Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura
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Lassù a volte in altri tempi ci arrampicavamo in tre,<br />
io, Carlo e Valentina. E un giorno di millenni fa Carlo<br />
ci dice: – È vero che si muore, tutti quanti?<br />
– Sì però… – gli faccio io.<br />
– Anche babbo e mamma?<br />
– Anche, come il nonno di Fraus, – dice Valentina.<br />
– Anche tu e io?<br />
– Sì, però…<br />
– E com’è morire?<br />
– Così, – e Valentina si lascia cadere come un sasso<br />
dalla cassapanca giù per terra con le mani giunte.<br />
Carlo invece ha sempre meno memoria. Chissà quale<br />
parte di lui ricorda a casaccio, ricorda e fa pasticci.<br />
E io mi dispero perché non so amarlo quanto sarebbe<br />
necessario, con vigore e costanza. Mi stanco troppo, e<br />
piango, sulla mia poca forza, sulla mia incostanza. E<br />
mi sembra che Carlo sappia e dica giusto quando dice<br />
spesso, da sobrio, che gli fa schifo come il succedaneo<br />
alla fragola, il mio volergli bene: – Perché non è mica<br />
a me che tu vuoi bene.<br />
– Secondo te io non ti voglio bene, a te?<br />
– Tu vuoi bene al tuo volermi bene, – e avvicina la mano<br />
chiusa alla bocca, come da bambino per succhiarsi il<br />
pollice.<br />
Anche questa è di babbo, che lo diceva a mamma,<br />
ma più sullo scherzo, con un che di accusa e di lamen-<br />
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to. La diceva come una cosa piccola da donne, debolezza<br />
o forza che fosse.<br />
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