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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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grande. Infine il mare. Fermi a motore spento, il rumore<br />

e l’odore del mare. Lo sento oltre lo scroscio del sangue<br />

nelle orecchie e il cuore in gola. Scomoda, di corpo<br />

e di spirito, persa di stranezza, ammaccata. Poco da<br />

vantarsi. E i due che adesso escono. Forse per fare<br />

quattro passi, e invece, due portiere sbattute: due. Parlano…<br />

e lei è una donna! Meno male, non è spaccio, è<br />

una sua ragazza. O no? Lei parla in tono timido ma autoritario,<br />

come se desse disposizioni. Ma Carlo, miodio<br />

Carlo parla con accento toscano, come da bambino,<br />

per imitare babbo. Era soltanto un poco comico, all’inizio,<br />

quel suo scimmiottamento dell’accento livornese.<br />

Babbo non l’ha mai perso l’accento toscano che<br />

ascoltavo da bambina acquattata sotto il tavolo, mentre<br />

babbo al telefono parlava coi parenti di Livorno in livornese<br />

stretto: strana meraviglia, paurosa ma curiosa,<br />

di babbo che mi diventava un altro, cambiava ma restava<br />

sempre babbo. E adesso qui la voce, le voci di Carlo!<br />

La voce che varia dal brontolio profondo di babbo, –<br />

Oh senti, senti, – su fino allo strillo spaventato di mamma,<br />

– Gesucristo mio. – Meglio che stia zitto, mentre<br />

non lo vedo. Mi tappo le orecchie, mi stringo nei gomiti.<br />

Resisti, passerà!<br />

È una sua ragazza, non è spaccio… Ma se è una sua<br />

ragazza, io che faccio qui? Che cosa dicono? Carlo a<br />

monosillabi. E nel <strong>bui</strong>o scomodo del bagagliaio mi rivedo<br />

babbo già in pensione, non ancora vecchio, con<br />

alle spalle una serie di promozioni e incarichi mancati,<br />

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di rancori gerarchici, che però appena dopo una settimana<br />

a non far nulla se ne scende al porto e resta lì fermo<br />

fino al <strong>bui</strong>o a seguire con le lacrime agli occhi tutto<br />

il movimento delle navi di ogni stazza, respirando avidamente<br />

il rumore <strong>dei</strong> motori marini; e così poi tutte le<br />

sere, e poi tutti i <strong>giorni</strong> la sera e la mattina, al porto, a Su<br />

Siccu, alla Darsena, al Molo di Ponente e al molo lontano<br />

e lungo di Sarroch con quell’andirivieni di navi cisterna<br />

petroliere; e poi a casa la sera stanco come se<br />

avesse navigato a turno doppio con il mare grosso. Tornava<br />

a casa come se tornasse nella sua cuccetta. Si sedeva<br />

a tavola, raccontava che il pilota aveva fatto sbandare<br />

un po’ troppo la nave da Palermo, dopo mangiato<br />

guardava il tempo fuori dalla finestra e se ne andava a<br />

dormire. Lui si è trovato senso e regola, è perfino ingrassato,<br />

poco, specialmente quando “si è messo a fare<br />

il porto-canale”, come si diceva in casa, che non finiva<br />

mai, questo nostro avveniristico porto canale, e babbo<br />

ci è andato per anni ogni giorno, come se andasse “a<br />

controllare i lavori”. Non è riuscito a terminarli, prima<br />

di morire, anche se prima di lui è morto un australiano<br />

amico suo, pensionato. Anche lui, che guardava sempre<br />

dall’alto in basso qui il Mediterraneo: – Un bidet,<br />

non un mare, – diceva, ma con acqua abbastanza perché<br />

lui ci morisse annegato con il suo windsurf, al largo<br />

del Poetto… Mi devo concentrare sulla donna. Forse<br />

la conosco. Non mi pare. Parla sempre in quel modo timido<br />

che però dà disposizioni. E così fanno, fanno tut-<br />

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