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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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– Mario non gridare, sveglierai i bambini, – sospirava<br />

mamma nella notte. – Questi sono i risultati di queste<br />

tue assenze.<br />

– Non sono io che ne ho fatto una mamma, di mia figlia<br />

grande.<br />

– Perché dici questo, Mario? Li sto tirando su io i gemelli,<br />

mentre tu vai per mare, e <strong>Alba</strong> in questo aiuta, si<br />

è fatta grande e seria.<br />

– Ah per questo sì, sembra un ufficiale di coperta!<br />

– <strong>Alba</strong> sta imparando le cose importanti della vita, e<br />

studia con profitto.<br />

– Ogni volta che torno, <strong>Alba</strong> ha gli occhi più tristi, e<br />

Carlo più gaglioffi, occhi cattivi, sardegnoli.<br />

– Livornesi, occhi spocchiosi!<br />

Gli occhi, Carlo li ha come mamma, grandi, comunicativi.<br />

Occhi che non hanno bisogno di essere invitati<br />

da altri sguardi per permettersi di avere un’espressione,<br />

più degli occhi di babbo per me sempre persi nell’incanto<br />

di mari lontani, di quelli navigati in gioventù.<br />

E anche le sopracciglia di Carlo capita a volte che si appiattiscano<br />

un poco e si riavvicinino su due occhi di<br />

bragia: – Cattiva, cattivona!<br />

Ben altre contumelie adesso Carlo mi rigetta addosso,<br />

mai sentite da babbo, le peggiori, tutte quelle che gli<br />

uomini hanno avuto il tempo di confezionare per le loro<br />

donne, e per tutte le donne. – Dove sei stato Carlo? –<br />

gli chiedo. Lui mi manda al diavolo, io non protesto,<br />

Carlo si scalda ai suoi stessi paroloni, ci s’infuria, sem-<br />

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bra un invasato, un energumeno che sputa in faccia, dice<br />

che sono un ragno appeso al suo sputo: una ragna,<br />

una lagna, una bagna, una cagna! Gli porgo un po’<br />

d’acqua: – Bevi Carlo, calmati, ritorna in te. – I miei gesti<br />

pacati riescono a calmarlo. Per un guaio così non gli<br />

propongo che acqua fresca. Gli trema il mento come<br />

da bambino.<br />

Carlo fino a poco tempo portava i baffi, che lo facevano<br />

più babbo, però strano, tronfio, sfatto. Anche se<br />

Carlo non è calvo i suoi baffi neri erano quelli di babbo<br />

in contrasto col rosa del cranio. Era un perenne torcere<br />

quei loro baffi, o tacendo o parlando, oppure un lisciarli<br />

soprappensiero, ma in Carlo ormai con una specie<br />

di arroganza, di pedanteria, di recitato male. E anche<br />

Carlo sta già cominciando a diventare calvo, solo<br />

un inizio, ma è come la calvizie di babbo: – Un calvo<br />

spettinato, – gli diceva mamma. – Il solo calvo al mondo<br />

che riesce a essere spettinato.<br />

L’ho convinto a tagliarsi i baffi, con un’offerta che<br />

Carlo non poteva rifiutare: un tanto a baffo: – Mi fa un<br />

baffo a me la roba, anzi due. – Ho imparato a mercanteggiare<br />

in questi modi. E non mi piaccio. Non più <strong>dei</strong><br />

suoi traffici là fuori.<br />

Adesso è addormentato sul divano, il mento sul petto.<br />

Sembra tutto a posto. Spengo la luce. Lo copro con<br />

un plaid. Da fuori una luna enorme gli rischiara il viso.<br />

Se abbasso la serranda lui si sveglia.<br />

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