Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
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Conosco il suo sonno, non lo turba niente, so di poterlo anche carezzare, seguirne le forme, ritrovarlo: – Carlo ha preso da me, – diceva babbo, abituato a dormire in sala macchine nel rombo potente e sereno dei motori marini. Ma fermo la mia mano: non sarà cambiato anche nel modo di dormire questo nuovo Carlo? Domani, tutto sarà più chiaro. E gli giuro ancora, al buio, io che fino adesso ho avuto solo timide ambizioni: – Io ti salverò, – come se avessi individuato esattamente il mio problema, la vera soluzione, il desiderio per il quale fino adesso non avevo le parole. 42 Al mio primo risveglio, la mattina nata da quella notte, quando a risucchio la realtà lasciata per il sonno si riversa dentro con un rombo, e devi tornare a capire troppe cose insieme, ecco anche questa meraviglia, o il rimorso, di avere dormito, lì vicino a Carlo. Eppure è da un incubo che mi risveglio: di un Carlo enorme in cartapesta che si buca, sfilando a carnevale sopra un carro lì davanti a tutti. Era carnevale allora, pieno inverno. Troppo grande e vuoto, troppo silenzioso, questo primo mattino, anche del vigile silenzio di Gonaria l’Orecchiona al piano superiore, mentre dormono ancora Carlo e Valentina. Poi sveglia del tutto, e subito in piedi, mi blocco, mi siedo sul letto: mi pare di non ricordare nulla del Carlo di prima, né viso, né fatti, né parole. Il ricordo c’è, però poco esatto. C’è e non c’è, come una mutilazione, un’ombra. Poi mi ricordo e trovo il nesso. È scomparsa la vecchia Kodak di babbo, cimelio di famiglia, sponsor dei ricordi, dicono in tivù. Ieri 43
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Conosco il suo sonno, non lo turba niente, so di poterlo<br />
anche carezzare, seguirne le forme, ritrovarlo: – Carlo<br />
ha preso da me, – diceva babbo, abituato a dormire<br />
in sala macchine nel rombo potente e sereno <strong>dei</strong> motori<br />
marini. Ma fermo la mia mano: non sarà cambiato anche<br />
nel modo di dormire questo nuovo Carlo?<br />
Domani, tutto sarà più chiaro.<br />
E gli giuro ancora, al <strong>bui</strong>o, io che fino adesso ho avuto<br />
solo timide ambizioni: – Io ti salverò, – come se<br />
avessi individuato esattamente il mio problema, la vera<br />
soluzione, il desiderio per il quale fino adesso non avevo<br />
le parole.<br />
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Al mio primo risveglio, la mattina nata da quella notte,<br />
quando a risucchio la realtà lasciata per il sonno si<br />
riversa dentro con un rombo, e devi tornare a capire<br />
troppe cose insieme, ecco anche questa meraviglia, o il<br />
rimorso, di avere dormito, lì vicino a Carlo. Eppure è<br />
da un incubo che mi risveglio: di un Carlo enorme in<br />
cartapesta che si buca, sfilando a carnevale sopra un<br />
carro lì davanti a tutti.<br />
Era carnevale allora, pieno inverno.<br />
Troppo grande e vuoto, troppo silenzioso, questo primo<br />
mattino, anche del vigile silenzio di Gonaria l’Orecchiona<br />
al piano superiore, mentre dormono ancora<br />
Carlo e Valentina.<br />
Poi sveglia del tutto, e subito in piedi, mi blocco, mi<br />
siedo sul letto: mi pare di non ricordare nulla del Carlo<br />
di prima, né viso, né fatti, né parole.<br />
Il ricordo c’è, però poco esatto. C’è e non c’è, come<br />
una mutilazione, un’ombra. Poi mi ricordo e trovo il<br />
nesso. È scomparsa la vecchia Kodak di babbo, cimelio<br />
di famiglia, sponsor <strong>dei</strong> ricordi, dicono in tivù. Ieri<br />
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