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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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laiche, religiose, dure e molli, paziente esterno e interno<br />

in certi reparti ospedalieri di cemento grigio: – Tutto<br />

il gulag, – come diceva Carlo. E lui recidivo mi dava<br />

pure corda: – Sono sulla buona strada, – mi diceva,<br />

così non gli stavo troppo addosso. Oppure, con l’aria<br />

dell’uomo di mondo, di chi sa il fatto suo su certe cose,<br />

diceva che non c’è problema ormai, tutto sotto<br />

controllo, le stelle sono ancora in cielo, e il dovere in<br />

petto, come se fosse ancora il bravo liceale e apneista<br />

di una volta, grande misuratore delle sue capacità,<br />

mens sana in corpore sano. Come quando il massimo<br />

dello spavento non è durato più di tre minuti, il giorno<br />

che Carlo mi ha fatto lo scherzo di sparire in mare,<br />

sotto. Io lo seguivo dalla barca nell’allenamento che<br />

lui preferiva: senza muta, senza assistenza di profondità,<br />

solo un po’ di iperventilazione, immersione di<br />

qualche decina di metri, tempo… Carlo non torna su,<br />

il cavo è lento, madonna santa! Mi guardo intorno ed<br />

è come se vedessi il mare per la prima volta, terribilmente<br />

immenso, il maestrale è calato, fa più caldo, e io<br />

lì ferma in mezzo, già tramortita in tutto quell’azzurro,<br />

la Torre del Prezzemolo sospesa su nel cielo, laggiù<br />

i massi di granito frangiflutti scintillanti di guizzi di luce<br />

che però faccio in tempo a immaginare come sono<br />

sott’acqua, scivolosi di muschio verde e fitti di molluschi…<br />

finché la barca ha uno scossone a poppa e Carlo<br />

è lì che mi fa il suo cucù!<br />

148<br />

Quante false partenze. E ogni volta, troppe volte, Carlo<br />

di nuovo a casa come un frate che ha gettato la tonaca<br />

alle ortiche, gaglioffo e vergognoso. Poi di nuovo a tentoni.<br />

I progressi e i successi di Carlo mi esaltano quanto<br />

mi fiaccano gli scacchi. È un’altalena esagerata. Non la<br />

reggo. Un giorno o l’altro faccio un capitombolo.<br />

– Io me ne vado a Fraus, – mi grida Carlo, dopo una<br />

litigata delle solite.<br />

– Me ne torno a Livorno, – diceva babbo in cima a<br />

certi suoi bisticci con la mamma.<br />

– Io me ne torno a Fraus, – gli replicava mamma.<br />

E allora a Carlo ho organizzato anche un soggiorno<br />

dagli zii di Fraus. Al paese che per Carlo era solo un<br />

posto dove la gente sa i nomi delle piante selvatiche e<br />

le brucia nel camino, un posto dove tutto è divorato<br />

dal tempo e dal maltempo. Però ci è andato, nella vecchia<br />

Fraus, a lavorare o meglio a fingere di lavorare<br />

con gli ospiti e le bestie dell’agriturismo dello zio fratello<br />

di mamma, polli maiali e struzzi con maneggio di<br />

cavalli. Una vacanza a mezzo inverno. La pecora è nel<br />

bosco, bum! cantava Carlo alla partenza.<br />

– Te lo rimetto a posto io, – mi prometteva questo zio<br />

senza idea del guaio di Carlo: – Tanto è di buona razza,<br />

razza nostra, assomiglia a sua madre. – Allo zio di<br />

Fraus, che mi commentava così l’acqua calda oramai<br />

già bollente, io avevo parlato di stanchezze di Carlo, di<br />

stress, di poca voglia di studiare, che bisognava ripro-<br />

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