Scarica i pannelli in PDF sulla biodiversità - Antonio Zanelli
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Il cocomero (Citrullus lanatus), appartenente anch’esso alla famiglia<br />
delle Cucurbitaceae, è orig<strong>in</strong>ario dell’Africa tropicale,<br />
dove sono presenti ancora i suoi progenitori selvatici. La sua storia<br />
è simile a quella del melone: era coltivato nell’antico Egitto<br />
già nel 2.000 a.C. mentre non era conosciuto dalle antiche civiltà<br />
europee; dall’Africa si diffuse verso oriente lungo le rotte<br />
commerciali, raggiungendo nel X secolo d.C. la C<strong>in</strong>a (che oggi<br />
è il primo produttore mondiale), nel XII secolo; si diffuse qu<strong>in</strong>di<br />
<strong>in</strong> Europa grazie agli Arabi. Probabilmente venne portato nelle<br />
Americhe dai primi coloni o dagli schiavi africani.<br />
Attualmente <strong>in</strong> Italia è coltivato su circa 17.000 ettari, pr<strong>in</strong>cipalmente<br />
<strong>in</strong> Lazio, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia.<br />
Nella nostra prov<strong>in</strong>cia è stato ed è tuttora una delle colture ortive<br />
più importanti, tipiche della bassa pianura, <strong>in</strong> particolare tra<br />
Novellara e Santa Vittoria di Gualtieri. Il cocomero di Santa<br />
Vittoria ha goduto nei secoli scorsi di grande fama, grazie al suo<br />
gusto e al non comune contenuto zuccher<strong>in</strong>o, dovuto al sapiente<br />
modo di coltivazione ed alle caratteristiche particolari del terreno<br />
della zona.<br />
Pare che la coltivazione del cocomero <strong>in</strong> quest’area risalga al<br />
Settecento, senza alcun dubbio posteriore a quella del melone.<br />
La coltura del cocomero a Santa Vittoria venne molto <strong>in</strong>centivata<br />
durante il breve periodo Napoleonico, come possibilità per i<br />
più poveri, <strong>in</strong> particolare i braccianti, di <strong>in</strong>tegrare i loro miseri<br />
redditi, sfruttando la frequente disponibilità di terreni per periodi<br />
limitati di tempo, causati da un’economia di “guerra” e “occupazione”<br />
che non permetteva programmi a lungo term<strong>in</strong>e.<br />
Quando una coltura <strong>in</strong>vernale come il grano non riusciva bene<br />
per un andamento climatico avverso, nei mesi primaverili si poteva<br />
piantare il cocomero, che ad agosto era già pronto. La coltivazione<br />
richiedeva pochi <strong>in</strong>vestimenti, molta manodopera che<br />
La <strong>biodiversità</strong> agraria a Reggio Emilia<br />
COCOMERO<br />
di Santa Vittoria<br />
ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE “ANTONIO ZANELLI”<br />
Sez. Tecnica Agraria (<strong>in</strong>dirizzi generale, ambientale e zootecnico)<br />
non mancava e da un profitto economico mediamente buono sui<br />
mercati locali.<br />
La varietà coltivata nel territorio vittoriese veniva chiamata<br />
“Nostrana”, o anche col term<strong>in</strong>e dialettale “Fojasa”, ed era caratterizzata<br />
dalla scorza verde a strisce scure. Si ha memoria di<br />
questa varietà f<strong>in</strong>o agli anni Sessanta.<br />
Nella bassa reggiana era diffusa anche una varietà, probabilmente<br />
di orig<strong>in</strong>e francese, chiamata Ardita. Questa varietà però<br />
altro non era che il cocomero di Bagnacavallo. Le note d’epoca<br />
lo descrivono come di medio periodo e media pezzatura, a<br />
strisce longitud<strong>in</strong>ali alternate chiare e scure ed a seme grande,<br />
biancastro con bordo scuro. Non è possibile dire con sicurezza<br />
se si trattasse di un cocomero reggiano “emigrato” <strong>in</strong> Romagna<br />
o viceversa.<br />
Non si sa nemmeno se la Fojasa di Santa Vittoria e l’Ardita siano<br />
la stessa cosa. Insomma il mistero relativo alle antiche angurie<br />
reggiane è tuttora irrisolto.<br />
Negli anni Sessanta arrivano le prime cultivar straniere e negli<br />
anni ‘70 i cocomeri locali sono già scomparsi dai cataloghi delle<br />
ditte sementiere, sostituiti da Sugar Baby (nera piccola e precoce),<br />
Asahi Miako e Crimson Sweet (grosse e striate). Le nuove<br />
varietà conquistano il mercato perché più serbevoli, o più semplici<br />
da coltivare, quasi sempre più produttive oppure perché<br />
non si rendeva più necessaria l’opera dell’esperto “spiccatore”,<br />
<strong>in</strong> quanto la maturazione non era più scalare.<br />
Le vecchie cultivar sono qu<strong>in</strong>di scomparse da alcuni decenni dai<br />
nostri campi, però è noto che il seme del Santa Vittoria è custodito<br />
da una ditta sementiera statunitense, che lo prelevò nel secondo<br />
dopoguerra; oggi viene commercializzato un ibrido F1 ricavato<br />
da questi semi e chiamato proprio cocomero di Santa Vittoria.