Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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12.06.2013 Views

quello sfoggio di fecondità. È che mi sono subito sentita innamorata di quei tre pisellini in un baccello, di quelle tre uova in una cesta, di quelle creaturine pallide e paffute nel profumo di lavanda, Carlo Rinaldo e Valentina, bruno moro e bionda. – Meglio di un terno al lotto, – diceva babbo senza fiato, che da allora non ha perso occasione per vantare la divina meraviglia della procreazione. Non so quanto sia stata un’astuzia di mia madre. Non me l’ero mai chiesto, prima di tutto questo. Una trovata di mamma, magari in combutta con babbo. È lei che mi ha insegnato e spinto a giocare alla mammina a sette anni, col mio Carlo, dopo che è morto Rinaldino, morto soffocato nell’incubatrice: apnea perinatale, dicono i paroloni medici. Rinaldino è morto prima di portarlo a casa dall’ospedale. Ce ne resta una foto sul giornale, piegata e messa via. Perché di quel parto trigemino hanno scritto sui giornali. E ho imparato a dire parto plurigemellare eterozigote. Fortza paris! ci ha incoraggiato babbo in ospedale nel suo strano sardo, tirandosi su le maniche. Aveva già deciso di lasciare il mare: anche se era morto Rinaldino, bisognava badare agli altri due, a Carlo e a Valentina. Dunque forza insieme. Da ragazzina e poi per sempre fino a oggi mi sono pensata al plurale. Lo svezzamento di Carlo è stata opera mia. Mi sono 58 aggiustato il ricordo così: è toccato a me nutrirlo, renderlo forte e nuovo, senza il latte di mamma. Mamma, forse lei mi ha difeso dalla gelosia verso i due nuovi fratellini in questo modo: mi ha incaricato di nutrirne uno, mai per gioco, da subito sul serio, specialmente quando è arrivato il momento di svezzarli, già a sei mesi. Promossa vicemamma: – Mamma tutta intera, – rincarava babbo ancora tramortito da quella troppa grazia. Era un bambino delicato, all’inizio, poi mi è diventato sano come un pesce, come un’anguilla, e me ne andavo a letto sfatta dopo avere lottato un giorno intero con lui, col suo vigore, con sua maestà infantile mascolina che non mandava a dirlo tutto quello che gli passava per la testa e tutto il corpo, lo voleva, lo faceva, e strilli e lacrime e risate e tutti gli altri intorno a ciangottare buono Carlo guarda su l’uccellino, guarda giù il gattino e il cicci e il pappi e il dindi e bastava invece che lo prendessi in braccio io e tutto era finito, quel profittatore, sciupafemmine, diceva babbo. Valentina invece giocava da sola per ore, assorta nelle sue calme fantasie, con una sua volontà, placida e indomabile. Con Carlo ho condiviso le sue prime scoperte ed emozioni, mentre lo iniziavo ai cibi solidi. E ho saputo inventare mille giochi, per fargli aprire bene quella sua boccuccia spesso offesa e diffidente, aaahm! 59

quello sfoggio di fecondità. È che mi sono subito sentita<br />

innamorata di quei tre pisellini in un baccello, di<br />

quelle tre uova in una cesta, di quelle creaturine pallide<br />

e paffute nel profumo di lavanda, Carlo Rinaldo e<br />

Valentina, bruno moro e bionda.<br />

– Meglio di un terno al lotto, – diceva babbo senza<br />

fiato, che da allora non ha perso occasione per vantare<br />

la divina meraviglia della procreazione.<br />

Non so quanto sia stata un’astuzia di mia madre. Non<br />

me l’ero mai chiesto, prima di tutto questo. Una trovata<br />

di mamma, magari in combutta con babbo. È lei che mi<br />

ha insegnato e spinto a giocare alla mammina a sette anni,<br />

col mio Carlo, dopo che è morto Rinaldino, morto<br />

soffocato nell’incubatrice: apnea perinatale, dicono i<br />

paroloni medici. Rinaldino è morto prima di portarlo a<br />

casa dall’ospedale. Ce ne resta una foto sul giornale,<br />

piegata e messa via. Perché di quel parto trigemino<br />

hanno scritto sui giornali. E ho imparato a dire parto<br />

plurigemellare eterozigote.<br />

Fortza paris! ci ha incoraggiato babbo in ospedale<br />

nel suo strano sardo, tirandosi su le maniche. Aveva già<br />

deciso di lasciare il mare: anche se era morto Rinaldino,<br />

bisognava badare agli altri due, a Carlo e a Valentina.<br />

Dunque forza insieme. Da ragazzina e poi per sempre<br />

fino a oggi mi sono pensata al plurale.<br />

Lo svezzamento di Carlo è stata opera mia. Mi sono<br />

58<br />

aggiustato il ricordo così: è toccato a me nutrirlo, renderlo<br />

forte e nuovo, senza il latte di mamma.<br />

Mamma, forse lei mi ha difeso dalla gelosia verso i<br />

due nuovi fratellini in questo modo: mi ha incaricato<br />

di nutrirne uno, mai per gioco, da subito sul serio,<br />

specialmente quando è arrivato il momento di svezzarli,<br />

già a sei mesi. Promossa vicemamma: – Mamma<br />

tutta intera, – rincarava babbo ancora tramortito da<br />

quella troppa grazia.<br />

Era un bambino delicato, all’inizio, poi mi è diventato<br />

sano come un pesce, come un’anguilla, e me ne<br />

andavo a letto sfatta dopo avere lottato un giorno intero<br />

con lui, col suo vigore, con sua maestà infantile<br />

mascolina che non mandava a dirlo tutto quello che<br />

gli passava per la testa e tutto il corpo, lo voleva, lo faceva,<br />

e strilli e lacrime e risate e tutti gli altri intorno a<br />

ciangottare buono Carlo guarda su l’uccellino, guarda<br />

giù il gattino e il cicci e il pappi e il dindi e bastava<br />

invece che lo prendessi in braccio io e tutto era finito,<br />

quel profittatore, sciupafemmine, diceva babbo.<br />

Valentina invece giocava da sola per ore, assorta<br />

nelle sue calme fantasie, con una sua volontà, placida<br />

e indomabile. Con Carlo ho condiviso le sue prime<br />

scoperte ed emozioni, mentre lo iniziavo ai cibi solidi.<br />

E ho saputo inventare mille giochi, per fargli aprire<br />

bene quella sua boccuccia spesso offesa e diffidente,<br />

aaahm!<br />

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