Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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12.06.2013 Views

dopo, tirando sul prezzo e protestando che quello era un ricordo di famiglia, regalo di suo padre marinaio nei mari del Sud. Chi si ferma ai segni e ride dei nessi causali e chi cerca le cause ridendosi dei segni. Bisogna proteggerlo da chi vuole aiutarlo. Ma cerco lo stesso un po’ d’aiuto, cerco di meritarlo, di spremere bontà, e un poco di giustizia. – Qui non abbiamo tempo per discutere, nessuno da convincere, – mi dice un addetto ai lavori, ai succedanei fragola e lampone. – Nemmeno io. Ma ho questo Carlo qui. Non ho voce in capitolo, nemmeno con la signora Marianna del laboratorio: non le so dare neanche la confidenza di dirgli di Carlo, la consolazione di farla sentire sulla stessa barca. Fingo. E allora mi sembra che da questo fingere, da questo nasconderlo a tutti derivi il guaio peggiore del Carlo che diventa babbo e mamma. Ma nel disastro il camuffarsi è la sola cosa che riesce, a cominciare da Gonaria l’Orecchiona. No, teniamo duro. Siamo riusciti a farla a tutti, un bel successo. Oggi me ne sono vantata scrivendo a Valentina per tenerla legata un po’ con noi, magari col rimpianto o col rimorso, laggiù negli antipodi che mi rimandano vertigini da mondo sottosopra. Finché non avevo Carlo da salvare, nel gran brusio di discussioni, da genetista mi ponevo la questione di 156 quanto in noi c’è di genetico e di quanto invece siamo conseguenza del nostro ambiente di vita e di chissà cos’altro ancora, dell’uso di ragione, dell’uso del cuore. Adesso io raccatto ogni risorsa, natura e cultura, speranza e carità, anche la mia povera genetica e le sue derive, nella battaglia per capire e sconfiggere il mostro dove il mio Carlo beve nauseato il sostituto la mattina, si arma di buoni propositi durante tutto il giorno, e la sera si fa. – Normale, – dice il frate di strada indaffarato come sempre, maniche rimboccate. – Normale… Anche la brutta copia di modi di essere di babbo e mamma morti? – No, ma togliamo la causa e non avremo più nemmeno questa conseguenza. – Carlo, lasciati salvare! Carlo si fa passare davanti sul petto il leggero zainetto, ci fruga con la mano: – Sì, prima i soldi, – e tende quella mano, con un gesto meccanico, come una zingara al semaforo: ma con lo sguardo antico di mamma quando si aspettava che babbo la rassicurasse di qualche sua paura, lei lo pretendeva, era un suo dovere di marito. Quante volte vorrei stringermelo addosso, per dargli la mia forza, che sento ancora grande, anche se meno 157

dopo, tirando sul prezzo e protestando che quello era<br />

un ricordo di famiglia, regalo di suo padre marinaio nei<br />

mari del Sud.<br />

Chi si ferma ai segni e ride <strong>dei</strong> nessi causali e chi cerca<br />

le cause ridendosi <strong>dei</strong> segni. Bisogna proteggerlo da chi<br />

vuole aiutarlo. Ma cerco lo stesso un po’ d’aiuto, cerco<br />

di meritarlo, di spremere bontà, e un poco di giustizia.<br />

– Qui non abbiamo tempo per discutere, nessuno da<br />

convincere, – mi dice un addetto ai lavori, ai succedanei<br />

fragola e lampone.<br />

– Nemmeno io. Ma ho questo Carlo qui.<br />

Non ho voce in capitolo, nemmeno con la signora<br />

Marianna del laboratorio: non le so dare neanche la<br />

confidenza di dirgli di Carlo, la consolazione di farla<br />

sentire sulla stessa barca. Fingo. E allora mi sembra che<br />

da questo fingere, da questo nasconderlo a tutti derivi<br />

il guaio peggiore del Carlo che diventa babbo e mamma.<br />

Ma nel disastro il camuffarsi è la sola cosa che riesce,<br />

a cominciare da Gonaria l’Orecchiona. No, teniamo<br />

duro. Siamo riusciti a farla a tutti, un bel successo.<br />

Oggi me ne sono vantata scrivendo a Valentina per tenerla<br />

legata un po’ con noi, magari col rimpianto o col<br />

rimorso, laggiù negli antipodi che mi rimandano vertigini<br />

da mondo sottosopra.<br />

Finché non avevo Carlo da salvare, nel gran brusio di<br />

discussioni, da genetista mi ponevo la questione di<br />

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quanto in noi c’è di genetico e di quanto invece siamo<br />

conseguenza del nostro ambiente di vita e di chissà cos’altro<br />

ancora, dell’uso di ragione, dell’uso del cuore.<br />

Adesso io raccatto ogni risorsa, natura e cultura, speranza<br />

e carità, anche la mia povera genetica e le sue derive,<br />

nella battaglia per capire e sconfiggere il mostro<br />

dove il mio Carlo beve nauseato il sostituto la mattina,<br />

si arma di buoni propositi durante tutto il giorno, e la<br />

sera si fa.<br />

– Normale, – dice il frate di strada indaffarato come<br />

sempre, maniche rimboccate.<br />

– Normale… Anche la brutta copia di modi di essere<br />

di babbo e mamma morti?<br />

– No, ma togliamo la causa e non avremo più nemmeno<br />

questa conseguenza.<br />

– Carlo, lasciati salvare!<br />

Carlo si fa passare davanti sul petto il leggero zainetto,<br />

ci fruga con la mano: – Sì, prima i soldi, – e tende<br />

quella mano, con un gesto meccanico, come una zingara<br />

al semaforo: ma con lo sguardo antico di mamma<br />

quando si aspettava che babbo la rassicurasse di qualche<br />

sua paura, lei lo pretendeva, era un suo dovere di<br />

marito.<br />

Quante volte vorrei stringermelo addosso, per dargli<br />

la mia forza, che sento ancora grande, anche se meno<br />

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