Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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12.06.2013 Views

M’impaurisce tutto quel silenzio. M’impaurisce questa nuova Valentina. Poggio l’orecchio al legno: dentro, specchio del mio, ascolto il silenzio di Carlo che m’immagino in ascolto. Spingo la porta, giro la maniglia: è chiusa a chiave dentro, giusto come facevo a volte io, ma in altri tempi, per isolarmi un poco dalla troppa presenza dei gemelli, per leggere o studiare un poco in pace e però loro si eccitavano, la porta chiusa a chiave dava loro un senso di mistero, sentivano una magica attrazione per il chiuso, riuscivano ad aprirla, ed eccoli lì, col fare dei ladri o dei conquistatori del fortino. Adesso Valentina è zitta e dura, dietro di me, discosta. La mia paura si precipita a turno su Carlo e su di lei: sul Carlo invisibile che immagino in agguato, su Valentina con lo sguardo fisso oltre la porta, più distante e muta della luna di là dalla finestra, piena, quella notte, grande, lo ricordo bene. Perché mia sorella mi nega ogni soccorso e mi sta lì come una minaccia? E invece Valentina infila una chiave nella toppa: già, quelle chiavi di casa, delle porte interne, sono tutte uguali e aprono ogni porta, e altre volte una chiave qualsiasi ha aperto la mia porta. Dentro, dall’altra parte, un’altra chiave cade a terra tintinnando, brutto suono. Valentina gira la chiave insieme alla maniglia (ha le unghie blu laccate, adesso, Valentina), spalanca la porta della stanza di Carlo, lei resta sulla soglia, io mi butto dentro. 22 Carlo è sul letto, tra seduto e sdraiato sul copriletto di seta che io gli ho comprato dai cinesi di piazza Giovanni, adesso macchiato e spiegazzato, una candela accesa sopra il comodino, e lì lui sta armeggiando, con che cosa? La stanza è troppo piena di un odore familiare, però minaccioso: alcool. – Carlo, cosa c’è, che fai? Lui mi guarda. Un’ombra di allarme, o di fastidio, è cancellata da un sorriso, forse d’imbarazzo, ma sorriso: sì, lui sorride, e dice: – Non è quel che pensi. Dice proprio così, e la butta sul ridere. – È quel che pensi, – dice Valentina dietro di me, con la lingua pesante nella bocca: la voce le esce a pezzi, a cubetti, di ghiaccio. Io non penso. Non ci riesco. Guardo: Carlo si sta iniettando, intento e disinvolto, esperto, cerca la vena sul braccio sinistro, mi sembra proprio babbo, quando mi capitava di sorprenderlo a iniettarsi l’insulina, babbo che si rintanava a farsi la puntura, e s’infastidiva, se lo scoprivi nell’operazione, perché ufficialmente lui non aveva niente: sano immaginario, lo canzonava mamma. Tutto preso dal rito, anche Carlo adesso ha un fiotto di rossore violento sul viso e nel collo. Molto più di babbo, la faccia di Carlo, tutta la sua pelle è sempre stata un arcobaleno di sensazioni. Mi viene da ridere. Penso di avere riso. Devo avere riso: tra le cose che mi erano passate per la testa, davanti alla sua porta, prima che Valentina me l’aprisse, 23

M’impaurisce tutto quel silenzio. M’impaurisce questa<br />

nuova Valentina.<br />

Poggio l’orecchio al legno: dentro, specchio del mio,<br />

ascolto il silenzio di Carlo che m’immagino in ascolto.<br />

Spingo la porta, giro la maniglia: è chiusa a chiave dentro,<br />

giusto come facevo a volte io, ma in altri tempi, per<br />

isolarmi un poco dalla troppa presenza <strong>dei</strong> gemelli,<br />

per leggere o studiare un poco in pace e però loro si eccitavano,<br />

la porta chiusa a chiave dava loro un senso di<br />

mistero, sentivano una magica attrazione per il chiuso,<br />

riuscivano ad aprirla, ed eccoli lì, col fare <strong>dei</strong> ladri o<br />

<strong>dei</strong> conquistatori del fortino.<br />

Adesso Valentina è zitta e dura, dietro di me, discosta.<br />

La mia paura si precipita a turno su Carlo e su di<br />

lei: sul Carlo invisibile che immagino in agguato, su<br />

Valentina con lo sguardo fisso oltre la porta, più distante<br />

e muta della luna di là dalla finestra, piena, quella<br />

notte, grande, lo ricordo bene. Perché mia sorella mi<br />

nega ogni soccorso e mi sta lì come una minaccia?<br />

E invece Valentina infila una chiave nella toppa: già,<br />

quelle chiavi di casa, delle porte interne, sono tutte<br />

uguali e aprono ogni porta, e altre volte una chiave<br />

qualsiasi ha aperto la mia porta.<br />

Dentro, dall’altra parte, un’altra chiave cade a terra<br />

tintinnando, brutto suono. Valentina gira la chiave insieme<br />

alla maniglia (ha le unghie blu laccate, adesso,<br />

Valentina), spalanca la porta della stanza di Carlo, lei<br />

resta sulla soglia, io mi butto dentro.<br />

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Carlo è sul letto, tra seduto e sdraiato sul copriletto<br />

di seta che io gli ho comprato dai cinesi di piazza Giovanni,<br />

adesso macchiato e spiegazzato, una candela accesa<br />

sopra il comodino, e lì lui sta armeggiando, con<br />

che cosa? La stanza è troppo piena di un odore familiare,<br />

però minaccioso: alcool.<br />

– Carlo, cosa c’è, che fai?<br />

Lui mi guarda. Un’ombra di allarme, o di fastidio, è<br />

cancellata da un sorriso, forse d’imbarazzo, ma sorriso:<br />

sì, lui sorride, e dice: – Non è quel che pensi.<br />

Dice proprio così, e la butta sul ridere.<br />

– È quel che pensi, – dice Valentina dietro di me, con<br />

la lingua pesante nella bocca: la voce le esce a pezzi, a<br />

cubetti, di ghiaccio.<br />

Io non penso. Non ci riesco. Guardo: Carlo si sta iniettando,<br />

intento e disinvolto, esperto, cerca la vena sul<br />

braccio sinistro, mi sembra proprio babbo, quando mi<br />

capitava di sorprenderlo a iniettarsi l’insulina, babbo<br />

che si rintanava a farsi la puntura, e s’infastidiva, se lo<br />

scoprivi nell’operazione, perché ufficialmente lui non<br />

aveva niente: sano immaginario, lo canzonava mamma.<br />

Tutto preso dal rito, anche Carlo adesso ha un fiotto di<br />

rossore violento sul viso e nel collo. Molto più di babbo,<br />

la faccia di Carlo, tutta la sua pelle è sempre stata un<br />

arcobaleno di sensazioni.<br />

Mi viene da ridere. Penso di avere riso. Devo avere<br />

riso: tra le cose che mi erano passate per la testa, davanti<br />

alla sua porta, prima che Valentina me l’aprisse,<br />

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