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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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Altre volte l’ho sentito Carlo anche di notte rimestare<br />

lì in cucina, con rumori che un tempo erano di mamma,<br />

anche di operazioni che prima non aveva fatto mai, lui<br />

maschio giovane di casa. Come il frullare mattutino<br />

dell’antico zabaione che mamma gli faceva, convinta<br />

che lo zabaione lo aiutasse in quel tremendo sport delle<br />

immersioni, e nei compiti in classe di greco e di latino,<br />

il toccasana di altri tempi di mancanze alimentari paesane,<br />

della Fraus di mia madre, con il solo rimpianto<br />

dell’uovo appena fatto, che a Fraus allora c’era e adesso<br />

non c’è più nemmeno a Fraus. Come lo strofinare una<br />

padella, con la paglia di ferro, con uno stridio che ti fa<br />

male, fino alle ossa più piccole del corpo. E il rubinetto<br />

con quel suo lamento acuto… Carlo sta strofinando un<br />

cucchiaio lì in cucina, il suo cucchiaio, quello.<br />

Anche il fare solenne, da sacerdotessa, che mamma<br />

aveva nel portare in tavola, l’ho già notato in Carlo,<br />

ma come in uno sciatto sagrestano, brillo di vino da<br />

messa bevuto di nascosto in sagrestia. O quel suo sedersi<br />

provvisorio nel mangiare, seduta di sbieco in<br />

punta della sedia, lei pronta a darsi da fare, lui a scappare<br />

via per le sue cose.<br />

Per non dire di babbo, appartato in bagno o nella camera,<br />

per quelle sue iniezioni da diabetico. Anche questo,<br />

anche questo.<br />

Mi muovo, Carlo di là mi sente: – E adesso lì che<br />

fai, la scena madre? – dice senza voltarsi, a voce alta.<br />

12<br />

Me l’hai già fatta bene tu la scena madre, vorrei dirgli.<br />

– Che razza di abitudine si è presa questa qui, – brontola<br />

senza voltarsi.<br />

– Non è peggiore della tua, – mi ascolto dire come se<br />

parlasse un altro.<br />

– Quando non ci sarò più mi apprezzerai, – dice ripetendo<br />

una frase che babbo ha ripetuto a mamma milioni<br />

di volte, esattamente come diceva sempre babbo<br />

a mamma. E ride, ma del riso di mamma. Ride seduto<br />

al tavolo in cucina, gambe lunghe e spalle al soggiorno<br />

dove siedo io.<br />

Mi vergogno di me, della mia attesa, di questa mia<br />

sottomissione. Mi alzo e me ne vado sul terrazzo. Non<br />

mi vuole tra i piedi ai suoi rientri, nelle sue visite notturne<br />

alla cucina.<br />

Carlo va a dormire. Io rientro, rimetto un poco a posto<br />

la cucina.<br />

Apro lo scomparto di sotto il lavello, per un detersivo,<br />

e cado giù in ginocchio, mi piego in due, e piango.<br />

In bagno, davanti alla mia faccia spaventata, mi dico<br />

che è normale questo ritornare di pregi e di difetti, di<br />

vizi grandi e piccoli di padre in figlio, di madre in figlio.<br />

– Chi non ha mai sorpreso nei figli i genitori? – chiedeva<br />

uno psicologo da televisione l’altra sera. Gonaria<br />

l’Orecchiona nostra coinquilina qui sopra di noi, lei<br />

spiega molte cose in questo modo: – A chi assomiglie-<br />

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