Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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12.06.2013 Views

un vecchio gioco, un patto di sangue, di sangue fraterno, spillandone due gocce dai rispettivi polsi in punta di siringa. Sono quasi svenuta, ma prima ho fatto in tempo a giurare con l’antica formula infantile che finisce sputando per terra all’indietro. Carlo ha sempre giocato sul serio: – Il solo modo di giocare una partita è giocarla, – ha concluso stavolta, come diceva babbo. E una volta tanto non sono più cavoli scaldati, e neanche baccalà. 130 – Non mi marcare stretto. Tu non sei né mio padre né mia madre. Stavo per dirgli: sì, io sono solo tua sorella, e sono sempre io. Gli dico: – Sì, ti sto alle costole, molto più di te. – Io sono buono e calmo, ma se mi cerchi mi trovi. – Non mi ripetere così parole di mamma… – Troppo tardi capisco che così sto sprecando un’occasione di colloquio. Sono abituata al monologo con lui. Carlo ritorna reticente, scuro, infastidito della mia irruenza. Solo spallucciate: diverse dalle spallucciate di Valentina, risentite, fino all’ultimo, fino al silenzio definitivo della lontananza. Queste qui di Carlo sono spallucciate di vera indifferenza, muta. Ma questo mutismo di Carlo è differente da certi silenzi di babbo con mamma, che mi parevano i silenzi di chi non ascolta, non ascolta più, e invece era il contrario, di chi ascoltava troppo. – Non farmi lottare ogni momento contro… contro… questa tua distanza. 131

un vecchio gioco, un patto di sangue, di sangue fraterno,<br />

spillandone due gocce dai rispettivi polsi in punta<br />

di siringa. Sono quasi svenuta, ma prima ho fatto in<br />

tempo a giurare con l’antica formula infantile che finisce<br />

sputando per terra all’indietro.<br />

Carlo ha sempre giocato sul serio: – Il solo modo di<br />

giocare una partita è giocarla, – ha concluso stavolta,<br />

come diceva babbo. E una volta tanto non sono più cavoli<br />

scaldati, e neanche baccalà.<br />

130<br />

– Non mi marcare stretto. Tu non sei né mio padre<br />

né mia madre.<br />

Stavo per dirgli: sì, io sono solo tua sorella, e sono<br />

sempre io. Gli dico: – Sì, ti sto alle costole, molto più<br />

di te.<br />

– Io sono buono e calmo, ma se mi cerchi mi trovi.<br />

– Non mi ripetere così parole di mamma… – Troppo<br />

tardi capisco che così sto sprecando un’occasione<br />

di colloquio. Sono abituata al monologo con lui.<br />

Carlo ritorna reticente, scuro, infastidito della mia<br />

irruenza. Solo spallucciate: diverse dalle spallucciate<br />

di Valentina, risentite, fino all’ultimo, fino al silenzio<br />

definitivo della lontananza. Queste qui di Carlo sono<br />

spallucciate di vera indifferenza, muta.<br />

Ma questo mutismo di Carlo è differente da certi silenzi<br />

di babbo con mamma, che mi parevano i silenzi<br />

di chi non ascolta, non ascolta più, e invece era il contrario,<br />

di chi ascoltava troppo.<br />

– Non farmi lottare ogni momento contro… contro…<br />

questa tua distanza.<br />

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