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12.06.2013 Views

La biodiversità agraria a Reggio Emilia BIODIVERSITÀ DEL PAESAGGIO La piantata reggiana La piantata, che fino a pochi decenni orsono occupava la quasi totalità dei terreni agrari della media ed alta pianura reggiana, rappresentava una forma di allevamento della vite che utilizzava quale tutore un sostegno “vivo”, ovvero un’altra pianta quali l’olmo, l’acero campestre o le piante da frutto. Questa forma di allevamento è ormai scomparsa a causa di una malattia (la grafiosi) che provoca il disseccamento dell’olmo e delle esigenze di meccanizzazione delle operazioni colturali. Più che di forma di allevamento sarebbe corretto parlare di “sistema”, in quanto esigeva una potatura tipica ed unica in viticoltura : molto intensa ed accurata un anno (pota) e molto più speditiva e leggera il successivo (frasca). L’olmo campestre, oltre a svolgere la funzione di tutore, forniva legna da ardere e da lavoro, mentre il fogliame era utilizzato per l’alimentazione del bestiame bovino; l’acero campestre, resistente alla grafiosi, non rispondeva altrettanto bene a quelle esigenze. Il doppio tipo di potatura si rifletteva anche sulle caratteristiche enologiche delle uve per cui nella vinificazione era impiegata una mescolanza proveniente sia dalla vite in pota che in frasca. Questo sistema di allevamento è ormai scomparso dalla nostra campagna, salvo qualche raro filare a volte rimaneggiato rispetto all’originale o posto a ridosso della casa rurale per le uve ad uso famigliare, perché varietà di pregio o di tradizione. La piantata era già diffusa in epoca etrusca in tutta l’area padana, come scrive il Sereni “...nel dominio etrusco, invece, il sistema di allevamento consente una coltura promiscua nella quale - alla vite allevata alta montata all’acero ed all’olmo - si consocia nello stesso campo la coltura dei cereali...”. È anzi ipotizzabile che questo sistema fosse praticato già in età anteriore alla colonizzazione etrusca dalle popolazioni indigene o paleoliguri della Valle Padana, le quali - è certo - raccoglievano ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE “ANTONIO ZANELLI” Sez. Tecnica Agraria (indirizzi generale, ambientale e zootecnico) ed utilizzavano le bacche della labrusca , la vite selvatica, “...i cui tralci spontaneamente dovevano intrecciarsi nel particolare ambiente climatico nelle chiome degli olmi, degli aceri,dei pioppi…”. In età romana si usava il termine arbustum gallicum, cioè piantata all’uso gallico: non perché quelle popolazioni avessero avuto rilievo nella diffusione di questo sistema ma per il riferimento geografico all’areale in cui era diffuso. Infatti i coloni romani dovettero ricorrere a questa tecnica per estendere la coltura della vite nelle terre più umide e fertili e con clima più freddo che impedivano l’allevamento del vigneto basso “all’uso greco”. Nella metà del XIII secolo Pietro de’ Crescenzi - il rinnovatore della scienza agronomica dell’Italia comunale - definisce in modo tecnicamente molto preciso il paesaggio della piantata parlando di viti allevate “...su grandi arbori, distinte in squadre…” e precisa che esse “...Si piantano nelle ripe de’ fossati o sopra le ripe, o per i campi, appresso grandi arbori...” . Gli elementi costitutivi della piantata, che è giunta come tale fino a buona parte del Novecento, sono già elaborati nel ‘500 con la divisione della superficie dei campi di forma regolare, con limiti segnati da cavedagne e da fossati, lungo cui corrono i filari di alberi vitati, ovvero nelle zone in cui si irriga a scorrimento a delimitare la spianata. Questo sistema di coltivazione della vite ha per secoli caratterizzato il paesaggio e la cultura rurale del territorio reggiano; per questo è importante salvaguardarne i pochi esempi rimasti come testimonianze di una millenaria storia agraria, in cui la capacità di utilizzare le risorse ambientali era basata sullo spirito di osservazione e sull’ingegnosità dei coltivatori.

La <strong>biodiversità</strong> agraria a Reggio Emilia<br />

BIODIVERSITÀ DEL PAESAGGIO<br />

La piantata reggiana<br />

La piantata, che f<strong>in</strong>o a pochi decenni orsono occupava la quasi<br />

totalità dei terreni agrari della media ed alta pianura reggiana,<br />

rappresentava una forma di allevamento della vite che utilizzava<br />

quale tutore un sostegno “vivo”, ovvero un’altra pianta quali<br />

l’olmo, l’acero campestre o le piante da frutto.<br />

Questa forma di allevamento è ormai scomparsa a causa di una<br />

malattia (la grafiosi) che provoca il disseccamento dell’olmo<br />

e delle esigenze di meccanizzazione delle operazioni colturali.<br />

Più che di forma di allevamento sarebbe corretto parlare di<br />

“sistema”, <strong>in</strong> quanto esigeva una potatura tipica ed unica <strong>in</strong> viticoltura<br />

: molto <strong>in</strong>tensa ed accurata un anno (pota) e molto più<br />

speditiva e leggera il successivo (frasca). L’olmo campestre,<br />

oltre a svolgere la funzione di tutore, forniva legna da ardere e<br />

da lavoro, mentre il fogliame era utilizzato per l’alimentazione<br />

del bestiame bov<strong>in</strong>o; l’acero campestre, resistente alla grafiosi,<br />

non rispondeva altrettanto bene a quelle esigenze. Il doppio<br />

tipo di potatura si rifletteva anche sulle caratteristiche enologiche<br />

delle uve per cui nella v<strong>in</strong>ificazione era impiegata una mescolanza<br />

proveniente sia dalla vite <strong>in</strong> pota che <strong>in</strong> frasca.<br />

Questo sistema di allevamento è ormai scomparso dalla nostra<br />

campagna, salvo qualche raro filare a volte rimaneggiato<br />

rispetto all’orig<strong>in</strong>ale o posto a ridosso della casa rurale per le<br />

uve ad uso famigliare, perché varietà di pregio o di tradizione.<br />

La piantata era già diffusa <strong>in</strong> epoca etrusca <strong>in</strong> tutta l’area padana,<br />

come scrive il Sereni “...nel dom<strong>in</strong>io etrusco, <strong>in</strong>vece, il<br />

sistema di allevamento consente una coltura promiscua nella<br />

quale - alla vite allevata alta montata all’acero ed all’olmo - si<br />

consocia nello stesso campo la coltura dei cereali...”. È anzi<br />

ipotizzabile che questo sistema fosse praticato già <strong>in</strong> età anteriore<br />

alla colonizzazione etrusca dalle popolazioni <strong>in</strong>digene o<br />

paleoliguri della Valle Padana, le quali - è certo - raccoglievano<br />

ISTITUTO D’ISTRUZIONE SUPERIORE “ANTONIO ZANELLI”<br />

Sez. Tecnica Agraria (<strong>in</strong>dirizzi generale, ambientale e zootecnico)<br />

ed utilizzavano le bacche della labrusca , la vite selvatica, “...i<br />

cui tralci spontaneamente dovevano <strong>in</strong>trecciarsi nel particolare<br />

ambiente climatico nelle chiome degli olmi, degli aceri,dei<br />

pioppi…”.<br />

In età romana si usava il term<strong>in</strong>e arbustum gallicum, cioè piantata<br />

all’uso gallico: non perché quelle popolazioni avessero avuto<br />

rilievo nella diffusione di questo sistema ma per il riferimento<br />

geografico all’areale <strong>in</strong> cui era diffuso. Infatti i coloni romani<br />

dovettero ricorrere a questa tecnica per estendere la coltura della<br />

vite nelle terre più umide e fertili e con clima più freddo che impedivano<br />

l’allevamento del vigneto basso “all’uso greco”.<br />

Nella metà del XIII secolo Pietro de’ Crescenzi - il r<strong>in</strong>novatore<br />

della scienza agronomica dell’Italia comunale - def<strong>in</strong>isce <strong>in</strong> modo<br />

tecnicamente molto preciso il paesaggio della piantata parlando<br />

di viti allevate “...su grandi arbori, dist<strong>in</strong>te <strong>in</strong> squadre…” e precisa<br />

che esse “...Si piantano nelle ripe de’ fossati o sopra le ripe,<br />

o per i campi, appresso grandi arbori...” .<br />

Gli elementi costitutivi della piantata, che è giunta come tale f<strong>in</strong>o<br />

a buona parte del Novecento, sono già elaborati nel ‘500 con la<br />

divisione della superficie dei campi di forma regolare, con limiti<br />

segnati da cavedagne e da fossati, lungo cui corrono i filari di alberi<br />

vitati, ovvero nelle zone <strong>in</strong> cui si irriga a scorrimento a delimitare<br />

la spianata.<br />

Questo sistema di coltivazione della vite ha per secoli caratterizzato<br />

il paesaggio e la cultura rurale del territorio reggiano;<br />

per questo è importante salvaguardarne i pochi esempi rimasti<br />

come testimonianze di una millenaria storia agraria, <strong>in</strong> cui la<br />

capacità di utilizzare le risorse ambientali era basata sullo spirito<br />

di osservazione e sull’<strong>in</strong>gegnosità dei coltivatori.

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