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Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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Ma sì, mi dico seduta sulla cassapanca dell’ingresso,<br />

perché non concentrarsi, non sfruttare questa necessità<br />

<strong>dei</strong> corpi vivi, il cibo?<br />

E basta col mio fare di notte giorno. Basta con la genetica<br />

notturna collegata al mondo con sei terminali<br />

sempre on line. Ora ogni scusa è buona per restare qui<br />

a fare la casalinga diurna, a ritrovare vecchie abitudini<br />

ai fornelli, a preparare grandi torte elaborate, luminose.<br />

– Mont-blanc o sebadas? – In altri tempi Carlo ornava<br />

la casa di risate, per una torta mia: – Voglio, voglio.<br />

– E si era inventata quella sua parola, per certi miei<br />

dolci, che per lui erano frianti, cioè friabili e croccanti,<br />

guai a correggerlo, e lo diciamo ancora.<br />

Allora io di Carlo ero orgogliosa. Anche se un poco<br />

lo invidiavo, poi, da grandicello, quando in casa poteva<br />

circolare seminudo, ignaro del suo corpo, della sua<br />

salute, felice di ovvietà, di strilli, di sudore.<br />

– A te l’erba voglio ti cresce nell’orto, – gli diceva babbo.<br />

– Non c’è bisogno di essere una genetista per sapere<br />

che si possono spianare gli squilibri dell’anima e del<br />

corpo con nuovi equilibri, – mi ha detto il frate di strada.<br />

Ecco, con l’equilibrio fisico, col mangiare e bere,<br />

col sonno e con la veglia, col mantenersi vivi, regolarmente:<br />

– E ogni tanto magari un sorso di coraggio dal<br />

bicchiere, – come diceva babbo, e mamma subito a ripetere:<br />

– Però il vino ti uccide a poco a poco.<br />

112<br />

– O mamma, babbo non ha mica fretta, – arriva Carlo<br />

a dire un giorno, prima che lo dicesse babbo, che ha<br />

riso amaro e poi sempre più allegro, battendosi le palme<br />

sui ginocchi.<br />

– Che ne direbbe adesso babbo?<br />

– Di che cosa?<br />

– Di te, Carlo.<br />

– Di me cosa?<br />

– Di questo guaio del suo figlio maschio.<br />

Carlo abbassa gli occhi, mette le mani in tasca come<br />

babbo, si fa serio negli occhi come quelli di babbo logorati<br />

da ultimo da una segreta disperazione.<br />

– Ti vuoi fare? Facciamoci insieme di coraggio, – gli<br />

dico offrendogli un bicchierone di un coktail di dodici<br />

frutti alle vitamine: glielo dico pesando ogni sillaba,<br />

come se questa precisione fosse già una forza. Il suo<br />

sguardo mi fredda di pietà compassionevole.<br />

Ho cercato subito di mobilitare il mio sapere più accertato,<br />

certificato con diplomi e retri<strong>bui</strong>to con stipendio<br />

fisso. Il mio sapere specialistico si è rivelato<br />

per quello che è, poco o nulla o anche meno. E poi,<br />

per quanto riguarda il mio lavoro, la ricerca scientifica,<br />

in casa mia mi sono sentita sempre tassativamente<br />

in un luogo di riposo. Anche se io la gemellarità l’avevo<br />

in casa.<br />

Lo dicono un po’ tutti: – Ecco appunto, ce l’hai in ca-<br />

113

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