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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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Al mio primo incontro con Manintasca, spersa di<br />

estraneità, coltivo la rabbia contro la paura. E il tipo lo<br />

sa, lui ci è abituato, anche con gente come me.<br />

Siamo in un luogo sconquassato, in certi spogliatoi<br />

abbandonati di un impianto sportivo abbandonato.<br />

Fuori sul marciapiede, sul pannello giallo della fermata<br />

di autobus, c’è scritto in nero Dio c’è. Quello era il<br />

segnale. Mai pensato, prima, che questo è un messaggio<br />

di quel genere, non una professione di fede incoercibile,<br />

questo Dio c’è che ho visto altre volte scritto sulla<br />

segnaletica stradale.<br />

C’è un misto di puzze di ogni genere qui intorno,<br />

dentro, e ogni rumore mi ritorna come un’eco della mia<br />

paura, gelida con questo maestrale. Tutto in questo<br />

cortile mi rimanda immagini di volti spaventosi di animali,<br />

come di notte da bambina. Dai rami nodosi <strong>dei</strong><br />

pochi alberi da tempo lasciati a se stessi è come se grondasse<br />

sangue nero, come se quegli alberelli striminziti<br />

riuscissero a formare una foresta abitata da esseri feroci,<br />

assetati di sangue, affamati di carne da sbranare.<br />

E sbuca fuori lui da chissà dove. Alzo lo sguardo su<br />

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