Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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12.06.2013 Views

scrutare il mio povero corpo adolescente, più di me incerta e bisognosa di conferme. Mai sguardo d’uomo e tanto meno di fratello ha preso in sé senza saperlo la qualità di questo sguardo materno femminile, sospettoso, nostalgico, terribile, che da ogni esplorazione del mio aspetto riportava sempre qualche pessima notizia, anche dopo ogni più attenta costruzione del trucco e del vestito. Occhi grandi marrone che mi hanno guardato cupi e scontenti, come se in me non vedessero nient’altro che disordine, come nel resto del mondo. – Cosa c’è? – gli ho chiesto. E lui, non so cos’ha risposto, passando dalla cupezza brontolona di babbo alla parlantina nervosa di mamma. – Esci? – gli ho chiesto ancora, e me lo sento e guardo mentre è babbo che sfoga il suo entusiasmo per un gol di Maradona (mai preso coca il grande Maradona, protestava babbo, l’hanno voluto rovinare!), poi si ricompone in mamma gran devota a Padre Pio. Al Carlo di adesso non importa il calcio né la religione, al Carlo che mi sto guardando alla finestra mentre tira fuori la Kangoo, dopo un mare di tempo a sistemare le cose per telefono, e mi ha fatto nascere il sospetto, e tutto si è confuso, complicato, attorcigliato, incattivito e nauseato e adesso eccomi qui, che roba che sono diventata, uno straccio, uno straccio bagnato, di benzina, da prendere fuoco come niente. Per bruciare mi brucia questa cosa, penso guardando alla finestra del soggiorno la manovra di Carlo che si è incaponito a vo- 80 lere la Kangoo, per chissà cosa, però io sospetto, non posso non cercare di sapere. Sapere, sapere. L’ho seguito tre volte io sull’altra macchina, lui sulla Kangoo mi ha seminato, o mi sono persa. Carlo ha ricominciato, questo temo, dopo sette mesi, cinque di comunità. Non è possibile. Bisogna uscirne, fare qualcosa. E mi viene l’idea, mentre alla finestra vedo la Kangoo con la porta posteriore sollevata e il grande vano alto del bagagliaio: – Tu ci stai tutta in piedi, – mi ha detto Carlo quando mi ha convinto a comprarla, quella nuova macchina francese senza grazia. E adesso questa idea. Non mi riesce di buttarla via così, mi resta dentro incerta e poco chiara: oggi verrò a sapere. Carlo sbatte la porta posteriore della Kangoo e torna su. Lo sento muoversi nel bagno. La giornata è buona, tiepida, l’ora è quella giusta, tardo pomeriggio. Basta, non resisto, vado. Prendo e metto in borsa l’altra chiave della Kangoo appesa all’attaccapanni dell’ingresso: – Io vado, ciao, a stasera, – dico gridando in su davanti alla scala. Carlo non risponde. O forse sì. Non credo neanche io che sto facendo ciò che sto facendo. Non è poi così grande il bagagliaio di una Kangoo. Una ci sta stretta, chiusa dentro. Tra l’altro c’è pure la borsa della spesa che ho dimenticato di portare su. Ci frugo dentro con le mani e sento la peluria ruvida dei kiwi, che impongo a Carlo ogni sera, con il cucchiaino, dopo averli divisi a metà, come l’uovo à la coque nel 81

scrutare il mio povero corpo adolescente, più di me incerta<br />

e bisognosa di conferme. Mai sguardo d’uomo e<br />

tanto meno di fratello ha preso in sé senza saperlo la<br />

qualità di questo sguardo materno femminile, sospettoso,<br />

nostalgico, terribile, che da ogni esplorazione del<br />

mio aspetto riportava sempre qualche pessima notizia,<br />

anche dopo ogni più attenta costruzione del trucco e<br />

del vestito. Occhi grandi marrone che mi hanno guardato<br />

cupi e scontenti, come se in me non vedessero<br />

nient’altro che disordine, come nel resto del mondo.<br />

– Cosa c’è? – gli ho chiesto. E lui, non so cos’ha risposto,<br />

passando dalla cupezza brontolona di babbo<br />

alla parlantina nervosa di mamma.<br />

– Esci? – gli ho chiesto ancora, e me lo sento e guardo<br />

mentre è babbo che sfoga il suo entusiasmo per un<br />

gol di Maradona (mai preso coca il grande Maradona,<br />

protestava babbo, l’hanno voluto rovinare!), poi si ricompone<br />

in mamma gran devota a Padre Pio.<br />

Al Carlo di adesso non importa il calcio né la religione,<br />

al Carlo che mi sto guardando alla finestra mentre<br />

tira fuori la Kangoo, dopo un mare di tempo a sistemare<br />

le cose per telefono, e mi ha fatto nascere il sospetto,<br />

e tutto si è confuso, complicato, attorcigliato, incattivito<br />

e nauseato e adesso eccomi qui, che roba che sono<br />

diventata, uno straccio, uno straccio bagnato, di benzina,<br />

da prendere fuoco come niente. Per bruciare mi<br />

brucia questa cosa, penso guardando alla finestra del<br />

soggiorno la manovra di Carlo che si è incaponito a vo-<br />

80<br />

lere la Kangoo, per chissà cosa, però io sospetto, non<br />

posso non cercare di sapere. Sapere, sapere. L’ho seguito<br />

tre volte io sull’altra macchina, lui sulla Kangoo<br />

mi ha seminato, o mi sono persa. Carlo ha ricominciato,<br />

questo temo, dopo sette mesi, cinque di comunità.<br />

Non è possibile. Bisogna uscirne, fare qualcosa.<br />

E mi viene l’idea, mentre alla finestra vedo la Kangoo<br />

con la porta posteriore sollevata e il grande vano alto<br />

del bagagliaio: – Tu ci stai tutta in piedi, – mi ha detto<br />

Carlo quando mi ha convinto a comprarla, quella nuova<br />

macchina francese senza grazia. E adesso questa<br />

idea. Non mi riesce di buttarla via così, mi resta dentro<br />

incerta e poco chiara: oggi verrò a sapere.<br />

Carlo sbatte la porta posteriore della Kangoo e torna<br />

su. Lo sento muoversi nel bagno. La giornata è buona,<br />

tiepida, l’ora è quella giusta, tardo pomeriggio. Basta,<br />

non resisto, vado. Prendo e metto in borsa l’altra chiave<br />

della Kangoo appesa all’attaccapanni dell’ingresso:<br />

– Io vado, ciao, a stasera, – dico gridando in su davanti<br />

alla scala. Carlo non risponde. O forse sì. Non credo<br />

neanche io che sto facendo ciò che sto facendo.<br />

Non è poi così grande il bagagliaio di una Kangoo.<br />

Una ci sta stretta, chiusa dentro. Tra l’altro c’è pure la<br />

borsa della spesa che ho dimenticato di portare su. Ci<br />

frugo dentro con le mani e sento la peluria ruvida <strong>dei</strong><br />

kiwi, che impongo a Carlo ogni sera, con il cucchiaino,<br />

dopo averli divisi a metà, come l’uovo à la coque nel<br />

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