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David Donnini COME NACQUE LA BIBBIA - Giano Bifronte

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coesione, per quanto traballante essa sia stata. Ed è per questo che gli ebrei, ad un<br />

certo punto della loro storia, fra le tante altre cose geniali che hanno fatto, hanno deciso<br />

di darsi come punto di riferimento delle scritture.<br />

Naturalmente una buona parte dei contenuti che tali scritture avrebbero dovuto<br />

esprimere era già preesistente alla loro stesura in forma grafica e, come è normale nei<br />

popoli antichi, la loro conservazione e trasmissione era stata affidata ad una tradizione<br />

orale di cui i saggi erano i depositari. Ma una scrittura da leggere in pubblico, le cui frasi<br />

fossero da imparare a memoria e da ripetere innumerevoli volte, intorno alla quale la<br />

gente si sarebbe potuta incontrare, avrebbe offerto al popolo qualcosa di assai più<br />

concreto e tangibile che non la sapienza custodita da una ristretta elite di iniziati.<br />

Quand'è che questa necessità si presentò con una urgenza irrinunciabile? La risposta è<br />

senz'altro all'epoca della formazione del regno, quando <strong>David</strong> tolse alla tribù di<br />

Beniamino l'egemonia per darla alla tribù di Giuda e scelse, o impose, Gerusalemme<br />

come capitale. E' questo il momento in cui gli scribi si sono rimboccati le maniche e<br />

hanno redatto i primi libri. Come minimo è questo il momento in cui diventano bianco su<br />

nero le storie di Abramo e di Isacco e, forse, molte altre cose.<br />

Ovviamente gli scribi del "regno di dio" appena nato, sono spinti da una serie di<br />

esigenze molto precise. La coesione fra le genti del regno è precaria, la scrittura deve<br />

eliminare questo vizio congenito di Israele, essa non solo deve raccontar loro che essi<br />

sono figli dello stesso dio, ma figli di uno stesso padre umano, e Abramo, figura di cui<br />

non sapremo mai se è prodotta dalla fantasia o dalla storia, vince questo ruolo. A lui dio<br />

chiede delle prove molto dure, infine lo sceglie per dare origine al popolo a cui sarà<br />

affidata la missione.<br />

Nel redigere queste scritture gli scribi compiono una sintesi colossale e fanno man<br />

bassa di tutto il materiale che possono raccogliere per rendere la loro opera nobile,<br />

grandiosa, venerabile, prestigiosa, autorevole. Oggi la Bibbia ci si presenta come<br />

parola di dio perché i suoi redattori furono spinti dalla necessità ideologica di farla<br />

apparire tale al giovane popolo di Israele.<br />

Una parte abbondante della mitologia del vicino oriente confluisce in questa sintesi, non<br />

solo quella accadica, ovverosia quella dei popoli che condividevano con Israele la radice<br />

semitica, ma anche quella sumera, una etnia completamente diversa, con cui gli accadi<br />

avevano avuto a che fare a lungo. E così il quadro della genesi si apre con una scena<br />

assolutamente sumera, ovverosia con il racconto della trasgressione primordiale<br />

compiuta da Adamo e Eva nel giardino dell'Eden. E poi continua con il racconto del<br />

diluvio, che è letteralmente sottratto all'epopea sumera di Gilgamesh, poi ripresa dai<br />

babilonesi, in cui Noè si chiamava Ziusudra, Uta-napishtim, Atrahasis. Ed anche il<br />

racconto della torre di Babele ha come punto di riferimento gli ziggurat mesopotamici,<br />

mentre la confusione delle lingue sta senz'altro a rappresentare il disagio dovuto<br />

all'imbastardimento della società sumerica in seguito alla consistente infiltrazione<br />

accadica.<br />

Un presupposto di grande importanza è la creazione fittizia di una continuità, o meglio, di<br />

una linearità. Una delle principali mistificazioni prodotte da questa esigenza è, per<br />

esempio, il fatto che gli ebrei avessero questa radice etnica unitaria e fossero un popolo<br />

prima ancora delle vicende dell'esodo. Sarebbero stati un popolo già in Egitto, un popolo<br />

schiavo e prigioniero da raffigurare con una buona dose di vittimismo ma, a parte il fatto<br />

che gli immigrati e gli emarginati della società egiziana non avranno certamente avuto<br />

vita facile né molto privilegi da condividere, si tratta di una rappresentazione del tutto<br />

falsata. Infatti non si trattava di un popolo omogeneo; né il loro stato poteva definirsi<br />

schiavitù secondo quella accezione del termine a cui siamo stati abituati dall'immagine<br />

latina, ovverosia dello schiavo inteso come oggetto subumano, che è proprietà privata<br />

del suo padrone, su cui quest'ultimo ha pieno diritto di vita e di morte. Abbiamo una<br />

subordinazione del tutto diversa, che non rispecchia questo cliché romano.<br />

Al fine di ottenere l'effetto della continuità storica, le scritture abbondano di lunghi elenchi<br />

di patriarchi i quali, posti in fila in lunghe paginate, offrono una efficace suggestione<br />

didattica. E molti imparano a memoria, e ripetono all'infinito questi elenchi, finché essi<br />

realizzano un condizionamento psicologico che infonde nell'immaginario collettivo l'idea<br />

di appartenere ad un popolo che ha radici antiche, che ha una messaggio da

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