come un<br />

ossesso mentre lo disinfettavo.<br />

Poco prima mi era capitato uno di quei casi che non<br />

si augurerebbero nemmeno al peggior nemico: uno<br />

175


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

dei parti più difficili che possano verificarsi. Il<br />

bambino si è presentato podalico e ho dovuto faticare<br />

parecchio perché potesse uscire senza problemi<br />

dall’utero materno. In queste circostanze, non si sa<br />

mai come andrà a finire: il piccolo potrebbe nascere<br />

asfittico con gravi problemi, se non si fa in tempo a<br />

liberarlo dal cordone ombelicale che, come un<br />

cappio, gli si attorciglia attorno al collo. Bisogna agire<br />

in fretta, ma con la massima attenzione: un piccolo<br />

errore potrebbe essere fatale.<br />

Fortunatamente, il mio neonato è venuto alla luce un<br />

po’ blu, cianotico come si dice in termine medico, ma<br />

l’asfissia era lievissima, per cui, appena tagliato il<br />

cordone, ha ripreso il suo colore naturale e ha emesso<br />

l’atteso pianto liberatorio. Una nuova vita è appena<br />

uscita dalle mie mani, grazie a me lui ora vive: mi<br />

sento euforica, felice.<br />

Con la mia pesante borsa mi sto avvicinando alla<br />

porta d’entrata di casa. Lì davanti, un gruppo di tre<br />

ragazzi poco più che ventenni, vestiti con dei calzoni<br />

e dei giubbotti un po’ consunti, stanno fumando e<br />

sembra che aspettino me. Me ne accorgo perché da<br />

quando ho iniziato la discesa dopo la curva che dalla<br />

piazza della chiesa porta verso casa mia, i tre hanno<br />

incominciato a guardarmi e a parlottare tra di loro. Mi<br />

chiedo cosa vorranno da me dei ragazzi così giovani:<br />

certamente non un’ostetrica: sono troppo giovani per<br />

essere padri e troppo vecchi per essere fratelli di<br />

madri a cui possa essere utile un mio aiuto. Più mi<br />

avvicino e più i loro visi si fanno meno sfocati: strano<br />

176


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

che non li conosca, perché i giovani di quell’età, se<br />

sono del paese, li ho fatti nascere io e li ho visti poi<br />

crescere sotto i miei occhi. Non devono essere di<br />

queste parti, è evidente.<br />

Arrivo vicino al portone e sto tirando fuori di tasca le<br />

chiavi di casa, quando uno di loro, con fare<br />

circospetto, mi viene vicino vicino e quasi mi sussurra<br />

all’orecchio: “Lei è la sciura Maria?” Dico di sì, che<br />

sono io. “Avremmo bisogno dell’aiuto di suo figlio”,<br />

continua sottovoce. “Abbiamo un compagno ferito<br />

gravemente e ci hanno detto che suo figlio, Adriano<br />

vero?, studia da medico e cura i partigiani che sono<br />

stati feriti. Ci hanno detto che è in gamba e che sta<br />

dalla nostra parte. Gli dica di seguirci, solo lui può<br />

salvare il nostro amico. Siamo nascosti in un capanno<br />

nei boschi. Non possiamo portarlo allo scoperto,<br />

sarebbe troppo rischioso, qui girano un sacco di quei<br />

bastardi di fascisti”.<br />

Mi prende il panico. Non so perché, ma io che non<br />

ho mai paura di nulla e sono abituata, col mio lavoro,<br />

a dovere prendere decisioni immediate, in questo<br />

caso non so cosa fare e nemmeno cosa dire. Prendo<br />

tempo: “Credo che mio figlio non sia in casa.<br />

Quando arriverà, gli dirò di voi. Vedrà lui cosa fare”.<br />

“Signora, la prego, si metta una mano sulla coscienza!<br />

Non si può lasciare morire così un giovane! glielo<br />

dica che il nostro compagno ha una grossa ferita alla<br />

gamba, che perde molto sangue. Bisogna fare in<br />

fretta, altrimenti non se la caverà. Che prenda tutto<br />

177


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

l’occorrente, lui sa cosa serve, ma che venga subito,<br />

per l’amor di Dio!”.<br />

Oh Signore, ma cosa dico a questi? Chi li ha mai<br />

visti? Certo non posso conoscere tutti i partigiani<br />

della zona, qui i boschi ne sono pieni…però anche<br />

lasciar morire un giovane dissanguato…Adriano<br />

saprebbe come curarlo, fa solo il terzo anno di<br />

medicina, ma è un ragazzo in gamba, e poi si è fatto<br />

esperienza sul campo: è vero che ogni tanto va nei<br />

boschi a medicare i partigiani feriti.<br />

“Aspettate, vado a vedere se è a casa”. Corro su per<br />

le scale e spalanco la porta, come se qualcuno mi<br />

stesse rincorrendo.<br />

“Ehi, ma cosa succede? Ti sei ammattita?” mi fa<br />

Zunin, che vedendomi entrare stranamente affannata,<br />

si gira di scatto verso di me con aria sorpresa. E’ già<br />

sulla sua poltrona preferita vicino alla finestra. Sta<br />

imbrunendo e si è acceso l’abatjour: mi piace sempre<br />

guardarlo leggere assorto, gli occhiali calati sul naso,<br />

il profilo in controluce. Non è un bell’uomo, e ora,<br />

che sta invecchiando, ha messo su qualche chilo che<br />

lo rende un po’ goffo, ma è il mio Zunin, il mio buon<br />

marito, un buon padre per nostro figlio, un uomo che<br />

sotto la dura scorza del burbero comunista racchiude<br />

un animo generosissimo e io gli voglio bene come il<br />

primo giorno in cui ci siamo incontrati. Anzi, di più,<br />

perché l’amore e la passione dei primi anni si sono<br />

trasformati in affetto, amicizia, intimità, complicità.<br />

Sono contenta che sia il compagno della mia vita.<br />

178


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

“Non mi sono ammattita, ho solo fretta. Adriano è in<br />

casa?”<br />

“Sì, è di là in camera che studia. Perché?”<br />

“Ci sono tre ragazzi, giù, che avrebbero bisogno del<br />

suo aiuto. Sono partigiani, un loro compagno è ferito<br />

gravemente e vorrebbero che lui andasse con loro a<br />

curarlo”<br />

“Li conosci?”<br />

“No, non li ho mai visti, non credo siano delle nostre<br />

parti. Ma che c’entra, mica dobbiamo aiutare solo<br />

quelli che conosciamo”<br />

“Non volevo dire quello, Maria, ma dobbiamo stare<br />

in guardia. Di questi tempi non ci si può mai fidare di<br />

nessuno. Dico solo che sarebbe meglio conoscere<br />

quelli con cui si ha a che fare”. Intanto, mentre mi<br />

parla, sta guardando dalla finestra verso il basso, per<br />

cercare di capire chi siano i tre di cui gli ho parlato, e<br />

si avvicina talmente che il suo respiro crea una<br />

piccola zona appannata lì, dove il suo naso si<br />

appoggia al vetro.<br />

“Non essere così diffidente! Mi sono sembrati dei<br />

bravi ragazzi, solo spaventati e preoccupati per il loro<br />

amico. Vado a chiamare Adriano, magari lui li<br />

conosce”.<br />

La sua stanza è accesa: sono sicura che sta studiando.<br />

Deve dare un esame tra poco e, come d’abitudine,<br />

non si presenterà all’appello se non quando saprà<br />

tutto benissimo. E’ da quando fa le elementari che<br />

vuole essere sempre a posto con compiti e lezioni. E<br />

guai ad aiutarlo, ha sempre voluto fare tutto da solo.<br />

179


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Non fa che darci soddisfazioni questo ragazzo, il suo<br />

libretto rosso di Medicina è pieno di voti altissimi,<br />

con molti 30. E’ intelligente, serio, studioso, ma è<br />

anche pieno di amici, con cui si diverte, discute di<br />

politica, fa baldoria nei giorni di festa; è sensibile, di<br />

quella sensibilità che non ti aspetteresti da un ragazzo<br />

così giovane, che gli permette di capire i suoi simili e<br />

di entrare subito in sintonia con loro. E poi è proprio<br />

bello: non starebbe a me dirlo, ma è vero e ha un<br />

sacco di ragazze che gli ronzano intorno, che<br />

vogliono uscire con lui. Insomma, non perché è mio,<br />

ma è il figlio che tutte le madri si augurerebbero di<br />

avere.<br />

Lo chiamo e lui mi invita ad entrare. Gli spiego dei<br />

tre giovani sotto, delle perplessità d suo padre. Come<br />

immaginavo, non si lascia impensierire dai timori di<br />

mio marito e scende le scale per raggiungerli e sentire<br />

di cosa abbiano bisogno, per capire cosa portare con<br />

sé.<br />

Li guardiamo dalla finestra avviarsi per la stradina che<br />

porta verso il bosco, dove si sa che si nascondono i<br />

partigiani. Mi prende sempre una stretta al cuore ogni<br />

volta che mio figlio va a curare qualche ferito, perché<br />

il pericolo che possano trovarlo i fascisti è ogni volta<br />

possibile.<br />

Questa maledetta lotta civile, questo ammazzarsi tra<br />

giovani di una stessa patria è quanto di più terribile<br />

possa essere successo in Italia dall’inizio della guerra.<br />

Anche la guerra, certo, è la disgrazia che ci ha portato<br />

via tanti e tanti giovani, ma gli scontri fratricidi che si<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

stanno combattendo ora, italiani contro italiani,<br />

addirittura paesani contro paesani è assurda. Io non<br />

sto né con i fascisti né con i partigiani; capisco che,<br />

come dice Zunin, questi ultimi si battono per la<br />

liberazione, ma quello che più importa sono le vite<br />

che si perdono, i ragazzi che muoiono, le madri che<br />

piangono, il dolore che questa assurda lotta civile<br />

lascia dietro di sè come una lunga scia di sangue.<br />

Andiamo a dormire sperando che Adriano torni<br />

presto e che il ferito non sia tanto grave, ma io non<br />

riesco a prendere sonno. Ad ogni rumore sobbalzo,<br />

mi sembra sia lui che apre sotto la porta, ma poi non<br />

arriva nessuno. Di notte i problemi ingigantiscono, il<br />

buio esaspera ogni cosa e la mente torna sempre agli<br />

stessi pensieri, ricamandoci sopra con un unico<br />

colore: il nero. Mi giro e mi rigiro nel letto, finché,<br />

quando è quasi chiaro, mi alzo e vado in cucina a<br />

farmi un caffè, tanto ormai la notte è persa.<br />

Non capisco perché mio figlio non sia ancora<br />

tornato, ho dei brutti presentimenti, anzi ho proprio<br />

paura e mi accorgo che non è il freddo del mattino a<br />

farmi tremare. Possibile che il partigiano ferito sia<br />

così grave da obbligare Adriano a stare via tutta la<br />

notte? L’ansia non mi abbandona e mi sento stringere<br />

lo stomaco come in una morsa.<br />

Poco dopo entra mio marito: sono le sette e deve<br />

prepararsi per andare a lavorare.<br />

Mi chiede di Adriano, a che ora è arrivato. “Non è<br />

ancora tornato. Non ho dormito tutta la notte per<br />

aspettarlo, non so perché sia ancora via. Zunin, ho<br />

181


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

paura che sia successo qualcosa” e mentre lo dico, mi<br />

trovo a pensare che non “deve” essere successo nulla,<br />

perché ne morirei.<br />

Mio marito si avvicina, mi abbraccia e mi consola.<br />

Non è la prima volta che nostro figlio deve stare via<br />

tutta la notte per curare qualcuno. “Forse il ragazzo è<br />

proprio grave e tu sai come è Adriano, lui non viene a<br />

casa finché non vede che il ferito sta un po’ meglio.<br />

Dai, smettila di pensare sempre male, vedrai che tra<br />

poco arriva”. Poi mi saluta con un bacio e se ne va al<br />

lavoro.<br />

Non riesco a calmarmi. E’ via da troppe ore, deve<br />

essere successo qualcosa, qualche intoppo per cui<br />

non può tornare. Forse ha dovuto nascondersi,<br />

avranno sentito arrivare i fascisti e saranno rimasti<br />

chiusi nel capanno per non farsi scoprire. Sì, forse è<br />

così. Sicuramente non può muoversi perché c’è<br />

qualche fascista nei dintorni. Che stupida, ma certo,<br />

non può essere altrimenti. Ha ragione Zunin che<br />

penso sempre al peggio, ma quando si tratta di mio<br />

figlio non sono mai obiettiva, e mi lascio prendere<br />

dall’angoscia.<br />

Rasserenata da questi pensieri, anch’ io mi preparo<br />

per il mio solito giro di visite.<br />

Torno a casa all’ora di pranzo e Venuta, molto<br />

agitata, mi dice che Adriano non c è ancora.<br />

Mio Dio, aiutami! Ti prego, aiutami! Fallo tornare<br />

entro un’ora, ti prego, altrimenti non riesco più a<br />

vivere.<br />

182


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Arriva mio marito. “Adriano non c’è ancora!” gli<br />

grido disperata “Dobbiamo andare a cercarlo! Non è<br />

possibile che stia via tanto così per un ferito. Hai<br />

capito? Se non arriva entro un’ora andiamo, non<br />

possiamo più aspettare! Hai capito? Hai capito?”. Mi<br />

torco le mani, sono tutta un tremito e mi metto a<br />

piangere.<br />

“Maria, calmati, vedrai che adesso arriva, altrimenti sì,<br />

lo andiamo a cercare. Ma adesso calmati, su, stai<br />

tranquilla”.<br />

Passa un quarto d’ora e sentiamo suonare: ci<br />

precipitiamo ad affacciarci. E’ un amico di mio<br />

marito, uno che va sempre a caccia insieme a lui. Gli<br />

dice di scendere. Facciamo le scale volando, io non<br />

capisco più nulla, tremo soltanto e non riesco a<br />

fermare le lacrime che ormai scendono da sole.<br />

Luigi ci spiega che stamattina, mentre andava a<br />

caccia, è passato vicino a un capanno e ha visto<br />

nostro figlio. Dice che è ferito, che bisogna andare<br />

con qualcosa a prenderlo, perché non può reggersi in<br />

piedi. Magari una carriola, ecco, potrebbe andare<br />

bene una carriola. Noi non ce l’abbiamo, ma<br />

conosciamo un muratore che può prestarcela.<br />

“Vengo anche io” grido spaventata “aspettatemi, se è<br />

ferito lo posso medicare subito lì”.<br />

“No, sciura Maria, stia qua ad aspettarci. Andiamo<br />

noi, non c’è bisogno che venga anche lei”.<br />

“Vero, Maria, aspettaci qua, lo medichi poi a casa con<br />

calma”.<br />

Mi lascio convincere e li attendo fuori dalla porta.<br />

183


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Grazie Signore! E’ solo ferito, non è successo nulla di<br />

quel che temevo! Grazie, grazie! E, piangendo,<br />

abbraccio Venuta.<br />

Dopo un tempo che non so, vedo arrivare da lontano<br />

Luigi e mio marito. Sta spingendo lentamente la<br />

carriola, le spalle chine, la testa bassa. Sono ancora<br />

troppo lontani per vedere come sta mio figlio, vedo<br />

solo penzolare le braccia e le gambe: è così alto, come<br />

fa a stare dentro una carriola? Più si avvicinano e più<br />

il mio tremito ricomincia. Vedo Zunin, piange, sta<br />

singhiozzando. E poi vedo quello che una madre non<br />

dovrebbe vedere mai, mai, mai nella sua vita. Adriano<br />

ha il torace squarciato da colpi di pistola, è tutto un<br />

sangue, immobile, le braccia e le gambe inerti<br />

seguono il lento muoversi della carriola, la testa<br />

reclinata da una parte, nella fissità della morte.<br />

Mi precipito sul corpo. Quel corpo martoriato,<br />

trafitto, colpito, lacerato, ucciso. Ucciso. In<br />

un’imboscata: quei ragazzi erano fascisti, non<br />

partigiani. E me lo hanno ucciso. E mi hanno ucciso.<br />

Adriano, io muoio con te, tesoro mio, muoio con te.<br />

E mentre gli pulisco la faccia coperta di sangue e gli<br />

cullo la testa tra le mani, tutto intorno a me si fa buio.<br />

indice<br />

184


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

6. La classifica del concorso<br />

Sezione Poesia inedita a tema libero<br />

1) Gennaro De Falco Blackout metafisico<br />

2) Rita Stanzione Insostenibile<br />

risucchio esistenziale<br />

3) Emanuele Insinna Il tempo dei<br />

[rimbombi]<br />

4) Chris Mao L'altalena<br />

5) Silvia Napoleoni Un giorno<br />

qualunque<br />

6) Roberto Ragazzi Nelle cose<br />

7) Franco Romano Falzari Ferragosto<br />

8) Givanni Battista Basile A te che sei giovane<br />

9) Gabriella Maddalena Cono d'ombra<br />

10) Cristina Mantisi Nella gabbia<br />

Sezione Racconto inedito a tema libero<br />

1) Mario Trapletti Il destino non buca<br />

[il biglietto]<br />

2) Jessica Puliero Maturità<br />

3) Gianni Martinetti Il disertore<br />

4) Gabriele Fumagalli Il Caduto<br />

5) Mario Fulvio Giordanino Anime Elette<br />

6) Maria Carla Bracaccini La Collanina<br />

7) Cinzia Balestra L'isola tartaruga<br />

8) Alessandro Cuppini Sull’accelerato<br />

9) Giulia Pirrini Gelido soffio di<br />

[vento]<br />

10) Pierangelo Colombo La pensione<br />

185


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Sezione Donna<br />

1) Bruno Bianco La prima<br />

parte<br />

2) Vanes Ferlini Ogni sera,<br />

tranne il<br />

[giovedì]<br />

3) Vadis Cappa La Vacuità<br />

4) Chiara Loria Parole (da<br />

donna a<br />

[donna)]<br />

5) Tiziana D’Oppido Le sorelle Q<br />

6) Marco Romagnoli Elegia<br />

7) Sabrina Balbinetti Stasera<br />

8) Francesca Levo Calvi Giovanna,<br />

una<br />

[ragazza allegra]<br />

9) Stefania Pellegrini E' donna<br />

10) Daniela Mascotto Cronaca di un<br />

[interno molto particolare]<br />

186


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

Sezione (R)esistere<br />

1) Dario Maria Desantis I nostri pezzi che<br />

[un giorno furono interi poeti]<br />

2) Claudio Prili Diario di un soldato<br />

3) Maria Teresa Montanaro Il rifiuto<br />

[(…La dentro la curva…)]<br />

4) Rivolta Paola Genesi 2,23<br />

5) Susanna Giannotti Io schiava<br />

6) Domenico Garaffa Massacro a<br />

[Wounded Knee - Ginocchio Ferito]<br />

7) Emanuela Bertello Ad un reduce<br />

8) Brunello Buonocore Il Comandante<br />

9) Mario De Fanis Una musica venuta<br />

[da lontano]<br />

10) Maria Denise Spinelli Il rumore del<br />

[silenzio]<br />

Finito di stampare Giugno 2011<br />

187<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />

188

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