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Untitled - L'Arte Antica Silverio Salamon

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In copertina:<br />

ALBRECHT DÜRER,<br />

Norimberga 1471 - 1528<br />

SANT’EUSTACHIO detto anche SANT’UBERTO, 1501 c.a<br />

catalogo n. 10<br />

In seconda e terza di copertina:<br />

PIERRE BONNARD,<br />

Fontenay-aux-Roses 1867 - Le Cannet 1947<br />

PLACE CLICHY, 1922<br />

catalogo n. 44<br />

Coordinamento logistico Elisabetta Rollier<br />

Collaborazioni tecniche Valentina Lutochin<br />

Elaborazioni fotografiche Lorenzo de Laugier<br />

Allestimento Benito Sclafani, Cristina Lopez Martinez<br />

STAMPE ORIGINALI ANTICHE E MODERNE LIBRI D’ARTE STAMPE GIAPPONESI<br />

© SAS L’ARTE ANTICA DI SILVERIO SALAMON 10121 TORINO ITALY 9, VIA A. VOLTA<br />

TEL. +39 0115625834 011549041 FAX +39 011534154 e-mail: salamons@tin.it www.salamonprints.com<br />

C.F. P. IVA IT 00470520016 C.C.I.A.A. 367559 TRIB. TO 59.65.1984


INCISIONI<br />

DI GRANDI MAESTRI<br />

DAL XV AL XX SECOLO<br />

AUTUNNO 2007<br />

CATALOGO n. 246<br />

In esposizione da<br />

Giovedì 25 Ottobre 2007<br />

10121 TORINO ITALY VIA A. VOLTA 9 TEL. +39 0115625834 +39 011549041<br />

FAX +39 011534154<br />

salamon@salamonprints.com www.salamonprints.com


MARTIN SCHONGAUER,<br />

Colmar 1435 c.a - 1491<br />

1 LA CROCIFISSIONE, 1480-82<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Lehrs V.151.27, Châtelet G92, Hollstein -German- XLIX.67.27,<br />

The Illustrated Bartsch Commentary (Campbell Hutchinson) 8 I.96.27.<br />

(mm. 162x115). [21060G]<br />

Superba e rarissima prova nell’unico stato. Impressa su carta databile alla fine<br />

del XV secolo. In buono stato di conservazione, si segnala la presenza di restauri<br />

ai quattro angoli e di tracce di vecchie incollature al verso. Completa alla<br />

linea marginale e con sottilissimo margine visibile a tratti oltre questa.<br />

Dalla serie: “La Passione”.<br />

Lehrs, nel suo studio sulla rarità delle stampe di Schongauer, stima esistenti<br />

circa 50 esemplari, compresi quelli conservati nei musei. Il dato è anche confermato<br />

dal recente studio di Campbell Hutschinson.<br />

Al verso:<br />

Appunti a penna evidentemente del XIX secolo, ma non decifrabili.<br />

Questa crocifissione che è probabilmente la più bella versione che Schongauer ha eseguito su<br />

questo tema, raggruppa intorno a Gesù gli apostoli preferiti e le sante che lo hanno accompagnato<br />

fino al Golgota. Giovanni (cfr. anche la Crocifissione con quattro angeli Lehrs V.95.14) è<br />

solo da una parte della croce la sua figura stabile ampiamente drappeggiata equilibra armoniosamente<br />

il gruppo implorante delle sante. Schongauer non ha rappresentato la Vergine in estasi<br />

come l’arte della fine del Medioevo e della Controriforma, ma con una posa più nobile e più<br />

addolorata. Maria, privata dell’aiuto del braccio di Giovanni, è caduta in ginocchio, le mani<br />

giunte distrutta dal dolore ma ancora cosciente ma unita a suo Figlio per la preghiera: alla Passione<br />

di Cristo risponde qui in tutta l’accezione del termine con la compassione di sua madre.<br />

Maria Maddalena che aveva profumato e asciugato con i suoi capelli i piedi di Gesù nella casa di<br />

Simone è prostrata presso gli stessi piedi martoriati che ella aveva bagnato prima delle sue lacrime.<br />

Di fianco alla Maddalena Schongauer ha disegnato nell’ombra una donna in più che<br />

manca normalmente nell’iconografia, forse Sant’Anna o forse una sibilla o semplicemente una<br />

donna del seguito di Gesù.<br />

“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di<br />

Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla<br />

madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel<br />

momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era<br />

stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno<br />

d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto* in cima a una canna e gliela accostarono<br />

alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo,<br />

spirò.” (Giovanni 19.25-30)<br />

*L’aceto dato a Gesù non fu un atto di spregio, bensì un aiuto per il dolore. La bevanda era<br />

detta dai romani ‘posca’, una pozione che le donne misericordiose preparavano con vino virato<br />

in aceto, mirra e fiele con altre sostanze; di fatto era uno stupefacente per alleviare il dolore.<br />

Nel Vangelo di Marco gli fu offerto prima della crocifissione e Gesù lo rifiutò.


MARTIN SCHONGAUER<br />

2 SAN TOMMASO, 1473-1480<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia:Lehrs V.220.46, Châtelet G38, Hollstein -German- XLIX.116.46,<br />

The Illustrated Bartsch Commentary (Campbell Hutchinson) 8 I.151.046.<br />

(mm. 89x51). [21061G]<br />

Splendida e rarissima prova nell’unico stato. Impressa su carta databile nella<br />

seconda metà del XV secolo. In perfetto stato di conservazione, ad eccezione<br />

di leggere abrasioni al verso lungo i margini perfettamente restaurate. Con<br />

sottilissimo margine tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Dalla serie: “Gli Apostoli”.<br />

Lehrs, nel suo studio sulla rarità delle stampe di Schongauer, stima esistenti<br />

circa 40 esemplari, compresi quelli conservati nei musei. Il dato è anche confermato<br />

dal recente studio di Campbell Hutschinson.<br />

Al verso:<br />

Timbro di collezione del Dr. Martin Friedrich Oppenheim (1888-1949) (Lugt<br />

1999a), libraio. Tra Cassel ed Amsterdam raccolse un grande numero di<br />

stampe antiche soprattutto della scuola olandese e tedesca. La sua collezione<br />

venne messa in asta tutta insieme nell’aprile del 1926 a Berlino.<br />

Nell’incidere gli Apostoli, Schongauer prende sempre più confidenza nell’uso del bulino, la<br />

sua mano si fa sempre più sicura e il suo tratto più elegante, dove la semplicità volumetrica di<br />

alcune figure preannunciano l’arte di Dürer.<br />

San Tommaso, pescatore della Galilea, divenuto discepolo di Gesù, l’apostolo incredulo degli<br />

Evangelisti, fu colui che dovette toccare con mano le piaghe del Cristo per credere alla sua resurrezione.<br />

È una figura particolare, che esprime un certo pessimismo quando Gesù intraprende l’ultimo<br />

viaggio verso Gerusalemme (nel Vangelo di Giovanni si ricordano le sue parole: Andiamo anche<br />

noi a morire con lui) e che rimane incredulo alla notizia della Resurrezione nel giorno di<br />

Pasqua (salvo poi ricredersi una settimana dopo e professare la sua fede con la frase Mio Signore<br />

e mio Dio).<br />

Ma non solo. Tommaso cerca di capire Gesù, e lo fa ponendo delle domande per trovare delle<br />

risposte concrete. Come quando chiede «Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo<br />

conoscere la via?» e Gesù afferma «Io sono la via, la verità e la vita». Dopo la morte di Cristo si<br />

perdono le sue tracce, ma tutt’ora esiste in India meridionale una comunità di Tommaso-cristiani,<br />

che si dice si sia convertita grazie all’apostolo.<br />

Secondo un’antica tradizione, Tommaso si recò ad evangelizzare prima la Siria e la Persia (come<br />

raccontato da Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica, che riferisce notizie tratte da<br />

Origene) e poi si spinse fino all’India occidentale (come raccontano gli Atti di Tommaso), da<br />

dove poi il cristianesimo raggiunse anche l’India meridionale.<br />

Nel 1258 le ossa di Tommaso, provenienti dall’Isola di Chio, nell’Egeo, vengono portate ad<br />

Ortona dal navigante ortonese Leone, reduce da una spedizione navale in appoggio ai Veneziani<br />

in lotta contro i Genovesi.<br />

Gli è stato attribuito un Vangelo apocrifo, il cosiddetto Vangelo di Didimo Thoma. Dato che<br />

“Tommaso” è un soprannome, poiché Tma in aramaico significa “gemello”, e che “Didimo”<br />

pure ha il medesimo significato in greco, “Didimo Tommaso” risulta una tautologia e possiamo<br />

dunque ritenere plausibile che il vero nome “di battesimo” dell’apostolo fosse Giuda,<br />

come peraltro appare in Taziano, nella Didaché e in Sant’Efrem il Siriano. Alcuni, sulla base<br />

del significato delle parole Tommaso e Didimo, sono giunti a ipotizzare che questo Apostolo<br />

fosse così soprannominato perché fratello gemello di Gesù.


MARTIN SCHONGAUER (da)<br />

Maestro anonimo del XV-XVI secolo<br />

3 SANT’ANTONIO TORMENTATO DAI DEMONI, 1470-73<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Lehrs V.247.54b, Hollstein -German- XLIX.132.54b, The<br />

Illustrated Bartsch Commentary (Campbell Hutchinson) 8 I.174.54C2.<br />

(mm. 311x223). [21062G]<br />

Splendida e rara prova nell’unico stato. Impressa su carta con la filigrana<br />

‘grande giglio in uno scudo’ databile nel XVI secolo segnalato per le prove più<br />

antiche di questa stampa. In eccezionale stato di conservazione, con sottilissimo<br />

margine tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Al verso:<br />

Un’antica scritta presumibilmente del XIX secolo.<br />

Si tratta del più bello ed antico foglio che riprende la celebre opera di Martin Schongauer, solo<br />

Callot ed Ensor si avvicinarono nell’arte incisoria a questa rappresentazione. Il fascino di questa<br />

immagine del Sant’Antonio ha indotto molti pittori a copiarla ed interpretarla. Si conoscono<br />

ben sette incisioni e numerose pitture; Vasari, nelle sue Le vite, racconta con certezza che<br />

Michelangelo ne fece una copia dipinta quando era nello studio del Ghirlandaio, quindi a soli<br />

13 anni.<br />

Sant’Antonio abate (Coma 256?-356) fu un santo eremita originario dell’Alto Egitto. È considerato<br />

l’iniziatore del monachesimo poiché conduceva una vita ascetica nel deserto. Come<br />

molti altri eremiti, egli ebbe visioni terribili tra cui l’assalto dei demoni con l’aspetto di bestie<br />

feroci e mostri che lo assalgono, gli strappano le carni e lo sollevano in aria. In seguito, il santo<br />

viene salvato dagli angeli e da Dio.


ISRAHEL VAN MECKENEM,<br />

Mechenheim 1440-45 – Bocholt 1503<br />

4 I GIOCHI DEI BAMBINI, oggi I BAMBINI, 1480 c.a<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso verso destra.<br />

Bibliografia: Hollstein –German – XXIV.479 II/II, Lehrs IX.479 II/II.<br />

(mm. 109x139). [22664G]<br />

Splendida ed estremamente rara prova nel secondo stato su due (del primo<br />

stato non esistono più di 10-12 prove). Impressa su carta coeva con la filigrana<br />

della ‘Y gotica con la croce’ (Lehrs 43), databile alla fine del XV secolo e<br />

caratteristica delle stampe di Israhel van Meckenem. In perfetto stato di conservazione,<br />

completa della parte incisa e con la linea marginale visibile sul lato<br />

destro e in molti tratti degli altri lati.<br />

Al verso:<br />

Timbro di collezione ‘C.F. in un rettangolo’ non riportato dal Lugt, ma segnalato<br />

alla Fondazione Custodia di Parigi per l’edizione del Lugt 2008-2009.<br />

Lehrs, nel suo studio sull’opera grafica di van Meckenem, stima esistenti circa<br />

80 esemplari tra il primo e il secondo stato, e compresi quelli conservati nei<br />

musei. Per la nostra esperienza gli esemplari esistenti sono molto meno. La<br />

letteratura considera questa stampa interpretazione di disegni perduti del<br />

Maestro del Libro di Casa (attivo in Germania alla fine del XV secolo - morto<br />

dopo il 1505).<br />

Sono bimbetti umani esili e seri, quelli dell’immagine di van Meckenem, non putti spesso dotati<br />

di alucce, o esserini dell’immaginario mitologico; e appaiono ben diversi anche dai molti<br />

bimbi della statuaria quattrocentesca, paffuti e ridenti. Piccoli impegnati, ognuno per conto<br />

proprio o in coppia, là dove decifrano segni su una tavoletta cerata, tipica dell’armamentario<br />

scolastico antico. Giocano? Direi piuttosto che, tranne quello che cavalca un cavallino di legno<br />

e lo colpisce con una frusta, sono occupati in imprese adultomorfe: versano o attingono acqua,<br />

circondati da arnesi propri della quotidianità dei “grandi”-tazze, recipienti, cuscini, cucchiai,<br />

oggetti certamente non ludiformi -. Questo aspetto l’hanno sì in comune con molta infanzia<br />

idealizzata dell’epoca : si tratta quasi sempre di bimbi che non sono oziosi, ma appaiono indaffarati<br />

in attività utili. L’ arte del XV secolo insiste su questa operosità non improduttiva del<br />

bambino, e pare continuare la tradizione classica che, secondo Filostrato di Lemno, autore del<br />

III secolo d.C., narra che Dedalo aveva affidato la pulizia del labirinto di Creta a dei putti, piccoli<br />

lavoratori ante litteram. Se anche tutti questi bimbi quattrocenteschi sono esaltati in alcuni<br />

tratti della loro bellezza, e appaiono al di fuori di ogni costrizione e fatica, si tratta pur sempre<br />

di piccoli stornati dai loro giochi – inutili se non oziosi agli occhi degli adulti - e rappresentati<br />

come impegnati – da chi e perché ? – in imprese mirate, i quali si avvalgono di arnesi del<br />

mondo adulto, che usano compatibilmente con la loro statura e le loro forze: sostengono colonne,<br />

reggono tende, raccolgono frutti, versano acqua, suonano strumenti, danzano in modo<br />

composto, cantano, pregano; imitano, insomma, comportamenti dei “grandi”, come lo fanno<br />

anche gli angioletti ormai infanti sacri della pittura e della grafica dell’epoca, e si dimostrano<br />

capaci di azioni mirabili, quale il Cristo Bambino che tiene il mondo nella sua manina. Nel<br />

farlo non sembrano né costretti né affaticati, ma allegri e divertiti, come se giocassero a loro piacere.<br />

Del gioco questo lavoro infantile presenta, infatti, dei residui: molto spesso, mentre operano<br />

in modo utile, si fanno dispetti l’un l’altro, si rincorrono, si rubano oggetti, disfano<br />

quanto un altro bambino compie: nel nostro caso si può pensare che il bambino con l’abitino<br />

lungo versi acqua e che il suo compagno non l’aiuti, ma vuoti il grande vaso che l’altro si industria<br />

a riempire, impedito nella sua attività dal bambino sdraiato sotto il recipiente, che lo<br />

allontana con un piedino, quasi a dire che il loro fare sta tra il gioco, attività elettiva del bambino,<br />

e il produrre socialmente accreditato del mondo adulto.<br />

Continua al fondo del catalogo


ALBRECHT DÜRER<br />

5 IL FIGLIOL PRODIGO GUARDIANO DI PORCI, 1496 c.a<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Meder 28 a/h.<br />

(mm. 246x190). [19023R]<br />

Superba prova nella rara prima variante su otto, ricca di contrasto e con ben<br />

visibili i graffi nel cielo sul muro e sui maiali caratteristici di questa variante.<br />

Impressa su carta con la filigrana del ‘P gotico con fiore’ (Meder 321) e databile<br />

nel primo quarto del XVI secolo. Questa filigrana normalmente si riferisce<br />

alla terza variante su otto (c/h), ma la qualità e i graffi (creati ad arte da Dürer)<br />

sono quelli della prima variante (a/h). In perfetto stato di conservazione, ad<br />

eccezione di abrasioni al verso sul margine superiore ed inferiore tutto perfettamente<br />

restaurato. Con sottilissimo margine visibile a tratti oltre<br />

l’impronta del rame.<br />

Le illustrazioni di questa scena sono estremamente rare e, prima di Dürer, erano alquanto stereotipate.<br />

Il testo, che dice che il giovane fu mandato “nei campi a pascere i porci”, evocava il ricordo<br />

degli idilli pastorali ellenistici, e nei pochi esemplari bizantini che ci sono pervenuti la<br />

scena sembra una combinazione dei rilievi che adornano i fianchi dei sarcofagi di Endimione<br />

con la pagina della “Alimentazione dei maiali” nei calendari medievali: il figliuol prodigo sta<br />

appoggiato al bastone nell’atteggiamento canonico di un pastore elegiaco mentre un aiutante<br />

scrolla le ghiande da un albero. Questo schema è ancora conservato nelle uniche rappresentazioni<br />

facilmente accessibili a Dürer, cioè nelle silografie strettamente imparentate che si trovano<br />

nelle appendici delle edizioni dello Speculum Humanae Salvationis di Bernard Richel (Basilea<br />

1476) e di Peter Drach (Spira 1478), tranne per il fatto che il bastone del pastore classico è sostituito<br />

con una massiccia mazza, l’aiutante è tralasciato e i maiali mangiano da un truogolo invece<br />

che aspettare le ghiande. È evidente che Dürer conosceva una delle illustrazioni dello<br />

Speculum, o tutte e due. Ma egli introdusse due importanti cambiamenti iconografici: da una<br />

parte, la scena è ambientata, anziché nei “campi” in una cascina, la cui magistrale caratterizzazione<br />

crea un’atmosfera di rusticità autentica e insieme intensamente poetica; dall’altra, questa<br />

straordinaria accentuazione dei valori di genere - un elemento pericoloso nell’arte religiosa - è<br />

controbilanciata da un incremento drammatico: il figliuol prodigo non è più ritto accanto ai<br />

porci in atteggiamento funereo, ma è caduto in ginocchio in mezzo ad essi, torcendosi le mani<br />

con amaro rimorso, e mentre si degrada letteralmente al livello delle bestie, solleva gli occhi e i<br />

pensieri al cielo di Dio. Appunto questa combinazione dell’elemento rustico con quello emozionale<br />

conquistò l’ammirazione del mondo. Gli italiani copiarono infinite volte questa incisione<br />

(che fornì persino il modello a una miniatura persiana) in ogni sorta di tecnica, e Vasari<br />

scrisse: “In un’altra [carta mandò fuori] il figliuol prodigo, il quale stando a uso di villano ginocchioni<br />

con le mani incrocicchiate, guarda il cielo, mentre certi porci mangiano in un trogolo;<br />

ed in questa sono capanne a uso di ville tedesche, bellissime”.<br />

(E. PANOFSKY La vita e le opere di Albrecht Dürer, Londra 1965 Milano 1967, pag.102).


ALBRECHT DÜRER<br />

6 LA VERGINE SULLA MEZZALUNA CON IL DIADEMA, 1514<br />

Bulino, monogrammato e datato in lastra in basso a destra.<br />

Bibliografia: Meder 35 a/c.<br />

(mm. 118x75). [17858G]<br />

Superba prova nella rarissima prima variante su tre. Impressa su carta senza<br />

filigrana, databile nel primo quarto del XVI secolo e caratteristica di questa variante.<br />

In perfetto stato di conservazione, incollata su un supporto di carta<br />

antica con i timbri sotto riportati. Con sottilissimo margine tutt’intorno oltre<br />

l’impronta del rame.<br />

Al verso:<br />

Timbro di collezione di Wilhelm Eduard Drugulin (Lipsia 1825-1879) (Lugt<br />

2612). Drugulin fondò una delle più antiche gallerie di stampe tedesche; divenne<br />

poi editore, ma continuò a collezionare per il proprio piacere stampe<br />

antiche. Queste furono poi vendute in numerose parti del mondo (Lipsia,<br />

Parigi, Londra) in varie aste tra il 1855 e il 1879 ed ottennero tra i prezzi più<br />

alti mai realizzati fino a quel periodo.<br />

L’immagine della Vergine “stante in gloria” o in trono discende dall’antica iconografia orientale<br />

e si trova per lo più negli affreschi e nelle sculture delle chiese medioevali. Essa riflette il<br />

particolare ruolo della Vergine che rappresenta l’essenza della chiesa, cioè il simbolo della<br />

stessa madre chiesa che regna sull’umanità con ineffabile saggezza.<br />

Nell’iconografia medioevale, l’immagine della Madonna è assai più grande di quelle che la circondano,<br />

per rimarcare ulteriormente la maestà della figura. Sotto i suoi piedi è rappresentata la<br />

mezzaluna, antico simbolo di castità. Questa immagine si può anche rifare alla donna dell’Apocalisse<br />

“vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici<br />

stelle” (Apocalisse 12,1), il cui significato era originariamente incerto. Inizialmente la donna era<br />

un simbolo della chiesa e la sua identificazione con la Madonna fu una interpretazione<br />

medioevale (XIII secolo) di San Bonaventura. Dürer ha più volte iterato questo soggetto, sia<br />

col bulino sia in silografia.


ALBRECHT DÜRER<br />

7 LA SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNI, MADDALENA E NICODEMO,<br />

1512 c.a<br />

Puntasecca.<br />

Bibliografia: Meder 44 IIab/b/(IIIc)(IV)*.<br />

(mm. 210x188). [6527B]<br />

Magnifica prova in una rarissima variante intermedia tra la prima e la seconda<br />

del secondo stato su tre. Impressa su carta con la filigrana ‘grandi porte di<br />

città’ (Meder 260), databile nella prima metà del XVI secolo e caratteristica di<br />

questa stampa. In perfetto stato di conservazione, con sottile margine visibile<br />

a tratti sul lato inferiore e destro e completa della parte incisa sui restanti lati.<br />

Al verso:<br />

La firma e la data ‘1824’ del cavalier Josef Guillaume Jean Camberlyn (Gand<br />

1783-Bruxelles 1861) (Lugt 428). Terminata la carriera militare nel 1830,<br />

Camberlyn si dedicò esclusivamente agli studi sulle stampe intrattenendo relazioni<br />

con tutti i principali collezionisti europei. La sua collezione, venduta a<br />

Parigi tra il 1865 e il 1867, constava di ben 4.000 fogli.<br />

Timbro del collezionista Robert Scholtz (Strachwitz, Slesia Prussiana 1834-<br />

Budapest 1912) (Lugt 2241). Lugt sottolinea la bellezza dei Dürer di questa<br />

collezione.<br />

Il graffio sul viso della Vergine è stato provocato sicuramente dallo stesso<br />

Dürer il quale, per qualche motivo a noi sconosciuto, aveva rifiutato la lastra.<br />

Infatti questa non è del tutto rifinita e non porta nè la data nè la firma.<br />

Secondo Panofsky questo avvenne lo stesso anno dell’esecuzione.<br />

La carta con la filigrana delle ‘grandi porte di città’ (Meder 260-63) è<br />

classificata da Meder come postuma datandola in accordo con Briquet con<br />

varie datazioni successive al 1523, ma vi sono molte prove che questa<br />

asserzione è errata. Si trova questa filigrana sulle prove di stampa del<br />

frontespizio de L’Apocalisse (Meder 163), pertanto antecedente al 1511, anno<br />

di pubblicazione della serie. Walter Strauss, nel suo The complete drawings of<br />

Albrecht Dürer ha identificato questa filigrana in almeno due disegni, una<br />

Madonna con Bambino (Strauss III.1515/76), e in un Leone all’acquarello<br />

(Strauss III.1518/26). Infine, un esemplare di questa stampa, donata da Dürer<br />

al re Cristiano II di Danimarca nel 1521, porta questa filigrana.<br />

(Cfr. W.L. STRAUSS The complete drawings of Albrecht Dürer, New York<br />

1974, pag. 352 addenda; Il diario di Dürer, 3 luglio 1521).<br />

*vedi numero successivo<br />

La Sacra Famiglia ricorda, forse non per caso, la Madonna della libellula (Meder 42), che era a<br />

sua volta influenzata dall’unico precursore di Dürer nell’uso della puntasecca, il Maestro del<br />

Libro di Casa. In entrambi i casi la Vergine Maria sta seduta su un sedile erboso mentre San<br />

Giuseppe, che siede a terra accanto a lei, è visibile solo per metà. Ma egli non è in atto né di giocare<br />

né di dormire: dignitoso e grave, assomiglia a un compassato profeta anziché svolgere il<br />

suo più comune ruolo patetico o anche leggermente comico. È veramente interpretato come<br />

un veggente di tragedia giacché lui e non la Vergine serena avverte la presenza delle tre<br />

misteriose figure che sono emerse dietro il gruppo della madre con il bambino. Si tratta di San<br />

Giovanni evangelista, di Nicodemo e della Maddalena con il suo vaso di unguenti - i testimoni<br />

della passione. Essi riempiono tutta la zona in alto a destra della composizione mentre quella<br />

Continua al fondo del catalogo


ALBRECHT DÜRER<br />

8 LA SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNI, MADDALENA E NICODEMO,<br />

1512-13<br />

Puntasecca.<br />

Bibliografia: Meder 44 IV/IV.<br />

(mm. 207x183). [6526B]<br />

Magnifica e rarissima prova nel quarto stato su quattro finora non catalogato.<br />

Impressa su carta databile alla metà del XVIII secolo. In perfetto stato di conservazione,<br />

con piccoli margini tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

In questo stato finora sconosciuto la lastra è stata accuratamente pulita dai graffi e dai numerosi<br />

difetti. Inoltre, tutte le figure sono state riprese forse all’acquaforte e nell’intento dell’artigiano<br />

c’era la volontà di restaurare la lastra come Dürer la inventò; in realtà l’immagine risulta decisamente<br />

stravolta dal progetto Düreriano, un pò come la tiratura di Baille del Cento fiorini (W.B.<br />

74) di Rembrandt, e di alcune stampe di Lucas van Leyden. Sicuramente nel tempo questa<br />

stampa è stata considerata una copia senza importanza, ma un attento studio delle linee rimaste<br />

intatte porta alla conclusione certa che l’impressione è tratta dalla lastra originale pur malamente<br />

modificata. D’altro canto non solo questa stampa o quella di Rembrandt hanno avuto<br />

nei secoli questo stravolgimento.<br />

Si veda scheda critica al numero precedente.


ALBRECHT DÜRER<br />

9 LA MADONNA CON IL BAMBINO IN FASCE, 1520<br />

Bulino, monogrammato e datato in lastra in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Meder 40 a/e.<br />

(mm. 141x94). [13349A]<br />

Splendida prova nella rarissima prima variante su cinque. Impressa su carta<br />

con la filigrana della ‘piccola brocca’ (Meder 158) databile al 1525 e caratteristica<br />

della prima variante come descritto da Meder. In perfetto stato di conservazione,<br />

ad eccezione di abrasioni al verso sul lato superiore, inferiore e<br />

destro perfettamente restaurate. Completa alla linea marginale.<br />

Una tipologia, che fa la sua prima comparsa nella pittura dell’Italia settentrionale nel secolo<br />

XIV, è la ‘Madonna dell’Umiltà’ (a volte l’immagine sacra reca la scritta: Nostra Domina de<br />

Humilitate); il suo tratto principale è l’essere seduta a terra, a volte sopra un cuscino. Per i teologi<br />

medievali l’umiltà era la virtù dalla quale scaturivano tutte le altre, concetto che ben si addiceva<br />

alla Vergine dalla quale era stato generato il Cristo. Il significato devozionale<br />

dell’immagine era affidato, soprattutto nella pittura dei secoli XV e XVI, non tanto alle soluzioni<br />

iconografiche quanto alla presenza di oggetti simbolici retti dal Bambino o dalla<br />

Vergine, oppure posati presso di loro, o ancora come in questo caso, dal Bambino in fasce<br />

simbolo assoluto della devozione materna interesse e bisogno della Chiesa cristiana di disporre<br />

di una figura materna, che era sempre stato oggetto di venerazione, al centro di molte religioni<br />

più antiche.<br />

L’ultima delle Madonne del Dürer è scultorea se paragonata alla Madonna con la pera (Meder<br />

33). La schematizzazione delle forme del corpo, che ricorda il poliedro della Melencolia, sorpassa<br />

quello della Madonna coronata da due angeli (Meder 38). (Cfr. E. PANOFSKY La vita e le<br />

opere di Albrecht Dürer Londra 1965 Milano 1967).


ALBRECHT DÜRER<br />

10 SANT’EUSTACHIO detto anche SANT’UBERTO, 1501 c.a<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Meder 60 b/k.<br />

(mm. 352x257). [22662G]<br />

Superba prova ricca di tonalità, in particolare lungo l’albero sopra il cavallo,<br />

nella rarissima seconda variante su dieci. Impressa su carta con la filigrana<br />

della ‘alta corona’ (Meder 20), caratteristica di questa variante e delle prove più<br />

antiche di tutte le stampe di Dürer, databile tra il 1480 e il 1520. In perfetto<br />

stato di conservazione, ad eccezione di pieghe orizzontali e verticali caratteristiche<br />

di fogli di queste dimensioni. Si segnala la presenza di crepe lungo i<br />

margini, di abrasioni al verso, di restauri agli angoli, in alto sotto il castello e<br />

sul cane in basso a destra. Tutti i restauri sono stati perfettamente eseguiti e<br />

praticamente invisibili al recto. Completa della parte incisa e con sottilissimo<br />

margine visibile in alcuni tratti oltre la linea marginale.<br />

Questo superbo arazzo, che è anche la sua più grande incisione su rame, ci attrae più per il paesaggio<br />

e per gli animali rappresentati che per il fatto descritto. Dürer non si è mai tanto avvicinato<br />

ad una composizione che si potrebbe considerare del tipo eyckiano. La moltitudine di<br />

particolari, perfettamente curati anche nelle scene più lontane, fino a rappresentare un volo di<br />

uccelli intorno al torrione, l’estrema cura nel disegnare i levrieri (evidentemente ripresi dal<br />

Pisanello) in tutte le possibili posizioni, il cavallo che poi riprenderà in altre sue opere, il cervo<br />

“inserito” nella composizione su una collinetta tra due alberi, o soltanto l’erba e i fiori così<br />

mirabilmente disegnati, danno all’insieme, proprio per il perfetto equilibrio, un’impressione<br />

di monumentalità eccezionale. Un’opera dove Dürer ha, primo fra tutti, raggiunto la massima<br />

abilità nell’uso del bulino (verrà superato, come vedremo in seguito, solo da sé stesso) risolvendo<br />

il difficile problema del pelo degli animali (nell’incisione a bulino peli, capelli e penne<br />

tendono, come nella scultura, a risolversi in innaturali motivi decorativi). Vasari nel suo Le<br />

vite, lo interpretò come uno sforzo personale per non farsi superare da Luca di Leyda “né in<br />

quantità né in bontà d’opera”. Il maestro poi, e di questo resta traccia nei numerosi studi dal<br />

vero, ha voluto rispettare e rendere scientifiche le vere proporzioni degli animali. Probabilmente,<br />

con questa stampa, avrebbe voluto illustrare un capitolo delle sue mai scritte Lezioni di<br />

pittura.<br />

Sant’Eustachio (morto nel 118), figura leggendaria di martire, era un ufficiale de l’esercito di<br />

Traiano. Secondo la tradizione si convertì al cristianesimo per avere visto, durante una battuta<br />

di caccia, un cervo che portava tra le corna una croce luminosa. Una voce gli disse che come<br />

prova della sua nuova fede avrebbe dovuto subire molte tribolazioni. Fu battezzato e assunse<br />

il nome di Eustachio abbandonando quello di Placido. La sua leggenda, che manca di basi storiche,<br />

prosegue narrando di un suo viaggio in Egitto insieme con la famiglia, durante il quale il<br />

capitano della nave catturò sua moglie in cambio del prezzo della traversata, che egli non aveva<br />

da corrispondergli. Dopo avere attraversato il Nilo con uno dei figli, mentre tornava a prendere<br />

il secondo vide i suoi figli vittima di un leone e di un lupo che balzarono loro addosso<br />

sulle due rive del fiume. Alla fine l’intera famiglia fu miracolosamente riunita. Più tardi però<br />

Eustachio e i suoi subirono il martirio venendo arrostiti all’interno di un toro di bronzo<br />

infuocato.<br />

La stessa visione ebbe, secondo la tradizione, anche Sant’Uberto (morto nel 727), vescovo di<br />

Togern e poi di Liegi. Secondo una leggenda non molto antica, da giovane egli era dedito ai<br />

piaceri mondani e amava soprattutto cacciare. Un venerdì santo, durante una battuta di caccia,<br />

d’improvviso si trovò di fronte un cervo bianco con un crocifisso tra le corna. A causa di<br />

quella visione si convertì al cristianesimo.<br />

(J. HALL Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte Londra 1974 Milano 1983, pag.168,<br />

pag.405).


ALBRECHT DÜRER<br />

11 ECCE HOMO, 1497-1500<br />

Silografia, monogrammata in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Meder 118 Ib/b(V).<br />

(mm. 394x284). [6408B]<br />

Magnifica prova nella seconda variante su due della rarissima prima edizione<br />

su cinque antecedente l’edizione con il testo latino del 1511. Impressa su carta<br />

databile agli inizi del XVI secolo. In perfetto stato di conservazione, ad eccezione<br />

di leggere crepe perfettamente restaurate e di un restauro ben eseguito<br />

sul margine inferiore. Completa della linea marginale.<br />

Dalla serie: “La Grande Passione”.<br />

L’Ecce Homo riprende il filo dell’evoluzione al punto preciso che era stato raggiunto al termine<br />

dell’Apocalisse. Ricorda infatti il Martirio di San Giovanni per il fatto che in entrambe<br />

una importante funzione è svolta da una folla e che i governanti pagani sono rappresentati<br />

come turchi, interessante sopravvivenza della tendenza medievale a confondere a tal punto il<br />

paganesimo islamico e quello classico che una tomba romana poteva essere chiamata la sepoltura<br />

d’un sarazin. Ma mentre la folla del Martirio di San Giovanni è separata dall’avvenimento<br />

principale mediante l’accorgimento meccanico di un parapetto, la silografia dell’Ecce Homo<br />

trova per lo stesso problema una soluzione puramente ottica.<br />

Il palazzo di Pilato (di stile gotico fiammeggiante, ma caratterizzato come edificio pagano dalla<br />

statua di un satiro dal piede caprino) è rappresentato in forte scorcio in modo che un vicolo<br />

obliquo viene a formarsi tra il popolo e il gruppo di Cristo, Pilato e un servo che appaiono<br />

sul portico del palazzo. Si è spesso osservato che questo scorcio non è prospetticamente corretto:<br />

i quattro scalini del portico convergono in un punto di fuga e le linee orizzontali del<br />

muro del palazzo in un altro. Ma proprio questo errore, per quanto nocivo all’armonia formale<br />

della composizione, serve a sottolinearne il significato. Invece di ‘determinare prima lo<br />

spazio e poi inserirvi le figure’, per dirla con un teorico italiano, Dürer, non ancora familiare<br />

con un sistema rigoroso di costruzione prospettica, immaginò prima le figure e in seguito aggiunse<br />

gli elementi che determinano lo spazio. Era quindi naturale che l’architettura riflettesse<br />

il carattere antitetico dell’avvenimento piuttosto che l’unità spaziale. La discordanza fra i due<br />

punti di fuga - quello dei gradini è situato proprio nel centro della folla, quello del muro del<br />

palazzo al livello della testa del Cristo e nettamente al di fuori della raffigurazione - è un simbolo<br />

visuale del contrasto tra il Salvatore e la moltitudine ostile, proprio come nel Martirio di<br />

San Giovanni le maggiori dimensioni dell’imperatore romano sono un simbolo visuale della<br />

sua posizione sociale.<br />

(E. PANOFSKY La vita e le opere di Albrecht Dürer Londra 1965 Milano 1967, pag. 81).


LUCAS CRANACH il VECCHIO,<br />

Cranach 1472 - Weimar 1553<br />

12 IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO CON GLI ANGELI DANZANTI,<br />

prima versione, 1509<br />

Silografia, monogrammata e datata in lastra in basso a destra.<br />

Bibliografia: Hollstein –German- VI.17.7 I/II, Geisberg II.506.540.<br />

(mm. 290x190). [21054G]<br />

Splendida e rarissima prova nel primo stato su due. Impressa su carta con la<br />

filigrana della ‘piccola alta corona’ non meglio identificabile, ma sicuramente<br />

databile nel primo quarto del XVI secolo. In perfetto stato di conservazione,<br />

ad eccezione di leggere abrasioni al verso e di due pieghe centrali non visibili al<br />

recto, tutto perfettamente restaurato. Con sottilissimo margine visibile a tratti<br />

oltre la linea marginale.<br />

Al verso:<br />

Timbro della collezione di Bernhard Keller (Schaffhouse 1789-1870). Fu un<br />

grande collezionista di stampe di tutte le epoche dal Quattrocento al Settecento.<br />

Lugt segnala che la scuola tedesca era rappresentata con fogli di grandissima<br />

qualità.<br />

Questa prima versione del Riposo durante la fuga in Egitto è corretta rispetto alla iconografia<br />

classica con l’asino e il fagotto portato dagli angeli in primo piano. Si narra che gli angeli, come<br />

si vede nella stampa a destra, abbassano le foglie di palma al fine che potessero raccogliere i datteri;<br />

si narra anche nei Vangeli Apocrifi che un uomo, qui non rappresentato, avesse aiutato la<br />

Sacra Famiglia nella fuga e sempre secondo i Vangeli Apocrifi quest’uomo doveva essere il ladrone<br />

Disma che fu il primo a pentirsi quando fu crocifisso accanto a Gesù.


ALBRECHT ALTDORFER,<br />

Altdorf 1480 c.a - Ratisbona 1538<br />

13 SAN GEROLAMO NELLA GROTTA, 1515<br />

Silografia, monogrammata in lastra al centro verso il basso.<br />

Bibliografia: Hollstein –German- I.261.60, New Hollstein (Mielke) W.60,<br />

Winzinger 82 c/g.<br />

(mm. 168x120). [c/v]<br />

Splendida e rarissima prova nella terza variante su sette. Impressa su carta con<br />

la filigrana del ‘piccolo stemma degli Asburgo’ (Winzinger 27, Briquet 2119)<br />

databile nel primo decennio del XVII secolo. In perfetto stato di conservazione,<br />

ad eccezione di due leggerissimi difetti perfettamente restaurati agli angoli<br />

superiori. Completa della linea marginale e con sottilissimo margine visibile<br />

in alcuni tratti oltre questa.<br />

Al verso:<br />

Timbro della collezione del Dott. Cristian David Ginsburg (Regno Unito<br />

1831-1914) (Lugt 1145). Ginsburg, avvocato, era specialista in bibliofilia ebrea<br />

e visse a Palmer’s Green nel Middlesex e riunì una collezione di stampe di<br />

tutte le scuole di cui Lugt ricorda in particolare i Dürer, la scuola tedesca del<br />

XVI secolo e i Rembrandt. La sua collezione fu venduta daSotheby’s a Londra<br />

nell’estate del 1915.<br />

Winzinger, nel suo studio sulla rarità delle stampe di Altdorfer, stima esistenti<br />

circa 60 esemplari della tiratura antica cioè prima del 1650.<br />

Questa lastra fa parte della celebre collezione Derschau conservata a Berlino<br />

di cui molte lastre furono distrutte dai bombardamenti alla fine della seconda<br />

guerra mondiale. Questa lastra comunque è sopravvissuta e nel 1963 a titolo<br />

di esperimento vennero stampati pochissimi esemplari su carta del Giappone,<br />

mai messi in vendita.<br />

Eusebio Gerolamo Sofronio nacque a Stridone in Dalmazia nel 342, e studiò a Roma, dedicandosi<br />

particolarmente ai classici, per i quali sviluppò una passione che gli sarebbe durata per<br />

tutta la vita. Fece lunghi viaggi in Italia ed in Gallia, visse da eremita in Palestina e poi tornò a<br />

Roma dove, dopo aver ricevuto l’ordinazione, entrò nel clero della città e divenne segretario<br />

del papa. Infine, essendosi inimicato coloro che lo circondavano, ritornò in Palestina e si stabilì<br />

a Betlemme. Passò il resto della sua vita traducendo e commentando la Bibbia e divenne il<br />

più erudito biblista della sua epoca; se ne rendeva conto, e per questo era portato ad offendersi<br />

per ogni opposizione al suo modo di pensare. Tuttavia sapeva ammettere le proprie mancanze,<br />

particolarmente l’asprezza del proprio carattere, con l’umiltà piuttosto burrascosa, ma virile.<br />

La posizione che occupa come esponente del dogma cattolico è ancora la più alta che sia mai<br />

stata attribuita ad un biblista. Gerolamo morì a Betlemme nel 420, ed è venerato ufficialmente<br />

come dottore della Chiesa.


LUCAS VAN LEYDEN,<br />

Leyden 1494 - 1533<br />

14 LAMECH E CAINO, 1524<br />

Bulino, monogrammato e datato in lastra in alto a sinistra.<br />

Bibliografia: Hollstein -Dutch and Flemish- X.66.14, New Hollstein (Filedt<br />

Kok) 43.14 a/b.<br />

(mm. 119x76). [20800A]<br />

Splendida prova con toni argentei nella rara prima variante su due dell’unico<br />

stato. Impressa su carta databile nel primo quarto del XVI secolo. In perfetto<br />

stato di conservazione. Con sottilissimo margine tutt’intorno oltre<br />

l’impronta del rame.<br />

Al verso:<br />

Timbro di collezione ‘F coronata’ (Lugt 961) non identificato, ma certamente<br />

non quello del Principe Ferdinando di Sax Coburg che è molto più tardo (il<br />

timbro sembra molto simile).<br />

Timbro di collezione del Gabinetto delle Stampe di Stettino in Pomerania<br />

(Germania, sul Baltico) (Lugt 2312d). Vi sono inoltre la data ‘1907’ in inchiostro<br />

bruno e una scritta a matita non identificabile.<br />

La stampa proviene dall’importante galleria Craddock & Barnard di Londra<br />

(allegato il passe-partout con cui fu venduta). Barnard fu l’autore, insieme a<br />

Biörklund, del famoso catalogo ragionato Rembrandt’s Etchings: True and<br />

False ( Stoccolma, Londra, New York 1968).<br />

La vicenda raccontata da Luca è riportata in una versione apocrifa della Bibbia detta La caverna<br />

del tesoro. Lamech era un cacciatore cieco che andava a cercare la selvaggina con suo figlio, il<br />

quale gli indicava in quale direzione lanciare la freccia. Sentendo dei rumori nel bosco, Lamech<br />

pensò fosse un animale e scoccò la freccia in direzione del rumore. Mandò poi il figlio a vedere<br />

cosa aveva cacciato e questi riconobbe nella vittima Caino che si aggirava nel bosco senza trovare<br />

pace per l’uccisione del fratello Abele.


LUCAS VAN LEYDEN<br />

15 IL TRIONFO DI MORDECAI, 1515<br />

Bulino, monogrammato e datato in lastra in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Hollstein -Dutch and Flemish- X.84.32 I/III, Jacobowitz-<br />

Stepanek 48 II/IV, New Hollstein (Filedt Kok) 61.32 IIa/b/IV.<br />

(mm. 209x286). [20802A]<br />

Splendida, rara e delicata prova ricca dei mezzi toni, propri della tecnica di<br />

stampa di Luca che cercava di “colorare” la lastra monocomatica, nella prima<br />

variante su due del secondo stato su quattro. Impressa su carta con la filigrana<br />

della ‘piccola brocca con croce’ (Filedt Kok 270.7b, Briquet 12500-<br />

12502), databile nei Paesi Bassi tra il 1518 e il 1533. In perfetto stato di conservazione,<br />

con sottilissimo margine visibile a tratti oltre la linea marginale.<br />

Sulla base di documenti che descrivevano le spese sostenute per addobbare la città di Leyda per<br />

accogliere il 14 giugno 1515 Carlo V, si è venuti a conoscenza che anche la milizia a cui apparteneva<br />

Luca vi partecipò, in alta uniforme e seguendo la processione con 56 torce.<br />

Luca probabilmente vide in questa occasione dei potenziali clienti che avrebbero desiderato<br />

portarsi a casa un ricordo artistico dell’avvenimento. Il cavallo ha alcune analogie con quello<br />

eseguito da Dürer nel suo famoso Il cavaliere, la morte e il diavolo (Meder 74).<br />

La scena è presa dal sesto capitolo del libro di Ester ed offre l’esempio di un uomo colpito<br />

dalla sua stessa arroganza: “Ora nella cittadella di Susa c’era un Giudeo chiamato Mardocheo,<br />

figlio di Iair, figlio di Simei, figlio di un Beniaminita, che era stato deportato da Gerusalemme<br />

fra quelli condotti in esilio con Ieconìa re di Giuda da Nabucodònosor re di Babilonia”. Luca<br />

scelse di illustrare il momento in cui il re Asuero obbliga Aman, che desiderava la morte di<br />

Mordecai, ad onorarlo con le stesse onorificenze proposte per sé stesso. Aman, sconfortato ed<br />

umiliato, conduce l’astuto Mordecai sul cavallo del re con le vesti reali, in una processione<br />

trionfale attraverso la città.<br />

Nella descrizione biblica, Mardocheo abita nella città di Susa in Persia con la sua cugina, nata<br />

orfana, Ester e che egli ha accolto ed allevato come sua propria figlia. Ester entra nell’harem del<br />

re Assuero e diventa regina. Mardocheo occupa un posto a palazzo che gli permette di essere<br />

vicino al re ed alla sua corte. Egli scopre così un complotto di eunuchi contro la persona del re.<br />

Il complotto viene scoperto e questo servizio reso da Mardocheo è annotato nei registri reali.<br />

Mardocheo è inoltre in conflitto con Amàn, il ministro del re, il quale non può sopportare che<br />

Mardocheo sia il solo personaggio della corte a non prostrarsi davanti al re. Il giudaismo infatti<br />

permette di prostrarsi solamente davanti a Dio.<br />

Amàn prepara un decreto per far uccidere nell’impero persiano tutti gli esiliati di orgine giudaica.<br />

L’esecuzione di questo decreto è pianificata con la scelta di una data di esecuzione.<br />

Mardocheo ed Ester influenzano il re perché permetta ai giudei di difendersi. Il piano di sterminio<br />

si ritorce contro quelli che lo avevano organizzato. Amàn viene ucciso con i suoi figli<br />

ed i giudei sono salvati.


LUCAS VAN LEYDEN<br />

16 LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO, 1509<br />

Bulino, monogrammato e datato in lastra in basso verso destra.<br />

Bibliografia: Hollstein -Dutch and Flemish- X.129.107, New Hollstein (Filedt<br />

Kok) 113.107 Ib/c/III.<br />

(mm. 282x405). [20799A]<br />

Magnifica prova nella seconda variante su tre del primo stato su tre. Impressa<br />

su carta con la filigrana ‘mezzaluna incoronata con il quadrifoglio’ (Briquet<br />

5310, Filedt Kok 262.1) databile intorno alla metà del XVI secolo. In perfetto<br />

stato di conservazione, tracce di piega centrale visibile solo al verso. Con sottilissimo<br />

margine visibile a tratti oltre la linea marginale.<br />

Già citata dal Vasari nelle sue Le Vite, La conversione di San Paolo rappresenta il primo cimento<br />

di Luca in un’opera di queste dimensioni, decisamente rara a quel tempo. Incise altre<br />

quattro volte lastre di questa ampiezza che si adattavano particolarmente bene alla sua ambiziosa<br />

predilezione per complessi gruppi di figure in elaborati paesaggi [Ecce homo (Hollstein<br />

D&F X.106,71); L’adorazione dei Magi (Hollstein D&F X.89.37; Il Golgota (Hollstein D&F<br />

X.109.74); La danza di Santa Maria Maddalena (Hollstein D&F X.144.122)].<br />

La conversione di San Paolo, raccontata negli Atti degli Apostoli (9.1-9) narra: “Ora Saulo, ancora<br />

spirante minacce e strage contro i discepoli del Signore, presentatosi al sommo sacerdote,<br />

gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, affinché, se avesse trovato dei seguaci di questa<br />

via, uomini o donne, potesse condurli incatenati a Gerusalemme. Or avvenne che, trovandosi<br />

in viaggio ed essendo vicino a Damasco, all’improvviso gli folgorò intorno una luce dal cielo<br />

e, caduto egli a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti?». Ed egli<br />

disse: «Chi sei, Signore?». E quegli: «Io sono Gesù che tu perseguiti, ma, alzati, entra nella città<br />

e ti sarà annunciato ciò che devi fare». Gli uomini che viaggiavano con lui si fermarono attoniti,<br />

udendo il suono delle parole, ma non vedendo alcuno. Saulo allora si levò da terra ma, aperti<br />

gli occhi, non vedeva nulla. Perciò lo presero per mano e lo introdussero in Damasco, dove<br />

stette tre giorni senza vedere e non mangiò né bevve”.


MAESTRO IB (forse Georg Pencz),<br />

Norimberga 1500 c.a - 1550 c.a<br />

L’identificazione del Maestro IB con Georg Pencz venne proposta per la prima volta nel 1897 da Max<br />

Friedländer con argomentazioni che apparirono ineccepibili. Lo studioso basò la sua tesi su tre<br />

principali argomenti: primo, non si conoscevano stampe di Pencz anteriori al 1530 e la sua data di nascita<br />

era presumibilmente intorno al 1500; secondo, la sigla IB poteva corrispondere a Jörg Bencz,<br />

una comune contrazione del dialetto norimberghese; e in ultimo, che i due supposti autori erano di<br />

cultura ed educazione düreriana. La tesi fu subito abbracciata dagli studiosi dell’epoca, ad eccezione<br />

di Gustav Pauli (compilatore del famoso catalogo di Beham) che rifiutò categoricamente<br />

l’identificazione dei due maestri, basandosi su un serrato esame stilistico. Da quel momento in poi gli<br />

studiosi si divisero su due fronti. Herbert Zchelletschki all’inizio di questo secolo, e David Landau<br />

nel 1978 nel suo profondo studio sull’opera grafica di Pencz, rifiutarono l’identificazione dei due<br />

maestri, mentre Arthur Hind, il direttore del British Museum fino alla metà di questo secolo, e<br />

Robert Cock su The Illustrated Bartsch nel 1980, l’appoggiarono senza riserve.<br />

17 IL SUONATORE DI CORNAMUSA CON LA SUA DAMA, 1525 c.a<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso a destra.<br />

Bibliografia: Bartsch VIII.172.36, The Illustrated Bartsch 16.78.36.<br />

(diametro mm. 55). [14202A]<br />

Magnifica e rara prova nell’unico stato. Impressa su carta databile nella prima<br />

metà del XVI secolo. In perfetto stato di conservazione, completa della parte<br />

incisa.<br />

18 DUE CONTADINE AL MERCATO, 1525 c.a<br />

Bulino, monogrammato in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Bartsch VIII.172.37, The Illustrated Bartsch 16.78.37.<br />

(diametro mm. 57). [14203A]<br />

Magnifica e rara prova nell’unico stato. Impressa su carta databile nella prima<br />

metà del XVI secolo. In perfetto stato di conservazione, completa della parte<br />

incisa.<br />

Come gli altri Piccoli Maestri di Norimberga influenzati da Dürer, ci troviamo di fronte a soggetti<br />

considetti di genere. L’idea düreriana era che il soggetto non contribuisce alla riuscita dell’opera<br />

d’arte, ma la bellezza di questa nasce esclusivamente nell’anima dell’artista che dunque può fare<br />

dell’arte anche rappresentando scene di genere, nobiliari o popolari, curiose o addirittura rozze e licenziose.


HANS SEBALD BEHAM,<br />

Norimberga 1500 - Francoforte 1550<br />

19 FANCIULLO CON IL CANE, 1525 c.a<br />

Bulino, monogrammato in lastra in alto a sinistra.<br />

Bibliografia: Hollstein -German- III.123.213.<br />

(diam. mm. 53). [2285B]<br />

Splendida prova nell’unico stato. Impressa su carta databile nella prima metà<br />

del XVI secolo. In eccezionale stato di conservazione, con sottile margine visibile<br />

a tratti oltre l’impronta del rame.<br />

BARTHEL BEHAM,<br />

Norimberga 1502 c.a - Bologna 1540<br />

20 LA MADRE CON I DUE BAMBINI, 1525 c.a<br />

Bulino.<br />

Bibliografia: Hollstein -German- II.202.43 II/III.<br />

(mm. 44x66). [9418G]<br />

Magnifica prova nel rarissimo secondo stato su tre. Impressa su carta databile<br />

nel primo quarto del XVI secolo. In eccezionale stato di conservazione, con<br />

piccolo margine tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Al verso:<br />

Timbro di collezione di Frederick Koch (Buxweiler Alsazia 1760-Manheim<br />

1832) (Lugt 1020). La collezione, venduta nel 1875 a Lipsia, si distingueva soprattutto<br />

per la bellezza delle stampe dei Piccoli Maestri di Norimberga.<br />

Come gli altri Piccoli Maestri di Norimberga influenzati da Dürer, ci troviamo di fronte a soggetti<br />

considetti di genere. L’idea düreriana era che il soggetto non contribuisce alla riuscita dell’opera<br />

d’arte, ma la bellezza di questa nasce esclusivamente nell’anima dell’artista che dunque può fare<br />

dell’arte anche rappresentando scene di genere, nobiliari o popolari, curiose o addirittura rozze e licenziose.


PIETER BRUEGEL il Vecchio (da),<br />

Bruegel 1525 - Bruxelles 1569<br />

21 UOMO CHE SBADIGLIA, 1620 c.a<br />

Bulino.<br />

Bibliografia: Leeber 90, Hollstein -Dutch and Flemish-III.312.278, Bastelaer-<br />

Fargo Gilchrist 278, Hollstein -Dutch and Flemish - XLIII.243.130.<br />

(mm. 206x203). [14267A]<br />

Superba e rarissima prova nell’unico stato. Impressa su carta con la filigrana<br />

del ‘cane con i serpenti’, databile nel primo quarto del XVII secolo. In perfetto<br />

stato di conservazione, ad eccezione di abrasioni al verso che non interessano<br />

il recto in corrispondenza degli angoli, perfettamente restaurate. Con sottilissimo<br />

margine visibile a tratti oltre la linea marginale.<br />

Incisore: Lucas Vorsterman il Vecchio (Zaltbommel 1595 - Antwerp 1675).<br />

Questa incisione fa parte di un gruppo di opere di Bruegel eseguite da suoi disegni diversi<br />

anni dopo. Alcuni autori ritengono che questi disegni potrebbero non essere stati eseguiti<br />

espressamente per essere destinati all’intaglio. Comunque, quasi tutti i catalogatori le riportano<br />

come opere bruegheliane. D’altronde, ad eccezione di una stampa Il cacciatore di conigli<br />

(New Hollstein 5.1) tutte le stampe di Bruegel sono tratte da suoi disegni.


PIETER BRUEGEL il Vecchio (da),<br />

Breugel 1525 - Bruxelles 1569<br />

22 LA RISSA DEI CONTADINI, 1649<br />

Acquaforte, firmata e datata in lastra in basso a destra da Hollar, inscritta ‘P.<br />

Bruegel inv.’<br />

Bibliografia: New Hollstein (Orenstein) 195.A66, Bastelaer-Fargo Gilchrist<br />

221a, Pennington 599.<br />

(mm. 217x320). [8556B]<br />

Splendida e rara prova nell’unico stato. Impressa su carta databile nella prima<br />

metà del XVII secolo, coeva all’incisore. In perfetto stato di conservazione, ad<br />

eccezione di leggere abrasioni al verso, e di due restauri nell’angolo superiore<br />

sinistro ed inferiore destro; tracce di piega centrale visibile solo al verso. Con<br />

sottilissimo margine visibile a tratti oltre la linea marginale.<br />

Incisore Wenceslaus Hollar (Praga 1607 – Londra 1677).<br />

Questa incisione fa parte di un gruppo di opere di Bruegel eseguite da suoi disegni diversi<br />

anni dopo. Alcuni autori ritengono che questi disegni potrebbero non essere stati eseguiti<br />

espressamente per essere destinati all’intaglio. Comunque quasi tutti i catalogatori le riportano<br />

come opere bruegheliane.<br />

La stampa fu ripresa da Hollar da un disegno di Adraien Brouwer, che a sua volta lo riprese<br />

da Bruegel. L’enorme abilità di Hollar, che eseguì più di 2.500 stampe, ha riportato l’esatto spirito<br />

dell’opera bruegeliana, che probabilmente aveva visto personalmente. D’altronde, ad eccezione<br />

di una stampa Il cacciatore di conigli (New Hollstein 5.1) tutte le stampe di Bruegel sono<br />

tratte da suoi disegni.


JACQUES CALLOT,<br />

Nancy 1594 - 1635<br />

23 LA GRANDE PASSIONE, 1618<br />

Acqueforti, serie completa di sette stampe, firmate in lastra.<br />

Lieure 281 II/IV, 282 I/IV, 283 I/II, 284 I/IV, 285 I/III, 286 I/III, 287 I/II.<br />

(mm. 108÷115x211÷217). [20507-13A]<br />

Superbe prove di qualità omogenea nel raro primo stato (ad eccezione della<br />

prima tavola che è usualmente nella tiratura coeva già nel secondo stato). Impresse<br />

su carta della medesima qualità: la 2ª, 3ª, 4ª e 6ª tavola con la filigrana<br />

della ‘doppia C con la croce di Lorena’ (Lieure 29), la 1ª, 5ª e 7ª tavola con la filigrana<br />

del corno di caccia con le lettere LC’ (Lieure 32) contromarca della filigrana<br />

‘doppia C con la croce di Lorena’, caratteristiche delle prove più antiche,<br />

e databili nel primo quarto del XVII secolo. In eccezionale stato di conservazione,<br />

con margine da piccolo a buono (3-9 millimetri circa) tutt’intorno oltre<br />

l’impronta del rame.<br />

La serie doveva essere di dodici stampe, ma per motivi sconosciuti Callot non la completò,<br />

anzi la quarta tavola L’incoronazione di spine non è completata. Lieure segnala che le tavole più<br />

ricercate sono quelle di primo stato con la filigrana della ‘doppia C’ come questi esemplari.


REMBRANDT HARMENSZOON VAN RIJN,<br />

Leyda 1606 - Amsterdam 1669<br />

24 GESÙ NELL’ORTO DEGLI ULIVI, 1657 c.a<br />

Acquaforte e puntasecca, firmata in lastra in basso a destra.<br />

Bibliografia: White-Boon 75, Biörklund-Barnard 57-3.<br />

(mm. 111x84). [19907A]<br />

Magnifica prova nell’unico stato, con visibili tracce di barbe della puntasecca e<br />

altri leggerissimi segni che spesso non si percepiscono poiché così sottili che<br />

non trattengono l’inchiostro. Impressa su carta databile nella seconda metà<br />

del XVII secolo. In perfetto stato di conservazione, ad eccezione di restauri<br />

tutti perfettamente eseguiti sul margine inferiore e nell’angolo superiore sinistro.<br />

Con sottilissimo margine tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Al verso:<br />

Timbro della collezione L’Art Ancien (Torino 1957-64) di Ferdinando e<br />

Teresa <strong>Salamon</strong> (Pola 1910-Firenze 1974; Torino 1911-1995), segnalato alla<br />

Fondazione Custodia di Parigi per l’edizione del Lugt 2008-2009.<br />

Con il suo acuto occhio per i dettagli psicologici Rembrandt, nel descrivere uno dei più<br />

grandi ed intimi drammi della vita di Gesù, si avvale della descrizione di tre diversi Vangeli: San<br />

Matteo, San Marco e San Luca. I primi due sono i soli evangelisti che affermano che Gesù fu accompagnato<br />

ai piedi del monte da tre discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni) e che, malgrado le<br />

esortazioni, essi ripetutamente si addormentarono. San Luca parla dei discepoli senza qualificarli,<br />

ma è l’unico che descrive l’apparizione dell’angelo: “...pregava dicendo: -Padre, se vuoi,<br />

allontana da me questo calice, però non la mia ma la tua volontà sia fatta.- Allora gli apparve un<br />

angelo dal cielo per confortarlo. Essendo in agonia, pregava più intensamente…” (Luca 22.42-<br />

44).


REMBRANDT HARMENSZOON VAN RIJN<br />

25 IL SOLDATO CON IL TURBANTE A CAVALLO, 1632 c.a<br />

Acquaforte, monogrammata in lastra in controparte in alto a destra.<br />

Bibliografia: White-Boon 139, Biörklund-Barnard 32-6.<br />

(mm. 82x57). [6557B]<br />

Superba e rarissima prova nell’unico stato. Impressa su carta databile nella<br />

prima metà del XVII secolo. In eccezionale stato di conservazione, con amplissimi<br />

margini (25-30 millimetri) tutt’intorno oltre l’impronta del rame. Si segnalano<br />

leggerissime macchie sui margini bianchi molto lontane dall’impronta<br />

del rame.<br />

Al verso:<br />

Alcune annotazioni sulla rarità della stampa.<br />

Nowell Usticke, nel suo recente studio sulla rarità delle acqueforti di<br />

Rembrandt, assegna a questa stampa la qualifica ‘RR-’ (very scarce), valutando<br />

esistenti da 50 a 75 esemplari. Inoltre, la rarità di esemplari così perfetti<br />

e con margini di queste dimensioni è assoluta.<br />

Come Le cacce ai leoni (B.114,115,116) e il piccolo Combattimento di cavalleria (B.117) questa<br />

rara incisione si ispira alle opere di Tempesta e fu eseguita l’anno in cui Rembrandt dipinge la<br />

celebre Lezione di anatomia del Dottor Tulp. Rembrandt ha solo 26 anni, lavora ad<br />

Amsterdam da solo un anno e riceve una commissione così importante, ma non dimentica il<br />

piacere di disegnare, probabilmente direttamente sulla lastra coperta di cera, schizzi di soggetti<br />

che potranno servirgli in futuro.


REMBRANDT HARMENSZOON VAN RIJN<br />

26 IL PASTORE E LA SUA FAMIGLIA NEL PAESAGGIO, 1644<br />

Acquaforte e puntasecca, firmata e datata in lastra in alto a sinistra.<br />

Bibliografia: White-Boon 220, Biörklund-Barnard 44-A.<br />

(mm. 96x66). [21058G]<br />

Superba ed estremamente rara prova ricca di barbe nei ritocchi alla puntasecca<br />

con buona tinteggiatura allo zolfo nel cielo, nell’unico stato. Impressa su carta<br />

databile intorno alla metà del XVII secolo con parte di una filigrana, probabilmente<br />

la parte superiore del ‘giglio di Strasburgo’ (Hash-Fletcher pag. 239,<br />

Hinterding II.229.Z.Z.z.z., III.488) e rilevata sull’esemplare della medesima<br />

stampa conservato al Fine Arts Museum di Boston. In perfetto stato di conservazione,<br />

ad eccezione di una leggera abrasione al verso all’angolo superiore<br />

destro perfettamente restaurata ed invisibile al recto (forse un vecchio incollaggio).<br />

Con sottilissimo margine tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Nowell Usticke, nel suo recente studio sulla rarità delle acqueforti di<br />

Rembrandt, assegna a questa stampa la qualifica ‘RRR+’ (extremely rare) valutando<br />

esistenti meno di 50 esemplari e inoltre segnala per le prove più antiche<br />

graffi nel cielo, barbe nei ritocchi alla puntasecca e le parti tinteggiate allo<br />

zolfo molto evidenti, tutte caratteristiche presenti in questo esemplare.<br />

Il metodo preciso con cui Rembrandt otteneva la tinteggiatura o velatura, è ancora questione di<br />

congetture. Pare che egli pennellasse o strofinasse una sostanza corrosiva, probabilmente una<br />

pasta allo zolfo, direttamente sulla lastra; le particelle solforose mordevano leggermente la lastra<br />

e, quando la si inchiostrava, l’area trattata dalla pasta solforosa pareva stampata in grigio, tale da<br />

sembrare acquarello, una sorta di acquatinta.<br />

Questa stampa è stilisticamente molto vicina al cosidetto Piccolo paesaggio grigio (W.B. 207) che<br />

è probabilmente il primo paesaggio eseguito, databile tra il 1640 e il 1643. Questa piccola dimensione<br />

e il tipo di soggetto, fanno pensare entrambi alla ricerca di Rembrandt nelle scene<br />

notturne ed intime come Il pastore addormentato o Gli amanti (W.B. 189). Tutti studi che<br />

hanno contribuito e contribuiranno alla realizzazione del grandioso Tre alberi del 1643<br />

(W.B. 212).


REMBRANDT HARMENSZOON VAN RIJN<br />

27 IL DOTTOR FAUST - L’ ERUDITO NEL SUO STUDIO, 1652 c.a<br />

Acquaforte, puntasecca e bulino.<br />

Bibliografia: White-Boon 270 II/III, Biörklund-Barnard 52-4 II/IV, AA.VV.<br />

Rembrandt experimental etcher, Boston M.F.A., New York P.M.L., 1969<br />

pagg. 74-80 n. XI II/IV.<br />

(mm. 211x160). [c/v]<br />

Superba prova ricca di barbe nel rarissimo secondo stato su tre o nel secondo<br />

stato su quattro secondo Biörklund-Barnard e gli autori del catalogo<br />

Rembrandt experimental etcher. Impressa su carta con la filigrana delle ‘armi<br />

incoronate con croce e fiori con il serpente e le lettere GBC’ (Hash-Fletcher<br />

69.B.a, Hinterding II.56.B.a.a, III.90), databile intorno al 1657 e identica alla<br />

filigrana dell’esemplare del medesimo stato del Rijksprentenkabinet di<br />

Amsterdam e del primo stato dell’Abraham Francen farmacista conservato al<br />

Museum of Fine Arts di Boston (W.B. 273). In eccezionale stato di conservazione,<br />

con sottilissimo margine visibile in molti tratti oltre l’impronta del<br />

rame.<br />

Al verso:<br />

Timbro della collezione di Walter Francis Tiffin (Salisburgo 1817-1900 c.a)<br />

(Lugt 1051), autore del catalogo sui ritratti inglesi in mezzotinto dalle origini<br />

al Settecento. Essendo Tiffin grande collezionista di ritratti eseguiti alla maniera<br />

nera o al mezzotinto, è evidente che fu affascinato dall’opera di<br />

Rembrandt di cui possedeva molti esemplari di grande qualità.<br />

Timbro della collezione dei Signori Atterton e Louise Curtis (Parigi-New<br />

York XIX-XX secolo) (Lugt 94). Lugt segnala che la sezione della collezione<br />

su Rembrandt era estremamente importante e di grandissima qualità.<br />

Nowell Usticke, nel suo recente studio sulla rarità delle acqueforti di<br />

Rembrandt, segnala che le prove più antiche sono ricche di barbe e vellutate,<br />

particolari presenti in questo esemplare; inoltre, sottolinea la grande rarità e<br />

ricercatezza dei primi due stati.<br />

Come la Melencolia di Dürer, anche questa stampa fu profondamente studiata per i suoi risvolti<br />

religiosi, scientifici, magici e cabalistici. Sicuramente è la stampa di Rembrandt che ha<br />

ispirato più voli di immaginazione e interpretazioni.<br />

Nell’inventario di Clement de Jonghe del 1679, essa era descritta come L’apprendista chimico,<br />

ma già nel XVIII secolo il titolo divenne Dottor Faust che appare in una scena del Faust di<br />

Marlowe mentre incontra il buon angelo che gli predice il destino in un’aureola scintillante<br />

con un anagramma e le lettere inri Jesus Nazarenus Rex Judaeorum.<br />

Secondo Munz (L. MUNZ The etchings of Rembrandt Londra 1952) questa stampa ispirò<br />

Goethe per la sua grande tragedia e la si ritrova leggermente modificata da Lips nel frontespizio<br />

della prima edizione del Faust.<br />

Altri studiosi hanno tentato di interpretare l’anagramma del disco, che potrebbe essere forse<br />

una invocazione magica, ma non sono approdati a nessuna soluzione, anche tentando di leggerlo<br />

in uno specchio.<br />

A prescindere dalle varie interpretazioni, la rappresentazione del Faust trasmette la mescolanza<br />

scientifica, magica, umanistica e religiosa intimamente connessa con il pensiero europeo del<br />

XVII secolo, e ancor di più con gli inevitabili dubbi che sicuramente tormentavano Rembrandt.<br />

(SILVERIO SALAMON Incisioni di Grandi Maestri dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra,<br />

Torino 1991).<br />

Continua al fondo del catalogo


GIOVANNI BENEDETTO CASTIGLIONE,<br />

Genova 1609 - Mantova 1670<br />

28 LA RESURREZIONE DI LAZZARO, 1647-51<br />

Acquaforte, firmata in lastra in basso verso destra.<br />

Bibliografia: Bellini 59 I/IV, The Illustrated Bartsch 46.20.6, The Illustrated<br />

Bartsch Commentary 46.18.6 I/IV, Dillon 88.<br />

(mm. 222x314). [21049G]<br />

Magnifica prova nel primo stato su quattro. Impressa su carta con la filigrana<br />

del ‘grappolo d’uva’ o ‘margherita’ databile alla metà del XVII secolo. In perfetto<br />

stato di conservazione, ad eccezione di un’abrasione al verso invisibile al<br />

recto. Con sottilissimo margine tutt’intorno oltre la linea marginale.<br />

In questa incisione è particolarmente evidente l’interesse del Grechetto per le acqueforti di<br />

Rembrandt e di Lievens dello stesso soggetto. L’artista genovese riprende il chiaroscuro rendendolo<br />

più netto e meno diffuso in confronto ale stampe rembrandtiane, dando così maggior<br />

risalto alle figure nascoste nella penombra.<br />

Il Grechetto assorbì da Rembrandt molto più dei soliti motivi. Le sue incisioni presentano sia<br />

nello stile sia nella scelta dei soggetti una forte affinità con i lavori dell’artista olandese. Entrambi<br />

incidevano con tratti liberi e miravano ad ottenere nelle stampe forti contrasti di chiaroscuro,<br />

come risulta evidente da questa acquaforte.


STEFANO DELLA BELLA,<br />

Firenze 1610 - 1664<br />

29 IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO, seconda tavola, 1641 c.a<br />

Acquaforte, firmata in lastra in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: De Vesme-Massar 16 II/IV.<br />

(mm. 84x131). [589B]<br />

Magnifica prova nel secondo stato su quattro (il primo stato è estremamente<br />

raro). Impressa su carta databile nella seconda metà del XVII secolo. In perfetto<br />

stato di conservazione, ad eccezione di un restauro perfettamente eseguito<br />

nell’angolo inferiore sinistro. Con piccolissimo margine tutt’intorno<br />

oltre l’impronta del rame.<br />

30 GESÙ ADOLESCENTE SPIEGA LE SCRITTURE A SUA MADRE E A SAN GIUSEPPE,<br />

1627 c.a<br />

Acquaforte.<br />

Bibliografia: De Vesme-Massar 18 III/III.<br />

(mm. 166x127). [596B]<br />

Superba e rarissima prova nel terzo stato su tre. Impressa su carta databile alla<br />

metà del XVII secolo, con la parte superiore di una filigrana ‘corona’. In eccezionale<br />

stato di conservazione, con buon margine (6-8 millimetri) tutt’intorno<br />

oltre l’impronta del rame.


STEFANO DELLA BELLA<br />

31 PIACEVOLI DIVERSE FIGURE, 1642<br />

Acqueforti, serie completa di tredici stampe, firmate e datate sul frontespizio.<br />

Bibliografia: De Vesme-Massar 117-127 III/VI; De Vesme-Massar 1080-1081;<br />

Ortolani 117-127 III/VI.<br />

(mm. c.a 69÷80x97÷106). [5100-5112B]<br />

Superbe prove di qualità omogenea nel terzo stato su sei. Impresse su carta<br />

del medesimo tipo databile alla metà del XVII secolo, le tavole 1ª, 5ª, 6ª, 8ª, 10ª,<br />

11ª, 12ª e 13ª su carta con parte della filigrana del ‘giglio di Strasburgo’. In eccezionale<br />

stato di conservazione, con ampi margini leggermente ingialliti (20-<br />

40 millimetri) tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Le ultime due tavole (Soldato a cavallo con un moschetto, Due picchieri a<br />

piedi) sono state incise da Claude Goirand da disegni di Stefano Della Bella.<br />

In questa serie l’influenza dell’arte francese rappresentata da Jacques Callot è evidente, sia per il<br />

piccolo formato dei soggetti, sia per i temi trattati. In essa compare una delle prime vedute urbane<br />

dell’artista rappresentante la Place Royale di Parigi, e il tema della caccia che Della Bella<br />

svilupperà in modo superbo circa dieci anni dopo con le Cacce a differenti animali (De<br />

Vesme-Massar 732-40). Scriveva Jombert sul modo dell’artista di usare la punta : “Elle paroit<br />

même souvent en peu embrouillée et dans les lointains elle n’est ni aussi visible ni aussi<br />

décidée. Mais cette indécision dans les fonds…est une preuve de son profond savoir dans la<br />

perspective aérienne, puisque c’est l’effet naturel de la dégradation de la lumière sur les objets”.


STEFANO DELLA BELLA<br />

32 DIVERSI PAESAGGI … DEDICATI AL DUCA D’ENGHIEN, 1643 c.a<br />

Acqueforti, serie completa di dodici stampe.<br />

Bibliografia: De Vesme-Massar 757-768 II/II.<br />

(mm. c.a 112÷122x253÷261). [14608-19A]<br />

Splendide prove nel secondo stato su due. Impresse su carta databile intorno<br />

alla metà del XVII secolo: la 1ª tavola con la filigrana ‘P finances’ (Gaudriault<br />

pag. 209), databile a Roma tra il 1644 e il 1660; la 4ª, 10ª, 11ª e 12ª tavola con la<br />

filigrana ‘scudo e fiori di giglio e le lettere CM’ (Lieure 50); la 8ª tavola con la<br />

filigrana dello ‘scudo con gigli e croce’ (simile a Ortolani 24). In perfetto stato<br />

di conservazione le tavole 1ª, 2ª, 3ª e 8ª; in eccezionale stato di conservazione le<br />

restanti tavole. Con margine da piccolo a buono tutt’intorno oltre l’impronta<br />

del rame.<br />

Questa serie, di formato maggiore rispetto ad altre realizzate, ben si inserisce in questo periodo<br />

particolarmente attivo e felice per Stefano Della Bella, in cui l’interpretazione callottiana è sempre<br />

presente, ma dove Stefano rende i paesaggi più respirabili e disinvolti. Più che ai guizzi<br />

della linea e ai contrasti chiaroscurali caratteristici del suo contemporaneo, l’artista italiano è<br />

interessato alla fusione atmosferica dei piani e degli elementi che compongono il paesaggio, in<br />

cui le figure e gli animali si inseriscono con assoluta naturalezza.


FERDINAND BOL,<br />

Dordrecht 1632 – Amsterdam 1680<br />

33 GIOVANE UOMO CON CAPPELLO PIUMATO, 1642<br />

(probabilmente ritratto di Rembrandt)<br />

Acquaforte e puntasecca, firmata e datata in lastra in alto verso destra.<br />

Bibliografia: Hollstein –Dutch and Flemish- III.28.14.<br />

(mm. 87x77). [21053G]<br />

Magnifica e rarissima prova nell’unico stato, impressa con tinteggiatura nel<br />

cielo. Impressa su carta databile alla metà del XVII secolo. In eccezionale stato<br />

di conservazione, con buoni margini (5-10 millimetri) tutt’intorno oltre<br />

l’impronta del rame.<br />

Al verso:<br />

Timbro di collezione di Thomas Graf (Berlino 1878-1951) (Lugt 1092a). La<br />

sua collezione fu quasi ditrutta durante la seconda guerra mondiale, ed era in<br />

particolare dedicata all’arte olandese del Seicento.<br />

Un altro timbro di collezione ‘croce greca con asterisco’ (Lugt 2909) di cui<br />

non è identificata la collezione.<br />

Ferdinand Bol, che fu allievo di Rembrandt dal 1633 al 1635, incominciò la sua attività incisoria<br />

eseguendo riproduzioni dai dipinti del maestro. Proseguì la sua attività di pittore ed incisore<br />

in proprio, ma l’impronta artistica e l’abilità incisoria insegnatagli da Rembrandt non lo<br />

abbandoneranno fino a dopo il 1650, pochi anni prima di abbandonare il mestiere di pittore<br />

avendo sposato una ricca vedova. Le sue opere più importanti sono i ritratti.<br />

Un’attenta indagine collega questa stampa all’Autoritratto all’età di 34 anni di Rembrandt<br />

conservato alla National Gallery di Londra.


ANTONIO CANAL detto IL CANALETTO,<br />

Venezia 1697 – 1768<br />

34 CAPRICCIO CON IL PAESE DI DOLO SUL FIUME BRENTA, 1740 c.a<br />

Acquaforte, firmata in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Succi 14 I/II, <strong>Salamon</strong> 9 I/II, Bromberg (1993) 9 I/II,<br />

Montecuccoli degli Erri 9 I/III.<br />

(mm. 295x432). [21068G]<br />

Splendida prova nel raro primo stato su due. Impressa su carta con la filigrana<br />

delle ‘armi con le lettere VF’ e la contromarca ‘giglio con la lettera A’<br />

(Succi 16 e 17, Bromberg 24, Montecuccoli degli Erri 10b) databile al 1760. In<br />

perfetto stato di conservazione, ad eccezione di due pieghe orizzontali appena<br />

visibili al recto usuali nei fogli di queste dimensioni, di un leggero difetto<br />

lungo il margine superiore fuori dall’impronta del rame e di una piega di<br />

stampa sul margine sinistro in alto fuori dall’impronta del rame. Con ampi<br />

margini (35-55 millimetri) tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Al verso:<br />

La firma ‘Antonio Inferraioli’ comunicata alla Fondazione Custodia di Parigi<br />

per l’edizione del Lugt 2008-2009.<br />

Questa incisione, tradizionalmente denominata Veduta di una città sulla riva di un fiume,<br />

rappresenta in realtà una veduta del paese di Dolo, sul Brenta. Con un procedimento non insolito<br />

nelle stampe di Canaletto, il paese è raffigurato specularmente come rivela il confronto<br />

con il dipinto che riproduce lo stesso sito (indicato dubitativamente come una Veduta su un<br />

fiume a Padova). Inoltre il campanile della chiesa di S. Rocco, vibile nel dipinto e anche<br />

nell’incisione Al Dolo (Succi 30) è stato sostituito con un suggestivo campanile romanico, lo<br />

stesso che compare a destra nel Capriccio con edifici padovani (Succi 35) e in alcuni disegni.<br />

Canaletto ha modificato il tessuto urbano con un inserto anomalo e vagamente inquietante.<br />

L’operazione è frutto di una precisa scelta ideale dell’artista, tutt’altro che riducibile alla banale<br />

asserzione secondo cui “an exact rendering of the tall steeple of S. Rocco at Dolo have disturbed<br />

the composition of the etching” (Bromberg 1974 n.10). Esistono quattro disegni con questo<br />

soggetto. Due sono sommariamente schizzati e formano –riuniti- un’unica veduta panoramica<br />

di Dolo da un punto di vista più ravvicinato rispetto all’incisione. Altri due disegni riproducono<br />

il ponte di legno e le case fino al mulino: in entrambi il campanile di S. Rocco presenta<br />

la sua reale forma. (D. SUCCI Canaletto e Visentini, Venezia e Londra 1986 pag.194).


ANTONIO CANAL detto IL CANALETTO<br />

35 LA PRESON V, 1741 c.a<br />

Acquaforte, firmata in lastra in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Succi 19 III/III, <strong>Salamon</strong> 14 III/III, Bromberg(1993)21 III/III,<br />

Montecuccoli degli Erri 18 III/III.<br />

(mm. 147x212). [20994G]<br />

Magnifica prova nel terzo stato su tre. Impressa su carta databile nella seconda<br />

metà del XVIII secolo. In eccezionale stato di conservazione, con sottilissimo<br />

margine tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Dalla serie: “Vedute altre prese dai luoghi, altre ideate”.<br />

Al verso:<br />

Timbro della collezione Georges Lothrop Bradley (Washington 1846-1906)<br />

(Lugt 288b). Questo collezionista, ingegnere minerario, lasciò la sua collezione<br />

di oltre mille fogli del Settecento e dell’Ottocento alla Libreria del Congresso<br />

di Washington. Successivamente la direzione della biblioteca vendette<br />

la stampa poiché era un duplicato o doppio per finanziare nuovi acquisti. Si<br />

legge vicino al timbro la scritta duplicate e buy.<br />

La dialettica chiaroscurale è sobriamente accennata dall’artista, che impagina la veduta entro<br />

uno schema prospettico, limpido e coerente. Una linea allucciolata, tipica della mano di Antonio<br />

Canal, fissa le macchiette in gesti calmi e meditati. (D. SUCCI Canaletto e Visentini,<br />

Venezia e Londra 1986 pag. 198).


FRANCISCO GOYA Y LUCIENTES,<br />

Fuendetodos 1746 – Bordeaux 1828<br />

36 LOS BURROS, 1797-99<br />

Gli asini da “Los Caprichos”<br />

Magnifiche prove nella quinta edizione su dodici eseguita tra il 1881 e il 1886<br />

dalla Calcografia di Madrid per la Reale Accademia in 210 esemplari. Impresse<br />

su carta vellina caratteristica di questa edizione. In eccezionale stato di conservazione,<br />

con ampi margini tutt’intorno oltre l’mpronta del rame che, come di<br />

consueto per questa edizione, è bisellata.<br />

Riportiamo dopo ogni scheda il commento manoscritto di Goya oggi al<br />

Museo del Prado di Madrid.<br />

SI SABRÀ MAS EL DISCIPULO? (Se ne sapesse di più il discepolo?)<br />

Acquaforte, acquatinta e bulino.<br />

Bibliografia: Harris 72 III5/III12. (mm. 215x150). [20752A]<br />

Non si sa se saprà di più o di meno, quello che è certo è che il maestro è il personaggio più serioso<br />

che si è incontrato.<br />

BRABISIMO! (Bravissimo!)<br />

Acquaforte, acquatinta brunita e puntasecca.<br />

Bibliografia: Harris 73 III5/III12. (mm. 215x150). [20758A]<br />

Se per sentirlo bastano le orecchie nessuno sembrerà così intelligente; c’é da temere però che applauda<br />

ciò che non suona.<br />

ASTA SU ABUELO (Fino a suo nonno)<br />

Acquatinta.<br />

Bibliografia: Harris 74 III5/III12. (mm. 215x150). [20757A]<br />

Questo povero animale è impazzito per l’albero genealogico e l’araldica. Non è il solo.<br />

DE QUE MAL MORIRÀ? (Di che male morirà?)<br />

Acquaforte e acquatinta.<br />

Bibliografia: Harris 75 III5/III12. (mm. 215x150). [20756A]<br />

Il medico è eccellente, meditabondo, riflessivo, posato, serio. Cosa si può desiderare di più?<br />

NI MAS NI MENOS (Né più né meno)<br />

Acquaforte, acquatinta brunita, puntasecca e bulino.<br />

Bibliografia: Harris 76 III5/III12. (mm. 200x150). [20755A]<br />

Ben fa a farsi ritrarre: così sapranno chi è chi non lo conoscono né l’abbiano visto.<br />

TU QUE NO PUEDES (Tu che non puoi)<br />

Acquaforte e acquatinta brunita.<br />

Bibliografia: Harris 77 III5/III12. (mm. 215x150). [20754A]<br />

Chi non potrà dire che questi due cavalieri sono bestie da soma?


JEAN-BAPTISTE CAMILLE COROT,<br />

Parigi 1796 - Ville d’Avray 1875<br />

37 ENVIRONS DE GÊNES, 1860<br />

(Vicino a Genova)<br />

Cliché-verre, firmato in lastra in basso a destra in controparte.<br />

Bibliografia: Delteil V.80 I/II, Melot 80 I/II, H. <strong>Salamon</strong> 35.<br />

(mm. 202x155). [8222B]<br />

Superba ed unica prova di stampa nel primo stato su due realizzata dall’artista<br />

allontanando la lastra di vetro dalla carta ed ottenendo così una particolare<br />

sfocatura dell’immagine, l’effetto impressionistico che ne risulta è eccezionale.<br />

Impressa su carta fotosensibile con una gradazione bruna propria delle prove<br />

stampate da Corot. In perfetto stato di conservazione, completa di tutta<br />

l’immagine.<br />

Al verso:<br />

Timbro della collezione L’Art Ancien (Torino 1957-64) di Ferdinando e<br />

Teresa <strong>Salamon</strong> (Pola 1910-Firenze 1974; Torino 1911-1995), segnalato alla<br />

Fondazione Custodia di Parigi per l’edizione del Lugt 2008-2009.<br />

L’opera fu di proprietà del collezionista Germain Hédiard, il massimo studioso<br />

dei maestri del cliché-verre (cfr. Gazzette des Beaux Arts, novembre<br />

1903).<br />

La lastra è stata donata alla Bibliothèque National di Parigi con l’impegno che<br />

la stessa non venga più stampata. Così non si trova nel gruppo dei clichéverre<br />

editi da Sagot Le Garrec all’inizio del Novecento.<br />

Nel 1853 Corot apprende la tecnica del cliché-verre e se ne entusiasma a tal punto da incidere<br />

in pochi anni ben sessantasei lastre, fra le quali moltissimi capolavori. L’uso contemporaneo<br />

del segno grafico e delle nuove soluzioni tecniche, collegate ai giochi di luce della fotografia, lo<br />

inducono a impadronirsi completamente del mestiere e a seguire un tipo di ispirazione decisamente<br />

impressionistico. La semplicità del segno gli permette di evitare i particolari non necessari<br />

all’equilibrio della composizione, ottenuta per valori di masse semplici e pulite. La gamma<br />

cromatica della luce stessa, che darà poi vita alle prove, lo sfruttamento delle piccole sfocature,<br />

dei chiaroscuri e perfino, come in questo caso, dei trucchi più arditi gli apre la via a soluzioni<br />

nuove e fantastiche, che riescono ancora oggi a meravigliare per la loro attualità.<br />

La tecnica del cliché-verre consiste nel produrre su una lastra di vetro, per mezzo di opacità e<br />

di trasparenze, un disegno analogo a un negativo fotografico da cui si tirano in seguito delle<br />

copie per contatto su carta sensibile. (H. SALAMON J.B.Camille Corot e i maestri del clichéverre,<br />

Torino 1966).


CHARLES-FRANÇOIS DAUBIGNY,<br />

Parigi 1817 - 1878<br />

38 LE BERGER ET LA BERGÈRE, 1874<br />

Acquaforte, firmata e datata in lastra in basso a destra (nel presente stato si<br />

vedono soltanto alcune tracce della firma) e firmata in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Melot 122 V/VIII, Delteil 122 V/VIII.<br />

(mm. 289x218). [21051A]<br />

Splendida prova nel quinto stato su otto. Impressa su carta vergellata con<br />

parte della filigrana ‘Arches’ per l’edizione di lusso della rivista L’Art. In perfetto<br />

stato di conservazione, con ampi margini tutt’intorno oltre l’impronta<br />

del rame.<br />

Daubigny nacque da una famiglia di artisti, si avvicinò alla pittura spinto da suo padre<br />

Edmond François Daubigny e suo zio, il miniaturista Pierre Daubigny.<br />

Inizialmente Daubigny era profondamente legato ad uno stile accademico con soggetti tratti da<br />

tematiche storiche, ma a partire dal 1843, anno in cui si trasferì a Barbizon, cominciò a dedicarsi<br />

alla pittura en plein air. Importante per lui fu l’incontro con Jean-Baptiste Camille Corot nel<br />

1852 ad Optevoz. Nel suo famoso battello il Botin, dove Daubigny installò il suo studio,<br />

visse a contatto diretto con la natura e dipinse numerosissime vedute della Senna e dell’Oise,<br />

soffermandosi spesso nelle zone della Auvers-sur-Oise. Oltre Corot, importante fu per lui<br />

l’infuenza di un altro pittore francese della metà dell’Ottocento, il realista Gustave Courbet.<br />

Nel 1866 Daubigny visitò l’Inghilterra, dove rimase fino al 1870, anno in cui scoppiò la<br />

Guerra franco-prussiana. A Londra incontrò Claude Monet, con il quale fece un viaggio in<br />

Olanda. Tornato in Francia, conobbe un giovane Paul Cézanne, un altro importante pittore<br />

impressionista che tanto fu influenzato dallo stile di Daubigny.<br />

Il periodo migliore di Daubigny può essere collocato nel decennio che va dal 1864 fino al<br />

1874, i soggetti rappresentati in quegli anni erano soprattutto paesaggi con molti alberi, fiumi<br />

popolati da anatre. A proposito di questi uccelli, si racconta che quando Daubigny si riteneva<br />

soddisfatto del proprio lavoro, amasse aggiungere nel quadro appena compiuto una o più<br />

anatre a seconda del gradimento che l’artista provava nei confronti della sua opera. Dal numero<br />

delle anatre presenti in ogni quadro di Daubigny si può quindi dedurre quanto il pittore si<br />

ritenesse realmente compiaciuto della qualità di quel suo lavoro.<br />

Pare che Daubigny non riusciva a separarsi dalle sue opere preferite egli affermava che «les<br />

meilleurs tableaux ne se vendent pas» (i migliori dipinti non si vendono). Probabilmente questo<br />

fu uno dei motivi per cui i suoi quadri più riusciti non erano conosciuti tra i suoi contemporanei.<br />

Daubigny divenne famoso soprattutto per le sue vedute dei fiumi, ma nonostante ciò,<br />

tutti i quadri rappresentanti questo genere di soggetto sono di piccole dimensioni.


ODILON REDON,<br />

Bordeaux 1840 – Parigi 1916<br />

39 DONNA DI PROFILO, 1900<br />

Litografia, monogrammata in lastra in basso a destra.<br />

Bibliografia: Mellerio 186.<br />

(mm. 295x222). [21070A]<br />

Splendida ed estremamente rara prova nell’unico stato. Impressa su carta vellina.<br />

In eccezionale stato di conservazione, con margini intonsi.<br />

Questa litografia, insieme ad altre tre, di cui una perduta, fu commissionata a Redon per illustrare<br />

il poema del suo grande amico Stephane Mallarmé Coup de dés (Gioco dei dadi) che in<br />

realtà non fu mai realizzato. Mellerio indica questa stampa come estremamente rara e di cui furono<br />

tirate pochissime prove di stampa.<br />

Artista visionario, precursore del Modernismo e del Surrealismo, Odilon Redon è uno dei<br />

più importanti pittori francesi. All’inizio della sua carriera Redon guarda ai movimenti contrapposti<br />

del Romanticismo e del Naturalismo, sviluppando un mondo pittorico in bianco e<br />

nero derivato dalla dimensione interiore. Ai primi del Novecento torna l’uso estensivo del<br />

colore, le figure acquistano un’aurea mistica. Il contatto con la letteratura e la psicologia del<br />

suo tempo porta l’artista a creare un cosmo visivo intriso di nuova religiosità.


ODILON REDON (da)<br />

40 PARFOIS ON TROUVE UN VIEUX FLACON QUI SE SOUVIENT, D’OÙ JAILLIT<br />

TOUTE VIVE UNE ÂME QUI REVIENT, 1890<br />

A volte si trova una vecchia bottiglia che ci ricorda, da dove spunti fuori<br />

un’anima viva che ritorna dal passato<br />

Acquaforte, monogrammata in lastra in basso al centro.<br />

Bibliografia: Mellerio 200.<br />

(mm. 276x198). [21069A]<br />

Splendida prova di stampa della prima edizione su due. Impressa su carta vellina<br />

databile alla fine del XIX secolo, in 43 esemplari e due o tre prove di<br />

stampa in bistrò come questa per l’editore Edmond Deman di Bruxelles. In<br />

perfetto stato di conservazione, con ampi margini tutt’intorno oltre<br />

l’impronta del rame.<br />

Incisore Léon Evely con ritocchi di Redon. Mellerio sostiene che i ritocchi<br />

autografi con ci sono, ma altri studiosi sostengono il contrario. Evely fu uno<br />

stampatore e alle volte incisore molto rinomato in Belgio alla fine del XIX secolo,<br />

fu anche il primo stampatore delle opere di James Ensor.<br />

Dalla serie “Les fleurs du mal” di Charles Baudelaire, interpretazione di<br />

Odilon Redon. Esiste una seconda edizione in 100 esemplari, sempre da lastre<br />

eseguite da Evely ma in formato ridotto, queste sicuramente senza ritocchi<br />

di Redon.<br />

Odilon Redon è uno dei più importanti pittori francesi. All’inizio della sua carriera Redon<br />

guarda ai movimenti contrapposti del Romanticismo e del Naturalismo, sviluppando un<br />

mondo pittorico in bianco e nero derivato dalla dimensione interiore. Ai primi del Novecento<br />

torna l’uso estensivo del colore, le figure acquistano un’aurea mistica. Il contatto con la<br />

letteratura e la psicologia del suo tempo porta l’artista a creare un cosmo visivo intriso di<br />

nuova religiosità.


JAMES ENSOR,<br />

Ostenda 1860 – 1949<br />

41 LA CATHÉDRALE, 1886<br />

Acquaforte, firmata e datata in lastra in alto a destra, a mano dall’artista in<br />

basso a destra e controfirmata al verso.<br />

Bibliografia: Delteil XIX.7 II/II, A. Taevernier 7 III/III, J.N.Elesh 7 III/IV,<br />

R. Chiappini-X. Tricot 7.<br />

(mm. 247x190). [12114G]<br />

Superba prova nel rarissimo terzo stato su quattro. Impressa su carta del<br />

Giappone (la delicatezza dell’impressione e le dimensioni della carta indicano<br />

che questa prova fu impressa da Léon Evely, il primo e il più valido stampatore<br />

di Ensor), databile alla fine del XIX secolo. In perfetto stato di conservazione,<br />

con ampi margini in alto e in basso e di circa un centimetro ai lati, caratteristica<br />

delle prime edizioni di Ensor.<br />

Questa acquaforte è la più celebre di Ensor e fu incisa nel 1886. Essa rappresenta una cattedrale<br />

immaginaria, frutto dell’assemblaggio di diversi elementi di chiese esistenti, probabilmente ripresi<br />

da quelle di Vienna e di Aix-la-Chapelle. Nella piazza antistante, Ensor disegna una<br />

moltitudine di persone: in lontananza si possono osservare schiere di militari allineati come<br />

tanti soldatini napoleonici, in primo piano una confusione di volti, di maschere e di personaggi.<br />

Le loro teste sono sormontata da copricapi dalle forme più strane provenienti da ogni<br />

parte del mondo. Il maestro, nell’eseguire quest’immagine, trasse probabilmente spunto dal testo<br />

di Balzac L’église de Romans et Contes philisophiques. È interessante paragonare La cattedrale<br />

di Ensor alla serie dei cinquanta dipinti di Monet eseguiti tra il 1892 e il 1894 che riprendono<br />

la cattedrale di Rouen: si scoprirà un’assonanza nello stile dei due maestri.<br />

Questa acquaforte fu subito apprezzata. Di conseguenza Ensor ricevette la richiesta da parte<br />

dello scrittore belga Valère Gille di poter utilizzare la matrice per illustrare la copertina della rivista<br />

La Jeune Belgique. Nel rispondergli il 28 novembre del 1890, il maestro confessa: “Non<br />

so se riuscirà a stampare 600 copie senza distruggere la lastra. Si tratta di una lastra di zinco, e<br />

sembra che sia impossibile acciaiarlo. Rops mi ha detto che è possibile ramare una lastra di<br />

zinco per renderla più solida se i tratti sono scavati profondamente. Io, però, non saprei come<br />

fare. Ma si dice anche che lo zinco può dare molte copie. Le consiglio di rivolgersi ad un<br />

acquafortista competente e avvezzo alle sottigliezze del mestiere, e di mostrare a lui la lastra, che<br />

ora si trova presso il signor Bauwens [Bouwens], stampatore di tagli dolci in rue du Champ<br />

de Mars a Bruxelles. Devo dirle che, dopo questa stampa, è possibile che riceva una lastra rovinata,<br />

incapace ormai di dare delle buone copie: devo anche confessarle che si tratta della sola acquaforte<br />

che riesco a vendere e che, non potendo vendere i miei dipinti, tengo forzatamente a<br />

questo piccolo reddito. Questo inconveniente sarà senza dubbio evitato se riuscirà a far ramare<br />

la lastra. Ma bisognerà farlo con precauzione e rivolgersi a una persona di mestiere. Io non conosco<br />

per nulla il mestiere dell’acquafortista. So disegnare e incidere correttamente, ma in seguito,<br />

a decidere è il caso. Non mi posso piegare davanti a tutti i fili fitti e minuziosi<br />

dell’incisione. Inoltre, ho rovinato diverse lastre e mi sono stancato gli occhi inutilmente”*. La<br />

matrice, però, nel frattempo fu smarrita (oggi è stata ritrovata e si trova nella collezione di<br />

Taevernier a Gand) ed Ensor ne reincise una nuova versione nel 1896 copiando e reinterpretando<br />

il primo stato della Cattedrale del 1886.<br />

* Lettera di James Ensor a Valère Gille, (coll. Bibliotheca Wittockiana, Bruxelles). citata da Xavier Tricot in James<br />

Ensor, Museo d’arte moderna Città di Lugano. (Skira, Milano 1999, pag. 26-28).


JAMES ENSOR<br />

42 LA BLAGUE DE L’ÉLÉPHANT, 1888<br />

(Lo scherzo dell’elefante)<br />

Acquaforte, firmata in lastra in basso a destra, firmata e datata a mano dall’artista<br />

in basso a destra, intitolata e controfirmata al verso.<br />

Bibliografia: Delteil XIX.51, A. Taevernier 51, J.N Elesh 51, R. Chiappini - X.<br />

Tricot 51.<br />

(mm. 180x240). [11915A]<br />

Superba e rarissima prova nell’unico stato. Impressa su carta del Giappone<br />

nel 1895 circa dallo stampatore Van Campenhout di Bruxelles. In perfetto<br />

stato di conservazione, con ampi margini tutt’intorno oltre l’impronta del<br />

rame.<br />

Questa acquaforte è una delle opere più celebri e ironiche di Ensor, nella quale l’artista mette<br />

alla berlina il comportamento degli occidentali di fronte agli elefanti: da una parte questi li affrontano<br />

con il cannone e dall’altra ne subiscono le conseguenze quando si imbizzarriscono.<br />

Il disegno è realizzato con una grafia quasi infantile che ne accentua le caratteristiche. Sembra<br />

che il tema a cui si ispirò Ensor sia stato tratto da un’incisione di James Sayers, caricaturista inglese<br />

della seconda metà del Settecento.


HENRY DE TOULOUSE-LAUTREC,<br />

Alby 1864 - Malromé, Bordeaux 1901<br />

43 PESSIMA, 1898<br />

Litografia a colori (nero e crema), monogrammata in lastra in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Wittrock II1/II2, Delteil 254, Adhémar 310, Adriani 253.<br />

(mm. 323x264). [22093A]<br />

Perfetto esemplare nel secondo stato su due della prima edizione su due (del<br />

primo stato esiste solo un esemplare). Impresso su carta vergellata in 350<br />

esemplari da Bliss, Saints & Co. Londra 1898 (esiste una seconda edizione<br />

postuma di 82 esemplari, stampata in viola, su simil-giappone dalla Galleria<br />

Leicester di Londra nel 1930). In eccezionale stato di conservazione, con<br />

margini intonsi.<br />

Dalla serie: “Yvette Guilbert”.<br />

A Parigi durante la Belle Epoque l’arte si insinua e fiorisce sotto tutti gli aspetti ed anche i luoghi<br />

di incontro come i caffè, si animano di intrattenimenti musicali, divenendo ben presto sede<br />

di veri e propri spettacoli. La musica sanziona la naturale vitalità del vivere urbano, aprendo<br />

brevi parentesi di evasione al materialismo di scambi e produttività. Nel caffè-concerto la musica<br />

e lo spettacolo, non sempre in nitide forme e con qualche volgarità, si insinuano e si confondono<br />

con la prosaicità del vivere quotidiano. Negli spettacoli di caffè-concerto coesistettero<br />

la vena satirica maliziosa e misurata di cantanti come Yvette Guilbert; furono gli anni in cui<br />

i caffé-chantant vennero frequentati dai principali esponenti della cultura francese e illustrati<br />

dai manifesti di Toulouse-Lautrec.<br />

Yvette Guilbert (1868-1944) fu, da giovanissima, commessa nei magazzini Printemps. Esordì<br />

come cantante all’Eldorado; in seguito diventò una vedette del Moulin Rouge e del Divan<br />

Japonais. I lunghi guanti neri erano una caratteristica costante del suo abbigliamento. Lautrec<br />

la ritrasse più volte, dedicandole un album e numerosi manifesti. In questo ritratto, l’innato<br />

istinto caricaturale dell’artista emerge prepotentemente (la Guilbert non mostrò mai di apprezzare<br />

molto lo stile del pittore, anzi fu a un passo dalla querela per oltraggio).


PIERRE BONNARD,<br />

Fontenay-aux-Roses 1867 - Le Cannet 1947<br />

44 PLACE CLICHY, 1922<br />

Litografia a colori, firmata in lastra a sinistra verso l’alto.<br />

Bibliografia: Roger-Marx 77 I/II, Bouvet 88 I/II.<br />

(mm. 491x652). [21298A]<br />

Splendida prova nel rarissimo primo stato su due, prima delle modifiche sulle<br />

figure e sullo sfondo. Impressa su carta vergellata tipo Arches, pubblicata da<br />

Bernheim-Jeune che stampò l’edizione definitiva in 100 esemplari. In perfetto<br />

stato di conservazione, ad eccezione di una leggerissima crepa in alto a destra<br />

perfettamente restaurata e di restauri perfettamente eseguiti agli angoli superiori<br />

sui margini bianchi molto lontano dalla lastra. Con buoni margini<br />

tutt’intorno oltre la composizione.<br />

Al verso:<br />

Timbro della collezione L’Art Ancien (Torino 1957-64) di Ferdinando e<br />

Teresa <strong>Salamon</strong> (Pola 1910-Firenze 1974; Torino 1911-1995) segnalato alla<br />

Fondazione Custodia di Parigi per l’edizione del Lugt 2008-2009.<br />

Si tratta di una rarrissima prova di stampa in cui è anche ben visibile l’impronta della pietra.<br />

Questo fatto è estremamente raro per le litografie che essendo stampe in piano non lasciavano<br />

un’impronta dei bordi della lastra. Questo è probabilmente dovuto all’uso di una carta che<br />

generalmente veniva usata per le acqueforti. La tiratura di regola era stampata su carta vellina più<br />

adatta alle litografie. Solo le cento della tiratura regolare furono numerate e nessuna fu mai firmata<br />

a matita.<br />

Diverse sensibilità pittoriche si misurano con il soggetto delle strade e delle piazze parigine.<br />

Negli anni ‘70 ed ‘90, in cui maturano ed evolvono la tendenze impressionistiche e postimpressionistiche,<br />

operano pittori come Bonnard, De Nittis e Boldini. Bonnard è desideroso<br />

di illustrare le scene di vita che si svolgevano lungo le strade parigine e ritrae con preziosismo<br />

coloristico più volte una celebre piazza della capitale, Place Clichy, che ritroviamo anche in<br />

questa litografia a colori eseguita nel 1922, all’apice del suo successo artistico. Il boulevard de<br />

Clichy suddivideva la collina di Montmartre in due zone distinte e tra loro assolutamente<br />

contrastanti: a sud un’area di profilo borghese ospitava gli studi degli artisti di sicura fama ( da<br />

Pauvis de Chavannes a Degas) mentre a nord vivevano gli artisti non ancora di successo. Il<br />

quadro di Bonnard ritrae l’evoluzione di questo ambiente nei primi del ‘900. (cfr.<br />

www.roberto-crosio.net).<br />

[…] In tutte le sue composizioni, vedute, nature morte, nudi, la luce si addensa in colori di terracotta,<br />

lievita o si sgrana in segni di matita in ditate di riflessi, di baluginii crepita e piove come<br />

una grandinata di semi di melograno. È un’eruzione di materie incandescenti o una lastra di<br />

rabbrividenti trasparenze: corpo e psiche all’unisuono. […] Bonnard guarda e racconta, dal<br />

suo angolo: non interviene apparentemente, eppure compone sempre, con la genialità<br />

dell’incontro tra cultura e verità. (cfr. RUSSOLI F. Pierre Bonnard, Milano 1966).


PIERRE BONNARD<br />

45 LA TOILETTE ASSISE, 1925<br />

Litografia, firmata a mano in basso verso destra.<br />

Bibliografia: Roger-Marx 83 I/III, Bouvet 96 I/III.<br />

(mm. 325x217). [21064G]<br />

Superba prova nel primo stato su tre. Impressa su carta del Giappone in 25<br />

esemplari firmati a mano (degli altri due stati esistono 150 esemplari) nel 1925<br />

da Edmond Frapier, Galerie des Peintres-Graveurs di Parigi. In eccezionale<br />

stato di conservazione, con ampi margini tutt’intorno.<br />

Pubblicata nell’album “Maîtres et Petit Maîtres d’aujourdui”.<br />

Dopo l’esperienza con il gruppo Nabis (in ebraico profeti) Pierre Bonnard preferisce appartarsi<br />

dall’ambiente intellettuale di Parigi e si stabilisce a Le Cannet, piccolo paese dell’entroterra<br />

mediterraneo. Qui vive con la sua compagna, l’unica modella che ritrae nuda, circondato dalla<br />

natura e da un ambiente composto di cose semplici come una tovaglia e una fruttiera o come i<br />

cani, che ama ritrarre, o i profondi paesaggi mediterranei. Proprio in questa semplicità risiede la<br />

fortuna dell’artista che ha conquistato tutto il mondo. L’immagine che compare in questa litografia,<br />

eseguita nel 1925, racchiude l’essenza di questa sua filosofia di vita.


PABLO PICASSO,<br />

Malaga 1881 – Mougins 1973<br />

46 TROZO DE ALMIBAR, 1939<br />

Bulino, firmato a mano in basso a destra, numerato a mano in basso a sinistra,<br />

datato in lastra al centro.<br />

Bibliografia: Cramer 146, Bloch II.1465, Baer (Geiser) III.667 B/C.<br />

(mm. 348x243). [20804A]<br />

Perfetto esemplare nell’unico stato nella seconda edizione su tre. Impressa su<br />

carta vellina in 263 esemplari (prima di questa tiratura, che fu aggiunta come<br />

prima tavola del ‘El entierro del Conte de Orgaz’, esistono solo tre prove)<br />

stampata da Gustavo Gili per le Edizioni La Cometa, Barcellona 1969. In eccezionale<br />

stato di conservazione, con margini intonsi.<br />

Nel 1939 scoppia la Seconda Guerra mondiale. Picasso si unisce alla resistenza e ne diventa<br />

un’icona. La stampa vuol essere un primo manifesto contro la guerra e i nazisti.<br />

La traduzione letterale delle parole di Picasso è: “Pezzo di zucchero arricciando i suoi capelli<br />

di piume in mezzo dell’uovo fritto (la guerra) dell’odore del suo canto di giglio (la pace)-<br />

Oggi il 9 di giugno dell’anno 1939”.


PABLO PICASSO<br />

47 COLOMBE VOLANT (ARC EN CIEL), 1952<br />

Litografia a colori, firmata a mano in basso a destra, annotata ‘hc’ in basso a<br />

sinistra, firmata e datata in lastra in basso a destra.<br />

Bibliografia: Mourlot 214, Bloch I.712 e 1356.<br />

(mm. 500x645). [22652G]<br />

Perfetto esemplare nel secondo stato su due (del primo stato, senza i colori,<br />

sono stati tirati solo 5 esemplari). Impressa su carta vellina con la filigrana<br />

‘Arches’ in 238 esemplari. In eccezionale stato di conservazione, con margini<br />

intonsi.<br />

Tra il 1947 e il 1949 Picasso ha una nuova compagna, Françoise Gilot, che gli dà due figli,<br />

Claude e Paloma, ma Picasso sempre irrequieto si separa da Françoise. Realizza la celebre<br />

Colomba manifesto per la pace. A quasi settantanni è finalmente sereno sia negli affetti che<br />

nella vita lavorativa. Il successo aumenta e si succedono mostre su mostre: dipinti, ceramiche,<br />

ma soprattutto incisioni.<br />

L’originale bandiera della Pace dove al centro al posto della attuale scritta “PACE” vi è impressa<br />

la colomba bianca quale messaggio universale di fratellanza, fu opera di Pablo Picasso.<br />

Negli anni del dopoguerra, fino alla fine degli anni cinquanta era un simbolo che, non poteva<br />

essere issato a sventolare su un edificio e chi lo faceva era perseguibile a norma di legge. Il<br />

drappo fece la sua comparsa in Italia nella prima marcia della Pace, il 24 settembre 1961. Ispirato<br />

alla bandiera dei pacifisti anglosassoni che nel 1958, guidati dal filosofo Bertrand Russel<br />

marciarono ad Aldermaston in una protesta antinucleare, Aldo Capitini fece cucire, in tutta<br />

fretta, da alcune amiche perugine, delle strisce colorate da portare alla marcia.


FELICE CASORATI,<br />

Novara 1883 - Torino 1963<br />

48 FIGURA IN RIPOSO, 1942<br />

Linoleumgrafia in cavo, firmata in lastra in basso a sinistra e firmata a mano<br />

in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: De Tullio 11.<br />

(mm. 212x207). [22094A]<br />

Splendida e rarissima prova di stampa nel primo stato su due di cui sono conosciuti<br />

pochissimi esemplari. Impressa su carta sottilissima che con la pressione<br />

del torchio si è leggermente crepata lungo l’impronta della lastra e per<br />

questo motivo incollata su un leggero cartoncino già all’epoca dell’esecuzione.<br />

In perfetto stato di conservazione, salvo leggeri ingiallimenti sui margini. Con<br />

ampi margini tutt’intorno.<br />

Non esiste una vera catalogazione ragionata delle stampe di Felice Casorati, per cui bisogna essere<br />

in possesso di numerosi libri e cataloghi per rintracciare le sue opere. Questa in particolare<br />

è nel primo stato, esiste un secondo stato stampato in positivo inchiostrando il disegno e non<br />

la base con alcune correzioni, un sole o luna in alto a sinistra e due linee per delimitare il<br />

terreno in basso al centro e in basso a sinistra. Di questo secondo stato furono stampati 65<br />

esemplari nel 1966 qualche anno dopo la morte di Felice Casorati dall’editore Luigi De Tullio<br />

che aveva già progettato la serie di concerto con l’artista e che la portò a termine con l’aiuto<br />

della moglie Daphne Casorati e del figlio Francesco.


MARC CHAGALL,<br />

Vitebsk 1887 - Saint-Paul-de-Vence 1985<br />

49 ESSI FECERO ANCHE GLI ABITI SACRI PER ARONNE COME IL SIGNORE<br />

COMANDÒ A MOSÉ, 1965<br />

Litografia a colori.<br />

Bibliografia: Mourlot III.465, Cramer 64.<br />

(mm. 505x370). [22654A]<br />

Perfetto esemplare nell’unico stato. Impresso su carta vellina con parte della<br />

filigrana ‘Arches’ in complessivi 285 esemplari (250 numeri arabi, 20 numeri<br />

romani e 15 fuori commercio) da Fernand Mourlot di Parigi per Léon Amiel<br />

nel 1966. In eccezionale stato di conservazione, con margini intonsi.<br />

Dalla serie: “La storia dell’Esodo”.<br />

Gli esemplari furono firmati sulla pagina di giustificazione della tiratura della<br />

serie. Nessun esemplare è stato firmato singolarmente, ad eccezione del frontespizio<br />

e del gruppo di 20 in numeri romani e di alcune tavole del gruppo<br />

fuori commercio.<br />

Esodo significa ‘uscita’. E’ il titolo del secondo libro della Bibbia e ne indica il contenuto.<br />

Tratta dell’uscita del popolo di Dio dall’Egitto, dove viveva in schiavitù. Attorno a questa<br />

‘uscita’, ruota l’esperienza di fede millenaria di questo popolo.<br />

“Farai per Aronne, tuo fratello, abiti sacri, che esprimano gloria e maestà. Tu parlerai a tutti gli<br />

artigiani più esperti, ai quali io ho dato uno spirito di saggezza, ed essi faranno gli abiti di<br />

Aronne per la sua consacrazione e per l’esercizio del sacerdozio in mio onore. Ed ecco gli abiti<br />

che faranno: il pettorale e l’efod, il manto, la tunica damascata, il turbante e la cintura. Faranno<br />

vesti sacre per Aronne tuo fratello e per i suoi figli, perché esercitino il sacerdozio in mio<br />

onore. Essi dovranno usare oro, porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso.” (Esodo 28,<br />

2-5)


ALBERTO SAVINIO, pseudonimo di ANDREA DE CHIRICO,<br />

Atene 1891 – Roma 1952<br />

50 LOTTERIE CLANDESTINE, (senza titolo, variante b), 1948<br />

Litografia, firmata in lastra in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: AA.VV. (Cristina Nuzzi) Firenze 1981 pag. 168.b, AA.VV. A.<br />

Savinio, Roma 1978 149c, Vivarelli 1948.3.<br />

(mm. 350x255). [4025B]<br />

Perfetto esemplare nell’unico stato. Impresso su carta vellina in otto esemplari<br />

più alcune prove stampa per le edizioni dell’Hommage di Roma e curata da<br />

Velso Mucci nel 1948. In perfetto stato di conservazione, si segnala leggerissime<br />

imperfezioni nelle parti bianche fuori dalla composizione e visibili solo al<br />

verso. Con ampi margini tutt’intorno, probabilmente intonsi.<br />

La litografia era stata eseguita dal maestro assieme ad altre due simili, per illustrare il racconto<br />

Lotterie clandestine di Bruno Barilli. Per la pubblicazione (in ottantanove esemplari) fu scelta<br />

una delle altre due mentre le rimanenti due opere furono impresse in otto esemplari. Alle illustrazioni<br />

dell’opera di Mucci avevano partecipato anche De Chirico e Maccari. La Dott.sa<br />

Nuzzi osserva: “L’immagine sollecita repentinamente il riso per la facilità e l’immediatezza del<br />

traslato assurdo”.


RENÉ MAGRITTE (da),<br />

Lessines 1898 – Bruxelles 1967<br />

51 LE 16 SEPTEMBRE, 1968<br />

Acquaforte e acquatinta a colori, firmata dalla vedova a matita in basso a destra<br />

e inscritta ‘H.C.’ in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Kaplan-Baum 14 d/e.<br />

(mm. 152x100). [22092A]<br />

Perfetto esemplare, impresso in 25 esemplari annotati ‘H.C.’ su carta del<br />

Giappone (la tiratura complessiva fu di 350 esemplari più pochissime prove<br />

siglate ‘E.A.’, tutte su carte diverse volta per volta). In eccezionale stato di conservazione,<br />

con margini intonsi.<br />

Al recto:<br />

Il timbro a secco (Gravure originale, Atelier René Magritte) della fondazione<br />

preposta alla catalogazione della sua opera, segnalato alla Fondazione Custodia<br />

di Parigi per l’edizione del Lugt 2008-2009.<br />

Questa, insieme ad altre sette stampe, fa parte del gruppo progettato, disegnato e preparato da<br />

Magritte per l’editore Georges Visat di Parigi. Magritte muore pochi mesi prima e non porta a<br />

termine il progetto che viene completato, come da programma, da Visat e dalla moglie di<br />

Magritte Georgette tra il 1968 e il 1969.<br />

I catalogatori Kaplan e Baum la inseriscono nel loro catalogo tra le stampe considerate originali,<br />

ma postume.<br />

Nella pittura di Magritte il pensiero, piuttosto che lo sguardo, è un gioco; un pensiero che abbiamo<br />

l’abitudine di legare a ciò che è detto, a ciò che è udito, e che, qui, ha la forte singolarità<br />

di presentarsi per esser visto, per essere muto. Nulla è più segreto del visibile, si potrebbe dire<br />

che non c’è maschera migliore che l’evidenza. Quanto al silenzio, chi lo ascolta? Tuttavia, in<br />

Magritte, quel silenzio ha un chiaro significato, per tutti quei personaggi che ci voltano la<br />

schiena, che sono senza testa, oppure che la nascondono.<br />

(cfr. NOËL B. Magritte, Parigi 1976).<br />

Uno dei motivi per cui il Surrealismo segna una svolta nella storia dell’arte moderna si manifesta<br />

nel più tipico dei suoi procedimenti: immagini assolutamente verosimili, addirittura ovvie,<br />

vengono associate e combinate in un contesto scandalosamente incongruo, inesplicabile, assurdo.<br />

Un esempio: Magritte raffigura un signore con cappello duro, solino e cravatta, ma invece<br />

della faccia c’è una mela verde. Si noti che la figura è ritratta in modo ostentatamente convenzionale,<br />

come in una fotografia per tessera, e la mela è dipinta con l’attenzione esagerata di<br />

un trompe-l’oeil. È chiaro che il significato del quadro non sta nelle due immagini dell’uomo e<br />

della mela, ma nella loro combinazione inattesa ed enigmatica. […] René Magritte inventa l’antistoria,<br />

scopre l’assurdità del banale, raffigura con meticolosa pedanteria immagini di significato<br />

ambiguo che scadono facilmente nel doppio senso, nel gioco di parole figurato.<br />

(cfr. ARGAN G.C. L’Arte moderna, 1770-1970, Firenze 1977).


MARINO MARINI,<br />

Pistoia 1901 - Forte dei Marmi 1980<br />

52 IL GRIDO, 1962<br />

Acquaforte e acquatinta, firmata a mano in basso a destra e numerata a<br />

mano in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Guastalla A71.<br />

(mm. 246x290). [22096A]<br />

Perfetto esemplare nell’unico stato. Impresso su carta vellina dai Fratelli<br />

Crommelynck di Parigi in complessivi 80 esemplari (65 in numeri arabi, 15 in<br />

numeri romani). In eccezionale stato di conservazione, con margini intonsi.<br />

In Marini, i primi sintomi di un balzo linguistico nuovo si possono riconoscere in una serie<br />

di acqueforti realizzate tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60. Il suo discorso si fa più<br />

duro e risentito, carico di sgomento, aperto verso immagini più rotte, più taglienti, più nude;<br />

immagini che approderanno a stampe come Il grido dove l’immagine, tradizionalmente posta<br />

in verticale, diventa orizzontale diventando così più spoglia e schematica nella disposizione.


ANTONIO ZORAN MUSIC,<br />

Gorizia 1909 – Venezia 2005<br />

53 PAYSAGE, 1959<br />

Acquaforte a colori, firmata e annotata (épreuve d’artiste) a mano dall’artista.<br />

Bibliografia: Schmücking 70.<br />

(mm. 378x536). [20544A]<br />

Perfetto esemplare nell’unico stato. Impresso su carta vellina con la filigrana<br />

‘arches’ in complessvivi 250 esemplari da l’Atelier Lacourière di Parigi per<br />

l’editore Kestner-Gesellschaft di Hannover nel 1959 come omaggio annuale ai<br />

clienti più prestigiosi. In eccezionale stato di conservazione, con ampi margini<br />

tutt’intorno oltre l’impronta del rame.<br />

Viviamo tutti in una specie di nebbia, dove tutto è, può essere, ma può anche non essere. Lo<br />

stesso possiamo dire del mondo che ci circonda: forse esiste». Questo diceva già Zoran Music,<br />

prima d’essere assediato dalla nebbia infida e definitiva della cecità, che lo faceva aggirarsi per le<br />

calli conosciute come un interrogativo inspiegabile, una domanda incessante: «Sono a Venezia,<br />

oppure a Parigi?». Le sue due città della creatività: le metropoli benjaminiane del cuore. Ma<br />

forse avrebbe opposto che solo una cosa esiste (per lui ch’era sopravvissuto a Dachau e sapeva<br />

davvero che significa amicizia): la fedeltà agli affetti, che non si vedono, che non forano la superficie<br />

incerta della nebbia polverosa, ma che sono più duri ancora e rocciosi della stessa sua<br />

pittura d’intonaco. La sua perenne meditazione sul silenzio biblico, inumato dal deserto. «Il<br />

deserto non è immagine di morte. Basta pensare all’Antico Testamento, dove tutto, ma proprio<br />

tutto accadeva nel deserto. Mosè è persino riuscito a trovare l’acqua nella roccia».<br />

Ed ecco così che, nel colorato deserto rumoroso della nostra cittadina distrazione, riemergono<br />

gli amici veri, i compagni antichi della nativa Slovenia, i pochissimi con lui sopravvissuti al regime<br />

annichilente del lager, i silenziosi, incredibilmente, sodali della ciarliera Venezia, e l’amico<br />

di una vita, il complice «monografico» Jean Clair, che con lui ha scritto quel libro terribile e<br />

bellissimo di memorie estreme, La barbaria quotidiana, ove Music confessa con raccapriccio e<br />

rapimento la sua condizione di «pittore» insulso nel campo di concentramento (ma è la pittura<br />

che gli ha concesso di soppravvivere, in tutti i sensi, tra quei funerei architetti di regime, che si<br />

fanno ritrarre dal suo talento).<br />

Incapace e rabbrividente, nel non saper trattenere quel sentimento orribile e naturalissimo di<br />

scavare e trovare la «bellezza» nella morte, nel terrore: in quello scricchiolare terreo dei prossimi<br />

cadaveri, che ancora gemono e vivono e ansimano, in quelle organiche cataste putrescenti,<br />

che tanto gli ricordano la natura carsica e scheletrica della sua natia Dalmazia. Dal momento che<br />

tutta la sua pittura è pittura di ricordi, di cieco brancolare in quello che è stato (Music non lavorava<br />

mai dal vivo o en plein air, ma in pieno subcosciente: «Sì, sono immagini che provengono<br />

dal mio inconscio. Ogni mio lavoro è preesistente. Prima che si faccia colore lo vedo già<br />

perfetto sulla tela. Lo immagino come una luce che viene dal di fuori, ma che, al tempo stesso, io<br />

ho già dentro. Mi sembra un mistero») ebbene le opere pressoché inedite che Jean Clair ha ripescato,<br />

nella meravigliosa casa-atelier che si stende come una liana stanca, ricolma di tele incespicanti<br />

verso il Canal Grande, sotto la vigile memoria-vestale della vedova-pittrice Ida<br />

Cadorin, eccole, sono come dei vagiti o lapilli, dei grumi di memoria, dei bisbigli seminati<br />

nella notte. Cavallini dalmati che pestano il silenzio («e che non saprei più rifare»), paesaggi senesi<br />

sfuggenti, catturati dal treno (che lo porta al primo contatto con il mondo dell’arte, la<br />

Galleria dell’Obelisco di Gasparo del Corso e Irene Brin, angelo protettore il grande maestro<br />

veneziano Guido Cadorin, padre di Ida). Ida, così continuamente ritratta e amata, nel gomitolo<br />

che si sfalda del carboncino, e registra quasi mesmericamente il perimetro caro del salone-atelier<br />

in amoroso condominio: lo spazio palpabile dell’affetto predominante. Par di ascoltare il<br />

Leporello di Da Ponte, che misura la circonferenza «veneziana» della sua stanza, di eterno subalterno<br />

della vita. Perché qualcosa di dalmata-bizantin-veneziano resiste pur sempre, in questa<br />

pittura della luce «accecata», come intuì Tassi: «Poiché tutto, in questi quadri senza luce, avviene<br />

per luce».<br />

Continua al fondo del catalogo


ANTONI TAPIES,<br />

Barcellona 1923<br />

54 ADDICIÒ DE PETIJADES, 1972<br />

(Somma di orme)<br />

Acquaforte, acquatinta e carborundo a colori, firmata a mano dall’artista in<br />

basso a destra e numerata a mano in basso a sinistra.<br />

Bibliografia: Galfetti 295.<br />

(mm. 770x500). [22095A]<br />

Perfetto esemplare nell’unico stato. Impresso su carta vellina in complessivi<br />

75 esemplari da La Poligrafa di Barcellona per le proprie edizioni. In perfetto<br />

stato di conservazione, con margini intonsi.<br />

Il carborundo, una nuova tecnica che si affianca all’acquaforte e all’acquatinta, è una pasta<br />

composta da sabbia e collante che permette di essere lavorata e plasmata, ed una volta essiccata,<br />

essa diviene resistente come il metallo e porosa come la superficie trattata all’acquatinta. L’artista<br />

la usa con eccezionale perizia e riesce a creare sulla carta stampata rilievi, rotture e scavi che gli<br />

permettono una nuova forma espressiva; di fatto questa tecnica è contemporaneamente una<br />

stampa in rilievo e in cavo.


4 I GIOCHI DEI BAMBINI, oggi I BAMBINI, 1480 c.a (continua)<br />

Casi emblematici - rimanendo sempre nell’immagine di van Meckenem, che trova molte corrispondenze<br />

nelle incisioni e silografie dell’epoca - di un comportamento ambiguo, tra<br />

l’operare senza fini produttivi e socialmente riconosciuti, peculiare dell’ infanzia che gioca, e<br />

il fare, riconosciuto nei suoi modi e obiettivi tipico delle persone grandi; nesso tra queste<br />

due modalità operative sarebbe l’uso di arnesi da lavoro, che i bambini impiegano, ma sovente<br />

in modo defunzionalizzato, per trasformarli in attrezzi ludici, quasi a sedare la loro fatica<br />

e la loro ansia di piccoli operai. Così le stoviglie sul suolo possono essere degli strumenti<br />

serviti per giocare o troppo impegnativi per essere usati nel lavoro infantile, la frusta<br />

con cui il piccolo sollecita il cavallino un arnese rubato a un adulto e adoperato nel gioco,<br />

che a sua volta è mimetico di - o propedeutico a - condotte dei “grandi”. Si tratta di ambiguità<br />

frequenti nelle raffigurazioni rinascimentali dell’universo infantile, che ne suggeriscono plurime<br />

interpretazioni. (Egle Becchi, Milano, Settembre 2007).<br />

7 LA SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNI, MADDALENA E NICODEMO,<br />

1512 c.a (continua)<br />

in alto a sinistra è vuota tranne che per il paesaggio non portato a termine; e questa diagonale,<br />

quasi barocca trova un’eco e un’accentuazione in un muro che sale gradatamente da sinistra a<br />

destra, con la parte più bassa che risulta più alta della figura accovacciata di San Giuseppe,<br />

mentre la sua sezione più alta risulta più bassa del gruppo serrato dei “testimoni.”<br />

La tecnica grafica di questa stampa è audace e libera come il suo disegno e la sua iconografia.<br />

Limatura e Plattenton (una sorta di effetto velato probabilmente ottenuto con cartavetro)<br />

sono impiegati liberamente, ma alcune parti, come le teste di San Giovanni e di Nicodemo,<br />

sono cosi attenuate nella consistenza volumetrica da produrre un autentico effetto di plein<br />

air. Nel volto di San Giovanni non solo il modellato plastico ma anche i contorni sono ridotti<br />

a favore di un delicato gioco di luce e d’ombra, e il volto della Vergine, costruito di innumerevoli<br />

minuscoli colpi e graffi, non ha praticamente alcun contorno. Qui Dürer si avvicina,<br />

per una volta, all’ideale leonardesco dello sfumato, e in effetti la sua Vergine fa pensare<br />

alla Sant’Anna di Leonardo al Louvre.<br />

(E. PANOFSKY La vita e le opere di Albrecht Dürer, Londra 1965 Milano 1967, pag.195).<br />

27 IL DOTTOR FAUST - L’ ERUDITO NEL SUO STUDIO, 1652 c.a (continua)<br />

Una misteriosa apparizione alla finestra del suo studio spinge un vecchio erudito ad alzarsi<br />

in piedi. Un raggio di luce proiettato attraverso la stanza fiocamente illuminata rischiara le<br />

scarne fattezze dell’uomo, che indossa un berretto bianco e vari strati di pelliccia, velluto e<br />

lino per proteggersi dal freddo. L’uomo ha lavorato a lungo, impegnato a leggere e a scrivere.<br />

Sul lato sinistro del bracciolo della sedia e su quello destro dello scrittoio, l’uomo si appoggia<br />

a fatica sulle nocche e si alza, nel tentativo di osservare meglio l’abbagliante visione. Fra le<br />

mezze tende parzialmente tirate, un alone luminoso circonda un disco con tre cerchi concentrici<br />

di lettere, di cui quello centrale porta l’iscrizione “INRI” (l’acronimo latino per<br />

“Gesù di Nazareth, Re dei Giudei”). Il disco criptico, trasformazione dei pannelli rotondi<br />

dipinti piombati tipici di tante finestre fiamminghe, funge da testa del corpo indistinto della<br />

figura visionaria. Fra nubi di vapore appaiono due mani spettrali, una indicante un vago riflesso<br />

del disco criptico nello specchio che l’altra mano tiene. Il vecchio erudito è stato interrotto,<br />

ma l’apparizione convoglia la conoscenza esoterica che egli stava cercando. Per lui si<br />

tratta di una rivelazione mistica.<br />

L’osservatore vede la scena da una prospettiva rialzata e l’occhio spazia su ogni più piccolo<br />

aspetto circostante, dal mappamondo, allo scrittoio ricoperto da un tappetino, ai libri, alle<br />

carte. Rembrandt sembra voler spostare con urgenza l’attenzione dell’osservatore oltre<br />

l’ingombro delle cose, verso il centro stesso dell’azione. Comprendiamo all’istante che<br />

l’uomo ha una visione, ma Rembrandt non ci consente di condividere in pieno ciò che il<br />

dotto erudito sta vedendo.


Stuzzicato nella sua curiosità, l’osservatore può tentare di decifrare la misteriosa iscrizione,<br />

ma la ricerca potrebbe rivelarsi del tutto vana. Analogamente, l’interno invita<br />

all’esplorazione, ma porta a poche concrete scoperte. In primo piano, che è delineato con rapidi<br />

tratti, l’osservatore non identifica nessun libro e non è nemmeno in grado di stabilire se<br />

il globo sia un globo terracqueo o un globo celeste. Nell’angolo lontano della stanza, vediamo<br />

solo pile indistinte di libri. Anche il mucchio di carte che salta all’occhio alla luce del<br />

finestrone piombato non ci suggerisce alcunché del suo contenuto. L’unico dettaglio evidente<br />

e carico di significato è il teschio, messo appositamente in modo tale da ricordare il<br />

profilo del vecchio, memento a immagine dell’inevitabilità della morte e del mistero di ciò che<br />

va oltre la vita.<br />

Questa immagine vanta una lunga storia interpretativa. Il titolo più antico è quello che fu attributo<br />

all’opera nell’inventario risalente al 1679 delle proprietà appartenenti allo stampatore<br />

Clement de Jonghe. In quell’inventario, l’opera veniva denominata Practiserende alchimist,<br />

titolo di solito tradotto come Alchimista al lavoro.<br />

Attorno al 1731, il collezionista di Delft Valerius Röver (1686-1739) classificò la stampa come<br />

ritratto e gli attribuì il titolo di Il Dottor Faust. Edme-François Gersaint (1694-1750), autore<br />

del primo catalogo pubblicato delle stampe di Rembrandt intuì che il nome “Fautrius” affondava<br />

le sue radici nei misteri cabalistici. Quasi tutte le interpretazioni d’epoca successiva<br />

derivano da queste tre.<br />

L’attribuzione della figura di Faust a soggetto della stampa offre due ipotesi interpretative. La<br />

prima lo identifica come protagonista del Dr. Faust, la commedia di Christopher Marlowe<br />

(1564-1593), che drammatizza la leggenda che ha come argomento la vita e la morte misteriosa<br />

di Johann Faust, famoso stregone del XVI secolo. Benché i suoi disegni di attori e la sua illustrazione<br />

di Medea forniscano prove incontrovertibili dell’interesse di Rembrandt per il teatro,<br />

tuttavia non ci è dato sapere con precisione come saremmo potuti venire a conoscenza del<br />

racconto di Marlowe.<br />

La seconda ipotesi interpretativa suggerisce che la stampa sia in realtà un ritratto commemorativo<br />

di Fausto Socinio (1539-1604), fondatore della setta antitrinitaria, i cui adepti – con eccessivo<br />

ottimismo – ebbero a cercare rifugio nel relativamente tollerante ambiente religioso di<br />

Amsterdam. Questo complesso argomento richiama l’eco, peraltro piuttosto distante, di silografia<br />

di Rembrandt rappresentante un angelo reggente uno specchio che compare nello<br />

studio di Martin Lutero, uno degli eroi di Socinio. La relativa indipendenza di Rembrandt<br />

dalla chiesa calvinista e i suoi amplissimi interessi religiosi rendono plausibile la ricettività da<br />

parte dell’artista di idee non convenzionali. Come spesso ebbe a fare, anche stavolta<br />

Rembrandt lasciò l’incisione non firmata. Se costui fosse davvero Socinio, sarebbe stato pericoloso<br />

per l’artista identificarsi come autore dell’immagine. L’interpretazione ebraica della<br />

cabala ha precedenti in una pubblicazione del 1676 su amuleti che presentano una configurazione<br />

molto simile per testo e forma a quella di Rembrandt.<br />

Una silografia allegorica del 1652 che rappresenta un girasole cabalistico rivela che i due cerchi<br />

esterni di testo contengono vari nomi in riferimento a Dio. Il contatto di Rembrandt con<br />

il misticismo ebraico è in relazione con le sue illustrazioni del trattato mistico del rabbino<br />

Menassah ben Israel (1655), dal titolo La Piedra Gloriosa. Se il vecchio del ritratto fosse stato<br />

giudeo, il panno appeso sul lato sinistro dell’immagine potrebbe essere un tallith, cioè lo<br />

scialle con cui gli ebrei si avvolgono quando sono in preghiera.<br />

Se da un lato la spiegazione cabalistica ben si adatta agli elementi dell’immagine, dall’altro<br />

però, si dovrebbe essere molto cauti nell’usare il simbolo dell’amuleto come chiave di una<br />

specifica interpretazione, in quanto Rembrandt avrebbe potuto adottare quel simbolo semplicemente<br />

come esempio esotico di esoterismo, cioè una sorta di emblema stesso del mistero.<br />

L’interpretazione alchimistica è probabilmente quella più flessibile. Anche se l’alchimia è sostanzialmente<br />

la trasformazione del metallo base in oro, con il tempo essa ha assunto i connotati<br />

della magia e della ricerca delle conoscenze esoteriche. Fra i praticanti alchimisti troviamo<br />

giudei, cristiani ed eretici di qualsiasi tipo.<br />

Se non fosse stata così irresistibile come creazione puramente artistica, la stampa di<br />

Rembrandt non avrebbe attratto tanta curiosità. Grazie alla variazione di carta e inchiostro da<br />

una stampa all’altra dell’incisione, l’opera offre un’ampia gamma d’effetti. La stampa vivacemente<br />

luminosa che qui vediamo raffigurata fu impressa su carta europea bianca. Rembrandt<br />

asciugò selettivamente l’inchiostro dall’incisione, lasciandone solo un leggero velo su gran<br />

parte della superficie, come si può vedere nel primo piano lavorato con densità limitata, per<br />

enfatizzare l’oscurità della stanza. Il disco e la testa dell’uomo sono stati asciugati maggiormente<br />

per produrre una luminosità più focalizzata.


Le barbe della puntasecca e l’inchiostro trascinato valorizzano l’effetto lucido della pelliccia e<br />

del velluto. L’equilibrio dei contrasti e le tonalità producono un senso spaziale pronunciato,<br />

benché irrazionale e misticheggiante. L’uomo e l’apparizione sono ancora più vividamente<br />

impressi poiché la creatività di Rembrandt non si è interrotta con il completamento<br />

dell’incisione in rame. In alcune stampe esistenti, l’artista lasciò ancora più inchiostro<br />

sull’incisione, oscurando i libri in distanza, che qui sono invece ancora visibili.<br />

Una recente ricerca sulla filigrana conferma che dopo la morte di Rembrandt si è proceduto a<br />

una rilavorazione dell’incisione nel secondo stato (creando così il terzo stato). L’inventario<br />

di Röver, che risale al 1731, riporta due stampe del “Dottor Faust”. Piuttosto che due stati diversi,<br />

è più verosimile che si trattasse di due stampe eseguite su due diversi tipi di carta. Quella<br />

di Faust ottenuta su carta con segatura ha un effetto più smorzato, ma tende a presentare zone<br />

di barbe più nette e distinte, quella ottenuta su carta giapponese tende a brillare con transizioni<br />

seriche più marcate fra la zona scura e la zona luminosa. Röver ha probabilmente apprezzato<br />

il fatto che gli effetti, pur nella loro diversità, erano ugualmente validi.<br />

L’incisione, cui viene normalmente attribuita la data del 1652, può essere confrontata con<br />

l’incisione Davide in preghiera, firmata e datata appunto 1652. In entrambe le opere,<br />

Rembrandt rappresenta momenti di alto significato spirituale o metafisico, calati in spazi circonfusi<br />

di luce molto fioca.<br />

La sparuta descrizione degli oggetti presenti nella stanza non solo va di pari passo con la nostra<br />

limitata percezione nel buio, ma aiuta anche a spostare la nostra attenzione dagli elementi<br />

fisici che ci stanno intorno alle problematiche dell’anima.<br />

La ricerca della filigrana suggerisce che l’esecuzione dell’incisione risalirebbe presumibilmente<br />

al 1653. Mentre l’opera era ancora in ottime condizioni, alcune incisioni del Faust furono<br />

stampate su una carta usata ripetutamente da Rembrandt per Le tre croci del 1653.<br />

(cfr. CLIFFORD S. ACKLEY-THOMAS E. RASIEUR-AA.VV. Rembrandt’s journey, Boston<br />

Chicago 2003-2004 n. 150).<br />

53 PAYSAGE, 1959 (continua)<br />

E Clair: «La pittura, con lui, torna a essere la possibilità di rendere, con un po’ di terra, la<br />

luce. L’impressione della luce». Rendere l’oro bizantino di San Marco e di Ravenna, quasi<br />

fosse un umilisimo fango di luce («Per paradossale che possa sembrare è a Venezia che ho<br />

scoperto l’Oriente. Proprio io che venivo dell’Oriente»). E qui, quante «prove» testimoniali:<br />

da quei soavi, giovanili cavallini scalpitanti, strappati come affreschi, al primo studio che il<br />

compositore Malipiero gli concesse, negli abbaini di Palazzo Pisani, sede del Conservatorio.<br />

Da cui poteva dominare tutti i tetti di Venezia, lui abituato solo ai mammelloni desertici dei<br />

suoi dintorni bambini di Gorizia. A quell’interno grigio-luminoso, e spettrale come<br />

un’icona abbrustolita, del 1944, di San Marco, che poi avrebbe in seguito ripreso, tentando<br />

di ritrovare «il profondo silenzio e la grandiosità dello spazio delle cattedrali, facendo emergere<br />

forme illuminate dall’entrata quasi buia». Sotto quel sorriso di pietra calda e rassicurante<br />

del rosone romanico. Perché qualcosa di romanico, di bizantino e di rupestre si avverte sempre<br />

nella sua pittura «dimenticata».<br />

(M. VALLORA Music, La luce accecata nei deserti fantasma, La Stampa Tuttolibri, 1 giugno<br />

2006).


INDICE DEGLI ARTISTI<br />

ALTDORFER A., 13<br />

BEHAM H.S., 19<br />

BEHAM B., 20<br />

BOL F., 33<br />

BONNARD P., 44, 45<br />

BRUEGEL P. (da),21, 22<br />

CALLOT J., 23<br />

CASORATI F., 48<br />

CASTIGLIONE G.B., 28<br />

CHAGALL M., 49<br />

COROT J.B.C., 37<br />

CRANACH L., 12<br />

DAUBIGNY C.F., 38<br />

DE CHIRICO A. si veda Savinio A.<br />

DELLA BELLA S., 29, 30, 31, 32<br />

DÜRER A., 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11<br />

ENSOR J., 41, 42<br />

GOYA F., 36<br />

IL CANALETTO, si veda Canal A.<br />

IL GRECHETTO, si veda Castiglione G.B.<br />

MAESTRO IB, 17, 18<br />

MAGRITTE R. (da), 51<br />

MARINI M., 52<br />

MUSIC A.Z., 53<br />

PICASSO P., 46, 47<br />

REDON O., 39, 40<br />

REMBRANDT H.V.R., 24, 25, 26, 27<br />

SAVINIO A., 50<br />

SCHONGAUER M., 1, 2<br />

SCHONGAUER M. (da), 3<br />

TAPIES A., 54<br />

TOULOUSE-LAUTREC H., 43<br />

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WOODWARD D. Catalogue of watermarks in Italian printed maps c.a 1540-1600, Chicago 1996.


NOTE GENERALI PER LA LETTURA DEL CATALOGO<br />

Sono da considerarsi stampe originali (silografia, bulino, puntasecca, acquaforte, acquatinta, litografia, cliché-verre, serigrafia,<br />

ecc.) le prove tirate in nero e a colori da una o più lastre concepite dall’artista stesso, qualunque sia la tecnica impiegata per<br />

realizzarle. Nel XX secolo molte delle tecniche classiche hanno subito variazioni dovute al perfezionamento della tecnologia e<br />

al desiderio degli artisti di sperimentare nuove forme espressive, per cui nelle stampe originali incontriamo tecniche con base<br />

fotografica o eliografica, fino ad elaborazioni di immagini eseguite con l’ausilio del computer.<br />

Si considerano generalmente alla stregua di stampe originali alcuni d’aprés (per eesmpio i Brueghel, i Raimondi, i<br />

Giandomenico Tiepolo, i Saint Non, i Sorlier-Chagall, i Villon-Picasso, i Magritte, eccetera), poiché il rapporto tra l’inventore<br />

della composizione e l’incisore era strettissimo e in molti casi il soggetto era creato con la precisa destinazione di essere preparatorio<br />

alla stampa, oppure questa era la libera interpretazione di soggetti o di stili di altri autori. Queste particolarità<br />

vengono indicate nelle schede volta per volta. Le stampe giapponesi non seguono queste regole: l’artista eseguiva un disegno<br />

shita-e su carta molto sottile, espressamente per l’incisione; questo veniva incollato al rovescio sulla lastra che poi veniva<br />

incisa dallo hori-cho (silografo), sotto il controllo dell’artista. Naturalmente veniva incisa una lastra per ogni colore.<br />

La qualità o bellezza dell’impressione è indipendente dallo stato, dalla conservazione, dalla rarità, dal soggetto e dall’autore<br />

(una prova tarda di ultimo stato, se stampata con cura, può essere di alta qualità; e si intende che la qualità è alta o bassa<br />

nell’ambito della medesima tiratura). Gli aggettivi d’uso internazionale per definire la qualità sono, in ordine decrescente:<br />

superba, splendida, magnifica, bellissima, bella, discreta, mediocre, stanca e povera. Per le stampe moderne e contemporanee,<br />

quando non si tratti di prove di stampa o di tirature non documentate ma di esemplari appartenenti da una tiratura di x<br />

esemplari stampati in una volta sola, in cui il primo esemplare e l’ultimo non hanno differenze di qualità, questa viene indicata<br />

con il termine “perfetto esemplare”. Per le stampe giapponesi la qualità del colore viene indicata coi seguenti aggettivi in ordine<br />

decrescente: brillante, ottimo, buono, discreto, pallido.<br />

Si è sempre menzionata l’esistenza o meno della firma. Si ricorda, tuttavia, che questa, non è di nessuna utilità né nella certificazione<br />

dell’autenticità né nell’attribuzione. Si ricorda inoltre che l’assegnazione di una stampa ad un autore, diversamente di<br />

quella di un disegno o di un quadro, viene di regola fondata sulla documentazione storica e non sull’analisi filologica: infatti la<br />

stampa, venendo impressa in più esemplari può venire considerata, come il libro, opera pubblicata e perciò di autore certo e<br />

documentato.<br />

É difficile parlare di tiratura per le stampe poiché esse venivano generalmente stampate a seconda della richiesta. Oltre alle<br />

due grandi divisioni, coeve e tarde, le stampe venivano, nell’ambito di quest’ultime, tirate in tempi diversi a seconda della<br />

domanda. Per edizione corrente si intende una tiratura ampia, alle volte anche oltre il migliaio di copie, voluta dall’autore e<br />

dall’editore, spesso come tavola fuori testo di libri o riviste d’arte (l’inserimento in una pubblicazione con un testo dava al tutto<br />

uno status di libro con una tassazione, soprattutto in Francia, praticamente azzerata). Non sono da considerare artisticamente<br />

opere minori, molte hanno avuto un’edizione parallela di lusso stampata dopo quella corrente, e molte anche in questa tiratura<br />

sono oggi molto pregiate e preziose. La rarità è dovuta o alle poche impressioni eseguite, o alla legge della domanda-offerta e<br />

ancora, per gli stessi motivi una stampa molto rara nei primi stati o in tiratura coeva può essere molto comune negli ultimi<br />

stati in tiratura tarda o viceversa. Si ricorda comunque che la rarità è da valutare anche in relazione all’ampiezza del mercato<br />

(oggi il mondo) in cui la stampa viene richiesta.<br />

La qualità della conservazione viene indicata con le seguenti frasi in ordine decrescente: in eccezionale stato di conservazione,<br />

in perfetto stato di conservazione (ad eccezione di...), in buono stato di conservazione (ad eccezione di...), si segnala la presenza<br />

di.... I margini vengono così classificati: sottilissimo fino a 1 mm, sottile da 1 a 2 mm, piccolo da 2 a 4 mm. buono da 4 a<br />

15 mm, ampio oltre i 15 mm; intonso è un foglio che conserva le misure in cui è stato fabbricato o stampato; con editoriale si<br />

intende un foglio che è stato messo in commercio senza margini o con una precisa dimensione di carta scelta dall’artista di<br />

concerto con l’editore, con visibile a tratti si intende un margine discontinuo oltre l’impronta del rame o la linea marginale, rimarginato<br />

è un margine ricostruito.<br />

Alle volte le stampe e le opere su carta in genere sono incollate su di un supporto già all’epoca dell’esecuzione o su di un passepartout<br />

antico o moderno recante iscrizioni autografe o timbri dei collezionisti e dei critici: in presenza di queste particolarità<br />

che, se catalogabili vengono segnalate, il supporto non viene rimosso .<br />

Per destra o sinistra si intende quella di chi guarda, salvo che si indichi un soggetto animato. Esempio: la mano destra o la<br />

gamba destra di un uomo sono la sua mano o gamba destra e sono a sinistra per chi guarda; il ramo di un albero è a destra per<br />

chi guarda.<br />

Le misure sono tutte in millimetri, altezza per base; si riferiscono per le stampe in cavo all’impronta del rame, per le silografie<br />

alla linea marginale e, in difetto di queste, al foglio, per le litografie e le stampe in piano al limite della composizione<br />

e si riferiscono al foglio in vendita. Talvolta i repertori riportano misure leggermente diverse, ciò può dipendere dai criteri di<br />

misurazione o dall’elasticità della carta che, a seconda della temperatura (secca o umida) degli ambienti in cui è stata conservata<br />

o dalla pressione del torchio, si restringe o si allarga. (Aggiornamento Ottobre 2007).<br />

Si inviano cataloghi o avvisi di mostra su richiesta.<br />

Se desidera continuare a ricevere le nostre comunicazioni (cataloghi, inviti, cartoline)<br />

è assolutamente necessario, se non lo ha già fatto nel corso dell’anno,<br />

che confermi il proprio interesse per le nostre mostre, comunicandoci nuovamente<br />

l’indirizzo con una lettera, un fax, una telefonata o una e-mail.<br />

La ringraziamo vivamente per la collaborazione.<br />

© 2007 s.a.s. L’Arte <strong>Antica</strong> <strong>Silverio</strong> <strong>Salamon</strong> Torino<br />

Collaborazioni ER VL BS MS LDL<br />

Grafica Piemontese s.r.l. Volpiano TO carta Palatina delle Cartiere Miliani Fabriano s.p.a.<br />

Fotocomposizione ed impaginazione ERSS Mac con caratteri Stempel Garamond.<br />

2007

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