Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
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Altre volte l’ho sentito Carlo anche di notte rimestare<br />
lì in cucina, con rumori che un tempo erano di mamma,<br />
anche di operazioni che prima non aveva fatto mai, lui<br />
maschio giovane di casa. Come il frullare mattutino<br />
dell’antico zabaione che mamma gli faceva, convinta<br />
che lo zabaione lo aiutasse in quel tremendo sport delle<br />
immersioni, e nei compiti in classe di greco e di latino,<br />
il toccasana di altri tempi di mancanze alimentari paesane,<br />
della Fraus di mia madre, con il solo rimpianto<br />
dell’uovo appena fatto, che a Fraus allora c’era e adesso<br />
non c’è più nemmeno a Fraus. Come lo strofinare una<br />
padella, con la paglia di ferro, con uno stridio che ti fa<br />
male, fino alle ossa più piccole del corpo. E il rubinetto<br />
con quel suo lamento acuto… Carlo sta strofinando un<br />
cucchiaio lì in cucina, il suo cucchiaio, quello.<br />
Anche il fare solenne, da sacerdotessa, che mamma<br />
aveva nel portare in tavola, l’ho già notato in Carlo,<br />
ma come in uno sciatto sagrestano, brillo di vino da<br />
messa bevuto di nascosto in sagrestia. O quel suo sedersi<br />
provvisorio nel mangiare, seduta di sbieco in<br />
punta della sedia, lei pronta a darsi da fare, lui a scappare<br />
via per le sue cose.<br />
Per non dire di babbo, appartato in bagno o nella camera,<br />
per quelle sue iniezioni da diabetico. Anche questo,<br />
anche questo.<br />
Mi muovo, Carlo di là mi sente: – E adesso lì che<br />
fai, la scena madre? – dice senza voltarsi, a voce alta.<br />
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Me l’hai già fatta bene tu la scena madre, vorrei dirgli.<br />
– Che razza di abitudine si è presa questa qui, – brontola<br />
senza voltarsi.<br />
– Non è peggiore della tua, – mi ascolto dire come se<br />
parlasse un altro.<br />
– Quando non ci sarò più mi apprezzerai, – dice ripetendo<br />
una frase che babbo ha ripetuto a mamma milioni<br />
di volte, esattamente come diceva sempre babbo<br />
a mamma. E ride, ma del riso di mamma. Ride seduto<br />
al tavolo in cucina, gambe lunghe e spalle al soggiorno<br />
dove siedo io.<br />
Mi vergogno di me, della mia attesa, di questa mia<br />
sottomissione. Mi alzo e me ne vado sul terrazzo. Non<br />
mi vuole tra i piedi ai suoi rientri, nelle sue visite notturne<br />
alla cucina.<br />
Carlo va a dormire. Io rientro, rimetto un poco a posto<br />
la cucina.<br />
Apro lo scomparto di sotto il lavello, per un detersivo,<br />
e cado giù in ginocchio, mi piego in due, e piango.<br />
In bagno, davanti alla mia faccia spaventata, mi dico<br />
che è normale questo ritornare di pregi e di difetti, di<br />
vizi grandi e piccoli di padre in figlio, di madre in figlio.<br />
– Chi non ha mai sorpreso nei figli i genitori? – chiedeva<br />
uno psicologo da televisione l’altra sera. Gonaria<br />
l’Orecchiona nostra coinquilina qui sopra di noi, lei<br />
spiega molte cose in questo modo: – A chi assomiglie-<br />
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