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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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à? – domanda soprattutto sul conto di chi fa male, e<br />

lascia nell’ovvio la risposta.<br />

Non ci badavo prima a cose come il vizio di togliersi<br />

le pipite dai pollici con attenzione concentrata, con<br />

le unghie e con i denti, tipica di babbo, come i suoi<br />

soffi d’impazienza e quegli sguardi corrucciati contro<br />

il mondo che però duravano un istante, ma in Carlo<br />

adesso troppo.<br />

Ritorni innocui, così mi parevano, a volte benvenuti,<br />

anche commoventi. Vizi di famiglia. Prima erano sorprese.<br />

Prima. Adesso sono gomitate nello stomaco.<br />

Carlo per me non è mai stato un compito da poco.<br />

Da piccolo aveva spesso le unghie rotte o un labbro<br />

gonfio, spesso tutto scatti, sbalzi, piccoli drammi. Un<br />

po’ fosco di umore, aveva i suoi bei lampi di luce. Ed<br />

era così vivo, forte, intelligente. E bello, da suscitare<br />

non solo l’entusiasmo restio di Gonaria l’Orecchiona,<br />

anche quando la vita non gli dava che una cieca voglia<br />

di recalcitrare: – Carlo non fare il dispettoso.<br />

Bambina e adolescente mi sono sorpresa a piangere<br />

sulla bellezza di mio fratello. Era pure allegro, entusiasta,<br />

vanitoso. È diventato duro, irridente, maligno:<br />

qualcosa che vedevo e non sapevo di vedere, che volevo<br />

ignorare, che temevo, questo Carlo di oggi che<br />

quando non è mamma al peggio, allora è babbo al<br />

peggio, al peggio <strong>dei</strong> ricordi peggiori dell’infanzia.<br />

Mi spoglio e vado a letto mentre di là Carlo è già si-<br />

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lenzioso, dopo aver fatto della stanza, immagino, il<br />

solito campo di battaglia persa.<br />

Mi porto a letto il peso di questa parola: degenerazione.<br />

Mi ronza da tempo per la testa, parola antica che i<br />

miei studi di genetica non mi aiutano a capire, o a lasciarla<br />

perdere perché so che non significa quello che<br />

si è fatto Carlo, che devo capire.<br />

– Io mi sono stancato, – mi diceva miliardi di anni fa<br />

un altro Carlo con un sederone di pannolini e con due<br />

dita in bocca.<br />

– Di che cosa?<br />

– Di Carlo.<br />

– Di Carlo?<br />

– Sì, di essere Carlo, sempre Carlo, solo Carlo.<br />

– Ma tu sei Carlo e Carlo resterai.<br />

– Io voglio cambiare.<br />

– Cambi, cambi: cresci e cambi.<br />

– Io non voglio essere Carlo, voglio essere un altro.<br />

Come si fa?<br />

Carlo, il mio bel fratello, il fiore di noi Pistis, diceva<br />

mamma, lo studente brillante dell’istituto superiore di<br />

educazione fisica che secondo babbo aveva di fronte<br />

una vita dove non devi farti il culo liscio sulla sedia,<br />

Carlo il campione regionale d’immersione ad assetto<br />

variabile, si è fatto così, da non potersi dire. Io non lo<br />

so dire.<br />

Ma poi, che ne sarà di noi? La solita domanda che mi<br />

nasce dentro appena sotto le coperte e cerco di dormi-<br />

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