Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
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cromosomi. La sai meglio di me tu la genetica. E questo<br />
caffè?<br />
Ogni volta se la cava così, come babbo, armato di<br />
inutile saggezza, penso mentre verso il caffè. E io ci<br />
casco sempre.<br />
Carlo beve il caffè: – Avrei bisogno di qualcosa di più<br />
forte.<br />
– Ma è forte, come lo vuoi tu.<br />
– Mi serve qualcosa di più forte.<br />
Oddio ci risiamo. Poso la tazzina: – Carlo!<br />
– Mica una botta forte. Solo il minimo per continuare<br />
a farne a meno.<br />
Solo che questa volta, per quanto ne so, Carlo non si<br />
faceva da due mesi. È una delle volte che lui ce l’ha fatta,<br />
che gli spauracchi sono solo un ricordo, tant’è vero<br />
che io sto già per riprendere le notti al mio laboratorio:<br />
– Eh, però c’è un limite, – gli strillo gettandogli sul viso<br />
i soldi per la roba, – ci dev’essere un limite anche all’amore<br />
fraterno.<br />
– In questo io mi limito, – fa lui, serio come babbo, lisciandosi<br />
i baffi come babbo, anche adesso che lui se li<br />
è tagliati.<br />
Come se io non lo sapessi, che uno come lui non ama<br />
niente che non sia la roba, e odia solo ciò che gli impedisce<br />
di avere la roba. Non è come il beone che si cerca<br />
compagnia, e brindisi e offro io.<br />
162<br />
Lo stesso pomeriggio mi ritorna a casa con un mazzo<br />
di rose, rosse, rugiadose di pioggia come il suo corpo,<br />
specialmente la testa: – Dono perdono, – dice, come si<br />
usava dire in altri tempi a casa nostra, quando era bambino:<br />
– Rose rosse per te, – canta come cantava mamma,<br />
– comperate coi soldi che mi hai dato.<br />
Mai regalato fiori, prima, mai pensato di farlo fino<br />
adesso. Che importa che i soldi sono miei? Io scoppio<br />
in pianto e me l’abbraccio tutto intero, quanto era<br />
grande e grosso, umido, bagnato, come quando arrivava<br />
dagli allenamenti con la testa umida di doccia,<br />
ma ancora odoroso di alghe. Il bottone della sua giacca<br />
mi si conficca sulla fronte e sulla guancia e lascia il<br />
segno.<br />
E lui caro e gentile, anche giocherellone, mica come<br />
quando ti dice no tu non toccarmi, sto di merda e mi<br />
fai anche più male, no, adesso mi ripete cose tenere e<br />
carine. Io mi sollevo sulla punta <strong>dei</strong> piedi fino ad arrivare<br />
a leccargli il naso, a scompigliargli i capelli come<br />
quando ero orgogliosa <strong>dei</strong> suoi riccioli: – No, i capelli<br />
no, non me li scompigliare, – dice come diceva sempre<br />
babbo con la sua pelata alla Yul Brynner, alla Telly Savalas,<br />
e giù tutti a ridere. Anche noi due adesso ridiamo,<br />
io troppo, fino alle lacrime. Finché, ecco i suoi occhi,<br />
quelli, slavati, un cielo che ha piovuto: Carlo si è<br />
fatto, sì, fatto e strafatto. Quando si fa, ha questi occhi<br />
languidi di babbo, fissi che non ci scende quasi mai la<br />
pace di un battito di ciglia.<br />
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