Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
tario a un medico assistente in ospedale. La simpamina per studiare, come in altri tempi? No, la prima volta è stato per avere la forza e la costanza di resistere sei ore sotto terra, l’estate che ha passato nel Sulcis in vacanza di lavoro. Perché Carlo ventenne era corso in aiuto a quegli uomini col casco giù nel ventre della terra, in una vecchia miniera occupata, presi dall’idea di mandarla avanti loro, con l’aiuto di gente come Carlo, che si teneva su nei luoghi bui con erba e simpamina e una chitarra mentre i minatori si tenevano su a pane e formaggio e vino cannonau. – E poi? – Poi niente, – e fa la faccia furba di quando babbo voleva fare il furbo: – È l’attimo che conta, no? – Sì, ma tu il passato… – volevo dirgli che lui il passato me lo riproduce contraffatto, marcio. Non glielo dico perché non riesco a dirglielo. Anche il nutrirsi per Carlo ormai è un insensato proiettarsi nel futuro. Ogni suo appetito trasferito in quell’unico appetito che si spegne in pochi istanti, poi torna più rabbioso. Carlo non ha voglia di aspettare se stesso nel futuro: – Lì sta la fregatura! Cerco di dirgli di babbo e mamma, di fargliene parlare perché forse è una cura, il ricordo cosciente. Insisto sul passato, contro cui Carlo crede di avere abbassato il sipario. Non ha nessuna voglia di ricordo vigile: 138 – Sei senza futuro, se fai piazza pulita del passato, – gli dico con parole del frate di strada. – Il passato si vendica, – dice Carlo. – Lo vedo, e parla come babbo. Lui mi guarda, diomio come mi guarda: gli occhi, tutto il corpo di babbo, e io solo nausea e voglia di gridare. Ma poi mi arrendo al solito. Credevo di riuscire a svegliare giusti allarmi anche negli altri, a cominciare da Valentina. E con lei ci ritento. Oggi le ho scritto tutte queste cose. So che non mi risponderà. Non posso farne a meno, e mi serve. Certamente anche a lei, lei non lo sa, ma io lo so. Come va?, continuano a chiedermi intorno. Non rispondo, è già molto riuscire a non dire che va male. Nessuno può addolcirmi le cose con parole, quelle che fanno bene, e però comunque si risparmiano anche quelle, chissà perché. E chiedo aiuto a Fabio. Glielo devo dire. Forse non se ne sarebbe accorto neanche lui, Fabio, l’uomo che è stato mio, per anni, che ho ritenuto mio a lungo, troppo, se adesso non lo è più. Fabio non è più mio per via di Carlo. Anche Fabio ha sofferto certe conseguenze. A lungo. E recalcitrava: – Non bisogna coltivare troppo i legami di sangue, – diceva certe volte, dopo che gli ho detto di Carlo in un 139
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tario a un medico assistente in ospedale. La simpamina<br />
per studiare, come in altri tempi? No, la prima volta è<br />
stato per avere la forza e la costanza di resistere sei ore<br />
sotto terra, l’estate che ha passato nel Sulcis in vacanza<br />
di lavoro. Perché Carlo ventenne era corso in aiuto a<br />
quegli uomini col casco giù nel ventre della terra, in<br />
una vecchia miniera occupata, presi dall’idea di mandarla<br />
avanti loro, con l’aiuto di gente come Carlo, che<br />
si teneva su nei luoghi <strong>bui</strong> con erba e simpamina e una<br />
chitarra mentre i minatori si tenevano su a pane e formaggio<br />
e vino cannonau.<br />
– E poi?<br />
– Poi niente, – e fa la faccia furba di quando babbo<br />
voleva fare il furbo: – È l’attimo che conta, no?<br />
– Sì, ma tu il passato… – volevo dirgli che lui il passato<br />
me lo riproduce contraffatto, marcio. Non glielo dico<br />
perché non riesco a dirglielo.<br />
Anche il nutrirsi per Carlo ormai è un insensato<br />
proiettarsi nel futuro. Ogni suo appetito trasferito in<br />
quell’unico appetito che si spegne in pochi istanti, poi<br />
torna più rabbioso. Carlo non ha voglia di aspettare se<br />
stesso nel futuro: – Lì sta la fregatura!<br />
Cerco di dirgli di babbo e mamma, di fargliene parlare<br />
perché forse è una cura, il ricordo cosciente. Insisto<br />
sul passato, contro cui Carlo crede di avere abbassato<br />
il sipario. Non ha nessuna voglia di ricordo vigile:<br />
138<br />
– Sei senza futuro, se fai piazza pulita del passato, – gli<br />
dico con parole del frate di strada.<br />
– Il passato si vendica, – dice Carlo.<br />
– Lo vedo, e parla come babbo.<br />
Lui mi guarda, diomio come mi guarda: gli occhi,<br />
tutto il corpo di babbo, e io solo nausea e voglia di gridare.<br />
Ma poi mi arrendo al solito.<br />
Credevo di riuscire a svegliare giusti allarmi anche<br />
negli altri, a cominciare da Valentina. E con lei ci ritento.<br />
Oggi le ho scritto tutte queste cose. So che non<br />
mi risponderà. Non posso farne a meno, e mi serve.<br />
Certamente anche a lei, lei non lo sa, ma io lo so.<br />
Come va?, continuano a chiedermi intorno. Non rispondo,<br />
è già molto riuscire a non dire che va male.<br />
Nessuno può addolcirmi le cose con parole, quelle<br />
che fanno bene, e però comunque si risparmiano anche<br />
quelle, chissà perché.<br />
E chiedo aiuto a Fabio. Glielo devo dire. Forse non<br />
se ne sarebbe accorto neanche lui, Fabio, l’uomo che<br />
è stato mio, per anni, che ho ritenuto mio a lungo,<br />
troppo, se adesso non lo è più.<br />
Fabio non è più mio per via di Carlo. Anche Fabio<br />
ha sofferto certe conseguenze. A lungo. E recalcitrava:<br />
– Non bisogna coltivare troppo i legami di sangue, –<br />
diceva certe volte, dopo che gli ho detto di Carlo in un<br />
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