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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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ché certi spaventi sono di moda, fanno notizia e scandalo,<br />

e chiacchiere come quelle che al mio laboratorio<br />

si fanno quei tremendi esperimenti: di clonazione, dicono.<br />

Ed è pure vero, ma non scaliamo alberi genealogici<br />

di parentadi, ma cespugli, per clonare il mirto, per<br />

le bacche, per il liquore che va molto, adesso.<br />

Mi fanno impressione le paure antiche del destino che<br />

si vendica, della divina provvidenza che punisce, noi,<br />

specialmente gente come noi, servi dell’ultimo Prometeo<br />

scatenato. Ecco, sì, vendetta e punizione trasversale:<br />

sul mio Carlo. Questa spiegazione a volte mi sembra<br />

così vera. E progetto la salvezza con la fuga dal laboratorio.<br />

Ho scritto cento volte le mie dimissioni.<br />

Il mio mondo non ha posto nel mondo di Carlo, ne<br />

cade fuori, non serve. La mia genetica da un pezzo svaporata,<br />

la mia genetica di ricercatrice, di figlia, di sorella.<br />

Più niente è dato per scontato, neanche l’alba. Lo<br />

so, come sempre e per tutti a questo mondo: qui però<br />

di più. Troppo. Quante volte li dico questi troppo.<br />

Li ho tentati, certi maldestri studi per fare di Carlo<br />

un problema della mia ricerca: di ereditarietà, di cromosomi<br />

e geni e DNA, di riportare ai limiti del mondo<br />

conosciuto una mostruosità così imprecisa, e così inattesa.<br />

E quante volte ho meditato, ma trasalendo di vergogna<br />

e di rimorso, su tare originarie del mio Carlo,<br />

native, costituzionali, quindi per me genetiche, biologiche:<br />

prese da babbo e mamma e andate a male.<br />

188<br />

Questa nostra genetica mondiale non mi aiuta a mettere<br />

a fuoco il guaio del mio Carlo proteiforme, che sia<br />

notte o giorno qui da noi. Mai venuto a galla su da una<br />

provetta. Tutto resta in basso, o indietro, o sotto, dove<br />

io non voglio, con nausea e con vergogna.<br />

– <strong>Alba</strong>, hai le vertigini? – oggi mi ha chiesto una collega.<br />

Dovessi dirla con una parola, tutta questa storia, sì,<br />

la direi vertigine.<br />

Ma c’è vertigine e vertigine. Ce n’è stata un’altra,<br />

avevo quindici anni, il giorno che ho scoperto la visione<br />

del mondo riassunta nel principio di Lavoisier, nel<br />

mio libro di chimica: in natura nulla si crea, nulla si distrugge,<br />

tutto si trasforma. Non so se sia mai capitato a<br />

qualche altro. Ho pianto di gioia. E ho scelto la strada<br />

che mi ha fatto diventare genetista. Quel giorno ho<br />

pianto per il mondo rivelato. Ero in cucina, facevo una<br />

torta, Carlo di meno di sei anni mi stava attorno, china<br />

sul dolce nello stampo le mie lacrime sono finite sulla<br />

sfoglia, la stavo lisciando col dorso della mano e la bagnavo<br />

di lacrime che non mi importava di asciugare.<br />

Carlo mi ha abbracciato una gamba, ha premuto il viso<br />

contro la mia gonna: – <strong>Alba</strong> perché piangi?<br />

– Perché sono contenta, ecco, sono lacrime di gioia.<br />

– Ah, e perché?<br />

Gli accarezzo i capelli: – Perché ho capito una cosa.<br />

– Dimmela, voglio capirla anch’io, dimmela.<br />

189

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