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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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to, lì sul sedile posteriore a pochi millimetri da me, che<br />

sento ogni sussurro, i loro movimenti silenziosi, troppo<br />

silenziosi.<br />

Se si resiste a tutto questo, come si resiste? Si resiste<br />

fuggendo, scema! Ma com’è possibile, senza farmi viva,<br />

e quindi svergognarli, spaventarli, minacciarli…<br />

Ma con che diritto? E io non mi sento più le gambe,<br />

morte, in formicolio. E un torcicollo che non è da meno.<br />

Per non dire le braccia. Tutto il corpo. Vorrei piangere,<br />

ma dove sono le lacrime, se non le merito? E allora<br />

vorrei essere uno di quelli che trovano piacere a queste<br />

cose, ad assistere… Ma non di mio fratello, santodio!<br />

Non c’è verso, solo dolore e ribellione, che so di<br />

non potere sopportare molto a lungo. Mi rendo conto<br />

di stare schiacciando a uno a uno con le mani tutti i kiwi,<br />

mentre mi torna quando da bambina ho sentito in<br />

amore mamma e babbo. Mi aggrappo a quando in Africa<br />

l’intera mandria di gazzelle si fanno tutte intorno a<br />

due capi che si accoppiano, come a proteggerli, sorreggerli,<br />

in solidarietà riproduttiva. Cerco di riprovare la<br />

mia commozione a quel raccogliersi di tutti intorno ai<br />

due animali stretti nell’amore… Perché dovrei essere<br />

contenta che è così, che non è cosa per la roba. E già mi<br />

riesce… finché i due non finiscono, e quello che succede<br />

è un genere di transazione nel momento finale del<br />

compenso: sento tutto, anche il fruscio <strong>dei</strong> soldi, che<br />

dalle mani di lei a quelle di Carlo che ringrazia, Carlo<br />

con una nuova abilità di padronanza su di sé, che anche<br />

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qui adesso mi ricorda mamma quando sotterrava i suoi<br />

rancori, specialmente con babbo, come il cane con gli<br />

ossi, per ritirarli fuori mesi dopo, quando non ricordava<br />

più neanche la causa del rancore… Mi sento morire,<br />

ma prima ho il tempo ironico d’immaginare quando<br />

Carlo poi a casa riaprirà il bagagliaio questa sera, per i<br />

suoi kiwi da mangiare con il cucchiaino, come uova à la<br />

coque, e non dovrà spiegarla a se stesso soltanto la mia<br />

morte in bagagliaio.<br />

Nel viaggio di ritorno, solo nausea. Riesco a salire a<br />

casa prima anche di Carlo.<br />

Di questo e altro, di tutti i guai di Carlo, solo lui pare<br />

avere il diritto di parlare. Lui non ne parla mai. Di questa<br />

cosa di oggi neanche io. Mi ronza dentro l’arsenale<br />

delle vecchie frasi fatte, quelle che babbo aveva sempre<br />

pronte, in casa e fuori casa, senza preoccuparsi di ripetersi,<br />

con pause lunghe, che lui voleva piene di significato:<br />

– Perle di saggezza, – diceva mamma, – in quantità<br />

e qualità industriale. – Le tirava fuori a costo delle<br />

ironie di mamma, che le considerava uno <strong>dei</strong> modi di<br />

suo marito per sfuggire alla realtà, alla vita concreta coi<br />

suoi guai, che babbo lasciava sempre a lei, gratificandola<br />

di qualche lode, magari proverbiando in livornese<br />

sul sesto senso delle donne, sul loro senso pratico. Per<br />

questa cosa qui non c’è frase di babbo, di quelle che<br />

Carlo mi ripete stralunate.<br />

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