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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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vare cose di altri tempi, come lo zabaione della mamma,<br />

come tutta Fraus, antica e sola, piccola, diceva<br />

babbo, così piccola che la gente lì è sempre più cose in<br />

una, come questo suo cognato e nostro zio che per babbo<br />

era insieme lo scemo del paese e il segretario del partito<br />

da sempre di maggioranza assoluta.<br />

E anche se roba a Fraus ce n’è quanto in città, Carlo<br />

ci ha resistito cento <strong>giorni</strong> astinente buono buono,<br />

sembrava già un miracolo. In compenso ha imparato a<br />

bere vino, il vino nuovo nero, che piaceva anche a babbo,<br />

troppo, secondo mamma. Ma non è un antidoto. A<br />

Fraus ha fatto in tempo, immagino, una seconda volta<br />

come da bambino, a riconoscere la primavera, le gemme<br />

che sbocciano, il rumore del grano che cresce nel<br />

silenzio, e si è commosso quanto è giusto al belato della<br />

pecora e all’agnello appena nato che ti guarda coi<br />

grandi occhioni neri che sembrano capire tutto il mondo,<br />

e poi va dalla madre, sospinge tremante con il muso<br />

la mammella in cerca del capezzolo, mentre la madre<br />

gira pensierosa la testa e se lo annusa, poi se ne ritorna<br />

placida a brucare ma non vede niente al mondo<br />

tranne il suo agnellino.<br />

– Sì, ho fatto in tempo a pensare che era meglio se<br />

nascevo pecora o cavallo…Visto che tanto struzzo lo<br />

sono già, la testa nella sabbia, – mi ha detto con un riso<br />

molto serio.<br />

Cento <strong>giorni</strong>, prima di un’altra Waterloo, di un’altra<br />

mazzolata sulla testa, come ogni volta che mi sono illu-<br />

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sa di averlo aiutato a fare un passo avanti, anzi fuori,<br />

sorreggendolo.<br />

Come il tifo da stadio. Il frate di strada se li portava in<br />

gruppo organizzato a fare il tifo per il Cagliari, da riportare<br />

in serie A: – Se andiamo in A ci avremo più guariti,<br />

– diceva, – e se scendiamo in C, di meno. – Il tifo<br />

come cura. Carlo si accodava. E a un certo punto anch’io,<br />

per essere sicura che quei soldi li usava per comprare<br />

il biglietto per lo stadio. Mio Dio, le prime volte,<br />

quelle facce paonazze, e gli urli laceranti, il terremoto<br />

<strong>dei</strong> piedi sugli spalti, quell’ondeggiare minaccioso, le<br />

tifoserie contrapposte, i boati improvvisi e incomprensibili,<br />

le manate… Pazienza, anche per le manate, mi<br />

diceva il frate, che sono anch’esse segno di interesse<br />

normale per un corpo femminile, normali come gli urli<br />

e i mugugni e gli insulti tutti in coro: – E poi lei ci ha un<br />

bel didietro! – dice sempre il frate: – e guardi che non è<br />

una constatazione disinteressata.<br />

Non mi tornano i conti neanche con i frati.<br />

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