Giulio Angioni, Alba dei giorni bui - Sardegna Cultura

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12.06.2013 Views

cialmente adesso che la nostra piccola repubblica è friabile, ha bisogno di mura e contrafforti mai serviti prima. Perché se il mondo è così, mal combinato, noi dobbiamo continuare e essere una famiglia che fa legge a sé, dentro i suoi confini, piccola e sicura: – Una Sanmarino, non un Vaticano, – precisava babbo. E se fosse vissuto Rinaldino saremmo stati in cinque tutti uniti come le cinque dita di una mano. In quattro, siamo le quattro ruote motrici di un veicolo completo in strada e fuoristrada. E sì, e ce ne andavamo per la nostra strada, prima e dopo la morte dei due genitori, vaccinati per sempre contro l’idea di non avere dalla vita ciò che ci spetta, se Rinaldino non aveva avuto nulla. Il male del mondo… quello che fa soffrire, – ah sì, quello ci concerne, noi siamo concernuti, concerniti… insomma, ce ne importa, – ripeteva babbo: ma certi altri mali, che fanno vergogna, stavano sullo sfondo. Adesso sono in primo piano. E noi dentro. – Carlo, non badiamo a spese, badiamo a salvarti. Come suona male ogni volta. Ma intanto spogliamo la casa, dalla vecchia radio Philips Coda di Pavone degli anni trenta fino alla cassapanca dell’ingresso e al vecchio arazzo sardo del Seicento che la ricopriva. Quella mi manca troppo, e anche l’arazzo coi suoi pavoncelli rossi. Mi fa sentire povera, di antica povertà. Poi ci spogliamo della casa, che non è più nostra. Pago l’affitto da sei mesi alla banca che ne ha ancora l’ipote- 98 ca. Ma provo a consolarmi, mi dico che così non ho più l’assillo dei millesimi condominiali, di cui mi parla astrusamente Gonaria l’Orecchiona. Chissà cosa direbbe in giro lei se sapesse che il suo bel Carlo ci ha fatto prosciugare i conti in banca, i libretti postali e i buoni del tesoro ereditati, da anni lì a covare. Tutta la nostra economia domestica saltata in aria. E io a inorgoglirmi, come ultima risorsa, di questa specie di ascetica povertà. Beati i poveri, di spirito. Anche Carlo da tempo si è spogliato di ogni cosa sua. Anche nel vero senso Carlo si è spogliato, l’otto marzo dell’anno scorso, spogliato a pagamento, ha fatto lo spogliarello in un ristorante sulla costa Nord vicino alla sua Apnea University di Santa Teresa: si è spogliato a suon di musica per certe donne in festa della donna. – E che cosa hai fatto? – volevo sapere. – Non sarai mica gelosa, morbosa? – si è difeso a lungo. – Io l’ho fatto per te. – Per me? – Per farti risparmiare: i soldi e la vergogna, – dice Carlo col mento appoggiato al pugno chiuso, seduto a cavalcioni sulla sedia coi gomiti appoggiati alla spalliera, al modo di babbo, che non piaceva a mamma: – Non dici sempre che ti costo troppo? – I soldi sì, che sono lo sterco del diavolo, si sa, ma la vergogna? Io non lo sgrido del suo modo di sedere sulle sedie, lui però si alza e dà un colpo a terra con la sedia, come 99

cialmente adesso che la nostra piccola repubblica è<br />

friabile, ha bisogno di mura e contrafforti mai serviti<br />

prima. Perché se il mondo è così, mal combinato, noi<br />

dobbiamo continuare e essere una famiglia che fa legge<br />

a sé, dentro i suoi confini, piccola e sicura: – Una Sanmarino,<br />

non un Vaticano, – precisava babbo. E se fosse<br />

vissuto Rinaldino saremmo stati in cinque tutti uniti<br />

come le cinque dita di una mano. In quattro, siamo le<br />

quattro ruote motrici di un veicolo completo in strada<br />

e fuoristrada. E sì, e ce ne andavamo per la nostra strada,<br />

prima e dopo la morte <strong>dei</strong> due genitori, vaccinati<br />

per sempre contro l’idea di non avere dalla vita ciò che<br />

ci spetta, se Rinaldino non aveva avuto nulla. Il male<br />

del mondo… quello che fa soffrire, – ah sì, quello ci<br />

concerne, noi siamo concernuti, concerniti… insomma,<br />

ce ne importa, – ripeteva babbo: ma certi altri mali,<br />

che fanno vergogna, stavano sullo sfondo. Adesso sono<br />

in primo piano. E noi dentro.<br />

– Carlo, non badiamo a spese, badiamo a salvarti.<br />

Come suona male ogni volta. Ma intanto spogliamo<br />

la casa, dalla vecchia radio Philips Coda di Pavone degli<br />

anni trenta fino alla cassapanca dell’ingresso e al<br />

vecchio arazzo sardo del Seicento che la ricopriva.<br />

Quella mi manca troppo, e anche l’arazzo coi suoi pavoncelli<br />

rossi. Mi fa sentire povera, di antica povertà.<br />

Poi ci spogliamo della casa, che non è più nostra. Pago<br />

l’affitto da sei mesi alla banca che ne ha ancora l’ipote-<br />

98<br />

ca. Ma provo a consolarmi, mi dico che così non ho più<br />

l’assillo <strong>dei</strong> millesimi condominiali, di cui mi parla<br />

astrusamente Gonaria l’Orecchiona. Chissà cosa direbbe<br />

in giro lei se sapesse che il suo bel Carlo ci ha fatto<br />

prosciugare i conti in banca, i libretti postali e i buoni<br />

del tesoro ereditati, da anni lì a covare. Tutta la nostra<br />

economia domestica saltata in aria. E io a inorgoglirmi,<br />

come ultima risorsa, di questa specie di ascetica<br />

povertà. Beati i poveri, di spirito.<br />

Anche Carlo da tempo si è spogliato di ogni cosa sua.<br />

Anche nel vero senso Carlo si è spogliato, l’otto marzo<br />

dell’anno scorso, spogliato a pagamento, ha fatto lo<br />

spogliarello in un ristorante sulla costa Nord vicino alla<br />

sua Apnea University di Santa Teresa: si è spogliato a<br />

suon di musica per certe donne in festa della donna. – E<br />

che cosa hai fatto? – volevo sapere.<br />

– Non sarai mica gelosa, morbosa? – si è difeso a lungo.<br />

– Io l’ho fatto per te.<br />

– Per me?<br />

– Per farti risparmiare: i soldi e la vergogna, – dice<br />

Carlo col mento appoggiato al pugno chiuso, seduto a<br />

cavalcioni sulla sedia coi gomiti appoggiati alla spalliera,<br />

al modo di babbo, che non piaceva a mamma: – Non<br />

dici sempre che ti costo troppo?<br />

– I soldi sì, che sono lo sterco del diavolo, si sa, ma la<br />

vergogna?<br />

Io non lo sgrido del suo modo di sedere sulle sedie,<br />

lui però si alza e dà un colpo a terra con la sedia, come<br />

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