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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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Al cimitero c’era Fabio. Mi ha stretto un po’ la mano,<br />

dopo la cerimonia. Da quel momento, se mai prima, non<br />

ho saputo più chi stringeva la mia mano per le condoglianze.<br />

E poi gli sono corsa dietro e l’ho abbracciato, davanti<br />

a sua moglie in attesa fuori dal cimitero, chiusa in<br />

auto leggendosi il giornale, non si è accorta di niente. Fabio<br />

recitava con me la parte dell’uomo che ti accoglie con<br />

calore, mostra il legame che ti unisce a lui e insieme mette<br />

in evidenza il suo distacco. Infatti non poteva nemmeno<br />

darmi un passaggio. E ho rifiutato quello che mi offriva<br />

Gonaria l’Orecchiona.<br />

Sono tornata a casa a piedi. Ho fatto il giro lungo. Non<br />

se n’è accorto nessuno. Neanche io. E a casa la casa non<br />

era più casa.<br />

Mi sembrava di uscire da una rappresentazione, da un<br />

teatro, dove tutti abbiamo recitato una parte, ma io non<br />

sapevo la mia, solo qualche battuta ogni tanto.<br />

Sono tornata alle mie notti nel laboratorio, meno lunghe,<br />

al mio vecchio avamposto nelle tenebre, mi ha ripetuto<br />

il direttore. All’alito notturno della mia città.<br />

Tornare è dire troppo. Cerco abitudini, non le ritrovo.<br />

Non si riprende mai da dove si è lasciato, diceva babbo,<br />

da ultimo anche Carlo. Ma nelle nuove notti al mio laboratorio<br />

mi sorprendo spesso a chiedermi se non ci sia<br />

qualche dovere, fuori, alla luce del giorno, che mi chiama<br />

e che ignoro. Non riesco a liberarmi di un senso colpevole<br />

di sregolatezza. E figurarsi del rimorso, di certi risvegli<br />

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di spavento e di altre antiche esaltazioni, di questa sensazione<br />

di essermi ferita volontariamente a sangue.<br />

Torno a casa il mattino, chiudo a tre mandate, lascio<br />

fuori il giorno, che ti ride in faccia, ti rivela. Meglio l’ombra.<br />

I miei vecchi colleghi, gli addetti ai contatti planetari<br />

sulla gemellarità, mi hanno fatto un brindisi come a capodanno,<br />

con la coca-cola, un rutto planetario e un cubitale<br />

Welcome back su sei terminali a sfondo blu con tanti<br />

cuoricini e love love love. Io sono spenta. I monitor devono<br />

restare accesi.<br />

Gonaria l’Orecchiona dice che Carlo è morto per via di<br />

quell’assurda attività sportiva, lo sprofondo. Gliel’abbiamo<br />

fatta fino all’ultimo, io e Carlo, all’impicciona<br />

menagramo, che in ripetute condoglianze mi rivaluta così<br />

la morte di Carlo: – L’unico modo di salvare in eterno<br />

la sua giovane bellezza. – Ultimamente è stata poco bene.<br />

Fossi più brava a lasciar perdere i pensieri. Mi sono<br />

sempre data pensiero. Avrei dovuto saperlo. Però sono<br />

sei mesi che non piango, e il sale delle lacrime s’incrosta e<br />

mi s’ingroppa qui, alla porta dell’anima, come diceva<br />

mamma; o come ha detto Carlo, un giorno, per dirmi come<br />

incominciava l’astinenza: con un panico qui alla bocca<br />

dello stomaco, poi subito le fitte dietro gli occhi, le fitte,<br />

fitte dappertutto.<br />

Questa sera ho aperto un cassetto trascurato, qualcosa<br />

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