Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
ve col rene di un altro, – di sicuro migliore di lui, – mi ha detto Gonaria l’Orecchiona, – vede che razza di giustizia a questo mondo. – Lo sapevo, – diceva tramortita la signora Marianna andando via: – E chi ce li ha adesso i soldi per un avvocato? Io invece non l’ho mai previsto il Carlo di stanotte. Tutto è troppo scontato, troppo previsto, troppo semplificato, automatico, istintivo se questa parola avesse ancora un senso per una genetista. E paragono Carlo a un insetto tutto fisso nei comportamenti, pochi, sempre quelli, esatti e prevedibili. Sono talmente uguali, diceva dei simili di Carlo il frate di strada. Carlo è del tutto simile a se stesso. Ieri ne parlavamo con la signora Marianna al mio laboratorio. Semplificati, tutto e solo per la roba, come l’ape fa tutto e solo per il miele: – Sì, – dice la signora Marianna con lo spazzolone in mano, – e fosse almeno miele: quella è merda. Non ape, scarabeo mangiamerda, che Dio mi perdoni e lei mi scusi. Di pomeriggio ho pagato alla banca nuova proprietaria la rata dell’affitto di questa nostra casa. L’ho detto a Carlo: – Sei delusa? – mi ha chiesto. – La delusione rende gli uomini cattivi, – ci avvertiva babbo. – Le donne anche di più, – aggiungeva mamma. Carlo mi ha ripetuto tutti e due, parole e corpi. Spe- 198 cialmente di mamma che ce l’ha con babbo, tutta l’ansia delusa di una moglie, e dell’intera vita concentrata e rediviva, nel modo sbagliato, nel corpo sbagliato. Le gambe mi tremavano a guardarlo, e le labbra, che ho morso a sangue. Sì Carlo, mi hai delusa, come uno staffettista che ti fa mancare il testimone, diceva Valentina: – Li hai mai visti in pista? Non è il peggio, ma sono delusa. Anche di me stessa, delusa. Non riesco più a vedere niente fuori e oltre questo guaio, non riesco a dirmi che un bel giorno finirà: – Ma sì che finisce, sta già finendo, – mi ripete Carlo, e poi monetizza. E adesso eccolo lì. Carlo sul letto mi ha sventrato il cuscino, tolto dalla federa, ci si accanisce contro, fa finta di mangiarsene la lana, se la mette in bocca. Carlo che fai? Voglio credere che sta facendo se stesso da bambino, come già altre volte. Ma non ci metto molto a capire, ci metto ad accettare di capire, perché non voglio capire, questo no: non se stesso da piccolo davanti ai drammi della pappa, no, Carlo sta facendo la ripetizione più stravolta di come facevo io con lui per gioco da bambino se nicchiava nel mangiare. Era una pantomima sempre nuova: io mi mettevo il bavaglino, prendevo le sue posatine, fingevo un appetito irrefrenabile, la fame 199
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ve col rene di un altro, – di sicuro migliore di lui, – mi<br />
ha detto Gonaria l’Orecchiona, – vede che razza di<br />
giustizia a questo mondo.<br />
– Lo sapevo, – diceva tramortita la signora Marianna<br />
andando via: – E chi ce li ha adesso i soldi per un avvocato?<br />
Io invece non l’ho mai previsto il Carlo di stanotte.<br />
Tutto è troppo scontato, troppo previsto, troppo<br />
semplificato, automatico, istintivo se questa parola<br />
avesse ancora un senso per una genetista. E paragono<br />
Carlo a un insetto tutto fisso nei comportamenti, pochi,<br />
sempre quelli, esatti e prevedibili. Sono talmente<br />
uguali, diceva <strong>dei</strong> simili di Carlo il frate di strada.<br />
Carlo è del tutto simile a se stesso. Ieri ne parlavamo<br />
con la signora Marianna al mio laboratorio. Semplificati,<br />
tutto e solo per la roba, come l’ape fa tutto e solo<br />
per il miele: – Sì, – dice la signora Marianna con lo spazzolone<br />
in mano, – e fosse almeno miele: quella è merda.<br />
Non ape, scarabeo mangiamerda, che Dio mi perdoni<br />
e lei mi scusi.<br />
Di pomeriggio ho pagato alla banca nuova proprietaria<br />
la rata dell’affitto di questa nostra casa. L’ho detto<br />
a Carlo: – Sei delusa? – mi ha chiesto.<br />
– La delusione rende gli uomini cattivi, – ci avvertiva<br />
babbo.<br />
– Le donne anche di più, – aggiungeva mamma.<br />
Carlo mi ha ripetuto tutti e due, parole e corpi. Spe-<br />
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cialmente di mamma che ce l’ha con babbo, tutta l’ansia<br />
delusa di una moglie, e dell’intera vita concentrata<br />
e rediviva, nel modo sbagliato, nel corpo sbagliato. Le<br />
gambe mi tremavano a guardarlo, e le labbra, che ho<br />
morso a sangue.<br />
Sì Carlo, mi hai delusa, come uno staffettista che ti fa<br />
mancare il testimone, diceva Valentina: – Li hai mai visti<br />
in pista?<br />
Non è il peggio, ma sono delusa. Anche di me stessa,<br />
delusa. Non riesco più a vedere niente fuori e oltre<br />
questo guaio, non riesco a dirmi che un bel giorno finirà:<br />
– Ma sì che finisce, sta già finendo, – mi ripete Carlo,<br />
e poi monetizza.<br />
E adesso eccolo lì. Carlo sul letto mi ha sventrato il<br />
cuscino, tolto dalla federa, ci si accanisce contro, fa finta<br />
di mangiarsene la lana, se la mette in bocca.<br />
Carlo che fai?<br />
Voglio credere che sta facendo se stesso da bambino,<br />
come già altre volte. Ma non ci metto molto a capire, ci<br />
metto ad accettare di capire, perché non voglio capire,<br />
questo no: non se stesso da piccolo davanti ai drammi<br />
della pappa, no, Carlo sta facendo la ripetizione più<br />
stravolta di come facevo io con lui per gioco da bambino<br />
se nicchiava nel mangiare. Era una pantomima<br />
sempre nuova: io mi mettevo il bavaglino, prendevo le<br />
sue posatine, fingevo un appetito irrefrenabile, la fame<br />
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