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Appunti sullo stretching - Kosmos Club Pisa

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<strong>Appunti</strong> <strong>sullo</strong> <strong>stretching</strong><br />

Un breve sommario di metodologie e tecniche<br />

A cura di Mentore Siesto per il <strong>Kosmos</strong> <strong>Club</strong> <strong>Pisa</strong> – anno 2010


Indice generale<br />

1. Scopi dello <strong>stretching</strong><br />

2. La cellula e la fibra muscolare<br />

3. La teoria alla base dello <strong>stretching</strong><br />

4. Metodiche di <strong>stretching</strong> - accenni<br />

5. Falsi miti dello <strong>stretching</strong><br />

6. Lo <strong>stretching</strong> statico<br />

7. Lo <strong>stretching</strong> dinamico<br />

8. Lo <strong>stretching</strong> PNF e isometrico<br />

9. Allenamento funzionale<br />

10. Quando e come<br />

11. Conclusioni


Scopi dello <strong>stretching</strong>.<br />

“Stretching” (da to stretch, allungare) è il nome dato a una serie di tecniche e metodologie, il cui<br />

obbiettivo principale è distendere e allungare le fibre muscolari del corpo.<br />

La distensione dei muscoli è qualcosa di spontaneo e naturale per la maggior parte delle persone:<br />

basta pensare allo stiracchiamento che ognuno di noi fa al mattino, appena svegliato, oppure dopo<br />

un profondo respiro o uno sbadiglio; o ancora, allo stiracchiarsi e allungarsi di gatti e cani poco<br />

prima di muoversi per le loro quotidiane escursioni.<br />

Lo <strong>stretching</strong> può essere praticato a qualsiasi età e in qualsiasi condizione fisica non patologica:<br />

negli anni ’80 è divenuto una disciplina particolarmente famosa ai tempi della diffusione della<br />

danza aerobica e jazz, e le conoscenze di quei tempi si sono diffuse e cristallizzate nella maggior<br />

parte delle discipline.<br />

Negli anni sono stati effettuati molti studi di fisiologia, biomeccanica e altro ancora, che hanno<br />

permesso di estendere e approfondire notevolmente le conoscenze relative allo <strong>stretching</strong>, arrivando<br />

a porre molti dubbi su certe metodiche, inizialmente ritenute efficaci.<br />

In questo articolo cercherò di condensare alcune nozioni su come “funzionano” le metodiche di<br />

<strong>stretching</strong>, parlando più diffusamente di una metodica specifica, ideale per le attività fisiche più<br />

disparate. Cercherò inoltre di sfatare alcuni falsi miti dello <strong>stretching</strong>, troppe volte considerati come<br />

verità inattaccabili, e che invece hanno spesso causato danni più o meno seri.


La cellula e la fibra muscolare.<br />

Vediamo un brevissimo cenno alle caratteristiche dei muscoli. Sarà importante avere presenti queste<br />

annotazioni quando analizzeremo le metodiche di <strong>stretching</strong>.<br />

I muscoli nel corpo umano vengono classificati in tre categorie: volontari (controllati cioè dalla<br />

volontà), involontari (non controllati direttamente dalla volontà, ma da sezioni specifiche del<br />

sistema nervoso) e lisci.<br />

Le caratteristiche di questi muscoli sono diverse tra loro, soprattutto per la struttura e la<br />

composizione. In questo articolo ci interessiamo ai muscoli volontari, su cui è possibile agire con le<br />

tecniche di <strong>stretching</strong>.<br />

Un muscolo volontario è composto di un certo numero di fibre muscolari (programmato<br />

geneticamente): queste si uniscono assieme in più fascicoli, i quali a loro volta si raggruppano in un<br />

fascio muscolare.<br />

Schematicamente, la struttura del muscolo volontario è tratteggiata nella figura seguente:<br />

Figura 1 - Muscolo scheletrico


I fascicoli e i fasci muscolari sono inguainati in fibre elastiche (collagene) e attraversati dai vasi<br />

sanguigni e dai nervi.<br />

Il muscolo si connette poi all’osso tramite una struttura molto rigida, composta soprattutto di tessuto<br />

connettivo (il tendine).<br />

La singola fibra muscolare, a sua volta, è costruita schematicamente in questo modo:<br />

Figura 2 - il reticolo sarcoplasmatico e la fibra muscolare<br />

Senza entrare troppo nel dettaglio, ci interessano in particolare le miofibrille e i mitocondri.<br />

Le miofibrille sono le strutture che, in base a un impulso nervoso, si contraggono sfruttando le altre<br />

componenti della fibra attraverso un processo chimico di liberazione e recupero del calcio presente<br />

nelle cisterne terminali: i mitocondri, invece, sono componenti della cellula il cui scopo è la<br />

combustione dell’ossigeno trasportato dal sangue per fornire alla cellula l’energia necessaria a<br />

seconda del tipo di richiesta energetica (meccanismi aerobico o anaerobico lattacido / alattacido).


Particolarmente interessante ai nostri fini è la presenza, all’interno del muscolo, di due gruppi<br />

nervosi particolarmente importanti:<br />

• I fusi neuromuscolari<br />

• Gli organi muscolo-tendinei (organo di Golgi).<br />

Figura 3 - fusi neuromuscolari e organo di Golgi<br />

Il compito di questi due corpuscoli, che - come si vede dall’immagine - sono direttamente connessi<br />

alle fibre muscolari e tra di loro, è il seguente:<br />

1. I fusi neuromuscolari rilevano lo stato di tensione della fibra e lo segnalano al cervello.<br />

Contemporaneamente, in caso di stiramento eccessivo in ampiezza o in velocità, possono<br />

determinare una contrazione del muscolo controllato (riflesso da stiramento) allo scopo di<br />

impedirne un’ulteriore distensione. La precisione nel rilevamento da parte di questi recettori<br />

è dell’ordine del decimo di millimetro.<br />

2. Gli organi muscolo-tendinei (o corpuscoli del Golgi) si trovano invece alle estremità della<br />

fibra, e leggono lo stato di contrazione del muscolo. Qualora questo superi un certo livello,<br />

essi innescano un riflesso di rilassamento (riflesso miotattico inverso) anche in questo caso<br />

allo scopo di proteggere le fibre muscolari dallo strappo.


Nel funzionamento normale, questi corpuscoli fanno il lavoro inverso rispetto ai fusi<br />

neuromuscolari, e consentono al cervello e al sistema nervoso di comprendere lo stato di<br />

contrazione o di rilassamento dei muscoli scheletrici (propriocettività neuro-muscolare).


La teoria alla base dello <strong>stretching</strong>.<br />

Dal brevissimo esame della cellula muscolare visto nel paragrafo precedente, si capisce che il limite<br />

di distensione di un muscolo è regolato dai recettori citati sopra. Questi rispondono a determinate<br />

soglie di tensione, allungamento, contrazione e velocità di variazione della contrazione/tensione del<br />

muscolo. Tali soglie risentono, in senso positivo o negativo, delle sollecitazioni date ai muscoli.<br />

La cosa che più ci interessa è che le soglie di attivazione del riflesso miotattico diretto e inverso<br />

possono essere modificate.<br />

Lo stato di mobilità articolare normale (a parte i limiti genetici, dovuti alle articolazioni) è<br />

costantemente variabile e spesso è dovuto a una lunga storia di microtraumi (stiramenti,<br />

microstrappi, …), che hanno condizionato le soglie di intervento di questi recettori, in un senso o<br />

nel senso opposto.<br />

Il meccanismo dello <strong>stretching</strong> quindi non coinvolge, come molti ancora credono, un allungamento<br />

della struttura fisica del muscolo (nella sezione più sotto si possono leggere i motivi), quanto la<br />

“riprogrammazione” delle soglie di attività dei recettori, allo scopo di consentire ai muscoli di<br />

allungarsi maggiormente e a diverse velocità.<br />

Dagli studi e dalle analisi condotte negli ultimi 40 anni si è inoltre capito anche che:<br />

• L’allungamento dipende dalla velocità del movimento: un allungamento statico è<br />

completamente diverso da un movimento che porti alla distensione completa di un arto, in<br />

quanto i recettori gestiscono diversamente le due situazioni;<br />

• L’allungamento dipende dalla posizione del corpo e degli arti: lo <strong>stretching</strong> a terra e quello<br />

in piedi sono due esperienze diverse tra loro dal punto di vista neuromuscolare;<br />

• L’allungamento dipende dall’allineamento dei segmenti corporei: un’articolazione disposta<br />

correttamente consentirà il massimo allungamento del muscolo, senza limitazioni forzate<br />

alla gamma di movimento (Range of motion – ROM).


Ne segue quindi che lo <strong>stretching</strong> è un allenamento del sistema nervoso e non di altri sistemi<br />

corporei: il muscolo, struttura molto elastica, può allungarsi naturalmente fino alla massima<br />

estensione consentita dall’articolazione, purché questa cosa gli venga “insegnata”.<br />

Fate il seguente esperimento. Prendete una sedia e portatela alla vostra destra. Sollevate la gamba<br />

destra e portatela, con il piede e il ginocchio che puntano verso l’alto e distesa, con la caviglia<br />

poggiata <strong>sullo</strong> schienale. Ripetete l’esperimento cambiando gamba.<br />

Sostanzialmente, quel che avete fatto è una “mezza” divaricata sagittale con le due gambe. Se vi<br />

state chiedendo “perché una cosa del genere?”, pensate che le due gambe sono indipendenti tra loro<br />

dal punto di vista muscolare e articolare; capirete che non è “colpa” dei vostri legamenti, dei tendini<br />

o di altro se non siete in grado di effettuare una divaricata completa.<br />

C’è un altro motivo, e questo motivo è la soglia di intervento dei recettori dell’allungamento. In<br />

questo esperimento avete invece dimostrato che le vostre gambe possono disporsi nella divaricata, e<br />

niente di fisico glielo impedisce.<br />

NOTA: in effetti c’è una piccola percentuale di persone, con una conformazione particolare del<br />

bacino, che non possono arrivare alla divaricata completa. In questo caso la situazione è però<br />

dovuta a questioni genetiche, non all’età o allo stato di allenamento.


Metodiche di <strong>stretching</strong>.<br />

Le metodiche di <strong>stretching</strong> più note e praticate attualmente sono le seguenti.<br />

• Stretching balistico<br />

consiste nel lanciare un arto alla massima velocità possibile, senza controllarne la traiettoria,<br />

cercando di distenderlo il più possibile. Un’altra forma è quella in cui si cerca di raggiungere<br />

la posizione di massimo allungamento tramite violente oscillazioni della zona in fase di<br />

stiramento (esempio: divaricate eseguite elasticamente, sollevando e lasciando andare il<br />

corpo senza controllo).<br />

Questa metodica è stata abbandonata quasi subito, in quanto sicura fonte di seri danni e<br />

infortuni, a causa della contrazione riflessa dei muscoli sottoposti a uno stiramento così<br />

brutale e rapido.<br />

• Stretching statico passivo (o di Anderson)<br />

viene chiamato così dal nome del tecnico che per primo ha effettuato e pubblicato una<br />

classificazione di tale metodica (Bob Anderson).<br />

Lo <strong>stretching</strong> statico passivo consiste, generalmente, nell’arrivare a una posizione di<br />

allungamento dell’arto, mantenuta per un tempo variabile da trenta secondi a oltre un<br />

minuto, curando la postura e la respirazione. Questo metodo ha molti vantaggi e ha avuto un<br />

notevole successo.<br />

• Stretching dinamico<br />

le tecniche di <strong>stretching</strong> dinamico (<strong>stretching</strong> attivo o ROM) sono basate sulle analisi<br />

effettuate sul sistema neuromuscolare umano a partire dagli anni ’70. Lo <strong>stretching</strong> dinamico<br />

permette di superare i limiti dello <strong>stretching</strong> statico, consentendo inoltre di effettuare una<br />

pratica di <strong>stretching</strong> specifica della propria attività fisica. È inoltre un metodo di<br />

potenziamento fisico tenuto in grande considerazione dagli esperti della cultura fisica e degli<br />

sport di prestazione.<br />

• Stretching PNF:<br />

basato su tecniche di riabilitazione avanzate, è una metodica di <strong>stretching</strong> di notevole<br />

efficacia, utile anche per il potenziamento muscolare. Difficile da applicare, richiede un<br />

controllo notevole, ma permette di raggiungere risultati impressionanti.


Nel prosieguo di questo articolo parleremo più diffusamente delle tre tecniche più efficaci: lo<br />

<strong>stretching</strong> balistico è universalmente riconosciuto come inefficace e dannoso, e va evitato in<br />

qualsiasi caso.<br />

Falsi miti dello <strong>stretching</strong>.<br />

Vediamo qualche “leggenda” <strong>sullo</strong> <strong>stretching</strong>. Negli ambienti del fitness e della pratica ginnica in<br />

particolare vi sono molte conoscenze tramandate grazie all’”amico dell’amico” o a quell’anziano<br />

“che sa” semplicemente per aver sentito dire cose dette da altri ancora.<br />

NOTA: per questo paragrafo faccio riferimento in particolar modo allo <strong>stretching</strong> statico passivo (di<br />

Anderson), il più noto e diffuso, e purtroppo anche quello su cui più spesso sono sorti errori e<br />

interpretazioni pericolose. In certi casi, traccerò un confronto con le altre metodiche.<br />

• Lo <strong>stretching</strong> è un ottimo metodo di riscaldamento<br />

Lo <strong>stretching</strong> statico passivo non è affatto un metodo di riscaldamento. Per questo tipo di esercizi è<br />

necessario un lavoro in rilassamento del corpo e degli arti coinvolti, per cui se del caso funziona<br />

soprattutto come metodo di defatigamento e recupero.<br />

La cosa si nota facilmente confrontando la metodica statica con quella dinamica: nella pratica<br />

statica, di solito è difficile notare sudorazione corporea (solitamente fredda e più facilmente limitata<br />

al viso), e il battito cardiaco rallenta.<br />

L’esatto opposto accade nello <strong>stretching</strong> dinamico, in cui il battito cardiaco accelera e si ha un<br />

effettivo aumento della temperatura corporea, con sudorazione diffusa.<br />

• Lo <strong>stretching</strong> previene gli infortuni<br />

È stato dimostrato che uno <strong>stretching</strong> statico prolungato intenso è in grado di ridurre la forza<br />

esprimibile dal muscolo. In particolare, dopo un allungamento intenso, si è registrata una perdita di<br />

forza di circa il 20% da parte del muscolo, effetto che prosegue per circa mezz’ora dopo lo stimolo.


In queste condizioni di squilibrio è molto facile ottenere stiramenti o infortuni dovuti alla minor<br />

forza esprimibile, oltre che al minor controllo della traiettoria di un movimento.<br />

• Lo <strong>stretching</strong> serve ad allungare i tendini (oppure: lo <strong>stretching</strong> agisce sui tendini)<br />

Se una cosa simile fosse vera, chiunque praticasse <strong>stretching</strong> si ritroverebbe costantemente a rischio<br />

di lussazioni articolari! Lo <strong>stretching</strong>, quale che esso sia, agisce in realtà sulla componente neuro-<br />

motoria (come visto prima).<br />

Un allungamento dei tendini o dei legamenti porterebbe inevitabilmente a lassismo articolare<br />

(rischio di lussazioni), oppure all’impossibilità di addurre o abdurre completamente un arto; la<br />

contrazione del muscolo non basterebbe a far percorrere all’arto la sua traiettoria completa.<br />

• Lo <strong>stretching</strong> non è dannoso<br />

Lo <strong>stretching</strong> può<br />

essere dannoso.<br />

Stretching balistici incontrollati attivano il riflesso da stiramento e possono provocare strappi nel<br />

muscolo in fase di stiramento a causa della repentina contrazione riflessa.<br />

Stretching effettuati senza il necessario riscaldamento possono comportare lo stesso rischio, ed<br />

esercizi fisici dopo uno <strong>stretching</strong> intenso sono pericolosi per l’integrità del muscolo.<br />

Uno <strong>stretching</strong> statico intenso effettuato prima di un’attività altamente dinamica mette i muscoli a<br />

rischio di strappo, a causa della diminuzione di forza esprimibile dalle fibre stirate.<br />

Lo <strong>stretching</strong> dinamico, praticato senza la necessaria gradualità e attenzione, può causare problemi<br />

alla schiena e ridurre, di fatto, le soglie di intervento dei recettori.<br />

Lo <strong>stretching</strong> PNF richiede una pratica specifica a sé stante, essendo tra le altre cose molto<br />

impegnativo per la muscolatura.


• Lo <strong>stretching</strong> fa dimagrire<br />

Questa cosa può avere un senso (estremamente limitato) solo se inquadrata in un’attività dinamica<br />

ad alta componente di lavoro aerobico (e di lunga durata). Che lo <strong>stretching</strong> “faccia dimagrire”<br />

perché comporta un impiego di energie è una frase, di per sé, priva di senso.<br />

Questo vale soprattutto per lo <strong>stretching</strong> statico rilassato, in cui l’impegno fisico è minimale.<br />

• Gli effetti dello <strong>stretching</strong> diminuiscono con l’età<br />

Ennesimo falso. Una pratica corretta, anche se viene intrapresa “tardi”, può dare risultati eccellenti<br />

e duraturi, con la possibilità di incrementi fino a raggiungere i propri limiti genetici (in assenza di<br />

particolari traumi o danni muscolari permanenti e cicatrizzati, limite difficilmente valicabile).<br />

L’importante è creare un programma di <strong>stretching</strong> che contenga le diverse metodiche, organizzate<br />

nel modo più opportuno e adattato alle peculiarità del praticante. Per questo sono necessarie<br />

esperienza e attenzione, ma i risultati non mancano mai di mostrarsi.<br />

• Una grande mobilità articolare implica poca forza<br />

Anche questa è una affermazione da prendere con le molle, soprattutto se si considerano specialisti<br />

dell’atletica come i ginnasti, o delle discipline di combattimento come il Kyokushinkai (e molti altri<br />

stili a “contatto pieno”), capaci di tirare calci molto alti con effetti devastanti.<br />

Da un lato è vero che, quando l’arto si avvicina alla massima distensione, i recettori intervengono<br />

per rallentarne il movimento, in modo da prevenire infortuni (motivo per il quale, nelle discipline di<br />

combattimento e nelle arti marziali, si insegna che il bersaglio dev’essere raggiunto con l’arto<br />

ancora non completamente disteso), per cui arrivare alla massima estensione comporta<br />

fisiologicamente una diminuzione della velocità di movimento dell’arto.<br />

D’altro canto, gli esercizi di <strong>stretching</strong> (dinamico e PNF in particolar modo) permettono all’arto di<br />

distendersi maggiormente a velocità elevate e di utilizzare al meglio la forza disponibile, il che<br />

sostanzialmente contraddice il concetto sopra esposto.


Anche in questo caso si può dire che l’affermazione “la mobilità articolare è inversamente<br />

proporzionale alla forza” riflette un modo di pensare e conoscenze piuttosto obsolete.<br />

• Perché lo <strong>stretching</strong> abbia efficacia è necessario sentire (un po’ di / molto) dolore<br />

Chiunque riporti come vera una simile sciocchezza dovrebbe essere denunciato. Il dolore<br />

muscolare, in particolare in esercizi complessi come lo <strong>stretching</strong>, deve essere evitato.<br />

Non esiste una singola giustificazione sensata a questa affermazione. Il dolore durante lo <strong>stretching</strong><br />

significa che i muscoli stanno lavorando nella maniera sbagliata, danneggiandosi, e che chi pratica<br />

<strong>stretching</strong> in questo modo sta preparandosi per una fulgida carriera di infortunato.<br />

Il concetto “no pain no gain”, tanto caro a una certa scuola culturistica, non può e non deve<br />

applicarsi allo <strong>stretching</strong>.<br />

Comandamento numero 1: niente dolore. Punto.<br />

Queste sono alcune delle principali “leggende metropolitane” che ancora circolano <strong>sullo</strong> <strong>stretching</strong>,<br />

anche in ambito semi-professionale. Ci sarebbero ancora altre cose da dire, ma ho preferito<br />

focalizzarmi sulle principali, in modo da sfatare i miti più frequentemente ascoltati e tramandati.


Lo <strong>stretching</strong> statico.<br />

Lo <strong>stretching</strong> statico passivo, come già detto prima, è una metodica praticata da molti anni con<br />

ottimi risultati. Classificato per la prima volta da Bob Anderson nel 1945 nel suo libro “Stretching”,<br />

si basa sul mantenimento di posizioni statiche in cui la muscolatura viene fatta allungare cercandone<br />

il massimo rilassamento.<br />

Dato che lo <strong>stretching</strong> statico passivo è abbondantemente documentato in moltissimi libri, ne diamo<br />

qui una descrizione minimale.<br />

Lo schema di allenamento comune agli esercizi dello <strong>stretching</strong> di Anderson è il seguente:<br />

1. Raggiungere, lentamente e senza oscillazioni, una posizione di medio allungamento dell’arto<br />

(degli arti) da allungare, mantenendola per pochi secondi (circa 10 o poco più);<br />

2. Aiutandosi eventualmente con attrezzi o altri sistemi (un partner, per esempio) raggiungere<br />

lentamente la posizione di massimo allungamento, cercando di mantenere una respirazione<br />

corretta e profonda e mantenendo corretta la postura corporea;<br />

3. Mantenere la posizione di massimo allungamento per almeno 20”, di più per i gruppi<br />

muscolari più ampi come glutei e quadricipiti femorali;<br />

4. Rientrare lentamente in una posizione di riposo, avendo cura di non effettuare movimenti<br />

bruschi o scorretti.<br />

È necessario seguire alcune regole guida molto importanti, per evitare effetti dannosi anche seri a<br />

carico dei muscoli, ma anche della schiena, della cervicale e delle articolazioni.<br />

1. Non distendere troppo rapidamente e in maniera incontrollata gli arti, per evitare di<br />

innescare il riflesso miotattico e così abbassare la soglia di intervento dei recettori;<br />

2. Respirare ampiamente e profondamente, utilizzando la parte bassa della cassa toracica e<br />

senza sollevare le spalle. La corretta respirazione aiuta il rilassamento della muscolatura;<br />

3. Negli esercizi che prevedono che il corpo si pieghi verso l’arto da allungare (es. molti<br />

esercizi di <strong>stretching</strong> delle gambe), evitare di portare la testa verso l’arto (abbassandola per<br />

cercare di toccare a tutti i costi l’arto). Bisogna cercare, piuttosto, di portare l’addome verso<br />

l’arto da allungare (retroversione del bacino);


4. Mantenere sempre il corretto allineamento della schiena, senza inarcarla per cercare il<br />

massimo allungamento: non aiuta a distendere il muscolo da allungare ed è<br />

controproducente per la schiena;<br />

5. Cercare sempre la massima distensione, evitando a tutti i costi di sentire dolore. Un senso<br />

di tensione è accettabile e anzi necessario, ma disagio e dolore sono segnali di allarme:<br />

indicano che qualche parte del muscolo si sta danneggiando, e a lungo andare ciò porterà<br />

invariabilmente a una riduzione della flessibilità, piuttosto che a un aumento, fino a causare<br />

infortuni muscolari o tendinei (strappo/distacco) in casi estremi;<br />

6. Far precedere ogni sessione di <strong>stretching</strong> da un congruo riscaldamento muscolare generico e<br />

quindi specifico delle parti da allenare: lo <strong>stretching</strong> praticato “a freddo”, soprattutto se<br />

intenso, è dannoso per le fibre muscolari e a lungo andare può causare infortuni anche seri;<br />

7. Evitare sforzi fisici intensi dopo una sessione di <strong>stretching</strong> intensiva, almeno per alcune ore:<br />

è provato sperimentalmente che lo <strong>stretching</strong> statico intenso riduce le prestazioni di forza dei<br />

muscoli per almeno mezz’ora dopo la stimolazione.


Lo <strong>stretching</strong> dinamico.<br />

Come si diceva in precedenza, l’allungamento dei muscoli dipende da posizione (e allineamento)<br />

dei segmenti corporei, velocità del movimento e intensità della contrazione.<br />

Chiunque abbia fatto esercizio fisico si sarà reso conto, nella sua esperienza, di essere in grado di<br />

eseguire certi movimenti liberamente lungo una certa direzione, e con molta più difficoltà in altre<br />

direzioni; eppure l’arto è lo stesso, i muscoli coinvolti sono gli stessi e la distensione è identica.<br />

Qual è allora il problema?<br />

Il problema è nel sistema nervoso, che agisce contro la nostra volontà. E più si tenta di forzare,<br />

maggiore è la contrazione involontaria del muscolo, il che lo predispone a infortuni e – peggio che<br />

mai – riduce ancor di più le soglie di intervento dei recettori.<br />

A causa di questa flessibilità del sistema nervoso (che in effetti è un enorme vantaggio, soprattutto<br />

per evitare infortuni) lo <strong>stretching</strong> statico non è sufficiente – anzi può essere controproducente –<br />

quando si esegue un’attività fisica dinamica, specialmente se composta di movimenti esplosivi e<br />

rapidi, come la danza o le arti marziali.<br />

Per queste attività è necessario un lavoro che comprenda in sé sia l’allungamento, sia una pratica<br />

più vicina all’attività specifica; questo proprio allo scopo di “programmare” opportunamente i<br />

livelli di intervento dei recettori.<br />

Tramite lo <strong>stretching</strong> dinamico, correttamente eseguito, è possibile portare la propria flessibilità<br />

dinamica allo stesso livello di quella statica. Questo significa, quindi, poter controllare a freddo e<br />

senza riscaldamento iniziale la propria mobilità dinamica su un range molto maggiore del normale.<br />

Lo <strong>stretching</strong> dinamico si compone di una serie di esercizi in cui gli arti vengono mossi in maniera<br />

controllata, lungo l’intero ROM, a diverse velocità, fino a raggiungere la massima ampiezza di<br />

movimento e velocità possibile, in forma prima generica e poi più vicina alla disciplina praticata.<br />

Per esempio, esercizi ottimali per il tennis sono le circonduzioni delle braccia, seguite poi da<br />

movimenti più simili alle tecniche specifiche del gioco (diritto, rovescio, smash, servizio ecc.); si


possono allora eseguire movimenti che richiamano da vicino le movenze tipiche della disciplina,<br />

senza raggiungere lo stesso grado di complessità.<br />

Questi esercizi assolvono, da soli, a tutta una serie di compiti:<br />

• Riscaldamento: sono movimenti eseguiti in più serie di più ripetizioni ciascuna (numero di<br />

serie a piacere, con almeno dodici ripetizioni per serie, per condizionare i recettori<br />

neuromuscolari), per cui contribuiscono al riscaldamento - generico prima e specifico poi;<br />

• Allungamento: sono esercizi dedicati alla mobilità articolare dinamica e non statica, per cui<br />

lavorano in maniera specifica sull’obiettivo, a differenza dello <strong>stretching</strong> statico;<br />

• Studio del movimento: i movimenti dello <strong>stretching</strong> dinamico richiamano sempre più da<br />

vicino quelli specifici della disciplina praticata, per cui sono un’ottima base di studio delle<br />

movenze specifiche, dall’allineamento funzionale dei segmenti corporei alla respirazione;<br />

• Potenziamento: lo <strong>stretching</strong> dinamico può essere eseguito anche per aumentare la forza dei<br />

diversi distretti corporei, se eseguito con certe modalità.<br />

Nella sostanza, quindi, gli esercizi di <strong>stretching</strong> dinamico si compongono di una serie di movimenti<br />

(in pratica tutti quelli realizzabili), a differenti velocità e ampiezze.<br />

I punti fondamentali dello <strong>stretching</strong> dinamico sono i seguenti:<br />

1. Precisione del movimento: ogni movimento dev’essere calibrato correttamente. Per<br />

esempio, negli slanci delle gambe (che vedremo dopo) è necessario controllare la traiettoria<br />

dell’arto in tutto il percorso, in modo da evitare uno slancio eccessivo e dannoso. Allo stesso<br />

modo l’allineamento dei segmenti corporei va tenuto sotto controllo;<br />

2. Respirazione: la respirazione dev’essere corretta e profonda, di natura addominale e non<br />

clavicolare. Una buona ossigenazione del sangue è indispensabile per la massima resa:<br />

3. Gradualità: si inizia sempre con l’eseguire i movimenti con un ROM limitato, per poi<br />

aumentarlo con il tempo (“il successo genera successo”: le soglie di intervento dei recettori<br />

si innalzano). Procedendo in questo modo, in pochi mesi è possibile raggiungere la massima<br />

mobilità dinamica e arrivare a movimenti molto veloci alla massima ampiezza;<br />

4. Correttezza posturale: schiena e addome vengono coinvolti pesantemente nella maggior<br />

parte degli esercizi. Lo <strong>stretching</strong> dinamico è, in questo senso, anche un notevole<br />

allenamento per la regione centrale del corpo, vale a dire tutta la regione lombare e


addominale: è necessario studiare la postura corretta e allineare il corpo opportunamente per<br />

ogni esercizio praticato.<br />

Da quello che abbiamo visto finora, lo <strong>stretching</strong> dinamico si compone di una varietà praticamente<br />

infinita di movimenti, a seconda della disciplina praticata. Vediamone alcuni, specifici di discipline<br />

di elevato valore atletico, come la ginnastica, la danza e le arti marziali.<br />

La differenza più evidente fra questo tipo di esercizio e il vecchio <strong>stretching</strong> balistico è in un punto<br />

fondamentale: gli arti non vengono slanciati in maniera incontrollata, ma diretti verso uno specifico<br />

bersaglio; questo impone, dal punto di vista nervoso, un controllo immediato su traiettoria del<br />

movimento e velocità dello stesso, nonché sul punto di arrivo dell’arto utilizzato.<br />

Allo stesso modo, il controllo sulla velocità e la traiettoria del movimento permette di inibire i<br />

riflessi neuromotori e aumentare gradatamente ampiezza e velocità consentite agli arti, fino alla<br />

massima distensione statica.


Esercizi per le braccia e il tronco<br />

In questa categoria di esercizi potete far rientrare praticamente qualsiasi esercizio di distensione,<br />

rotazione, circonduzione delle braccia o degli avambracci.<br />

Potete quindi effettuare circonduzioni delle braccia attorno alle spalle o degli avambracci attorno ai<br />

gomiti, così come aperture e chiusure delle braccia, per poi passare a esercizi maggiormente vicini<br />

al tipo di attività praticata: per esempio, per il tennis potete effettuare movimenti simili a servizio,<br />

smash, dritto, rovescio, mentre per discipline di combattimento andranno bene le distensioni delle<br />

braccia e le rotazioni.<br />

Come già detto in precedenza, tutti questi esercizi andranno eseguiti in modo controllato, non<br />

balisticamente né slanciando violentemente le braccia, ma cercando di effettuare movimenti via via<br />

più vicini a quelli contemplati dalla propria disciplina.<br />

Esempio per le arti marziali: distensioni delle braccia in avanti, slanci delle braccia verso l'alto,<br />

dall'alto in basso e all'indietro, aperture e chiusure delle braccia all'altezza del torace.


Esercizi per le gambe e le tecniche di calcio<br />

1 – Slanci in avanti alto delle gambe.<br />

Disponetevi in posizione eretta, con la gamba sinistra in avanti e il piede sinistro ben piazzato a<br />

terra. Sollevate il braccio destro all’altezza della spalla destra, o poco più in basso (regolerete<br />

l’altezza del braccio con il tempo).<br />

Mantenendo la gamba destra relativamente tesa, sollevatela mandando il piede destro a colpire la<br />

mano destra aperta, con una forte espirazione. Nel caso sia necessario, abbassate la mano per<br />

permettervi di muovere la gamba completamente, senza avvertire contrazione del bicipite femorale:<br />

la gamba deve potersi muovere distesa.<br />

Nell'immagine a pagina seguente, trovate una serie di fotografie frontali e laterali che dovrebbero<br />

aiutare a mostrare il movimento corretto. Ricordate, all'inizio, di partire con la mano al livello della<br />

spalla e non oltre!<br />

Figura 4 - Slancio in avanti delle gambe. Vista anteriore e laterale<br />

Eseguite quante serie volete, con 12 ripetizioni per serie, con la gamba destra e la sinistra.<br />

Fermatevi quando siete stanchi; da quel momento in poi l'esercizio diventa inutile o rischioso.


Fate in modo che il piede vada a contatto della mano, e non muovete la mano durante l’esercizio. Il<br />

bersaglio è fondamentale per avere un punto a cui fermare la gamba con sicurezza, in modo da poter<br />

calibrare ROM e velocità.<br />

Con il tempo potrete alzare il braccio che usate come bersaglio e aumentare la velocità degli slanci.<br />

Notate che è possibile sollevare il tallone durante la fase terminale dello slancio; nel farlo, date la<br />

massima attenzione alla gamba d'appoggio, per mantenere l'equilibrio. Per mantenere la schiena<br />

dritta e la colonna vertebrale allineata, tenete la testa ben dritta e guardate in avanti e verso l’alto<br />

durante il movimento.<br />

Nel sollevare la gamba, non lanciatela in maniera violenta, ma cercate di “portarla” verso la mano<br />

in modo da controllare sempre la traiettoria e la postura della gamba. Concentratevi al massimo<br />

sulla stabilità della gamba d’appoggio.<br />

2 – Slanci laterali delle gambe.<br />

In questo caso disponete il braccio-bersaglio al lato, di poco spostato in avanti. Questo per evitare di<br />

assumere una traiettoria sbagliata della gamba.<br />

Per effettuare gli slanci con la gamba destra, fate un mezzo passo con la sinistra a destra<br />

scavalcando la gamba destra in avanti e quindi sollevate la gamba destra verso il braccio destro.<br />

Figura 5 - Slanci della gamba verso il fianco – vista anteriore e laterale


Nel movimento curate questi particolari:<br />

• Il ginocchio della gamba che si solleva è sempre più in alto rispetto al piede: la gamba è<br />

flessa, mai tesa;<br />

• Il piede è orizzontale: se non riuscite a sollevare la gamba tenendo il piede in orizzontale,<br />

riducete la traiettoria per il tempo necessario a condizionare il movimento corretto;<br />

• La schiena è dritta e non inarcata: tenete i glutei e l’addome tesi durante il movimento, in<br />

modo da stabilizzare la schiena. Il busto è leggermente inclinato in avanti per dare il<br />

movimento corretto. La testa è sempre dritta e lo sguardo rivolto in avanti e verso l’alto;<br />

• Evitate di raddrizzare la gamba d’appoggio, mantenendola invece sempre in flessione.<br />

Anche in questo esercizio concentratevi molto sulla gamba d'appoggio;<br />

• Il braccio da usare come bersaglio è sempre di poco avanzato rispetto al corpo, in modo che<br />

la gamba che viene sollevata vada poco verso l’avanti e mai all’indietro.<br />

3 – Slanci all’indietro.<br />

In questo caso è impossibile utilizzare un arto come bersaglio, per cui è necessario prestare ancor<br />

più attenzione nel movimento.<br />

Appoggiate le mani a una spalliera o a un altro ostacolo abbastanza stabile e inclinate il busto in<br />

avanti. Mantenendo bene l’appoggio sulle mani e sulla gamba destra, slanciate all’indietro la gamba<br />

sinistra, tenendola relativamente tesa.<br />

Figura 6 - Slanci verso l'indietro


Ripetete il movimento per 12 volte, quindi rieseguite il tutto con la gamba sinistra. Notate,<br />

nell'immagine, che l'escursione è diversa dagli slanci in avanti, nonostante siano coinvolti gli stessi<br />

gruppi muscolari, a causa delle differenze di posizione e allineamento dei segmenti articolari.<br />

Attenzione ai punti seguenti:<br />

• Lo sguardo deve andare all’indietro, non verso la gamba che slanciate, per evitare di<br />

inarcare la schiena. Allo stesso modo non è bene sollevare le spalle: mantenete il busto<br />

fermo durante il movimento;<br />

• Mantenete l’attenzione sulla gamba d’appoggio, per evitare di distenderla inutilmente. È,<br />

piuttosto, utile pensare di abbassarla;<br />

• Concentratevi sul dirigere la gamba in alto piuttosto che effettuare un movimento rapido:<br />

l’idea è quella di portare il ROM al massimo, invece che tirare calci veloci.<br />

Una variante di questi esercizi, volta al potenziamento muscolare oltre che alla flessibilità, consiste<br />

nel partire a piedi uniti ed effettuare i sollevamenti senza slancio, partendo da fermo.<br />

In questo modo è più importante fare attenzione alla schiena, per evitare movimenti sbagliati della<br />

zona lombare, ma è possibile coniugare un aumento della mobilità articolare dinamica e un aumento<br />

della forza dei muscoli (flessore dell’anca, adduttore, abduttore, eccetera).<br />

Si possono poi realizzare moltissimi altri esercizi diversi con la stessa metodica: nelle immagini qui<br />

sotto riportate, alcuni esempi.


Figura 7 - Sollevamento in alto del ginocchio – vista anteriore e laterale<br />

Figura 8 - Sollevamento del ginocchio al fianco – vista anteriore e laterale


Figura 9 - Adduzione – circonduzione della gamba attorno all'articolazione coxofemorale<br />

Figura 10 – Abduzione (movimento opposto)


Figura 11 - Sollevamento al fianco, gamba richiamata alla coscia<br />

In tutti questi movimenti (in quelli relativi alla disciplina che praticate), curate con la massima<br />

attenzione la stabilità della gamba d'appoggio. Questo accorgimento è indispensabile per far partire<br />

correttamente il movimento dell'arto da distendere e mantenere il giusto assetto corporeo.<br />

Lo <strong>stretching</strong> PNF o isometrico.<br />

Lo <strong>stretching</strong> PNF (Proprioceptive Neuromuscular Facilitation, facilitazione neuromuscolare<br />

propriocettiva) è un metodo di allenamento utilizzato inizialmente come tecnica riabilitativa per<br />

aiutare soggetti infortunati a recuperare rapidamente forza muscolare e mobilità dopo un intervento.<br />

Successivamente si è affermato per i suoi eccellenti risultati in termini di mobilità articolare e<br />

aumento di forza negli atleti.<br />

Questi validissimi risultati sono controbilanciati da una notevole difficoltà applicativa. Inoltre, per i<br />

migliori risultati in campo atletico, è necessario aver già ottenuto dei livelli di forza non indifferenti,<br />

per evitare traumi e strappi muscolari.<br />

La sequenza allenante per lo <strong>stretching</strong> PNF è la seguente:<br />

1. Raggiungere, in rilassatezza, la posizione di massimo allungamento per l’arto da allenare;<br />

2. Una volta raggiunto l’allungamento, effettuare una contrazione isometrica del muscolo<br />

disteso per alcuni secondi (non più di 6), tendendolo con la massima forza;<br />

3. Rilassare l’arto e distenderlo ulteriormente, contando sul riflesso miotattico inverso<br />

innescato dalla contrazione.


Questo schema di allenamento controlla direttamente il riflesso miotattico inverso e produce,<br />

contemporaneamente, aumenti di forza e di mobilità.<br />

Non entro nei dettagli di questo sistema di allenamento, cui sono stati dedicati interi testi scientifici:<br />

consiglio di riferirsi a questi testi (citati in Bibliografia) per informazioni più corrette e approfondite<br />

a riguardo.<br />

Lo <strong>stretching</strong> PNF e in particolare lo <strong>stretching</strong> isometrico (una forma di <strong>stretching</strong> simile a quello<br />

PNF), peraltro, richiedono una notevole forza nei muscoli coinvolti. Una contrazione isometrica di<br />

un muscolo teso rappresenta una condizione molto stressante per il muscolo stesso, che facilmente<br />

può danneggiarsi se l'allenamento non viene condotto con la necessaria attenzione e se il muscolo in<br />

allenamento non è stato reso abbastanza forte.<br />

Approfitto dell’occasione per dire che un libro (e, a maggior ragione, le informazioni scritte in<br />

queste poche righe) NON è sufficiente a conoscere approfonditamente lo <strong>stretching</strong> PNF, così da<br />

poterlo applicare: si tratta di un sistema di allenamento molto avanzato, che funziona ottimamente<br />

come tecnica di riabilitazione ma che, per avere effetti allenanti e non dannosi, va applicato sotto<br />

stretto e diretto controllo.<br />

Allenamento funzionale.<br />

Molti esperti di diverse discipline (come le arti marziali e le discipline di combattimento)<br />

sostengono l’utilità di affiancare, agli esercizi di <strong>stretching</strong> statico e/o dinamico, un particolare<br />

allenamento specifico della disciplina praticata.<br />

Questa metodica consiste essenzialmente nel riprodurre i movimenti tipici della propria disciplina,<br />

con grande lentezza e respirazione ampia e molto profonda, eventualmente aiutandosi con degli<br />

opportuni sostegni (sbarre, spalliere ecc.).<br />

Questa metodica viene confortata dall’esperienza relativa, per esempio, alla danza, in cui gli<br />

esercizi “alla sbarra” svolgono un ruolo fondamentale per sviluppare quell’eccezionale controllo dei<br />

movimenti tipico dei ballerini, ma anche dalle evidenze relative alla biomeccanica.


Questo tipo di lavoro, infatti, svolge un allenamento specifico sulle fibre muscolari “rosse”<br />

(ossidative, a contrazione lenta), il cui scopo fondamentale è la stabilizzazione dei segmenti ossei e<br />

delle articolazioni. Non a caso, infatti, i muscoli cosiddetti “antigravitazionali” (nella parte bassa del<br />

corpo, in special modo i muscoli gastrocnemi) sono particolarmente ricchi di fibre lente.<br />

Figura 12 - esempio: circonduzione lenta e distensione con appoggio<br />

L’allenamento basato su movimenti lenti permette di aumentare il controllo e la tenuta articolare su<br />

tecniche particolarmente complesse (come le tecniche di calcio delle discipline di combattimento),<br />

ma anche di allenare in maniera specifica la regione lombo-sacrale e quella addominale:<br />

mantenendo l’attenzione su questa regione durante il movimento, infatti, si ottiene un consistente<br />

rinforzo della zona del “core” (addome, schiena, glutei) con conseguenti buoni risultati sulla salute<br />

fisica generale.<br />

Ovviamente, anche la forza e la resistenza degli arti aumentano in maniera notevole, ma è<br />

soprattutto la propriocettività a venire allenata in misura considerevole. Allo stesso modo la<br />

mobilità statica viene allenata, permettendo l'aumento della mobilità dinamica a sua volta.<br />

La critica rivolta a tale tipo di allenamento è generalmente quella di favorire lo sviluppo delle<br />

cellule muscolari lente rispetto a quelle veloci, con la possibile specializzazione delle fibre<br />

intermedie verso il tipo lento.


Questa possibilità è peraltro piuttosto remota, considerando che questo allenamento non deve<br />

comunque essere preponderante né tantomeno il lavoro principale di una qualsiasi disciplina:<br />

inoltre, lo scopo fondamentale di un programma di allenamento è sempre il corretto dosaggio delle<br />

varie componenti, in modo da avere le migliori prestazioni relativamente alla disciplina praticata.<br />

Per una trattazione più ampia su questo argomento, è possibile consultare un mio precedente<br />

articolo (allenamento delle tecniche di gamba) riportato in Bibliografia.


Quando e come.<br />

Allenarsi per la mobilità articolare richiede un lavoro differente a seconda del tipo di esercizi che si<br />

fanno, dello scopo e soprattutto dell’impegno fisico necessario.<br />

In tutti i casi, l’allenamento deve seguire delle precise linee guida:<br />

1. Non forzare: nessun esercizio di <strong>stretching</strong> che arrivi al dolore può essere considerato<br />

valido. Il dolore muscolare è segno di danni in corso, sia pur di piccola entità, che<br />

richiedono tempo per venire recuperati – tempo durante il quale l’allenamento non è<br />

possibile. Inoltre, il dolore viene automaticamente associato a un fallimento, per cui i<br />

recettori di allungamento interverranno con maggiore urgenza ottenendo una riduzione della<br />

mobilità, piuttosto che un suo aumento.<br />

2. Attenzione alla postura: l’allineamento dei segmenti articolari consente di posizionare<br />

correttamente tendini e legamenti, permettendo così il massimo allungamento del muscolo<br />

senza arrivare al dolore (retroversione del bacino, tenuta della schiena e del capo…).<br />

3. Respirazione: la respirazione dev’essere, in ogni caso, ampia e diaframmatica (i.e. eseguita<br />

con la parte più bassa e ampia dei polmoni). Non è necessario riempire i polmoni<br />

all’estremo, ma imparare a respirare correttamente e in maniera controllata, dosando<br />

l’espirazione con la muscolatura addominale.<br />

4. Dirigere l’arto e non la testa: moltissimi praticanti distendono gli arti e poi incurvano la<br />

schiena nel tentativo di avvicinare il busto all’arto in estensione. È una pratica inutile ai fini<br />

dello <strong>stretching</strong> e dannosa nei confronti della schiena, e pertanto va eliminata, senza<br />

possibilità di contestazione.<br />

5. Concentrazione: nessun esercizio di <strong>stretching</strong> praticato in maniera svagata, svogliata o<br />

distratta può portare a risultati positivi. Il miglior risultato che si può ottenere è una discreta<br />

perdita di tempo, il peggiore un serio infortunio.


Stretching statico passivo.<br />

Questi esercizi possono essere effettuati con buoni risultati e pochi rischi in sessioni separate, dopo<br />

un congruo riscaldamento muscolare generico e quindi specifico, oppure al termine di una sessione<br />

di allenamento.<br />

A causa dell’affaticamento, in quest’ultimo caso, sarà bene non eseguire esercizi particolarmente<br />

intensi, per evitare strappi o stiramenti, che potrebbero portare a danni muscolari immediati o<br />

cumulativi – causando così infortuni muscolari difficili da curare in maniera completa.<br />

Avendo sempre cura di non eccedere con la tensione muscolare, è possibile effettuare sessioni di<br />

durate variabili a seconda di quanti e quali distretti muscolari allenare. Tipicamente, per i gruppi<br />

maggiori (gambe e glutei), si può esercitare una tensione intensa per un tempo dell’ordine di 40” – 1<br />

minuto al massimo, mentre per gruppi di dimensioni minori il tempo relativo si aggira attorno ai<br />

30” massimo. Questi tempi sono suscettibili di variazioni a seconda della struttura muscolare, della<br />

massa e della condizione fisica.<br />

Solitamente una sessione specifica di <strong>stretching</strong> può durare intorno alla trentina di minuti (più o<br />

meno), a seconda del grado di allenamento specifico.<br />

Stretching dinamico.<br />

Questo sistema di <strong>stretching</strong> può essere effettuato in sessioni separate, oppure come riscaldamento<br />

specifico prima di un allenamento dinamico.<br />

È possibile praticare tecniche di <strong>stretching</strong> dinamico durante la fase di riscaldamento, ma anche<br />

nell’intervallo di tempo immediatamente precedente l’esecuzione di tecniche specifiche (per<br />

esempio: slanci delle gambe poco prima di sessioni di calci nelle discipline di combattimento).<br />

Per esempio, i praticanti di arti marziali potrebbero effettuare una o più serie di slanci (come quelli<br />

descritti sopra) prima di lavorare su tecniche di gambe o braccia; in questo modo è possibile<br />

preparare con maggiori risultati gli atleti al lavoro specifico.


Solitamente si consiglia di effettuare almeno 12 ripetizioni di ogni movimento, allo scopo di<br />

attivare correttamente i riflessi dei recettori e così modificare opportunamente le soglie di intervento<br />

degli stessi.<br />

Lo <strong>stretching</strong> dinamico può anche essere praticato come allenamento a sé stante, per la<br />

“riprogrammazione” stabile delle soglie di intervento dei recettori neuro-muscolari in dinamica,<br />

adottando diverse posizioni. In tal caso è possibile eseguire quante serie si voglia, arrivando al<br />

limite della stanchezza prima di fermarsi (il vincolo più stringente è sempre la stanchezza del<br />

gruppo muscolare più debole, e quindi più a rischio di infortuni).<br />

Solitamente, per raggiungere i migliori risultati, si consiglia di eseguire due allenamenti al giorno;<br />

in questo caso il tempo dopo il quale si ottiene il massimo grado di allungamento dinamico è di<br />

pochi mesi. Più lungo sarà il periodo necessario se la frequenza è minore, ma la costanza<br />

nell’allenamento garantirà comunque risultati eccellenti.<br />

Dopo un periodo di allenamento abbastanza lungo (alcuni mesi) è molto facile arrivare alla massima<br />

estensione con una singola serie di esercizi.<br />

Stretching PNF.<br />

Delle varie metodiche, il PNF è l’allenamento che prescrive obbligatoriamente l’esecuzione in<br />

sessioni separate. Questo perché è necessario raggiungere tensioni muscolari elevate ed esercitare<br />

una contrazione muscolare isometrica, cosa che comporta sempre uno sforzo molto elevato.<br />

In nessun caso, pertanto, si potrà associare lo <strong>stretching</strong> PNF ad altre pratiche che coinvolgano i<br />

gruppi muscolari interessati.<br />

In base a queste premesse, si potrebbe pensare di strutturare un allenamento PNF di poche sessioni<br />

settimanali, che non contrastino con gli allenamenti relativi alla propria disciplina. Come già<br />

accennato, per intraprendere un allenamento PNF è consigliabile farsi seguire da uno specialista.


Conclusioni.<br />

Lo <strong>stretching</strong>, dalla pratica “casual” dei primi tempi, come le altre discipline di cultura fisica si è<br />

notevolmente evoluto, anche grazie al contributo della medicina sportiva.<br />

La maggiore conoscenza relativa allo <strong>stretching</strong>, peraltro, spesso non viene tenuta in considerazione<br />

dagli addetti ai lavori, che alle volte nemmeno ne sono al corrente: se questo accade, rimane spesso<br />

una conoscenza estremamente limitata e a volte non supportata da studi e approfondimenti al<br />

riguardo. Vale come esempio il caso dello <strong>stretching</strong> dinamico, attività ancora spesso misconosciuta<br />

in determinati ambienti sportivi.<br />

Se ben praticato, lo <strong>stretching</strong> può dare risultati stabili per molti anni, indipendentemente dall’età e<br />

dalle condizioni a cui si inizia. Inoltre, è possibile ottenere anche considerevoli effetti positivi sulla<br />

forza muscolare e sulla stabilità e correttezza posturale, insieme al miglioramento nel controllo del<br />

proprio corpo.<br />

L’unione di tecniche di <strong>stretching</strong> dinamico e statico (eventualmente insieme al PNF) consente di<br />

ottenere i migliori risultati in termini di mobilità articolare statica e dinamica, propriocettività e<br />

forza, correttamente bilanciate. Un corretto programma di <strong>stretching</strong> dovrebbe essere, a mio parere,<br />

inserito in qualsiasi schema di allenamento fisico, a prescindere dal tipo di risultato desiderato.


Bibliografia.<br />

• Tom Kurz: Stretch Yourself, estratti dalla rivista on-line TaeKwonDo Times, ed. Stadion<br />

Publishing (http://www.stadion.com/)<br />

• Giovanni Cianti: Stretching, ed. Euroclub<br />

• J. G. Drevet, C. Gallin-Martel: Salva la tua schiena, ed. Euroclub<br />

• Mentore Siesto: Allenamento delle tecniche di gamba, pubblicato per il <strong>Kosmos</strong> <strong>Club</strong><br />

(http://www.kosmosclub.it/biblio/articoli/allenamento delle tecniche di gamba.pdf)<br />

• 24 fighting chickens: 30 days to greater flexibility<br />

(http://www.24fightingchickens.com/2008/09/08/30-days-to-greater-flexibility/)<br />

• NY Times, 31/10/2008: Stretching – the Truth (Gretchen Reynolds)<br />

(http://www.nytimes.com/2008/11/02/sports/playmagazine/112pewarm.html)<br />

• Elite Soccer Conditioning: Taylor Tollison – Dynamic Stretching Vs Static Stretching –<br />

http://www.elitesoccerconditioning.com/Stretching-<br />

Flexibility/DynamicStretchingvsStaticStretching.htm<br />

Alcuni articoli medici:<br />

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21178929<br />

(Effect of active stretch on hip flexion range of motion in female professional futsal players)<br />

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21143443<br />

(Are changes in leg power responsible for clinically meaningful improvements in mobility<br />

in older adults?)<br />

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20962924<br />

(Aerobic activity before and following short-duration static <strong>stretching</strong> improves range of<br />

motion and performance vs. a traditional warm-up)<br />

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20824861<br />

(Stretch for the treatment and prevention of contractures)

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