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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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sita, mentre il mio aspetto dice che sono stata altrove,<br />

questa è l’ultima risorsa: – La Pistis, c’è la Pistis, la grande,<br />

la sorella grande! – Resto lì davanti al cane che mi<br />

fa la posta con gli occhietti lucidi e cattivi: muoviti e ti<br />

mangio! Accidenti al cane e al suo padrone. Gonaria<br />

l’Orecchiona mi ha informato che adesso questo gemello<br />

sta agli arresti domiciliari, e mi pare un’aggiunta<br />

a tutto il guaio, che il mio Carlo, lui sì davvero una torre<br />

al confronto, sia qui in balia di questo nanerottolo<br />

con una pancia da beone a ventun anni: – Di quel sacco<br />

di merda, – dice Carlo, – disonore di tutta la razza<br />

<strong>dei</strong> gemelli.<br />

Ma tu <strong>Alba</strong> Pistis qui adesso chi ti credi di essere?<br />

Un pulcino bagnato. Ma con uno scopo.<br />

Si fanno vivi tutti e quattro, come se ricevessero festosi<br />

una specie di figliol prodigo, una pecorella smarrita:<br />

vede come alla fine noi torniamo utili anche a lei,<br />

sembra che mi dicano, tutti e quattro in coro, però zitti,<br />

con una servizievole ironia, con un riserbo astuto,<br />

tutti con etti d’oro nelle mani e al collo: – Quelli in mare<br />

tutti giù come piombi! – diceva babbo.<br />

Mi offrono il bagno, asciugamani, accappatoi, un<br />

fazzoletto per i miei starnuti: – C’è rischio di annegare<br />

stanotte là di fuori, – dice saggio il grande. Io rifiuto<br />

tutto, anche se grondo sulle loro mattonelle. Loro mica<br />

si offendono, sono abituati a certe frette brusche <strong>dei</strong><br />

clienti.<br />

– Siamo gente discreta, noi, signorina Pistis, può fi-<br />

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darsi, – dice il Marongiu grande quando mi mette in<br />

mano la roba, con umile insolenza, dopo che io gli ho<br />

messo nella sua i miei soldi già contati: – Se ne dicono<br />

tante. Ma in fondo, anche la nostra si può dire una missione.<br />

E mi ricordo della volta che questo qua, da ragazzina,<br />

in ascensore mi ha pizzicata svelto nel di dietro,<br />

mentre si aprivano le porte, due volte, una per ogni natica.<br />

Così ho capito bene che quando uno ride non<br />

sempre lo fa per allegria, perché io quella volta ho riso<br />

di schifo e di spavento.<br />

Stavolta vado a ritroso fino alla porta di casa <strong>dei</strong> quattro<br />

Marongiu.<br />

Sul pianerottolo mi prende un capogiro. Qui c’è una<br />

corrente d’aria fredda. Il filo di sudore mi scende lungo<br />

la schiena. Già la febbre? Mi appoggio alla parete,<br />

testa e spalle. Tiro dentro l’aria.<br />

Fuori il rumore del temporale è più forte di prima.<br />

Mi torna un poco il sangue a posto e sono qui proprio<br />

davanti al portoncino di Gonaria l’Orecchiona,<br />

col suo foro occhieggiante in mezzo al legno, protesi<br />

dell’occhio onnisciente di Gonaria. Dio non ti vede,<br />

Gonaria sì, ha scritto Carlo ragazzotto sul muro del palazzo.<br />

– Uno ha l’età delle sue colpe, – diceva babbo, misteriosamente.<br />

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