Untitled - L'Arte Antica Silverio Salamon

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Le barbe della puntasecca e l’inchiostro trascinato valorizzano l’effetto lucido della pelliccia e del velluto. L’equilibrio dei contrasti e le tonalità producono un senso spaziale pronunciato, benché irrazionale e misticheggiante. L’uomo e l’apparizione sono ancora più vividamente impressi poiché la creatività di Rembrandt non si è interrotta con il completamento dell’incisione in rame. In alcune stampe esistenti, l’artista lasciò ancora più inchiostro sull’incisione, oscurando i libri in distanza, che qui sono invece ancora visibili. Una recente ricerca sulla filigrana conferma che dopo la morte di Rembrandt si è proceduto a una rilavorazione dell’incisione nel secondo stato (creando così il terzo stato). L’inventario di Röver, che risale al 1731, riporta due stampe del “Dottor Faust”. Piuttosto che due stati diversi, è più verosimile che si trattasse di due stampe eseguite su due diversi tipi di carta. Quella di Faust ottenuta su carta con segatura ha un effetto più smorzato, ma tende a presentare zone di barbe più nette e distinte, quella ottenuta su carta giapponese tende a brillare con transizioni seriche più marcate fra la zona scura e la zona luminosa. Röver ha probabilmente apprezzato il fatto che gli effetti, pur nella loro diversità, erano ugualmente validi. L’incisione, cui viene normalmente attribuita la data del 1652, può essere confrontata con l’incisione Davide in preghiera, firmata e datata appunto 1652. In entrambe le opere, Rembrandt rappresenta momenti di alto significato spirituale o metafisico, calati in spazi circonfusi di luce molto fioca. La sparuta descrizione degli oggetti presenti nella stanza non solo va di pari passo con la nostra limitata percezione nel buio, ma aiuta anche a spostare la nostra attenzione dagli elementi fisici che ci stanno intorno alle problematiche dell’anima. La ricerca della filigrana suggerisce che l’esecuzione dell’incisione risalirebbe presumibilmente al 1653. Mentre l’opera era ancora in ottime condizioni, alcune incisioni del Faust furono stampate su una carta usata ripetutamente da Rembrandt per Le tre croci del 1653. (cfr. CLIFFORD S. ACKLEY-THOMAS E. RASIEUR-AA.VV. Rembrandt’s journey, Boston Chicago 2003-2004 n. 150). 53 PAYSAGE, 1959 (continua) E Clair: «La pittura, con lui, torna a essere la possibilità di rendere, con un po’ di terra, la luce. L’impressione della luce». Rendere l’oro bizantino di San Marco e di Ravenna, quasi fosse un umilisimo fango di luce («Per paradossale che possa sembrare è a Venezia che ho scoperto l’Oriente. Proprio io che venivo dell’Oriente»). E qui, quante «prove» testimoniali: da quei soavi, giovanili cavallini scalpitanti, strappati come affreschi, al primo studio che il compositore Malipiero gli concesse, negli abbaini di Palazzo Pisani, sede del Conservatorio. Da cui poteva dominare tutti i tetti di Venezia, lui abituato solo ai mammelloni desertici dei suoi dintorni bambini di Gorizia. A quell’interno grigio-luminoso, e spettrale come un’icona abbrustolita, del 1944, di San Marco, che poi avrebbe in seguito ripreso, tentando di ritrovare «il profondo silenzio e la grandiosità dello spazio delle cattedrali, facendo emergere forme illuminate dall’entrata quasi buia». Sotto quel sorriso di pietra calda e rassicurante del rosone romanico. Perché qualcosa di romanico, di bizantino e di rupestre si avverte sempre nella sua pittura «dimenticata». (M. VALLORA Music, La luce accecata nei deserti fantasma, La Stampa Tuttolibri, 1 giugno 2006).

INDICE DEGLI ARTISTI ALTDORFER A., 13 BEHAM H.S., 19 BEHAM B., 20 BOL F., 33 BONNARD P., 44, 45 BRUEGEL P. (da),21, 22 CALLOT J., 23 CASORATI F., 48 CASTIGLIONE G.B., 28 CHAGALL M., 49 COROT J.B.C., 37 CRANACH L., 12 DAUBIGNY C.F., 38 DE CHIRICO A. si veda Savinio A. DELLA BELLA S., 29, 30, 31, 32 DÜRER A., 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 ENSOR J., 41, 42 GOYA F., 36 IL CANALETTO, si veda Canal A. IL GRECHETTO, si veda Castiglione G.B. MAESTRO IB, 17, 18 MAGRITTE R. (da), 51 MARINI M., 52 MUSIC A.Z., 53 PICASSO P., 46, 47 REDON O., 39, 40 REMBRANDT H.V.R., 24, 25, 26, 27 SAVINIO A., 50 SCHONGAUER M., 1, 2 SCHONGAUER M. (da), 3 TAPIES A., 54 TOULOUSE-LAUTREC H., 43 VAN LEYDEN L., 14, 15, 16 VAN MECKENEM I., 4

Le barbe della puntasecca e l’inchiostro trascinato valorizzano l’effetto lucido della pelliccia e<br />

del velluto. L’equilibrio dei contrasti e le tonalità producono un senso spaziale pronunciato,<br />

benché irrazionale e misticheggiante. L’uomo e l’apparizione sono ancora più vividamente<br />

impressi poiché la creatività di Rembrandt non si è interrotta con il completamento<br />

dell’incisione in rame. In alcune stampe esistenti, l’artista lasciò ancora più inchiostro<br />

sull’incisione, oscurando i libri in distanza, che qui sono invece ancora visibili.<br />

Una recente ricerca sulla filigrana conferma che dopo la morte di Rembrandt si è proceduto a<br />

una rilavorazione dell’incisione nel secondo stato (creando così il terzo stato). L’inventario<br />

di Röver, che risale al 1731, riporta due stampe del “Dottor Faust”. Piuttosto che due stati diversi,<br />

è più verosimile che si trattasse di due stampe eseguite su due diversi tipi di carta. Quella<br />

di Faust ottenuta su carta con segatura ha un effetto più smorzato, ma tende a presentare zone<br />

di barbe più nette e distinte, quella ottenuta su carta giapponese tende a brillare con transizioni<br />

seriche più marcate fra la zona scura e la zona luminosa. Röver ha probabilmente apprezzato<br />

il fatto che gli effetti, pur nella loro diversità, erano ugualmente validi.<br />

L’incisione, cui viene normalmente attribuita la data del 1652, può essere confrontata con<br />

l’incisione Davide in preghiera, firmata e datata appunto 1652. In entrambe le opere,<br />

Rembrandt rappresenta momenti di alto significato spirituale o metafisico, calati in spazi circonfusi<br />

di luce molto fioca.<br />

La sparuta descrizione degli oggetti presenti nella stanza non solo va di pari passo con la nostra<br />

limitata percezione nel buio, ma aiuta anche a spostare la nostra attenzione dagli elementi<br />

fisici che ci stanno intorno alle problematiche dell’anima.<br />

La ricerca della filigrana suggerisce che l’esecuzione dell’incisione risalirebbe presumibilmente<br />

al 1653. Mentre l’opera era ancora in ottime condizioni, alcune incisioni del Faust furono<br />

stampate su una carta usata ripetutamente da Rembrandt per Le tre croci del 1653.<br />

(cfr. CLIFFORD S. ACKLEY-THOMAS E. RASIEUR-AA.VV. Rembrandt’s journey, Boston<br />

Chicago 2003-2004 n. 150).<br />

53 PAYSAGE, 1959 (continua)<br />

E Clair: «La pittura, con lui, torna a essere la possibilità di rendere, con un po’ di terra, la<br />

luce. L’impressione della luce». Rendere l’oro bizantino di San Marco e di Ravenna, quasi<br />

fosse un umilisimo fango di luce («Per paradossale che possa sembrare è a Venezia che ho<br />

scoperto l’Oriente. Proprio io che venivo dell’Oriente»). E qui, quante «prove» testimoniali:<br />

da quei soavi, giovanili cavallini scalpitanti, strappati come affreschi, al primo studio che il<br />

compositore Malipiero gli concesse, negli abbaini di Palazzo Pisani, sede del Conservatorio.<br />

Da cui poteva dominare tutti i tetti di Venezia, lui abituato solo ai mammelloni desertici dei<br />

suoi dintorni bambini di Gorizia. A quell’interno grigio-luminoso, e spettrale come<br />

un’icona abbrustolita, del 1944, di San Marco, che poi avrebbe in seguito ripreso, tentando<br />

di ritrovare «il profondo silenzio e la grandiosità dello spazio delle cattedrali, facendo emergere<br />

forme illuminate dall’entrata quasi buia». Sotto quel sorriso di pietra calda e rassicurante<br />

del rosone romanico. Perché qualcosa di romanico, di bizantino e di rupestre si avverte sempre<br />

nella sua pittura «dimenticata».<br />

(M. VALLORA Music, La luce accecata nei deserti fantasma, La Stampa Tuttolibri, 1 giugno<br />

2006).

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