Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
na, la mia sorellina che per me finora è stata una specie di misura, di bilancia, che non s’impone mai, lei che sta al mondo per dare importanza agli altri, Valentina, una di quelle presenze che ci fanno consapevoli, e sempre così sana, si somma a ciascuno rafforzandoci. Riesco a domandarle quasi senza voce: – È già il male di babbo? Lei ride, male, con un piccolo fiato dal naso. – Quante puntate ho perso? Ho visto Gonaria l’Orecchiona: che cos’è questa storia dello shock? Fa spallucce, dura. Con questa novità del suo profumo, da mia sorella mi arriva addosso un misto di scontento, di rimprovero, di schifo. Ma suona il citofono, Valentina scatta e prende e dice alla cornetta: – Scendo. – E prende e va mi lascia nella notte, col suo passo indurito, risentito: Valentina, che fino a ieri faceva ancora piccoli saltelli come da bambina, per colpi di gioia improvvisa, e che giocava ancora a camminare all’indietro nei corridoi di casa, lei maratoneta, Va’ lentina! Chi va piano va sano e va lontano, ripeteva babbo. E adesso quel trucco e quel profumo, stoffa jeans mascolina sopra tutto il corpo. E anche lei se ne va. – Ma che succede qui stasera? Che cosa ci è successo in questa casa? – mi sento gridare, non so quanto tempo dopo che ho gridato. La porta di casa che Valentina si tira dietro mi re- 28 spinge sulla cassapanca antica dell’ingresso. Mi sembra più alta del solito la nostra cassapanca, forse perché non mi ci siedo da un bel po’, come mancando a un mio dovere. Ecco, calma, siediti. Sedermi sulla cassapanca è come sedermi al centro del mondo, o della mia vita, per tirare il fiato, per capire: su questo altare familiare che da piccola incombeva scuro e minaccioso sulla mia piccolezza impaurita, fino a imparare a farci i conti e a sistemarla la cassapanca al centro del mio mondo. Era ed è il nascondiglio segreto di tutti gli antenati qui dell’isola, ad aprirla sentivo il loro mormorio. Lo sento ancora, anche se da tempo ho l’abitudine di pensare la cassapanca antica come la nostra genoteca familiare, ramo sardo. Paura, questo provo, e il suo sapore. Carlo e babbo, babbo e Carlo… continuo a confondere i loro due mali, tutti e due appesi a una siringa. Mi alzo. Mi guardo intorno. Giro un po’ la casa. Il mio mondo casalingo è tutto ancora qui, ma fluttuante, sconnesso. Mi isso di nuovo sulla cassapanca. Questo almeno mi resta. Mi aggiusto i vestiti, mi stringo le braccia intorno al corpo. Faccio riserva d’aria. Puntello i gomiti sulle cosce e mi premo sugli occhi. Mi ricordo la donna delle pulizie al laboratorio, la signora Marianna che arriva la mattina molto presto e subito si sfoga a raccontarmi le disgrazie tutte sul figlio preso nella roba. Dentro l’odore di varechina, che fino 29
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na, la mia sorellina che per me finora è stata una specie<br />
di misura, di bilancia, che non s’impone mai, lei che sta<br />
al mondo per dare importanza agli altri, Valentina, una<br />
di quelle presenze che ci fanno consapevoli, e sempre<br />
così sana, si somma a ciascuno rafforzandoci.<br />
Riesco a domandarle quasi senza voce: – È già il male<br />
di babbo?<br />
Lei ride, male, con un piccolo fiato dal naso.<br />
– Quante puntate ho perso? Ho visto Gonaria l’Orecchiona:<br />
che cos’è questa storia dello shock?<br />
Fa spallucce, dura. Con questa novità del suo profumo,<br />
da mia sorella mi arriva addosso un misto di scontento,<br />
di rimprovero, di schifo.<br />
Ma suona il citofono, Valentina scatta e prende e dice<br />
alla cornetta: – Scendo. – E prende e va mi lascia<br />
nella notte, col suo passo indurito, risentito: Valentina,<br />
che fino a ieri faceva ancora piccoli saltelli come da<br />
bambina, per colpi di gioia improvvisa, e che giocava<br />
ancora a camminare all’indietro nei corridoi di casa, lei<br />
maratoneta, Va’ lentina! Chi va piano va sano e va lontano,<br />
ripeteva babbo.<br />
E adesso quel trucco e quel profumo, stoffa jeans<br />
mascolina sopra tutto il corpo. E anche lei se ne va.<br />
– Ma che succede qui stasera? Che cosa ci è successo<br />
in questa casa? – mi sento gridare, non so quanto tempo<br />
dopo che ho gridato.<br />
La porta di casa che Valentina si tira dietro mi re-<br />
28<br />
spinge sulla cassapanca antica dell’ingresso. Mi sembra<br />
più alta del solito la nostra cassapanca, forse perché<br />
non mi ci siedo da un bel po’, come mancando a<br />
un mio dovere. Ecco, calma, siediti. Sedermi sulla cassapanca<br />
è come sedermi al centro del mondo, o della<br />
mia vita, per tirare il fiato, per capire: su questo altare<br />
familiare che da piccola incombeva scuro e minaccioso<br />
sulla mia piccolezza impaurita, fino a imparare a<br />
farci i conti e a sistemarla la cassapanca al centro del<br />
mio mondo. Era ed è il nascondiglio segreto di tutti gli<br />
antenati qui dell’isola, ad aprirla sentivo il loro mormorio.<br />
Lo sento ancora, anche se da tempo ho l’abitudine<br />
di pensare la cassapanca antica come la nostra genoteca<br />
familiare, ramo sardo.<br />
Paura, questo provo, e il suo sapore. Carlo e babbo,<br />
babbo e Carlo… continuo a confondere i loro due mali,<br />
tutti e due appesi a una siringa.<br />
Mi alzo. Mi guardo intorno. Giro un po’ la casa. Il<br />
mio mondo casalingo è tutto ancora qui, ma fluttuante,<br />
sconnesso. Mi isso di nuovo sulla cassapanca. Questo<br />
almeno mi resta. Mi aggiusto i vestiti, mi stringo le<br />
braccia intorno al corpo. Faccio riserva d’aria. Puntello<br />
i gomiti sulle cosce e mi premo sugli occhi.<br />
Mi ricordo la donna delle pulizie al laboratorio, la signora<br />
Marianna che arriva la mattina molto presto e<br />
subito si sfoga a raccontarmi le disgrazie tutte sul figlio<br />
preso nella roba. Dentro l’odore di varechina, che fino<br />
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