Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
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All’ufficio funebre il frate di strada ha parlato di resurrezione<br />
della carne: – Carlo risorgerà, – diceva, – e intanto<br />
vive in noi. – E quell’altro, citato sempre dal mio direttore<br />
lì vicino a me, che diceva che noi siamo solo il mezzo<br />
di sopravvivenza <strong>dei</strong> geni? Mi sono sentita così confusa<br />
di resurrezioni e di sopravvivenze che ho sperato di piangere<br />
su tutta questa nostra genoteca familiare.<br />
Non ho pianto: nell’inferno i dannati non riescono a<br />
piangere perché il fuoco fa svaporare le loro lacrime, diceva<br />
mamma. In chiesa mi è sembrato di capire che non riesco<br />
a piangere perché non ho capito cosa ho fatto, che cosa<br />
ci è successo.<br />
Poi non sono passata da babbo e mamma in cimitero<br />
quando ci abbiamo portato anche Carlo, in pochi. Non ce<br />
l’ho fatta ad andare a rendere conto di che cosa ho fatto al<br />
loro figlio maschio. Eppure quel giorno stavo o no facendo<br />
ritornare con Carlo nella tomba il peggio redivivo di<br />
mio padre e di mia madre, non stavo seppellendo per<br />
sempre quel tanto di morto che ci portiamo tutti dentro<br />
ereditato, peccato originale?<br />
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