Mi chiamo Edgar FreemanShort.pmd - ZONAcontemporanea.it
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Maurizio Sbordoni<br />
MI CHIAMO<br />
EDGAR FREEMAN<br />
ZONA
© 2010 Ed<strong>it</strong>rice ZONA<br />
È VIETATA<br />
ogni riproduzione e condivisione<br />
totale o parziale di questo file<br />
senza formale autorizzazione dell’ed<strong>it</strong>ore<br />
<strong>Mi</strong> <strong>chiamo</strong> <strong>Edgar</strong> Freeman<br />
romanzo di Maurizio Sbordoni<br />
ISBN 978 88–6438-135-0<br />
© 2010 Ed<strong>it</strong>rice ZONA, via dei Boschi 244/4 loc. Pieve al Toppo<br />
52040 Civ<strong>it</strong>ella in Val di Chiana – Arezzo<br />
tel/fax 0575.411049<br />
www.ed<strong>it</strong>ricezona.<strong>it</strong> – info@ed<strong>it</strong>ricezona.<strong>it</strong><br />
ufficio stampa: Silvia Tess<strong>it</strong>ore – s<strong>it</strong>essi@tin.<strong>it</strong><br />
Progetto grafico: Stefano Ferrari<br />
Stampa: Dig<strong>it</strong>al Team – Fano (PU)<br />
Fin<strong>it</strong>o di stampare nel mese di ottobre 2010
CAPITOLO UNO<br />
<strong>Mi</strong> <strong>chiamo</strong> <strong>Edgar</strong> Freeman.<br />
Sono nato ventisei anni fa in una camera spaziosa della clinica Edison, la<br />
c<strong>it</strong>tà si chiama Salem, lo stato si chiama Dakota, la nazione si chiama Stati<br />
Un<strong>it</strong>i D’America.<br />
Di tutti questi nomi sono certo, ma sono in dubbio sul nome della clinica.<br />
Edison, Madison, o qualcosa che finisce in “on”.<br />
Il finale è sicuramente in “on”.<br />
Il nome del quartiere non lo ricordo – non lo ricordo proprio – mi sforzo<br />
di ricordarmelo ma niente, nulla di più di ciò che ho detto (posso dire) sul<br />
nome del quartiere.<br />
Ricordo che è un quartiere con tante case, lunghe e basse allo stesso<br />
tempo, quasi tutte bianche con grandi balconi stretti e affusolati, sparpagliate<br />
senza cr<strong>it</strong>erio come i mobili da giardino dopo un uragano.<br />
Quando penso al nome del quartiere, vedo solo un’enorme tela bianca.<br />
Ragazzi, mi sto sforzando, ma niente.<br />
Solo un’enorme tela bianca.<br />
Per mia mamma sono una persona speciale.<br />
Pioveva la notte che sono nato, pioveva tanto, e mia mamma era ingrassata<br />
quasi trenta chili pur di potermi avere.<br />
Ventinove chili e ottocento grammi per l’esattezza.<br />
Lei diceva sempre che era ingrassata quasi trenta chili pur di potermi<br />
avere, ma io volevo sapere il peso esatto.<br />
«Quanti chili, mamma, quanti chili, ma precisa!»<br />
«Mamma, quanti chili sei ingrassata?»<br />
Lo chiedevo anche cento volte di segu<strong>it</strong>o.<br />
<strong>Mi</strong> piacciono le cose esatte.<br />
Appena nato pesavo quasi sei chili, e i miei gen<strong>it</strong>ori quando mi hanno<br />
visto attraverso la grande vetrata hanno pensato che potessi uscire dalla<br />
sala parto con le mie gambe.<br />
Sono pul<strong>it</strong>e e pure e precise e mi fanno stare bene (le cose esatte).<br />
Quando una cosa è precisa, non c’è bisogno di interpretazioni e di fare<br />
giri di parole.<br />
<strong>Mi</strong> piacciono le parole, ma non quando sono troppe.<br />
Quelle che avanzano sono dannose e pericolose, come quando papà offende<br />
mamma senza pesare le parole.
Pericolose come quando ho bevuto l’acido per lavare i pavimenti.<br />
Ma state tranquilli, non mi cap<strong>it</strong>erà mai più.<br />
Da quel giorno in casa mia lavano tutto con acqua e bicarbonato.<br />
A papà, forse, cap<strong>it</strong>erà di nuovo di offendere la mamma, ma papà non<br />
vuole, come io non volevo bere l’acido.<br />
(Sei stupido o un aspirante suicida, per berlo, e io non sono nessuno dei<br />
due).<br />
Mamma ci soffre e papà non ha intenzione di offenderla.<br />
È questo che intendo per parole di troppo.<br />
Appena nato si accorsero sub<strong>it</strong>o che c’era “del marcio in Danimarca”.<br />
L’espressione non è mia, ma la dice spesso papà, e anche se io non so<br />
cosa voglia dire esattamente, mi fa molto ridere questa cosa che la Danimarca<br />
puzza.<br />
Avevo una testa grossa come un melone e mezzo, e a cinque anni, compiuti<br />
da quasi un anno, non riuscivo ancora a parlare.<br />
E vi assicuro che non è bello non riuscire a parlare quando davanti casa<br />
tua c’è la fila di mamme pronte a elencare una sfilza di t<strong>it</strong>oli e mer<strong>it</strong>i dei figli.<br />
Non l’ho mai detto ancora a nessuno – giuro siete i primi – ma davanti<br />
all’uscio di casa volevo appendere un cartello grosso così con su scr<strong>it</strong>to<br />
Mamme è inutile che entriate.<br />
Con mio figlio non c’è gara!<br />
<strong>Mi</strong>a mamma però continuava a dirmi che ero un bambino speciale.<br />
Sono affetto dalla Sindrome di Down.<br />
Non preoccupatevi, non è grave o perlomeno io penso che non lo sia.<br />
Nella mia personale cesta dei numeri del Bingo il 21 è usc<strong>it</strong>o una volta di<br />
troppo.<br />
È quel cromosoma in più a farmi fare le facce buffe.<br />
Tutto qui.<br />
Per il resto sei come gli altri (anzi per mia mamma sono migliore di tanti<br />
altri) e puoi fare tutto quello che fanno gli altri, puoi mangiare i gelati e<br />
ascoltare i CD.<br />
e anche andare a vedere una part<strong>it</strong>a di baseball ma, per quanto mi riguarda,<br />
solo se hai già fin<strong>it</strong>o i comp<strong>it</strong>i.<br />
<strong>Edgar</strong>… niente comp<strong>it</strong>i, niente campo con palle annesse!<br />
Quella che sent<strong>it</strong>e fuori campo, come una ribattuta riusc<strong>it</strong>a, è la voce di<br />
mia mamma.
La sentirete spesso e vi consiglio di ascoltarla attentamente.<br />
Parla strano, ma ha molte cose da dire.<br />
Faccio un esempio, magari mi spiego meglio e voi riusc<strong>it</strong>e a capire che<br />
sono un ragazzo normale.<br />
<strong>Mi</strong> piacciono gli esempi e poi odio quando non mi capiscono.<br />
È come il gelato tutto mischiato invece di quello dentro la formina, con la<br />
faccia da rana e il corpo da topo; il primo è meno bello a vedersi, ma è buono<br />
uguale.<br />
È buono uguale perché è lo stesso gelato.<br />
Avete cap<strong>it</strong>o? Spero di sì, odio quando qualcuno non mi capisce.<br />
In questo momento non ricordo il nome di quel tipo di gelato con il corpo<br />
da topo e la faccia da rana, ma appena sparisce dai miei occhi la tela bianca<br />
ve lo dico immediatamente.<br />
Io sono stato fortunato.<br />
I signori con il camice, bianco come i palazzi del quartiere della clinica di<br />
cui non ricordo il nome, lo dicevano spesso ai miei gen<strong>it</strong>ori.<br />
«Suo figlio è stato fortunato, ha una forma lieve di quella cosa che ho<br />
spiegato bene prima».<br />
Quando lo dicevano a me, io rispondevo: «che culo!».<br />
Mamma ridacchiava un po’, come quando era ragazza, ma era una risata<br />
nervosa.<br />
Era una risata di un bambino che ha ascoltato una barzelletta sporca<br />
senza capirla del tutto.<br />
Papà però mi sgridava, e diceva che non si dicono le parolacce.<br />
Io non capivo come mai loro le parolacce le potevano dire, e io no, e<br />
continuavo a ripetere... «Che culo! Davvero un gran culo!». Allora anche<br />
papà rideva con mamma, e ridevamo tutti e tre insieme come matti.<br />
Come matti.<br />
Come una famiglia.<br />
Per mio fratello Samuel era diverso.<br />
Se era lui a dire le parolacce, lo sgridavano con la voce forte forte.<br />
Forse voleva dire questo essere speciale.<br />
Fare qualcosa di sbagliato senza essere sgridato.<br />
Ma a volte mi perdo.<br />
Non spesso, ma mi cap<strong>it</strong>a.<br />
Beccuto cazzo se mi cap<strong>it</strong>a.<br />
<strong>Mi</strong> perdo e non mi trovo, e hai voglia tu se non mi cerco!
Quando mi cap<strong>it</strong>a, mi metto le cuffie – quelle che vanno nelle orecchie<br />
non quelle per farsi il bagno – e mi metto ad ascoltare i cd a tutto volume.<br />
<strong>Mi</strong>a mamma mi continua a dire che sono speciale, «sei unico!», mi dice<br />
sempre.<br />
Ma mi dice anche che se continuo ad ascoltare i CD a tutto volume<br />
diventerò sordo, e allora mi leva le cuffie dalle orecchie.<br />
«<strong>Edgar</strong>, ora basta!», e fa la faccia cattiva.<br />
E io comincio a ridere.<br />
Questa cosa mi fa molto ridere!<br />
Adesso sono diventato grande.<br />
Sono perlomeno un ragazzo, adesso.<br />
All’epoca ero un bambino, ma con la stessa sindrome.<br />
Ma sono tanti quelli che non si accorgono della differenza.<br />
<strong>Mi</strong> dicevano che ero un bambino normale, che potevo fare tutto quello<br />
che facevano i bambini della mia età.<br />
Non sono stupido e l’avevo cap<strong>it</strong>o.<br />
Per molti ero solo uno spastico.<br />
Ero solo più sensibile.<br />
Non trovate sia buffo?<br />
Se la sensibil<strong>it</strong>à avesse un viso, me lo immaginerei dai lineamenti e dal<br />
sorriso dolci, ma con un fisico forte e muscoloso.<br />
Un viso alla Derek Fisher, che quando entra per i Lakers segna il canestro<br />
decisivo sul suono della campana.<br />
Essere sensibili dovrebbe essere la cosa che fa la differenza, non un<br />
lim<strong>it</strong>e ad una v<strong>it</strong>a normale.<br />
<strong>Mi</strong>a mamma (ancora adesso) continua a dire che sono speciale.<br />
Mamma ora sono grande e posso dirtelo.<br />
<strong>Mi</strong> dispiace che non ridi più come prima, ma io volevo solo essere normale.<br />
Ma se qualcuno mi leva le cuffie dalle orecchie comincio a ridere.<br />
Ridere.<br />
Rido così forte che ho paura che le guance mi schizzino via dalla faccia.<br />
Rido di cuore.<br />
Un tipo di risata alla portata di tutti, ma molto rara.<br />
Un tipo di risata che mia mamma negli anni ha imparato a dimenticare.<br />
Non è stato facile arrivare a ventisei anni e non è facile per niente raccontare<br />
in giro di come ci sono arrivato.
Ma quello che state per ascoltare è il motivo attraverso il quale ho vissuto<br />
una giornata così speciale.<br />
Una giornata che ha spinto via l’altra come in una fila di domino.<br />
La giornata perfetta.<br />
Le noccioline sopra il caramello.<br />
Una giornata di pioggia, e tu davanti al camino a non fare nient’altro che<br />
quello.<br />
La v<strong>it</strong>toria dei Lakers contro i merdosi.<br />
Giornate quasi perfette, ma nulla al confronto di quello che ho provato<br />
quel giorno.<br />
Altro che normale.<br />
Quel giorno sono stato a dir poco eccezionale.<br />
Non devi aver paura.<br />
Questa notte la paura è una corrida senza toro.<br />
Il cielo è limpido ed è stata una giornata tranquilla.<br />
E anche il tuo papà lo è.<br />
Anche troppo per i miei gusti. L’estate è alle porte e non aprirgli<br />
non gli ev<strong>it</strong>erà di entrare lo stesso come tutti gli anni.<br />
<strong>Mi</strong> piace l’estate, ma anche questo inverno non è stato male.<br />
Tuo fratello andrà in quarta e il lavoro va bene. Non è così schifoso<br />
lavorare in d<strong>it</strong>ta, è un lavoro discreto.<br />
Nulla a che vedere con i sogni dei miei, ma è comunque un lavoro.<br />
Sono preoccupato per tua madre, è sempre più cupa e triste.<br />
Non era così da ragazza. Era stupenda e io la chiamava “la mia<br />
piccola picciotta”.<br />
Ridevamo come matti per giorni, che ci fosse motivo per ridere o<br />
meno. Durante i pranzi della domenica a Stantford, dai suoi gen<strong>it</strong>ori,<br />
ridevamo durante tutta la strada del r<strong>it</strong>orno, magari per una battuta<br />
detta a pranzo. C’erano dodici chilometri da casa dei suoceri alla nostra<br />
casetta su due piani (di cui uno da ristrutturare completamente).<br />
Una risata lunga dodici chilometri.<br />
Giorgio Sermonti è sempre più odioso. Ti ho parlato di Giorgio, il<br />
mio collega, quello precisino che crede che la sua cacca non puzzi.<br />
A volte mi auguro che gli vadano a fuoco i baffi e gli esploda la<br />
faccia, come in quei strani cartoni che ti piacciono tanto.<br />
<strong>Mi</strong> guarda sempre con quell’aria di superior<strong>it</strong>à – di chi guida una<br />
Hummer – che mi fa impazzire. Magari un giorno lo uccido.
Lo faccio a pezzi e poi lo faccio trovare in un sacco davanti la porta<br />
di casa con sopra i baffi appiccicati come un’etichetta adesiva.<br />
Sai che faccia farebbe la moglie? Un piccolo imprevisto nella loro<br />
v<strong>it</strong>a perfetta.<br />
Un piccolo imprevisto trovato una mattina sul vialetto perfetto che<br />
precede gardenie perfette di un giardino di casa perfetto.<br />
Ma non sono un violento. E continuerò a sopportarlo. Tu lo sai che<br />
non sono un violento, anche se a volte la neve è così fredda che la<br />
sento fin dentro casa.<br />
Il mio dolce bambino. Il mio beccuto bambino adorabile.<br />
Com’è che ti chiamavo da piccolo? Il mio beccuto bambino con una<br />
palla di gas per faccia.<br />
Sai che non ti farei mai del male, vero?<br />
L’infanzia non va dalla nasc<strong>it</strong>a a una certa età.<br />
Quell’età in cui il bambino è cresciuto e mette da parte le cose infantili.<br />
L’infanzia è il regno in cui nessuno muore.
CAPITOLO DUE<br />
Nessuno mai mi ha chiesto che infanzia è stata la mia.<br />
E anche se non so quanto vi possa interessare, considerato che non ci<br />
conosciamo, è arrivato il momento di dirlo a qualcuno senza una richiesta<br />
ufficiale in carta da bollo.<br />
La mia è stata un’infanzia.<br />
Non so se è stata felice, ma è comunque un’infanzia.<br />
Un’infanzia felice non vuol dire che poi quando diventi grande devi essere<br />
felice per forza.<br />
Conosco tanti grandi che sono infelici e magari da bambini ridevano sempre.<br />
Quello fanno i bambini, ridere (e io ridevo come un matto!) e giocare<br />
sempre, ed essere capricciosi e piangere solo per ricordare a qualcuno che<br />
tu esisti.<br />
I bambini non hanno pensieri.<br />
No, purtroppo questo sarebbe bello, ma non è sempre vero.<br />
I bambini fortunati non hanno pensieri.<br />
Sono i pensieri che ti levano la voglia di giocare.<br />
Ma io rido anche adesso e non sono certo un bambino.<br />
I grandi che da piccoli sono stati infelici diventano assassini o pazzi o<br />
violenti o stupratori o maniaci o tutte queste cose insieme, non tristi.<br />
Pazzo è il signor King che si rovina la giornata se vede le foglie sul prato.<br />
Io glielo dico sempre, quando l’incontro, che due foglie due, non rovinano il<br />
prato e si possono raccogliere con il beccuto raccogli foglie che vendono<br />
anche da Harry’s in fondo alla strada (non mi ricordo quanto costa, forse 30<br />
dollari, non sono sicuro, ma molto meglio darglieli contati perché ha problemi<br />
con i resti).<br />
Ma lui se la rovina lo stesso e se piove dopo che ha lavato la macchina si<br />
rovina tutta la settimana e io non capisco il perché.<br />
È il nostro vicino di casa e i miei gen<strong>it</strong>ori mi hanno insegnato che tra vicini<br />
(quando si sta con il viso del vicino a poca distanza dal viso dell’altro vicino)<br />
ci si sorride e si dice buongiorno, se il viso a viso è di mattina, e buonasera<br />
se è dopo che ho fatto merenda.<br />
Ma lui ogni volta che mi incontra mi mette le mani addosso.<br />
<strong>Mi</strong> prende le guance e me le strizza come uno straccio bagnato e mi dice<br />
«buongiorno, figliolo», ma non lo dice sorridendo.
Anche nostro nonno strizzava le guance di mio fratello, ma mio fratello<br />
era piccolo e non poteva rispondergli perché non sapeva ancora parlare, e<br />
quando ha cominciato a parlare era tardi per dirglielo o se lo era dimenticato.<br />
Non mi piace quando mi toccano e non mi piace che a chiamarmi figliolo<br />
sia qualcuno che non è mio padre.<br />
Ma non è un uomo cattivo, perché gli piacciono i fiori.<br />
<strong>Mi</strong>a madre dice che se ti piacciono i fiori sei una persona buona.<br />
Sensibile! È questa la beccuta parola che dice per definire le persone cui<br />
piacciono i fiori, non buone ma “sensibili”.<br />
Ah ah! <strong>Mi</strong>a mamma sa sempre le parole, ne conosce tante anche se la<br />
maggior parte non le usa e non è come me, io le voglio bene perché è mia<br />
mamma e mi ha sempre voluto bene.<br />
Forse solo all’inizio mi voleva meno bene che a mio fratello, perché (forse)<br />
si doveva solo ab<strong>it</strong>uare alla caciara che facevo in casa mentre mio fratello<br />
era sempre buono come se fosse finto.<br />
Per me quando parlano piano, uno per volta, non capisco nulla e mi trovo<br />
meglio quando c’è casino in casa.<br />
Ma poi ha imparato a conoscermi e ha visto che anche se ho tanti difetti<br />
non sono un bambino cattivo.<br />
Ed era comodo avere in casa una persona che riconoscesse una pizzetta<br />
con succo d’acero fr<strong>it</strong>ta a tre isolati da qui.<br />
A volte certe parole sono come un serpente intorcinato intorno alle mie<br />
orecchie, ma quando annuso qualcosa mi sento un gran fico.<br />
È un gioco che facevamo spesso con mamma, lei dalla cucina mi chiamava<br />
con la voce come per gridare, come quando parte l’allarme della macchina<br />
della signora Hermann, e mi diceva:<br />
«<strong>Edgar</strong>, questa è difficile... Che cosa sto cucinando?».<br />
E io sub<strong>it</strong>o senza pensarci...<br />
«Non è difficile mamma, sono le polpette di carne con i pomodori sgusciati!»<br />
Io dalla camera mia non la vedevo, ma secondo me rideva.<br />
A volte lei mi faceva le domande, ma io non sentivo perché avevo la<br />
musica nelle orecchie, e allora dopo un po’ lei continuava a chiedere, e mio<br />
padre e mio fratello – che con me non giocano mai – le dicevano che parlava<br />
da sola.<br />
Io non lo dicevo a mio padre, ma lo sapevo che mia mamma parlava con<br />
me.
Beh, ad essere sinceri mi prendeva per il culo, ma se a prenderti per il<br />
culo è tua madre secondo me è come giocare a nascondino sperando che<br />
qualcuno prima o poi ti trovi.<br />
Non è come a scuola.<br />
Lì mi prendono per il culo, ma non lo fanno per giocare.<br />
(Avrò mai il coraggio di raccontarvi di Sam, il mio compagno di banco<br />
con una montatura di occhiali nera che solo una persona cattiva si sognerebbe<br />
mai di comprare?)<br />
Sì, mi sa che ve lo racconto tra un po’.<br />
Ricordo, come se fosse cinque o sei anni fa non di più, massimo sette e<br />
non i quasi venti che sono passati, il mio primo giorno alla Burney School.<br />
Io la chiamavo la Bugs Bunny Burney School perché assomigliava alla<br />
scuola dei personaggi dei cartoni, e io volevo andarci sempre con delle carote<br />
avvolte nella carta stagnola, ma una ad una e non tutte insieme.<br />
È importante che le carote siano incartate una ad una, perché così non si<br />
toccano.<br />
<strong>Mi</strong>a mamma all’inizio non capiva, poi ha cominciato ad incartarle come<br />
dicevo io.<br />
«Se è importante per te, lo è per me», mi diceva, prima di incartarle.<br />
«Ragazzi, che avete stamattina? È tardissimo…», disse mia mamma quella<br />
mattina rivolta a me e mio fratello, ma pensando solo a me.<br />
Ero sempre io quello in r<strong>it</strong>ardo.<br />
«La colazione è pronta», disse a mio fratello.<br />
<strong>Mi</strong>o fratello è sempre musone, soprattutto la mattina.<br />
«<strong>Edgar</strong>, come le vuoi le uova?»<br />
«Con il prosciutto sopra».<br />
«E le vuoi girate o che ti guardano?»<br />
«Che mi guardano».<br />
Era sempre mamma che ci preparava la colazione e veramente lei faceva<br />
tutto quello che c’era da fare in casa, e pulire e lavare e fare quella<br />
beccuta cosa per rendere i vest<strong>it</strong>i lisci come un panno da biliardo (stirare,<br />
<strong>Edgar</strong>, si chiama stirare… Crissimella! Possibile non mi ricordi mai di stirare?!)<br />
Papà, invece, non faceva nulla in casa e stava sempre z<strong>it</strong>to.<br />
Lui lavora fuori e quindi fa il suo dovere di papà e mar<strong>it</strong>o ed è per questo<br />
che in casa non lavora e non parla quasi mai.<br />
Lui dice che quando lavori in una d<strong>it</strong>ta hai i pensieri che ti parlano tutto il
santo giorno, e quando torni la sera a casa e finalmente smettono di fare<br />
caciara tu hai voglia soltanto di un po’ di silenzio.<br />
Non ci crederete, ma in tanti anni che abbiamo vissuto sotto lo stesso<br />
tetto non l’ho quasi mai sent<strong>it</strong>o parlare. Se non fosse stato il mar<strong>it</strong>o di mamma<br />
– e quindi per forza di cose avrebbe dovuto rispondere sì alla fatidica<br />
domanda in chiesa – avrei senza remore sospettato che fosse muto.<br />
«C’è la brina sul vetro, <strong>Edgar</strong>. E quindi?», mi chiese la mamma con la<br />
faccia con gli occhi allargati come quando ti mettono le gocce.<br />
«Quindi sciarpa e cappello», risposi io.<br />
Non mi cap<strong>it</strong>a spesso, ma mi piace quando azzecco le risposte.<br />
Quella mattina faceva un freddo becco, uno di quegli inverni che si gelavano<br />
le palle pure alle statue.<br />
Sarebbe durato per un altro mese buono.<br />
La Bugs Bunny Burney School distava quattro miglia e mezzo da casa<br />
nostra.<br />
Quasi cinque miglia se prendevamo la sopraelevata per During, più lunga<br />
ma meno trafficata.<br />
Ogni mattina in macchina mettevamo ai voti quale strada prendere e io<br />
votavo quasi sempre per la strada per During (più lunga di mezzo miglio, ma<br />
meno trafficata).<br />
Solo quando eravamo in r<strong>it</strong>ardo o mamma era nervosa non si votava,<br />
ingranava direttamente la marcia con la faccia scura – è incredibile come<br />
sia veloce alle volte passare dalla democrazia all’oligarchia -.<br />
L’oligarchia, mi ha spiegato una volta mio fratello, è quella forma di governo<br />
nella quale i gen<strong>it</strong>ori decidono senza sentire i pareri dei figli.<br />
Vi dicevo della Bugs Bunny Burney School.<br />
Io la <strong>chiamo</strong> come quei famosi cartoni, ma dentro non era come stare su<br />
una giostra.<br />
Era un enorme edificio nero allungato verso il bosco, con le finestre bianche<br />
e grandi, usate come bieco palliativo a guardare fuori.<br />
Ma fuori c’era solo un enorme parcheggio, che con due canestri e un<br />
po’di fantasia diventava un campo di basket.<br />
Ma io non sono stupido e sapevo che quello era il posto dove parcheggiare<br />
il pulmino e le macchine e le altre cose che si muovono, e quando la<br />
signora Bellet ci diceva «ragazzi, andiamo a farci una part<strong>it</strong>a?», io lo sapevo<br />
che andavamo nel parcheggio.<br />
Il mio primo giorno di scuola ero molto alberato.
Quando sono alberato mi gira tutto storto e non ho voglia di parlare con<br />
nessuno.<br />
I primi tempi quando mi sentivo così, mi definivo incazzato (nero, se fuori<br />
nevicava). Poi mia mamma mi ha insegnato questa nuova parola, perché<br />
uno incazzato è uno pure maleducato e mi ha detto – lentamente e scandendo<br />
bene le parole, come quando hanno paura che io non capisca -<br />
«<strong>Edgar</strong>, non si dice incazzato, quando ti senti arrabbiato puoi dirti inalberato…<br />
è più carino… no?»<br />
Me lo diceva talmente lentamente che sembrava me lo volesse mimare.<br />
Quando sono arrabbiato dico inalberato, ma quando sono incazzato nero<br />
preferisco alberato, senza in davanti, perché non sono dentro, ma fuori del<br />
tutto.<br />
Mamma quella mattina lo aveva cap<strong>it</strong>o e voleva accompagnarmi fino a<br />
dentro l’edificio.<br />
L’entrata era piena zeppa di mamme, con bambini che piangevano e<br />
frignavano tutte le lacrime dell’infanzia e io pensai che avevo paura come<br />
gli altri e quindi ero uguale agli altri.<br />
Lo ricordo bene quel pensiero perché non mi cap<strong>it</strong>erà tante altre volte in<br />
v<strong>it</strong>a mia di sentirmi uguale agli altri.<br />
«<strong>Edgar</strong>, è normale che ti senti un po’ nervoso, è il primo giorno ed è tutto<br />
nuovo, ma vedrai che presto sarai pieno di amici», disse la mamma.<br />
Io non riuscivo ad individuarne uno, anche se non ero proprio solo.<br />
C’era sempre Nick con me.<br />
Nick non mi abbandona mai nei momenti del bisogno, figurati se si perdeva<br />
il mio primo giorno di scuola.<br />
«Non voglio amici che piangono, e visto che qui piangono tutti, non voglio<br />
nuovi amici», dissi con la faccia piena di rughe come se fossi vecchio (almeno<br />
quaranta anni di faccia).<br />
«Piangono perché hanno paura, ma è umano aver paura, dovresti aver<br />
paura di non averne. Quella è una cosa tremenda».<br />
Io la guardai, come quando ti dicono che quello che hai bevuto al posto<br />
del succo di mirtillo è una bevanda estratta dal fegato di capra.<br />
Ma sub<strong>it</strong>o dopo.<br />
«Mamma, mi vuoi bene vero?»<br />
Mamma non rispose, ma mi fece un sorriso che sapeva di torta e mi<br />
prese forte la mano senza lasciarmela fino alla porta della classe.<br />
Vi ricordate quello che vi ho detto sulle parole di troppo?<br />
A volte le parole ingombrano.
A volte, un sorriso basta e avanza.<br />
Le aule erano grandi, e grandi erano le finestre quasi tutte bianche.<br />
Non ricordo bene il primo anno, forse non è stato così male se non lo<br />
ricordo. Ma il secondo anno mio fratello faceva la quarta e io la seconda e lo<br />
ricordo bene.<br />
Lo ricordo bene perché mio fratello si prese la malattia che ti vengono<br />
tutti i puntini rossi sulla faccia, a me dispiaceva perché gli prudeva, ma mamma<br />
diceva che non si doveva grattare sennò gli rimanevano i segni.<br />
Ma forse sono cattivo perché un po’ero contento.<br />
Ero contento che anche quello buono si potesse ammalare, ed ero felice<br />
che anche quello buono si dovesse grattare, ed ero entusiasta che anche<br />
quello buono si dovesse curare.<br />
Mamma stava tutto il tempo appresso a lui e non giocavamo più e non<br />
ridevamo più e non cantavamo più e addir<strong>it</strong>tura mi lasciava sentire la musica<br />
a tutto volume.<br />
Mamma odia quando io ascolto la musica a tutto volume e quando me lo<br />
permette vuol dire che è o esaur<strong>it</strong>a o distratta.<br />
Papà non parlava come al sol<strong>it</strong>o, perché lui è uno che lavora.<br />
Nessuna tela bianca davanti agli occhi.<br />
Tutto molto chiaro.<br />
Era contento che mio fratello era ammalato, ma poi sono stato contento<br />
quand’è guar<strong>it</strong>o.<br />
Sono geloso, ma non cattivo.<br />
Ma quell’anno scolastico è stato fottutamente brutto.<br />
Aricrissimella quanto me lo ricordo brutto!<br />
E lento come la trama di Beautiful.<br />
Per esempio ricordo che…
CAPITOLO TRE<br />
C’era una professoressa di inglese, no rifaccio, non d’inglese ma di grammatica<br />
inglese, che era la signora Samberry, signora non perché avesse<br />
preso in comodato d’uso il cognome del mar<strong>it</strong>o, ma signora perché era una<br />
vecchia e chiamarla signorina suonava quasi peggio.<br />
La signora Samberry era una signora che aveva 53 anni, il prossimo<br />
sette maggio sarà di nuovo il suo compleanno.<br />
Vestiva sempre di scuro, con gonne sempre nere e scarpe nere e maglioni<br />
a collo alto o neri o al massimo bordeaux.<br />
Portava degli occhiali con la montatura sottile come le caviglie di una<br />
modella, che le rendevano gli occhi ancora più piccoli di quelli che aveva.<br />
Quando doveva interrogare, guardava il registro e guardava la classe e strizzava<br />
gli occhi come se fosse stata miope (ma secondo me ci vedeva benissimo<br />
perché beccava sempre qualcuno impreparato).<br />
Continuava ad alzare lo sguardo, per poi ribassarlo come in un passaggio<br />
a livello impazz<strong>it</strong>o.<br />
Sembrava una danza tribale che incuteva paura.<br />
Diceva sempre, cioè non sempre ma solo quando gli veniva chiesto (precisione,<br />
<strong>Edgar</strong>, è così che le persone possono capirti... precisione…),<br />
che non si era mai sposata con un uomo perché lei era sposata al suo insegnamento.<br />
Io, ancora adesso, quando mi chiedono come mai non sono fidanzato<br />
rispondo che non sono piaciuto ancora a nessuno, ma non dispero perché in<br />
fondo non sono così male.<br />
È brutto stare da soli e a nessuno piace.<br />
E anche in quarta elementare capivo che dire di essersi sposati all’inglese<br />
era una gran cazzata.<br />
Comunque la signora Samberry sembrava felice per essere un’adulta.<br />
Era una brava donna che all’occorrenza sapeva anche difendermi.<br />
Una volta, mi pare fossimo a metà anno più o meno, la signora doveva<br />
interrogarci su una ricerca che aveva assegnato undici giorni prima.<br />
Io non avevo potuto prepararla perché avevamo gli operai in casa (da più<br />
di undici giorni).<br />
Pioveva quella mattina, ma di una pioggia diversa.<br />
<strong>Mi</strong> accorgo sempre se la pioggia è diversa perché io divento alberato, e<br />
poi la pioggia si trasforma in neve e allora è mio padre che diventa alberato.
La signora Samberry era vest<strong>it</strong>a con un completo nero.<br />
Entrò in classe e il ticchettio della pioggia sui vetri delle finestre scandivano<br />
il r<strong>it</strong>mo costante dei passi, piedi e scarpe.<br />
Nere come il resto.<br />
«Buongiorno, bambini», disse con il tono di voce come se ci stesse leggendo<br />
tutte le postille e le clausole di una polizza assicurativa.<br />
«Buongiorno, maestra!»<br />
Rispondevano più o meno tutti – chi più e chi meno – ma Ralph James<br />
rispondeva più forte.<br />
Ralph era il primo della classe, ma ogni volta che si faceva ganzo con la<br />
sua aria da so tutto io e se non lo so presto lo imparerò sapevo che presto<br />
o tardi la scuola sarebbe fin<strong>it</strong>a e con essa gran parte degli applausi accumulati<br />
tra i banchi.<br />
Aveva un’aria da tonto come ti immagini uno con i capelli rossi.<br />
Crescendo ho cap<strong>it</strong>o che ci sarà sempre qualcuno che risponde al professore<br />
con la voce più forte, e quasi sempre ha i capelli rossi.<br />
La signora Samberry, sola come un cane solo, cominciò l’odiata danza<br />
tribale.<br />
I suoi occhiali fini si fermarono per alcuni secondi a metà registro e io<br />
maledì il mio beccuto maledetto cognome.<br />
«<strong>Edgar</strong>, vuoi venire tu?», disse con la voce cattiva come un formaggio<br />
francese (di quelli che quando li tagli ti colano da tutte le parti).<br />
«Se è una domanda, no», risposi io.<br />
La signora Samberry continuò come se non avessi mai fiatato.<br />
«Vieni, <strong>Edgar</strong>, facci vedere quanto sei preparato».<br />
Facci vedere, <strong>Edgar</strong>, facci vedere!<br />
Le parole rimbombavano – che è una parola che, noto solo adesso mentre<br />
la scrivo, rim-bom-ba lei stessa, divertente no? – e c’era un gran casino<br />
nell’aula.<br />
Ma forse era solo nella mia testa.<br />
Erano le grida di mio fratello e di mio cugino quando mi inc<strong>it</strong>avano a fare<br />
la faccia tamponata.<br />
Era una faccia tutta piena di bozzi e b<strong>it</strong>orzoli vari – come una macchina<br />
dopo un tamponamento – che nelle giornate sì riuscivo a tenere per dieci<br />
minuti buoni.<br />
Li facevo divertire come matti, ma a me la sera tirava la pelle come dopo<br />
una giornata di mare.
Io mi alzai dalla sedia lentamente e lentamente mi diressi verso la professoressa.<br />
<strong>Mi</strong> sentivo tutti gli occhi addosso come se avessi un pezzo di insalata<br />
ancorato saldamente tra i denti.<br />
La prof. non alzò lo sguardo mai e continuò a guardare il registro.<br />
Avrei potuto mandare un compagno al posto mio e lei non se ne sarebbe<br />
accorta, almeno fino a quando non avessi iniziato a parlare.<br />
Sono inconfondibile quando parlo.<br />
«E allora, che ci dici <strong>Edgar</strong>, di <strong>Edgar</strong> Allan Poe?»<br />
<strong>Mi</strong> chiamò per nome. <strong>Mi</strong> aveva riconosciuto.<br />
Ma dell’altro nome che fece buio pesto.<br />
Una tela così spessa davanti agli occhi da far pensare ad una pessima<br />
im<strong>it</strong>azione dei cinesi originali.<br />
«Professoressa, io non l’ho fatta la ricerca, ma posso parlarle per diverse<br />
ore di Jim l’idraulico e di suo figlio, <strong>Mi</strong>t il muratore».<br />
<strong>Mi</strong>t, il miglior muratore del Maine, c’era scr<strong>it</strong>to a caratteri cub<strong>it</strong>ali<br />
dorati in rilievo sulla maglietta che indossava.<br />
«E chi sarebbero, per grazia ricevuta, questi distinti signori?», disse la<br />
prof. mettendola giù molto più dura del necessario (a modesto parere di chi<br />
racconta).<br />
«Sono i signori che mi stanno demolendo casa a pagamento»<br />
«Jim è il capo e fa l’idraulico. È un omone grosso che sembra buono, ma<br />
dice un sacco di bugie.<br />
Io l’ho sent<strong>it</strong>o parlare al telefono con la moglie e le ha detto che doveva<br />
lavorare fino a tardi da noi, ma poi ha staccato alle cinque dicendo che c’era<br />
stato un imprevisto».<br />
Un imprevisto che non gli impediva di andare via da casa nostra per non<br />
tornare dalla moglie e dall’orribile nome impronunciabile che indossa.<br />
<strong>Edgar</strong> gli adulti sono bugiardi... ricordati sempre di dire la ver<strong>it</strong>à,<br />
anche quando cresci! Ricordati, <strong>Edgar</strong>... Ver<strong>it</strong>à, amabil<strong>it</strong>à e sincer<strong>it</strong>à…<br />
«<strong>Mi</strong>t, invece, è il muratore bravo quasi come il padre».<br />
I figli – se sono bravi – al massimo sono bravi quasi come i loro padri,<br />
mai più bravi e se fanno lo stesso lavoro, allora, se la sono cercata perché<br />
hanno perso in partenza.<br />
«<strong>Mi</strong> racconta spesso – con il tono di voce di chi è certo che quello che<br />
sta raccontando non interessa a nessuno – che non ha voluto fare l’idraulico<br />
per non seguire le orme paterne, ma comunque stanno sempre insieme lo<br />
stesso. Credo che si dica che sono soci quando si lavora insieme.
Anche quando sono padre e figlio, almeno credo.<br />
La Jim & <strong>Mi</strong>t Company! La prima volta che lo hanno detto in coro – con<br />
un tempismo perfetto come frutto di anni di prove – brillavano ad entrambi<br />
gli occhi e il padre ha dato una grossa pacca da dietro al figlio che è sobbalzato<br />
in avanti con il corpo goffo e senza peso per quasi un metro, anche se<br />
la Company è tutta racchiusa in un furgoncino Ford e un paio di cassette<br />
per gli attrezzi con il manico di cuoio consumato», dissi tutto di un fiato come<br />
in una gara di poesia.<br />
«Storia interessante, ma capisci che <strong>Mi</strong>t e il padre e tutti i contrasti generazionali<br />
non stanno nel programma almeno per quest’anno?», disse la signora,<br />
signorina, alzando per la prima volta lo sguardo piccolo verso di me.<br />
Io capii che voleva essere una battuta di spir<strong>it</strong>o anche se non rideva<br />
nessuno.<br />
È brutto quando fai una battuta di spir<strong>it</strong>o e non ride nessuno.<br />
Io – perlomeno io – rido sempre alle mie battute di spir<strong>it</strong>o.<br />
«Signora, lei è una donna simpatica e io l’avrei sposata solo se fossi stato<br />
più grande o lei più piccola», dissi per consolarla.<br />
La signora fece la preistoria di un sorriso, e io capii che, per il ruolo che<br />
ricopriva, era il massimo gesto d’amore possibile.<br />
E anche inaspettato, come una moglie che per il compleanno si aspetta<br />
un mazzo di rose e il mar<strong>it</strong>o esce a comprargli una serra.<br />
«Facciamo così, <strong>Edgar</strong>», concluse, «mi porterai la tua ricerca quando<br />
saranno fin<strong>it</strong>i i lavori a casa… Va bene, caro?»<br />
Poi, senza aspettare una risposta scontata, visto la generosa offerta,<br />
«E aggiornami su Jim e il figlio».<br />
«Si chiama <strong>Mi</strong>t, il figlio si chiama <strong>Mi</strong>t».<br />
Odio quando non si ricordano di <strong>Mi</strong>t.<br />
Odio quando si dimenticano di un figlio.<br />
Odio quando non mi trattano come gli altri.<br />
(Anche se quest’ultima cosa ho imparato ad odiarla con il tempo).<br />
Ma non odio la signora Samberry che non mi sgrida se non faccio i<br />
comp<strong>it</strong>i.<br />
Quando sei a scuola – e sei tu quello un po’ scemo e con una faccia<br />
grande come una luna piena di gas – puoi tranquillamente derogare su alcuni<br />
principi.<br />
Tornai al banco molto più velocemente rispetto all’andata e mi sedetti al<br />
mio posto.
Fin<strong>it</strong>a la lezione della signora era l’ora della ricreazione – che se fosse un<br />
quadro per me sarebbe l’annunciazione alla Madonna – e a pensarci non<br />
era un’ora, ma un quarto d’ora scarso che doveva servire a ricrearsi, a<br />
riprendersi dalle noiose blaterazioni della signora Samberry o dalle prolisse<br />
dissertazioni del signor Hermont.<br />
Nota bene – blaterazioni viene dall’albero di cui vi parlerò più tardi,<br />
mentre prolisse non so con certezza cosa significhi, ma so con certezza che<br />
per le lezioni del signor Hermont calza a pennello.<br />
Quasi tutti i miei professori avevano il cognome che finiva in “ermont”<br />
ed è buffo pensare che non avrebbero potuto accettare una cattedra in una<br />
scuola del Vermont – se non ad alto rischio di sonore risate.<br />
“Il professor Hermont che insegna nel Vermont al suono triste di un<br />
carillon.”<br />
(Non mi vedete, ma sto ridendo piano).<br />
Ma così mi perdo (divago, avrebbe detto mia mamma).<br />
Il mio quarto d’ora scarso poteva tranquillamente chiamarsi “insultazione”.<br />
Uscimmo tutti insieme compostamente dalla classe al suono squillante<br />
della campanella fino a quando uscimmo dalla visuale della prof e…
CAPITOLO QUATTRO<br />
Percorso il lungo corridoio che portava in giardino, come formichine rese<br />
quasi mute dalla raucedine, quelli che pochi secondi prima erano i miei compagni<br />
di classe divennero all’improvviso israeliani di mezza età che avevano<br />
dir<strong>it</strong>to di parola per la prima volta ad una riunione di condominio di loro<br />
coetanei palestinesi, in un condominio mezzo sfasciato al centro della Striscia<br />
di Gaza.<br />
«Il sol<strong>it</strong>o raccomandato faccione culone!», gridò Marius, terzo banco da<br />
sinistra, seconda fila, vedendola dalla visuale che si ha dalla cattedra.<br />
«Lui non può fare la ricerca come tutti gli altri!», gli fece eco Johnny con<br />
la voce in falsetto, suo dirimpettaio di banco e amico del cuore.<br />
«No… Cicciabomba culone faccione ha gli operai per casa», secondo<br />
banco in prima fila, con la voce inconfondibile di Valerio, – Valerio, il violento<br />
violentatore di violino – lo chiamavo io per come strapazzava il delicato<br />
strumento durante l’ora di musica.<br />
Poi cominciarono a spingermi con una cattiveria che non riconoscerò<br />
mai più neanche negli adulti che lavorano in d<strong>it</strong>ta con mio padre (che sono gli<br />
adulti più cattivi che conosco).<br />
<strong>Mi</strong> strattonavano da una parte e dall’altra – come una ragazza contesa<br />
per il ballo di fine anno – e mi tiravano i capelli.<br />
Ma quel giorno non alzarono le mani.<br />
<strong>Mi</strong> piace specificarlo perché un giorno raccontai ai miei gen<strong>it</strong>ori che<br />
alcuni ragazzi mi menarono e non era vero, ma le volte che in segu<strong>it</strong>o sono<br />
stato coricato di botte, e non l’ho raccontato a nessuno, hanno di gran lunga<br />
compensato la bugia di quel giorno.<br />
Continuarono a ridere fino all’arrivo del parcheggio, dove si dispersero<br />
all’improvviso come in una coreografia, e non mi curarono più di uno<br />
sguardo.<br />
Io non dissi nulla, niente, neanche una parola.<br />
Avevo la testa ingarbugliata come un’enorme matassa di cui si è perso il<br />
filo d’inizio, ma le parole accumulate e non dette in quegli anni so che usciranno<br />
prima o poi, e alcune di queste sono quelle che sono precedute a<br />
queste e quelle che seguiranno.<br />
Senza una logica e fuori tempo massimo.<br />
Ma quel giorno non dissi nulla.<br />
Neanche Nick fiatò.
Era troppo complesso spiegare a dei bambini vocianti che mi insultavano<br />
chi io fossi.<br />
Troppo complicato discolparsi da qualcosa che non si è fatto, mentre<br />
degli adulti nani ti strattonano da una parte all’altra.<br />
Troppo umiliante spiegare loro che ero quasi più di loro – come loro.<br />
Ero loro.<br />
E forse completamente inutile.<br />
La v<strong>it</strong>a è come uno specchio.<br />
Ti sorride, se la guardi sorridendo.
CAPITOLO CINQUE<br />
La nostra grande casa, con il tetto giallo e le finestre di una tonal<strong>it</strong>à di<br />
marrone che mamma aveva previsto durante la tinteggiatura, aveva un<br />
portico in mattoni grezzi che era il preludio scontato – come i vest<strong>it</strong>i durante<br />
i saldi – a un grande patio (grande quando io ero piccolo, poi crescendo<br />
si è rimpicciol<strong>it</strong>o), dove durante l’estate cenavamo e pranzavamo e facevamo<br />
colazione e merenda, ed era s<strong>it</strong>uata a Stantford una c<strong>it</strong>tadina a 60<br />
chilometri dalla cap<strong>it</strong>ale del Maine che – se non l’hanno cambiata da poco<br />
– è Augusta.<br />
È una c<strong>it</strong>tadina all’apparenza tranquilla, dove non succede mai nulla se<br />
non le cose che succedono in tutte le piccole province.<br />
Secondo me è, invece, una c<strong>it</strong>tadina violenta e cattiva e pericolosa e<br />
ecc<strong>it</strong>ante, almeno per come la vedo io.<br />
Ho sempre pensato che fosse per colpa della pubblic<strong>it</strong>à.<br />
In una grande c<strong>it</strong>tà lo dicono se succede qualcosa di eclatante, perché<br />
sono tanti e allora può cap<strong>it</strong>are che uno ruba o vada a letto con la moglie del<br />
professore del figlio o truffi ignari risparmiatori. Invece in provincia siamo<br />
pochi e allora non dovrebbe cap<strong>it</strong>are.<br />
Se cap<strong>it</strong>a – anche se non dovrebbe cap<strong>it</strong>are – è più grave e quindi nessuno<br />
ha interesse a dirlo.<br />
Anzi tutti, TV, giornali e radio fanno a gara a chi riesce a dirlo prima.<br />
Una volta lessi sul Maine Post una pubblic<strong>it</strong>à a tutta pagina che diceva<br />
“la pubblic<strong>it</strong>à è l’anima del commercio”.<br />
Lo so che è un modo di dire (non sono stupido), ma vi giuro che era<br />
anche una pagina del giornale.<br />
E precisamente una pagina intera del Maine Post. Quindi se l’anima è<br />
corrotta o impura, molto meglio non pubblicizzarla.<br />
Prima in classifica – e con enorme anticipo sulla fine del campionato –<br />
nel torneo denominato le cose che mi hanno detto più spesso è la frase<br />
“<strong>Edgar</strong>, hai sempre una fantasia così fervida”.<br />
È vero che ho fantasia, ma non sono un bugiardo.<br />
E non so perché ogni volta che io dicevo la ver<strong>it</strong>à su qualcosa mi rispondevano<br />
così.<br />
Non vedevo l’ora di crescere, perché era troppo facile per gli adulti colpevolizzare<br />
i bambini di non essere adulti.
Io vedevo che il signor Sammet e la signora Ginger si baciavano bocca<br />
con bocca dietro il garage, e lo dicevo, e lì partiva il r<strong>it</strong>ornello <strong>Edgar</strong>…<br />
fantasia… bugia …<br />
<strong>Mi</strong> accorgevo che mio fratello prendeva dei soldi dalla scatola di biscotti<br />
a forma di bottone sul secondo ripiano della cucina sopra il forno (non era un<br />
segreto per nessuno), e lo dicevo alla mamma, e lì il r<strong>it</strong>ornello, secondo in<br />
classifica, ma in rimonta nello stesso campionato descr<strong>it</strong>to prima <strong>Edgar</strong>…<br />
fantasia… spia…<br />
E ho sent<strong>it</strong>o n<strong>it</strong>ido con le mie grandi orecchie le bugie che diceva il padre<br />
di Henry alla moglie e sub<strong>it</strong>o dopo <strong>Edgar</strong>… fantasia… tra moglie e mar<strong>it</strong>o<br />
non mettere il d<strong>it</strong>o (Aha ah ah, questa me la sono inventata di sana pianta!).<br />
Ogni cosa riportata da me veniva sempre etichettata, ma mai come dovrebbe<br />
essere, per una cosa pos<strong>it</strong>iva come dire la ver<strong>it</strong>à.<br />
Non si capisce niente, ma lo lascio così (io ho cap<strong>it</strong>o).<br />
È per questo che non ho mai raccontato a nessuno di Nick.<br />
Nick è un mio amico di infanzia, mio e di mio fratello Samuel, ma crescendo<br />
è rimasto solo amico mio.<br />
<strong>Mi</strong>o fratello da qualche anno se gli parlo di Nick mi risponde con un<br />
«non ho tempo per queste stronzate», detta con la faccia da sei.<br />
Nota bene.<br />
Davo il voto a ogni faccia che facevano le persone quando parlavo, e la<br />
faccia da sei era la famosa faccia “di sufficienza”, da un paio di miei parenti<br />
– mia mamma e mia nonna – chiamata anche “faccia da schiaffi”.<br />
Lui non ha tempo per un amico affidabile e sincero, ma perde il suo<br />
tempo in stronzate di stronzi – <strong>Edgar</strong>! Ancora? Basta parolacce! E il<br />
bagno è pronto da quasi un’ora! – che portano i nomi di Henry più forfora<br />
che capelli, Bill mezza palla, Arturo tutto cionco e il resto della combriccola<br />
della quale adesso non mi vengono in mente tutti i nomi, ma anonimi<br />
rimangono comunque stronzi – scusate, scemi, anche se non rende l’idea –<br />
e quasi tutti con l’aria da tonti come se avessero i capelli rossi.<br />
Nick l’ho conosciuto quando ero molto piccolo, perché mi veniva a trovare<br />
tutte le sere, appena dopo che mi addormentavo, ed era bello fare il<br />
punto della giornata con chi non può che ascoltare.<br />
<strong>Mi</strong> veniva a trovare tutte le sere e io sentivo che stava arrivando dall’odore<br />
del suo respiro. Non saprei descriverlo, ma a me venivano le fossette<br />
sulle guance quando tiravo su con il naso.
Per tantissimi anni io, Nick e Samuel siamo andati a chiacchierare sotto<br />
una grossa quercia che sta in fondo al promontorio che domina la vallata,<br />
nella cui cav<strong>it</strong>à si trova la casa nostra con il tetto giallo.<br />
Davanti a casa nostra c’era un grosso prato, che non era tutto nostro, ma<br />
noi lo guardavamo e ci andavamo come se lo fosse, e che finiva su una<br />
collinetta dietro la quale c’era il nostro albero.<br />
Dall’entrata di casa nostra sembrava di vivere nella casa nella prateria,<br />
tanto era il verde che ci si prostrava davanti – anche se al posto della cieca<br />
bionda Mary ci ab<strong>it</strong>ava un ragazzo un po’ down – ma la vista dal retro<br />
assomigliava di più a una periferia, con tutte le case uguali e un po’ ammassate<br />
che si davano fastidio l’una con l’altra.<br />
Il promontorio visto dalle nostre finestre disegnava una sagoma di un<br />
enorme dromedario con tre gobbe tozze e una diversa dall’altra.<br />
Le tre gobbe le avevamo ribattezzate Dario, Dro e Me, e io, mio fratello<br />
e mamma ci scegliemmo una gobba per uno.<br />
Prima scelse Samuel che si prese Dario, mamma optò per Dro, e io che<br />
ero arrivato per terzo scelsi quello rimasto che era la mia prima scelta e<br />
gridai «Me... è mio!».<br />
Era una scenetta che ripetevamo ogni volta che ci sedevamo sul patio a<br />
guardare la vallata, e ogni volta ridevamo come matti.<br />
Ora che sono più grande, mi rendo conto che forse lo facevano più per<br />
me che altro, ma mi dispiace un po’ che è tanto tempo che non gridiamo più<br />
a squarciagola Dario, Dro (certo, come no), ma Me è mio!<br />
È dietro al dromedario c’era il nostro albero.<br />
Io e mio fratello l’avevamo ribattezzato l’Albero Bla Bla.<br />
Ci andavamo al calar della sera ed era il nostro posto speciale.<br />
Speciale perché tutti noi potevamo essere noi stessi e dire tutto quello<br />
che ci passava per la testa e gridare e piangere e ridere e non in questo<br />
ordine, e sia che ce ne fosse motivo o meno di fare tutte queste cose.<br />
Sotto l’Albero Bla Bla tutto era permesso, tutto era magico.<br />
Soprattutto mio fratello lì era diverso.<br />
Era sorridente e comprensivo, mi parlava e mi spiegava le cose, con<br />
pazienza e sempre con la faccia da nove (quella che ti viene quando vedi il<br />
nove bello stampato in neretto sulla tua pagella) e io sentivo dalle sue parole,<br />
ma soprattutto dal suo tono, che mi voleva bene.<br />
Non badate troppo alle parole, non le pesate come dicono quelli che<br />
erano bravi a scuola. Il tono è importante.
Non cosa si dice, ma come.<br />
Poi siamo cresciuti e la cameretta dove dormivamo è diventata all’improvviso<br />
piccola, e gli ab<strong>it</strong>i ci stavano stretti, e dovevamo comprarne dei<br />
nuovi, e non ci siamo più andati e mio fratello è cambiato.<br />
Da quando non andiamo più sotto il grande Albero Bla Bla, è scontroso e<br />
frettoloso e burbero e nervoso (nervoso un po’ lo era anche prima).<br />
Non ha più tanta pazienza e ogni cosa che gli chiedo, lui mi risponde<br />
«Chiedilo a mamma, lei lo sa...»<br />
Per anni ho pensato che mio fratello all’improvviso si fosse rincoglion<strong>it</strong>o<br />
e si fosse dimenticato di tutte le risposte, mentre che mamma sapeva tutto<br />
l’ho sempre saputo.<br />
Ma tutte le mamme – non solo la mia – sanno tutto di tutto.<br />
Abbiamo smesso di andare sotto l’albero e sono cambiate molte cose.<br />
È cambiato il giorno con la notte, il cielo si è intrist<strong>it</strong>o, impregnato di un<br />
colore triste, il tetto di casa è diventato di un giallo sbiad<strong>it</strong>o come la senape<br />
annacquata e il marrone previsto da mamma è diventato il colore paventato<br />
da papà.<br />
Mamma non ride più e papà – che non ha mai riso che io mi ricordi –<br />
continua a non parlare.<br />
Ma quello che è peggio è che Samuel, pur avendo gli stessi occhi da<br />
quando è nato, mi guarda in maniera diversa.<br />
O peggio mi guarda fino ad un certo punto. Più o meno all’altezza dei<br />
polpacci, e non più dr<strong>it</strong>to negli occhi.<br />
Neanche a dire che ho bei polpacci (salsicce affumicate essiccate al<br />
sole).<br />
Abbassa lo sguardo.<br />
Non chiedetemi perché, non sono stupido, ma non posso sapere tutto.<br />
Da quando non andiamo più a chiacchierare sotto l’Albero Bla Bla tante<br />
cose sono cambiate.<br />
Troppe per pensare ad una semplice coincidenza.<br />
Ne volete sapere una?<br />
La volete sapere sub<strong>it</strong>o o dopo la merenda?<br />
Io non vi ho sent<strong>it</strong>o rispondere e voi non potete vedermi, ma sto spalmando<br />
per orizzontale burro di noccioline su di un panino tarchiato duro, ma<br />
senza crosta.<br />
Ho riso tanto in v<strong>it</strong>a mia, ma ho avuto anche cose brutte.
Credo che tutte le persone abbiamo avuto giorni felici immersi in un<br />
mare di calma piatta, e con qualche cavallone triste che accennava di tanto<br />
in tanto un po’ di schiuma.<br />
Uno di questi giorni ve lo sto per raccontare, ma ad un patto. Che mentre<br />
leggerete, che nessuno – dico nessuno! – faccia la faccia triste della compassione.<br />
Quella che si fa quando qualcuno sfigato ti racconta della sfiga che ha.<br />
Quella faccia che in fondo al mento finisce con le parole “poverino, non se lo<br />
mer<strong>it</strong>a proprio”.<br />
Odio quando qualcuno mi dice “poverino”.<br />
Perché la gente deve sempre giudicare? Se io racconto qualcosa, è solo<br />
per condividerla, non per metterla ai voti al sempre florido gioco Vediamo –<br />
chi – è – più – sfigato – di – me. Nessuno è più sfigato di me? Si<br />
aggiudica il premio il signore all’ultima fila con le stampelle e una v<strong>it</strong>a<br />
vuota accanto.<br />
Una giornata così triste da influenzare tutte quelle venute prima, e tutte<br />
quelle dopo.<br />
Una giornata così triste da non riuscire a versare neanche una lacrima.<br />
Neanche una.<br />
E ricordatevi la promessa della faccia.<br />
Io non vi posso vedere, ma voi sì.<br />
Crescere un figlio è come camminare sulla neve.
RINGRAZIAMENTI (PIÙ O MENO)<br />
Di sol<strong>it</strong>o i libri normali, quelli veri, finiscono la loro storia con una intera<br />
pagina dedicata ai ringraziamenti. Frasi tipo “un libro non lo scrive una persona<br />
sola, questo libro non ci sarebbe stato senza l’aiuto di”. Ho sempre<br />
pensato che se avessi avuto in dono il miracolo di una pubblicazione, non<br />
avrei ringraziato nessuno.<br />
Non credo dipenda dalla ingrat<strong>it</strong>udine – anche se non sono pochi quelli<br />
che mi hanno gridato in faccia Ingrato! ma la gente è strana, si sa –<br />
La ver<strong>it</strong>à è che io odio quel tipo di cose, i falsi perbenismi di chi si nutre<br />
dei rapporti di facciata, la vanesia ostentazione di un mer<strong>it</strong>o altrui. Cose<br />
così.<br />
Se ci fosse qualcuno da ringraziare, ed in ver<strong>it</strong>à più di qualcuno ci sarebbe,<br />
preferirei ringraziare te che mi stai leggendo in questo momento.<br />
Senza di te, caro lettore, chiunque scriva è una voce che blatera nel<br />
vuoto.<br />
Ma questa che vedete è una pagina A5, lunga nella versione non tascabile<br />
all’incirca 21 centimetri, che comunque devo occupare da contratto.<br />
Allora, quasi, quasi, la sfrutto per c<strong>it</strong>are le persone che non devo ringraziare<br />
per la pubblicazione del libro che tieni per le mani.<br />
C’è chi colleziona cerini, chi soldatini, chi orologi preziosi. Io colleziono<br />
rancori.<br />
Non devo ringraziare il mio professore d’<strong>it</strong>aliano delle medie, professor<br />
Emiliano <strong>Mi</strong>chetti, che stroncò un mio godibilissimo tema sul fenomeno dell’immigrazione<br />
con le seguenti ed ironiche testuali parole “Sconclusionato,<br />
affrettato nelle conclusioni. Temo gli sia preclusa la carriera di scr<strong>it</strong>tore”.<br />
Non ringrazio la signora Paola Emidi, mia vicina di casa prossima all’immortal<strong>it</strong>à,<br />
che dopo aver letto il manoscr<strong>it</strong>to di <strong>Edgar</strong> mi ha guardato fisso<br />
negli occhi – pensavo volesse baciarmi – e mi ha sussurrato: “Non ti piace<br />
proprio il lavoro di tuo padre?<br />
Non ringrazio Giuseppe Molinari, amico di sole parole, che dopo aver<br />
insist<strong>it</strong>o tanto (ti prego, ci terrei tanto a leggerlo!) non mi ha fatto sapere più<br />
nulla. Sono passati quattordici mesi.<br />
Non ringrazio la casa ed<strong>it</strong>rice Longanesi, che ha avuto la gentile premura<br />
di farmi sapere che “il suo pregevole e brillante lavoro non rientra nei nostri<br />
attuali piani ed<strong>it</strong>oriali”. “Pregevole e brillante” Una lettera di rifiuto.
Diffidate sempre di chi vi sorride per primo.<br />
Ne ho ricevute molte poche di lettere di rifiuto.<br />
Quelle sono appannaggio esclusivo degli scr<strong>it</strong>tori dall’indiscusso talento.<br />
Infine, non ringrazio Alessandro per una miriade di motivi.<br />
Lui li conosce tutti.
SOMMARIO<br />
Cap<strong>it</strong>olo uno<br />
Cap<strong>it</strong>olo due<br />
Cap<strong>it</strong>olo tre<br />
Cap<strong>it</strong>olo quattro<br />
Cap<strong>it</strong>olo cinque<br />
Cap<strong>it</strong>olo sei<br />
Cap<strong>it</strong>olo sette<br />
Cap<strong>it</strong>olo otto (le cose tra parenti)<br />
Cap<strong>it</strong>olo nove. L’amicizia – quella vera – è fantastica<br />
Cap<strong>it</strong>olo dieci<br />
Cap<strong>it</strong>olo undici. Dio è una brava persona<br />
Cap<strong>it</strong>olo dodici<br />
Cap<strong>it</strong>olo tredici<br />
Cap<strong>it</strong>olo quattordici<br />
Cap<strong>it</strong>olo quindici<br />
Cap<strong>it</strong>olo sedici<br />
Cap<strong>it</strong>olo diciassette. L’amore non è un sentimento. È una capac<strong>it</strong>à<br />
Cap<strong>it</strong>olo diciotto<br />
Cap<strong>it</strong>olo diciannove. Chi ha paura dell’acqua calda,<br />
teme anche quella fredda<br />
Cap<strong>it</strong>olo venti<br />
Cap<strong>it</strong>olo ventuno<br />
Cap<strong>it</strong>olo ventidue. Lunga v<strong>it</strong>a al nemico, affinché possa<br />
assistere al mio successo<br />
Cap<strong>it</strong>olo vent<strong>it</strong>ré<br />
Cap<strong>it</strong>olo ventiquattro<br />
Cap<strong>it</strong>olo venticinque<br />
Cap<strong>it</strong>olo ventisei<br />
Cap<strong>it</strong>olo ventisette<br />
Cap<strong>it</strong>olo ventotto<br />
Cap<strong>it</strong>olo ventinove<br />
Cap<strong>it</strong>olo trenta<br />
Cap<strong>it</strong>olo trentuno<br />
Cap<strong>it</strong>olo trentadue<br />
Cap<strong>it</strong>olo trentatré<br />
Cap<strong>it</strong>olo trentaquattro<br />
Cap<strong>it</strong>olo trentacinque<br />
Cap<strong>it</strong>olo trentasei<br />
Ringraziamenti (più o meno)<br />
3<br />
9<br />
15<br />
20<br />
22<br />
27<br />
31<br />
32<br />
36<br />
49<br />
67<br />
74<br />
76<br />
86<br />
88<br />
92<br />
98<br />
101<br />
104<br />
108<br />
123<br />
135<br />
146<br />
148<br />
157<br />
158<br />
165<br />
180<br />
196<br />
205<br />
211<br />
216<br />
225<br />
239<br />
341<br />
254<br />
257
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