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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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finestre: anche la città fradicia pare colpita a morte, comatosa.<br />

Smette di piovere già verso l’alba.<br />

Alla finestra in fondo al corridoio cerco il mare, magari<br />

l’odore del mare, riconciliante, l’amico di Carlo e<br />

di babbo, il mare antico. Mi è sempre sembrato fin da<br />

piccola che dai confini del mare mi chiamassero tutte<br />

le albe non ancora sorte.<br />

E invece a questa finestra sento gli odori mattutini di<br />

pane e di caffè, gli odori delle mie mattine di una volta,<br />

e io mi sento integra e soda come un pane di grano, sana<br />

e piena, io, <strong>Alba</strong> Pistis, presa dal bisogno di non ricordare<br />

mai più ciò che ci è successo e ci sta succedendo,<br />

comunque vada a finire, di non pensarci mai a cose<br />

fatte, di non ammettere mai che sia stato possibile.<br />

Stanca di quelle facce paramediche per cui sono<br />

d’impaccio, cerco aiuto in un caffè automatico nell’atrio<br />

notturno d’ospedale, fetido di fumo freddo di sigaretta.<br />

Poi voglio piangere, ne ho bisogno: però non ci riesco.<br />

Non ho più il dono del pianto. <strong>Alba</strong> ha ucciso il<br />

pianto.<br />

Che senso avranno le mie notti, se Carlo mi muore?<br />

E che sbaglio restare in vita io. Non uscirei mai più da<br />

questa notte.<br />

Mentre barcollo lungo un corridoio all’improvviso<br />

220<br />

vedo il Dio barbuto che sta nella cappella aperta a luce<br />

fioca accesa a vigilare nella notte, dove i tre gemelli<br />

sono stati battezzati in fretta e furia ancora in ospedale,<br />

e il grande occhio nel triangolo nel cielo dell’altare,<br />

uno degli spaventi dell’infanzia di Carlo in visita<br />

a parenti in ospedale, il padreterno che adesso mi grida<br />

il suo: – Dov’è tuo fratello?<br />

Caino rispondeva al padreterno: – Sono io forse il<br />

custode di mio fratello?<br />

Non potrei mai rispondere così. Non era donna, non<br />

era una sorella, lui, Caino, e neanche il padreterno.<br />

Mi chiamano, all’ultimo momento.<br />

Così la spio, la sostengo fino all’ultimo questa fiammella<br />

traballante, e poi, quando la vedo spegnersi, finita<br />

ogni resistenza che nel corpo si organizza oscuramente<br />

contro la fine, allora sì capisco che ogni più tenue<br />

manifestazione della vita è già tutta la vita.<br />

L’ho capito altre volte, quanto è vero, che della morte<br />

è meglio qualsiasi forma della vita, anche la vita del<br />

comatoso in overdose. E che non ha ragione Gonaria<br />

l’Orecchiona: no, nessuno è condannato a vivere di<br />

morte altrui.<br />

Muori, della morte altrui. Anche se la vuoi. Figurarsi<br />

se l’hai voluta.<br />

E io sarò morsa per sempre dal dubbio: l’ho voluta io<br />

la morte di Carlo, l’ho avuta per davvero questa idea,<br />

di finirla con Carlo, e l’ho covata fino a praticarla, fino<br />

221

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