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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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sorge tutti, anche Rinaldino, il terzo gemello morto appena<br />

nato, perché la morte è solo un pisolino dopo<br />

pranzo, e per andare in cielo devi andare prima sotto<br />

terra, come Cristo.<br />

Quelli erano tempi. Quando li ho traditi? Quando<br />

delle mie notti ho fatto giorno, e del giorno notte? È<br />

questo l’ordine del mondo che ho stravolto?<br />

Diamoci da fare di giorno.<br />

La casa. Appena uscito Carlo, Valentina chiusa a<br />

studiare nella sua stanza, perquisisco la casa con minuzia,<br />

come un poliziotto: – Sa, le perquisizioni casalinghe<br />

adesso riescono un po’ meglio, con le poliziotte,<br />

– mi ha spiegato in quei <strong>giorni</strong> Gonaria l’Orecchiona,<br />

chissà a proposito di cosa. Ma io qui adesso<br />

cosa sto cercando? Non so, ma cerco.<br />

E scovo un nascondiglio della roba, nella rilegatura<br />

di un volume di anatomia, dietro la costa. Apro una bustina,<br />

la guardo a lungo, ci intingo il dito e l’assaggio<br />

sulla lingua, come si vede al cinema. Non sa di niente.<br />

Mi viene da piangere, come da adolescente allo scoprire<br />

che ti tocca vivere una vita sconosciuta, coi suoi<br />

cicli e ritmi che non domini e non sai, ma ne sei responsabile.<br />

Fuori, devo uscire. Fuori penso meglio. Ma nel mare<br />

di gente frettolosa la prima cosa che penso è che<br />

tutti quanti a quest’ora del mattino siano fuori casa<br />

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per lo stesso mio motivo, la stessa emergenza, tutti col<br />

mio problema. Scema, sei tu che di notte lavori e la<br />

mattina dormi, questi non fanno della notte giorno, e<br />

viceversa.<br />

Sono in strada e mi chiedo perché sono uscita, con<br />

questa sciarpa di seta vivacissima. Sì, per la smania di<br />

parlarne con qualcuno. Ma scopro che più forte è il bisogno<br />

di tenere la cosa ben nascosta a tutti.<br />

E allora? Adesso dove vai? Ecco, bisogna andare a<br />

mettere in moto l’iter per lasciare il turno fisso della<br />

notte al mio laboratorio.<br />

E mentre passo davanti a San Domenico mi fermo,<br />

mi guardo intorno come se tutti stessero badando a<br />

quel che faccio io, salgo la breve scalinata e sono dentro<br />

la chiesa delle mie devozioni abbandonate. Una donna<br />

sta lavando per terra in mezzo alla navata, c’è un odore<br />

forte di varechina. Ecco perché sono entrata: per consultare<br />

padre Mauro, il francescano della comunità di<br />

recupero. Me ne parla sempre la signora Marianna delle<br />

nostre pulizie al laboratorio: – C’è padre Mauro? –<br />

chiedo alla donna, che si ferma, mi guarda con gli occhi<br />

furbi, mi sta studiando senza ritegno.<br />

– Più tardi, sarà qui più tardi, un’ora o due, – dice<br />

una voce maschile, di uno che non avevo ancora visto:<br />

sta spolverando un confessionale, il sagrestano <strong>dei</strong><br />

miei vecchi tempi: – È dall’oculista.<br />

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