Volume 2 - Portale dell'innovazione - Regione Siciliana

COMITATO SCIENTIFICO
Salvatore Barbagallo
Francesco Bellia
Giacomo Blandini
Giovanni Continella
Giuseppe La Malfa
Santi Longo
Emanuele Maccarone
Alfio Tirrò
Università degli Studi di Catania
Tiziano Caruso
Università degli Studi di Palermo
Giovanni La Via
Assessore Agricoltura e Foreste Regione Siciliana
Giovanni Pulvirenti
Assessorato Agricoltura e Foreste Regione Siciliana
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INDICE GENERALE
- Il germoplasma frutticolo autoctono dell’Etna: il melo
(Giovanni Continella, Massimo Catalano, Antonio Cicala,
Stefano La Malfa, Marco Caruso, Fausta Domina) .............
- Valutazione della componente aromatica e polifenolica di
mele “Cola” e “Cola-Gelato” prodotte nel territorio dell’Etna
(Nicola Guarrera, Elisa Sperlinga, Amedeo Passerini,
Emanuele Maccarone) ...........................................................
- Primi risultati di una indagine economica sulla produzione e
sul mercato delle mele dell’Etna (Giuseppina Carrà, Iuri Peri,
Carlo Prato, Domenico Spampinato, Gabriella Vindigni) ......
- Valutazione della componente aromatica e polifenolica
di pere “Coscia” prodotte nel territorio dell’Etna
(Gabriele Ballistreri, Nicola Guarrera, Amedeo Passerini,
Emanuele Maccarone) .........................................................
- Il germoplasma frutticolo autoctono dell’Etna: il pero
(Giovanni Continella, Massimo Catalano, Alberto Continella,
Giovanni La Rosa, Greta Gimma, Alessandra Gentile) ........
- Primi risultati di indagini economico agrarie sulla produzione
e sul mercato della pericolutura etnea (Salvatore Bracco,
Biagio Pecorino, Alfonso Silvio Zarbà) ....................................
- Gli insetti ausiliari del pero in frutteti dell’Etna (Gaetana
Mazzeo, Gaetano Siscaro, Santi Longo) ..............................
- Il germoplasma frutticolo autoctono dell’Etna: il ciliegio
(Alberto Continella, Massimo Catalano, Stefano La Malfa,
Giuseppina Las Casas, Giovanni Continella) ........................
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Pag. 7
“ 21
“ 39
“ 57
“ 71
“ 83
“ 97
“ 117

- Primi risultati di indagini economiche sulla produzione e sul
mercato della “Ciliegia dell’Etna” (Marcella Bucca, Mario
D’Amico, Alessandro Scuderi) ..............................................
- I pigmenti dei semi di pistacchio (Maria Giovanna Bellomo,
Biagio Fallico) .......................................................................
- Valutazione della shelf life dei semi di pistacchio (Maria
Giovanna Bellomo, Biagio Fallico, Giuseppe Muratore)....
- Distribuzione di acidi grassi e fitosteroli come criterio per
discriminare l’origine geografica dei semi di pistacchio
(Elena Arena, Biagio Fallico, Emanuele Maccarone) ..........
- Primi risultati di indagini economiche sulla produzione e
sul mercato del pistacchio nella zona etnea (Gioacchino
Pappalardo, Salvatore Pesce, Mariagrazia Signorello) .........
- La raccolta agevolata del pistacchio (Silvio Balloni,
Luciano Caruso, Giampaolo Schillaci, Giuseppe Spartà) ...
- Variazioni qualitative nel corso della conservazione dei frutti
della cultivar di pistacchio “Bianca di Bronte” sottoposti a
diversi metodi di essiccazione (Elena La Russa, Francesco
Paolo Marra, Carlo Finoli, Giuseppe Occorso, Giovanni
Pulvirenti, Tiziano Caruso) ..................................................
- Variazioni qualitative dei frutti di diverse cultivar di pistacchio
nel corso della conservazione (Elena La Russa, Carlo
Finoli, Ettore Barone, Tiziano Caruso, Francesco Paolo
Marra, Valerio Mineo) ...........................................................
- Interventi agronomici per migliorare la presenza di polline
di pistacchio (P. vera L.) negli impianti commerciali di
Bronte (Rosalia Buffa, Michele La Mantia, Francesco Paolo
Marra, Marcello Cutuli, Piero Spata, Tiziano Caruso) .......
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Pag. 129
“ 143
“ 155
“ 169
“ 183
“ 201
“ 211
“ 221
“ 235

- Stato nutrizionale delle piante di Bianca di Bronte sottoposte
a concimazione fogliare con urea ed estratti proteici (Valentina
Vilardo, Michele La Mantia, Rosalia Buffa, Piero Spata,
Tiziano Caruso) .....................................................................
- Studio di tecniche alternative alla “scozzolatura” del
ficodindia in ambiente etneo (Calogero Germanà, Alberto
Continella, Maria Pace Ciraldo) .........................................
- Catterizzazione chimico-fisica e sensoriale di fichi d’India
dell’Etna (Nicola Guarrera, Antonio Scacco, Carmela
Maria Lanza, Carlo Nicolosi Asmundo) ..............................
- Primi risultati di indagini economico-agrarie sulla produzione
e sul mercato dei fichidindia del “Sudovest Etneo”
(Filadelfio Basile, Vera Teresa Foti, Mariagrazia Signorello,
Giuseppe Timpanaro) ...........................................................
- Post raccolta del fico d’India (Luciano Caruso, Emanuele
Cerruto, Giuseppe Manetto, Emilio Romano, Giampaolo
Schillaci) ..............................................................................
- Meccanizzazione del fico d’India (Luciano Caruso,
Giampaolo Schillaci) ............................................................
- Studio preliminare su fichi d’India dell’Etna di IV gamma
attraverso l’analisi sensoriale (Carmela Maria Lanza, Agata
Mazzaglia, Antonio Scacco) ...........................................
- Aspetti bioagronomici della corilicoltura etnea (Elisabetta
Nicolosi, Edoardo Finocchiaro, Giuseppe Leotta, Giovanni
Raiti, Giovanni Continella) ...........................................
- Meccanizzazione del nocciolo con particolare riguardo alla
raccolta (Luciano Caruso, Giampaolo Schillaci) ...................
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Pag. 247
“ 257
“ 267
“ 283
“ 299
“ 307
“ 315
“ 325
“ 339

- Selezione massale del castagno (Castanea sativa MILL.)
nel distretto dell’Etna: caratterizzazione fenotipica e
molecolare di 25 accessioni (Ilaria Cutino, Annalisa
Marchese, Carmela Bonfanti, Piero Spata, Giuseppe
Fichera, Giovanni Pulvirenti, Tiziano Caruso) ...................
- Selezione massale nel germoplasma autoctono di noce
(Juglans regia L.) nel massiccio dell’Etna: variabilità dei
tratti morfologici e molecolari di circa 40 genotipi
(Ilaria Cutino, Annalisa Marchese, Danila Amico,
Francesco Paolo Marra, Carmela Bonfanti, Dario
Cartabellotta, Tiziano Caruso) .......................................
- Attività enzimatiche e shelf-life delle fragole di Maletto
(Riccardo N. Barbagallo, Marco Chisari, Giovanni Spagna) ...
- Caratterizzazione di provenienze di fragola e piccoli frutti
(Ferdinando Branca, Alessandro Tribulato) ...........................
- Esperienze di coltivazione del lampone nel massiccio etneo
(Antonio Cicala, Alberto Continella, Filippo Ferlito) ............
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Pag. 349
“ 361
“ 375
“ 389
“ 401

IL GERMOPLASMA FRUTTICOLO
AUTOCTONO DELL’ETNA: IL MELO
FRUIT GERMPLASM IN THE ETNA DISTRICT:
THE APPLE TREE
Giovanni Continella, Massimo Catalano, Antonio Cicala,
Stefano La Malfa, Marco Caruso, Fausta Domina
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari,
Università degli Studi di Catania,
Via Valdisavoia 5, 95123 Catania
Riassunto
A seguito di una ricognizione nei vecchi frutteti dell’Etna sono state
individuate 15 varietà autoctone di melo, la cui presenza, ad esclusione
di due, è oggi del tutto episodica. Su di esse sono state condotte delle
osservazioni che hanno permesso di ottenere importanti indicazioni sulla
loro fenologia e sulle principali caratteristiche dei loro frutti. L’analisi
molecolare ha fornito interessanti indicazioni sul grado di parentela di
alcune delle varietà reperite.
Parole chiave: Malus domestica Borkh., Sicilia, biodiversità, frutticoltura
montana, analisi molecolare
Abstract
In the Etna district fifteen apple accessions have been collected and
characterized. Some of them are still grown in orchards, while others
are scattered and consist of few trees. The characterization regarded
both the phenological and the pomological features; besides AFLP
7

markers were used to fingerprint the accessions and provided interesting
information about the genealogy of some collected varieties.
Key words: Malus domestica Borkh., Sicily, biodiversity, mountain
orchard, molecular analysis
Introduzione
Nella storia della frutticoltura etnea la coltura del melo ha svolto fino
alla prima metà del secolo scorso un ruolo strategico, esprimendo una
sorta di unicità all’interno del comparto frutticolo siciliano. Difatti, proprio
in quella fascia altimetrica dell’Etna, compresa tra 700 e 1500 m
s.l.m., il melo ha trovato condizioni pedoclimatiche, difficilmente reperibili
nel resto dell’isola, idonee a soddisfare le sue particolari esigenze
bioagronomiche, pur in assenza di un qualsiasi apporto irriguo ed in
difetto di adeguate pratiche di concimazione. In un siffatto contesto la
pianta si è giovata dei soggetti franchi, spesso identificati come selvatici,
dotati di estesi apparati radicali, e, almeno per i primi periodi d’impianto,
dell’uso generalizzato di terreni di origine boschiva, notoriamente
apportatori di fertilità residua, e nei momenti di massima redditività delle
tradizionali tecniche di aridocoltura e dell’interrammento delle
biomasse.
Il forte interesse che si registrò per tale coltura è testimoniato dai
diversi impianti realizzati in condizioni limite, sia per quota altimetrica
che per giacitura. I meleti non di rado sorgevano e sorgono in terreni
molto declivi e privi di qualsiasi forma di sistemazione, tanto che le
acque superficiali spesso scalzano profondamente l’apparato radicale
delle piante. Un inconveniente, che veniva risolto attraverso la costosa
pratica dell’“infossatura”.
Stando ai dati ISTAT la superficie a melo della provicia di Catania, di
fatto ricadente interamente nell’area etnea, si attesterebbe oggi sui 590
ettari, il doppio di quanto riferito dal Savastano (1925). Tuttavia, in en-
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trambi i casi essa risulta sovrastimata. Oggi come allora non mancano i
meleti consociati, soprattutto al pero, nè si può nascondere lo stato di
abbandono in cui molti di essi versano.
La melicoltura dell’Etna ha sfruttato finchè ha potuto la sua rendita di
posizione, in un’era in cui certamente i limiti orografici e strutturali, che
pure esistono, erano ancora poco determinanti sulla sua redditività, ma
con la fine del localismo e l’arrivo massiccio delle mele del ‘Continente’,
inizia il suo inesorabile e rapido declino. Oggi, l’interesse nei confronti
del patrimonio frutticolo tradizionale dell’Etna travalica il mero
aspetto economico ed investe più in generale la problematica della salvaguardia
del germoplasma, che a vario titolo vede impegnate le differenti
istituzioni che operano nel campo della ricerca e dell’assistenza in
agricoltura. In tale ottica nel periodo compreso tra gli anni 2003 e 2006,
nel contesto della realizzazione del progetto di ricerca “Valorizzazione e
miglioramento della frutticoltura etnea”, è stata condotta un’attenta ricognizione
delle aree interessate alla coltura del melo nel versante orientale
del comprensorio etneo al fine di individuare esemplari rappresentativi
delle varietà, che più o meno intensamente hanno inciso sull’offerta
varietale della melicoltura locale.
Materiali e metodi
Per esigenze metodologiche, pur potendo contare su differenti stazioni,
si è preferito concentrare l’attività di rilevamento su una zona
posta tra 1.200 e 1.400 m s.l.m. del versante orientale del vulcano
(contrada Cassone). Sulle piante individuate, oltre a compiere alcune
osservazioni fenologiche, alla maturazione di raccolta, ricadente nei periodi
tradizionalmente utilizzati dai frutticoltori locali, per ogni singola
varietà, è stato eseguito il prelievo di un campione di 25 frutti su cui
sono stati determinati i parametri carpometrici medi. Questi hanno riguardato
il peso dei frutti, il loro rapporto diametrico RD (altezza/spessore),
la collocazione della larghezza massima rispetto all’asse polare al
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fine di definirne la forma (Baldini e Sansavini, 1967), la lunghezza
del peduncolo, il numero di semi per frutto, i loro diametri
longitudinale e i due trasversali (larghezza e spessore) ed il loro RD.
Sullo stesso campione di frutti, operando sul succo centrifugato, sono
state eseguite le analisi chimiche volte alla determinazione dei solidi
solubili totali (°Brix), mediante rifrattometro digitale, del pH e dell’acidità
titolabile (g/L di acido malico) mediante titolatore automatico,
che neutralizza a pH 7 con NaOH 0,1N 5 ml di succo diluiti in
acqua distillata.
L’analisi molecolare è stata effettuata su 7 varietà autoctone (Cola,
Gelata, Cirino, Gelata Cola, Medonna, Rumaneddu, Ruggia) e 2 varietà
alloctone (Limoncella, Golden Delicious). Il materiale vegetale
è stato prelevato dalle stesse piante utilizzate per i rilievi e da una
pianta di Golden Delicious presente nella stessa zona. Quello della
Limoncella, è stato fornito dall’Istituto Sperimentale per la
Frutticoltura Sezione Operativa di Caserta. Per la sua conservazione
sono state utilizzate temperature di 4°C e di -80°C. L’estrazione del
DNA è avvenuta mediante il kit “Genelute” (Sigma-Aldrich,St. Louis,
MO, USA). In base al protocollo “AFLP plant mapping protocol”
(Applied Biosystems, Foster City, CA, USA), circa 300 ng di DNA
sono stati digeriti con enzimi di restrizione EcoRI ed MseI. In seguito
attraverso l’enzima T4 DNA ligase è avvenuta la “ligazione” di
adattatori specifici ai frammenti di restrizione; il templato è stato
sottoposto ad una prima amplificazione preselettiva e ad una amplificazione
selettiva con le seguenti combinazioni di primer: EcoRI
AGC/ MseI CTA; EcoRI AGC/ MseI CAA EcoRI AGC/ MseI CAC
EcoRI AAC/ MseI CAA. I frammenti amplificati sono stati separati
mediante sequenziatore capillare ABI 310 (Applied Biosystems) ed
analizzati con il software Genescan 3.1.2. Sulla base della presenza/
assenza dei marcatori AFLP è stata costruita una matrice binaria, analizzata
tramite il software NTSYS 2.2 (Rohlf, 2000) per ottenere una
matrice di similarità basata sull’indice di Dice e per la costruzione di
un dendrogramma UPGMA.
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Risultati e discussione
Sono state individuate piante rappresentative delle seguenti varietà:
Cola, Gelata, Gelata Cola (o Cola Gelata), Rotolo, Turco, Lappio,
Lappione, Malideci, Cardillo, Donneddu, di cui, in modo più o meno
dettagliato, si era già riferito in passato (Savastano, 1926; Carrante, 1941;
AA. VV., 1994); Barriatu, Cirino, Medonna, Ruggia e Rumaneddu, prive
di qualsiasi riferimento bibliografico. Come prima cosa è interessante
riassumere gli elementi raccolti a proposito dell’origine dei nomi di
queste varietà. La Cola è stata a lungo la varietà etnea più coltivata, da
sempre ritenuta affine alla Limoncella, antica varietà della Campania,
deve il suo nome all’essere stata dapprima diffusa a Nicolosi, nella
zona limitrofa al Convento di S.Nicola, (Savastano, 1926). Per le
varietà a seguire ci aiuta il Carrante (1941). Così la Gelata, oggi
scarsamente presente, benchè alcuni ritengono il suo nome collegabile
al fenomeno della vitrescenza, sembrerebbe piuttosto derivare dall’avere
la polpa di “sapore profumato e fondente paragonabile a quella del
gelato”. La Gelata Cola (o Cola Gelata), oggi la più coltivata tra le varietà
locali, deve il suo nome alla presunta origine ibrida dalle prime due.
La Rotolo per il frutto grosso “che si ritiene possa pesare anche un rotolo
(circa 800g)”, la Turco per la buccia di colore granata, cupo, che in
Sicilia evoca un uomo di carnagione scura, tradizionalemnte assimilata
alla razza turca. Lappione e Lappio, citati da Cupani (1696) come
‘Puma Appiuni’ e ‘Appii’, ricordano il sapore astringente, che in dialetto
siciliano viene definito ‘lappusu’ o ‘allappante’, anche se solo
la prima lo presenta in maniera accentuata. La varietà Malideci venne
riportata dal Cupani (1696) come ‘Miladeci di Catania’, mentre secondo
il Carrante (1941) sarebbe il melo Decio, una varietà importata dalla
Toscana, il cui nome nella versione dialettale ha assunto il significato di
un melo i cui frutti possono servire a curare fino a dieci mali (deci mali).
Infine, per le rimanenti si può utilizzare quanto trasmessoci dai vecchi
frutticoltori. Cardillo per il colore della buccia, che ricorderebbe il giallo
del piumaggio di un cardellino. Donneddu, molto probabilmente dal
11

nome Neddu, diminuitivo di Sebastiano, dell’agricoltore che per primo
l’ha coltivata. Barriatu per il sovraccolore rosso striato, ‘a barre’, della
buccia. Cirino per avere la buccia lucida, cerosa. Medonna starebbe per
mia donna, quasi a voler indicare un frutto da dedicare o da omaggiare
alla propria donna. Ruggia si rifà in maniera evidente alla estesa
rugginosità che ricopre i suoi frutti. Rumaneddu per essere il suo frutto
di piccole dimensioni, come quelle di un ‘rumaneddu’ ovvero di un gomitolo
di spago.
Riguardo alla fioritura, benchè questa fase fenologica sia stata influenzata
dall’andamento climatico dell’anno, è possibile riassumere
per ognuna delle varietà studiate e con sufficiente approssimazione
l’epoca in cui essa mediamente ricade. Le prime fioriture si concentrano
nel mese di aprile con Donneddu (II-III decade) ed a seguire
Barriatu, Cirino, Malideci, Rotolo, Ruggia e Rumaneddu (III decade).
Nel mese di maggio fioriscono Gelata Cola e Turco (I decade),
Cardillo, Cola, Lappio, Lappione e Medonna (I-II decade) ed infine
Gelata (II decade) (Tab.1). La raccolta, se si esclude per la Donneddu
che è già commestibile a fine agosto, per il resto delle varietà, secondo
una consuetudine locale, viene effettuata nel mese di ottobre, con
una progressione che non sempre segue criteri ottimali, ma sembra
più rispondere alla voglia di evitare perdite di prodotto per cause
biotiche e meteoriche, tanto che, a detta degli stessi agricoltori, ricade
spesso in periodi anticipati rispetto al passato. Nondimeno, è stata
riscontrata una certa scalarità: si comincia con Barriatu, Cardillo,
Cirino, Gelata, Medonna, Rotolo, Ruggia, Rumaneddu e Turco (I decade),
si segue con Lappio, Lappione e Malideci (I-II decade) e si finisce con
Gelata Cola e Cola (rispettivamente II e II-III decade) (Tab. 1).
Utilizzando i valori dei pesi medi è stato possibile collocare i frutti
delle diverse varietà in una determinata classe dimensionale, secondo
una scala che ha tenuto conto del deficit di tecnica colturale ed in special
modo dell’assenza di irrigazione e pertanto inedita rispetto a quanto utilizzato
in analoghi lavori. Ne è risultato che solo tre varietà, Donneddu,
Rotolo e Cardillo, hanno prodotto frutti di pezzatura grossa (>201 g),
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una, la Turco, medio grossa (141-200g) e cinque, Barriatu, Cirino, Gelata,
Gelata Cola e Medonna, media (91-140g). Delle rimanenti, quattro,
Cola, Lappione, Malideci e Ruggia, si sono collocate nella classe piccola
(61-90g) e due, Lappio e Rumaneddu, in quella molto piccola (

Il colore di fondo della buccia è sempre giallo verde, ad esclusione della
Cirino e Ruggia, dove è giallo. Cosa diversa è per il sovraccolore: questo è
assente in Cirino, Cola, Gelata Cola, Lappio, Lappione e Gelata, anche se in
quest’ultimo caso possono essere presenti delle caratteristiche macchie rosa,
per il resto è di un rosso più o meno esteso e di differente tonalità, raggiungendo
il massimo di cupezza in Malideci e soprattutto in Turco. Caratteristica,
come si è avuto modo di ricordare, è l’estesa rugginosità che accompagna
il sovraccolore di Ruggia (Tab.3).
Per quanto riguarda i risultati delle analisi chimiche del succo, Ruggia,
Cola e Barriatu hanno raggiunto i valori più alti di zuccheri (>15°Brix),
Lappio, Donneddu, Medonna e Cardillo quelli più bassi (< 13°Brix ), il
resto delle varietà si è collocata nella fascia intermedia (tra 13 e 15 °Brix).
Cola, Donneddu, Cardillo, Lappione e Barriatu hanno manifestato i più alti
contenuti di acidità, con valori compresi tra 4,5 e 7,5 g/L di acido malico,
Cirino, Turco, Rotolo e Ruggia quelli più bassi, 1,1 -1,3 g/L (Tab. 4).
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I valori molto bassi dell’acidità di queste ultime varietà hanno avuto come
conseguenza un consistente innalzamento dei rispettivi rapporti zuccheri/
acidi, lasciando supporre che, almeno per esse, si sia posticipato troppo il
momento della raccolta. Per mancanza di un numero adeguato di frutti per
molte varietà esaminate, non è stato possibile procedere ad un panel test alla
maturazione di consumo. Tuttavia, per completezza di informazione,
avvalendosi di quanto da Altri riportato (Carrante, 1941; AA. VV., 1994) o
recuperato in forma verbale per le varietà mai descritte, si è espresso un
giudizio sintetico sul loro sapore. Se si esclude la Donneddu, la più precoce,
che può essere consumata alla raccolta, il resto delle varietà necessitano di
un periodo più o meno lungo di conservazione in fruttaio. Rotolo, Turco e
Donneddu, presentano un sapore insipido, a cui per le prime due concorre il
basso contenuto in acidi, Barriatu acidulo non gradevole, probabilmente per
l’incapacità a riequilibrare l’alto contenuto in acidi, Lappione troppo
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astringente, Malideci, benchè ritenuta dal Carrante (1941) inadatta al consumo,
viene considerata dai frutticoltori di sapore acidulo e gradevole. Il resto
delle varietà sono definite tutte di sapore gradevole con diverse sfumature,
che evidenziano una spiccata componente aromatica del frutto in Cola, Gelata
Cola e Gelata (Tab. 2).
L’analisi AFLP ha generato 285 marcatori, di cui 64 (circa il 22%)
polimorfici. Questi marcatori hanno consentito la discriminazione di tutti i
genotipi analizzati, dimostrando l’affidabilità della tecnica per analisi di
fingerprinting varietale. Dal dendrogramma UPGMA basato sull’indice di
similarità di Dice (Fig.1) emerge chiaramente la distanza tra la Golden
Delicious ed i genotipi siciliani, mentre l’altra cultivar alloctona, la
Limoncella, proveniente dalla Campania, sembra avere delle affinità con il
germoplasma melicolo etneo.
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In realtà in passato sia Savastano (1926) che Carrante (1941) descrissero
la Limoncella come molto simile alla Cola. I marcatori AFLP hanno
dimostrato che tali varietà non sono la stessa entità genetica, anche se
potrebbero avere dei progenitori comuni. Inoltre, l’analisi molecolare
dimostra una vicinanza tra Limoncella e Gelata Cola, definita spesso
come un incrocio tra Cola e Gelata. Il dendrogramma evidenzia inoltre
una vicinanza tra Cirino e Gelata, che peraltro presentano diverse affinità
fenotipiche.
Conclusioni
I risultati ottenuti hanno evidenziato come ancora sia possibile reperire
nei frutteti dell’Etna buona parte di quello che è stato il patrimonio
varietale autoctono del melo. Invero, se si esclude Gelata Cola (Fig. 2) e
Cola, la presenza delle altre varietà individuate è risultata davvero sporadica.
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Molte di queste erano coltivate per un consumo famigliare, altre rispondevano
all’esigenza di un ampliamento del calendario di
commercializzazione, mancando allora le attuali tecniche di postraccolta
e qualsiasi concorrenza. Si ritiene che, nel mutato quadro culturale in
cui si muove il consumatore del terzo millennio, si possono intravedere
delle nuove opportunità per le mele tradizionali dell’Etna. Occorre curare
quelle nicchie di consumo sensibili agli aspetti edonistici ed
immateriali della qualità. L’allocazione degli impianti di melo all’interno
dell’area protetta del Parco costituisce un indubbio elemento di forza.
In ogni caso andrebbero sperimentate alcune innovazioni, a partire
dall’uso di nuovi portinnesti fino alla messa a punto di idonei indici di
maturazione e di efficaci sistemi di conservazione, in grado di esaltare
quelle caratteristiche di pregio sulle quali indirizzare il gusto dei potenziali
consumatori. Non è escluso che in tale ottica non si possa dare
spazio a quelle stesse varietà che oggi sono state quasi del tutto abbandonate,
la Cirino (Fig. 3) è una di queste. Infine, una caratterizzazione
genetica più approfondita potrebbe meglio chiarire il grado di parentela
di tutte le varietà reperite.
19

BIBLIOGRAFIA
AA. VV. 1994. Elenco delle Cultivar Autoctone Italiane. Carlo Delfino
Editore, pag.: 65-90.
BALDINI E., SANSAVINI S. 1967. Monografia delle principali cultivar
di melo. Istituto di Coltivazioni arboree, Bologna.
CARRANTE V. 1941. Per il miglioramento della frutticoltura in Sicilia
con particolare riguardo alla zona etnea. Annali R. Staz. Frutt. e
Agrum., Acireale, XVI, 27 – 102. Tip. Ed. Orario delle Ferrovie,
Acireale.
CUPANI F. 1696. Hortus Catholicus. Apud Franciscum Benzi, Neapoli.
ROHLF, F. J. 2000. NTSYS-pc: numerical taxonomy and multivariate
analysis system, version 2.1. Exeter Software: Setauket, N.Y.
SAVASTANO G. 1926. La coltivazione del melo nella frutticoltura montana
dell’Etna. Annali R. Staz. Frutt. e Agrum., VIII, 1-39. Tip. Ed.
Orario delle Ferrovie, Acireale.
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VALUTAZIONE DELLA COMPONENTE AROMATICA E
POLIFENOLICA DI MELE “COLA” E “COLA GELATO”
PRODOTTE NEL TERRITORIO DELL’ETNA
EVALUATION OF THE AROMATIC AND POLYPHENOLIC
COMPOSITION OF “COLA” AND “COLA GELATO”
APPLE ITALIAN CULTIVARS
Nicola Guarrera, Elisa Sperlinga, Amedeo Passerini,
Emanuele Maccarone
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
La composizione aromatica e polifenolica di mele Cola e Cola Gelato,
tipiche del territorio etneo, e di mele Golden Delicious è stata determinata
separatamente per bucce e polpe. I componenti aromatici sono stati estratti
con solvente, separati ed identificati con la GC/MS e quantificati con il
metodo dello standard interno mediante GC/FID. Il contenuto complessivo
di aromi è notevolmente superiore nelle bucce rispetto alle polpe. Gli odoranti
dominanti delle bucce sono l’-farnesene, l’esil etanoato e l’etil esanoato,
mentre nelle polpe prevalgono l’esil etanoato, l’esanale e l’(E)-2-esenale.
Le mele Cola Gelato possiedono un corredo di sostanze aromatiche più
ricco e vario rispetto alle Cola e alle Golden Delicious. Tra i componenti
polifenolici, identificati e quantificati mediante HPLC/DAD, sono presenti
diversi flavanoli (procianidine e catechine), l’acido clorogenico, due
diidrocalconi e vari glicosidi della quercetina, questi ultimi presenti soltanto
nelle bucce. Le mele Cola sono più ricche di flavanoli e di acido clorogenico
rispetto alle altre varietà, ma più povere di flavonoli glicosidi rispetto
alle Golden Delicious.
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Parole chiave: aromi, mela, polifenoli, varietà Cola, varietà Cola Gelato.
Summary
The composition of volatile and polyphenolic fractions was evaluated
in separated skin and flesh of two apple cultivars growing in the area of
the Volcano Etna (Catania, Italy), Cola and Cola Gelato, together with
the Golden Delicious variety, as reference. Volatile components were
extracted by solvent, identified by GC/MS and quantified by GC/FID
using internal standards. Total content of volatiles in the skin is largely
much than in flesh one. The major contributors of aromatic impact were
determined calculating the odor units of those components having the
lowest threshold values. -Farnesene, hexyl ethanoate and ethyl
hexanoate are the most powerful odorants in the skin, while hexyl
ethanoate, hexanal and (E)-2-hexenal characterize the flesh odor. The
apple polyphenols were identified and quantified by HPLC/DAD using
the external standard method. The fraction includes flavanols (procyanidins
and catechins), 5-caffeoylquinic acid, dihydrochalcones and quercetin 3glycosides,
the latter class is almost exclusively localized in the skin. The
Cola apples are richer of flavanols and 5-caffeoylquinic acid, but poorer of
quercetin glycosides when compared with Golden Delicious.
Keywords: Apple, aroma components, Cola variety, Cola Gelato variety,
polyphenols.
Introduzione
Il flavour caratteristico delle mele risulta dalla combinazione di numerosi
componenti volatili (esteri, alcoli, aldeidi e sesquiterpeni). La
distribuzione di tali componenti dipende dalla varietà e dall’origine geografica
(1-3), e dalle condizioni di conservazione (4,5). Un aumento
dei componenti volatili è peculiare del metabolismo post-raccolta, pri-
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ma della fase climaterica (6); tuttavia, durante il climaterio il contenuto
di esteri decresce, mentre quello di etilene ed -farnesene aumenta (7,8).
Anche il contenuto di polifenoli (flavanoli, derivati degli acidi
idrossicinnamici, flavonoli glicosidi e diidrocalconi) è influenzato dalla
varietà e dalle condizioni di coltivazione e post-raccolta (9-15). L’attività
antiossidante in vitro delle mele riflette la concentrazione dei polifenoli
(16-20), e le ricerche condotte in vivo hanno dimostrato che i polifenoli
sono in grado di prevenire l’ossidazione delle LDL (21), inibendo o rallentando
l’arteriosclerosi (22) e altre patologie (23, 24), incluso il cancro
(25, 26).
In questo lavoro si riportano i risultati di una ricerca sui componenti
aromatici e polifenolici presenti nelle bucce e nelle polpe di due varietà
di mele, Cola e Cola Gelato, coltivate alle pendici dell’Etna, che non
sono mai state caratterizzate nella loro composizione chimica. Per un
confronto omogeneo delle caratteristiche compositive, sono stati anche
valutati i componenti aromatici e polifenolici della varietà Golden
Delicious.
Materiali e metodi
Campionamento. Sei campioni di mele Cola e quattro di Cola Gelato,
sono stati prelevati nell’Ottobre 2004 e nell’Ottobre 2005 in diverse
aziende del versante occidentale e meridionale dell’Etna, ad un’altitudine
compresa tra 600 e 900 metri. Inoltre, quattro campioni commerciali
di mele Golden Delicious sono stati acquisiti nel Novembre 2005. Le
bucce sono state accuratamente separate dalle polpe, utilizzando il medesimo
pelapatate per ottenere strisce sottili e riproducibili, mentre la
polpa è stata tagliata in cubetti.
Estrazione dei componenti volatili. L’estrazione con solvente è stata
eseguita aggiungendo a 30 g di buccia, o 50 g di polpa, 5 ml di una
soluzione di pentano-diclorometano (2:1 v:v) contenente tre standard
interni. La miscela è stata posta in un estrattore liquido/liquido ed estratta
con una soluzione di pentano e diclorometano (2:1 v:v) per 15 ore.
23

L’estratto è stato concentrato sotto vuoto, disidratato e portato al volume
di 5 ml con lo stesso solvente usato per l’estrazione.
Analisi GC/MS e GC/FID. L’analisi GC/MS è stata effettuata con
un apparecchio Shimadzu QP 5050 A equipaggiato con una colonna CP-
WAX CB (50 m, d.i. 0,25 mm), usando elio ad un flusso di 2ml/min;
temperatura dell’iniettore 250 °C; temperatura del forno: iniziale 70 °C,
innalzata fino a 220 °C con un gradiente di 4 °C/min, finale 220 °C
L’identificazione dei componenti è stata effettuata in base alla corrispondenza
dei picchi con i tempi di ritenzione e gli spettri di massa di composti
standard.
Per l’analisi quantitativa è stato usato un apparecchio GC Shimadzu
GR-17 AAF equipaggiato con il FID e con una colonna Supelcowax (30
m, d.i. 0,32 mm, spessore del film 0,5 m). Come gas di trasporto è stato
usato l’elio ad una velocità di 35 cm/sec, split ratio 1:10; le temperature
dell’iniettore e del forno sono uguali a quelle utilizzate per l’analisi GC/
MS. La concentrazione dei componenti è stata calcolata dall’area dei
picchi utilizzando tre standard interni (1-pentiletanoato, 1-eptanolo e citronellolo,
rispettivamente a concentrazioni di 87, 82 e 85,9 ppm). Le
analisi sono state condotte in doppio.
Estrazione dei polifenoli. Le bucce (3 g) e le polpe (7 g) sono state
estratte ripetutamente con metanolo in un bagno ad ultrasuoni (10, 13).
La prima estrazione è stata eseguita con una soluzione di metanolo contenente
150 o 250 mg/l di bisolfito di sodio, rispettivamente per le bucce
e le polpe, per evitare l’imbrunimento enzimatico. Gli estratti (circa 25
ml dalle bucce e 50 ml dalle polpe) sono stati concentrati sotto vuoto
fino ad un volume di 5 ml. Tale soluzione è stata centrifugata a 9000
giri/min per 15 minuti a 4 °C ed il surnatante è stato prelevato e filtrato
con filtri in PTFE 0,45 m.
Analisi HPLC. La separazione dei polifenoli è stata condotta con un
apparecchio HPLC Varian 9012 Q equipaggiato con un rivelatore a
fotodiodi (DAD) e una colonna Phenomenex Luna 3 m C 18 (2) 100 A
(15 cm, d.i. 4,6 mm). La fase mobile e il programma di eluizione sono
riportate da Schieber et al. (28). L’identificazione è stata effettuata me-
24

diante il confronto dei tempi di ritenzione e degli spettri UV e di massa
con quelli degli standard. La quantificazione è stata eseguita mediante
HPLC con il metodo della calibrazione esterna, alle lunghezze d’onda
dei corrispondenti massimi di assorbimento. Per quei componenti i cui
standard commerciali non erano disponibili (3-arabinoside e 3-xiloside
della quercetina) la concentrazione è stata espressa come quercetina 3galattoside.
Il derivato della floretina è stato quantificato come florizina.
Tutte le analisi sono state condotte in doppio.
Risultati e discussione
Composizione aromatica. Il cromatogramma dell’estratto aromatico
mostra la presenza di numerosi componenti, di cui alcuni presenti in
tracce o assenti in qualche campione. La Tabella 1 riporta le concentrazioni
dei 20 costituenti più rappresentativi, espressi in mg/kg di polpa o
buccia fresche. In tutti i campioni esaminati, la quantità totale di volatili
delle bucce è nettamente superiore rispetto a quella delle polpe.
La Tabella 2 riporta la distribuzione dei componenti suddivisi in classi
funzionali. Il profilo aromatico delle bucce risulta differente da quello
delle polpe. Nelle prime, dopo l’-farnesene in costante eccesso, gli esteri
prevalgono sempre sugli alcoli e sulle aldeidi. Gli alcoli sono equamente
distribuiti in entrambe le parti del frutto, mentre l’esanale e l’(E)-2esenale
sono localizzati esclusivamente nelle polpe e il nonanale nelle
bucce. Inoltre, gli alcoli predominano nelle polpe della Cola e competono
con le aldeidi nelle Cola Gelato e Golden Delicious.
L’aroma complessivo delle mele è dato dalla combinazione della qualità
e intensità dell’odore di ciascun componente. I più importanti contributi
sono forniti dai componenti di maggior valore aromatico, cioè
con i più alti rapporti tra la concentrazione analitica e quella di soglia
(29). La Tabella 3 riporta i componenti che possiedono i più bassi valori
di soglia olfattiva ed i corrispondenti valori aromatici (unità odorose)
calcolati per le bucce e per le polpe di ciascuna varietà. L’esil etanoato e
25

l’-farnesene sono gli odoranti di maggior impatto aromatico nelle bucce
delle tre varietà. Il già menzionato estere e l’esanale prevalgono invece nella
polpa delle mele Cola e Golden Delicious, mentre l’esanale e l’(E)-2-esenale
caratterizzano l’aroma delle polpe delle Cola Gelato. A causa della concentrazione
di soglia relativamente alta, l’1-butanolo non contribuisce all’aroma
complessivo, nonostante la rilevante concentrazione analitica.
Composizione polifenolica. Le Figure 1 e 2 riportano i tipici
cromatogrammi HPLC degli estratti polifenolici di bucce e polpe di mele
Cola, monitorati a 280 nm. I profili HPLC sono simili per tutte le varietà
esaminate. Comparando i tempi di ritenzione, gli spettri UV e di massa
con quelli di composti standard, sono stati identificati e quantificati 15
componenti: procianidine, catechine, acido clorogenico (acido 5caffeoilchinico),
quercetine 3-glicosidi e diidrocalconi. I risultati sono
riportati in Tabella 4.
In tutte le varietà il contenuto totale di polifenoli è superiore nelle
bucce rispetto alle polpe. Le mele Cola sono più ricche rispetto alle altre
varietà, sia nelle polpe che nelle bucce. L’ampia deviazione standard
osservata è dovuta alla grande variabilità della concentrazione nei diversi
campioni di mele. Il maggior contenuto di polifenoli nella varietà Cola
è dovuto al contributo di procianidina B1, (+)-catechina e acido
clorogenico. Le Figure 3 e 4 illustrano la distribuzione media delle differenti
classi di polifenoli in entrambe le parti del frutto. Se paragonate
alle bucce, le polpe presentano una diversa composizione: i flavanoli
predominano, mentre l’acido clorogenico è presente in quantità
paragonabile in tutte le varietà, eccetto la Cola in cui è presente in quantità
più elevata. La Golden Delicious, invece, è la più ricca di flavonoli
glicosidi (nelle bucce) e di diidrocalconi (in polpe e bucce).
Conclusioni
Il valore aromatico delle Cola Gelato è notevolmente superiore rispetto
alle altre varietà, mentre la Cola risulta simile alla Golden
Delicious, sia nelle polpe che nelle bucce. I componenti responsabili
26

dell’impatto aromatico nelle bucce sono l’esiletanoato, l’etilesanoato e
l’-farnesene, mentre l’odore delle polpe è caratterizzato
dall’esiletanoato, dall’esanale e dal (E)-2-esenale.
Le mele Cola sono invece più ricche in flavanoli e acido clorogenico,
ma appaiono più povere in flavonoli glicosidi nelle bucce, se paragonate
alle Golden Delicious. Inoltre, è importante notare che tutti i polifenoli
possiedono una struttura 3,4-diidrossifenolica, quella con la maggiore
capacità antiossidante. La valutazione quali-quantitativa dei costituenti
aromatici e polifenolici delle due varietà etnee fornisce un supporto sperimentale
alla loro reputazione popolare di frutti aromatici e benefici per
la salute.
Ringraziamenti
Il lavoro è stato realizzato con il contributo dell’Assessorato per l’Agricoltura
della Regione Sicilia, nell’ambito del Progetto “Miglioramento
e valorizzazione delle produzioni frutticole etnee”. Si ringraziano le SOAT
di Paternò e Bronte per aver fornito e certificato i campioni di mele Cola
e Cola Gelato.
27

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31

PRIMI RISULTATI DI UNA INDAGINE ECONOMICA SULLA
PRODUZIONE E SUL MERCATO DELLE MELE DELL’ ETNA
FIRST RESULTS OF AN ECONOMIC SURVEY ON
PRODUCTION AND MARKET OF ETNA’S APPLES
Giuseppina Carrà, Iuri Peri, Carlo Prato,
Domenico Spampinato, Gabriella Vindigni
Dipartimento di Scienze Economico-Agrarie ed Estimative (DISEAE)
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
Il presente studio documenta i primi risultati di una indagine economica
sulla produzione e sul mercato della melicoltura etnea. Essa ha riguardato,
in primo luogo, la rilevazione e georeferenziazione della coltivazione nell’ambito
del territorio in esame, tramite l’uso di un GIS. Inoltre, la raccolta e
l’esame di dati tecnici-economici aziendali, attraverso appositi questionari,
hanno permesso la valutazione dei livelli tecnologici e dei risultati economici
raggiunti da 30 aziende rappresentative. Infine, è stata esaminata la
situazione del mercato delle mele nell’ambito dell’area di studio.
Parole chiave: produzione, mercato, mele
Abstract
This study provides first results of an economic survey on production and
market of Etna’s apples. It was carried out in three steps. First, the area of
apple production was identified and characterised using a Geografical
Information System (GIS). Second, 30 farms were surveyed; the data were
collected as responses to special questionnaires which included general features
39

of each holding and the specific features of each apple orchard. Finally, the
apple market standing within the study area was assessed from a field survey.
Key words: production, market, apples
1. Introduzione
La coltura del melo sull’Etna presenta in larga parte connotati tradizionali,
rappresentati dalla limitata superficie degli appezzamenti, dalla relativa
vetustà degli impianti, dalla frequente consociazione con altre specie, principalmente
con il pero, da interventi colturali non sempre accurati, da modesti
livelli delle rese. Trattasi di coltura impiantata su terreni con una morfologia
piuttosto varia, ma più frequentemente in pendenza, oppure terrazzati e di
conseguenza in condizioni poco agevoli per effettuare le ordinarie pratiche
di coltivazione, che pertanto gravano pesantemente sui costi di produzione,
riducendo peraltro la possibilità di meccanizzare certe operazioni colturali.
In conseguenza di tali problemi, accentuati da un mercato di vendita dei
prodotti piuttosto limitato, le superfici melicole locali sono state via via erose
da fenomeni di disattivazione e di abbandono.
Le indagini condotte, di cui si presentano i primi risultati, hanno l’obiettivo
di evidenziare aspetti e problemi di una coltura tradizionale il cui interesse
economico si è inevitabilmente ridotto nel corso degli ultimi decenni,
ma la cui importanza si conserva, anzi risulta accresciuta, particolarmente
quando dello scenario complesso si voglia evidenziare la sua rilevanza dal
punto di vista dell’ambiente e del paesaggio per il territorio del Parco dell’Etna,
in cui essa è situata.
Le conoscenze acquisite potranno contribuire ad individuare possibili
linee di azione e interventi volti a mantenere e valorizzare la sua duplice
funzione economica e di tutela ambientale.
2. Materiali e metodi
Per l’individuazione e caratterizzazione della melicoltura nel territorio
etneo ci si è avvalsi di un Geographic Information System (GIS), che
40

ha consentito non solo di georeferenziare le superfici interessate dalla
coltivazione, ma anche di realizzare un Sistema Informativo Territoriale
(SIT) attraverso l’uso combinato dei dati cartografici e dei rilievi sul
territorio effettuati mediante l’apposito strumento Global Positioning
System (GPS), nonché delle informazioni raccolte mediante schede di
rilevazione nel corso delle indagini territoriali e riversate nel relativo
database.
Al fine di accertare le caratteristiche organizzative e gestionali delle
aziende melicole, si è proceduto all’acquisizione di specifici dati ed informazioni,
operando su un congruo numero di casi, 30 aziende, opportunamente
scelte sulla base delle risultanze dell’analisi territoriale e rispettando
alcuni criteri di stratificazione per garantire il conseguimento
di una sufficiente rappresentatività del campione. Nell’eseguire i rilievi
sulle produzioni ottenute sono stati assunti i dati medi del quadriennio
2001-02/2004-05; in modo analogo si è proceduto per la individuazione
dei mezzi produttivi e dei servizi impiegati. I prezzi adottati si riferiscono,
invece, all’annata 2004-05, sia per le produzioni ottenute che per i
mezzi impiegati.
Il quadro di analisi sulla melicoltura etnea è stato completato da apposite
indagini presso gli operatori di mercato, oltre che presso i produttori,
volte a definire i principali aspetti commerciali e le figure che intervengono
nel processo distributivo.
3. Risultati e discussione
3.1. Indagini territoriali
In base alla rilevazione diretta e georeferenziazione delle superfici
coltivate a melo nell’ambito del territorio in esame, tramite l’uso di un
GIS, è stata effettuata la mappatura delle unità rilevate (o appezzamenti
melicoli) che insistono intorno al cono vulcanico e situati ad un’altitudine
compresa tra 500 e 1.500 metri s.l.m.. In base alla densità delle unità
rilevate per Km 2 è stato determinato, quindi, un apposito indice di di-
41

spersione in funzione del quale sono stati individuati 5 areali, così come
documenta la Fig. 1 nei quali ricadono 301 appezzamenti melicoli, cui
corrisponde una superficie di 562 ettari, pari al 93% della totale superficie
melicola etnea. Ricadono al di fuori dei cinque areali individuati
solo 58 appezzamenti sparsi su tutta l’area del cono etneo per un totale
di 39 ettari di superficie coltivata.
In complesso, come documenta la tab. 1, gli areali individuati intercettano
una superficie territoriale pari a 18.194 ettari, di cui ben il 71,5%
ricade nell’ambito del Parco dell’Etna. In particolare, gli areali II e IV
ricadono completamente o quasi nel territorio del Parco (rispettivamente
per il 100% ed il 98,7%); gli areali I e III vi ricadono rispettivamente
per il 79,3% ed il 72,5%, mentre l’areale V ne intercetta una aliquota più
limitata, pari al 39,6%.
Come documentano la tab. 2 e la fig. 2, la superficie coltivata a melo
risulta complessivamente pari a 601,2 ettari, di cui 141,8 ettari (23,6%)
in coltura specializzata. La dimensione media per unità rilevata o
appezzamento varia tra 1,3 e 1,7 ettari, a seconda che si consideri la
superficie media unitaria relativa alla coltivazione specializzata, o quella
media unitaria della coltivazione in totale.
Dal rapporto tra la superficie melicola specializzata e quella totale,
comprendente gli appezzamenti in cui la coltivazione del melo è associata
a quella di altri fruttiferi, e ponderato sulle unità rilevate o
appezzamenti, si ricava un indice di specializzazione degli areali, che
varia da un minimo di 0,58 ed un massimo di 1,69, assumendo in complesso
un valore medio pari a 0,93.
L’utilizzazione di tale indice ed il relativo confronto con il valore
medio ha permesso di caratterizzare gli areali secondo il grado di
specializzazione della coltivazione, per cui gli areali II e IV risultano
maggiormente specializzati; l’areale I si trova in linea con il valore medio
dell’indice riferito al territorio nel suo complesso; gli areali III e V
risultano i meno specializzati (cfr.Fig. 3).
Quanto ai principali caratteri degli appezzamenti melicoli e dei relativi
impianti rilevati, riportati nella tab. 3, si conferma anzitutto la scarsa
42

diffusione del regime irriguo, che interessa una limitata superficie, pari
a circa 2 ettari. Si constata, inoltre, come la maggior parte degli impianti
si trova in stazione di maturità o di decremento, interessando in complesso
una superficie pari a 541,6 ettari ed un numero di appezzamenti
pari a 306 unità, mentre i nuovi impianti (inferiori a 3 anni di età) sono
in numero di 7, per una superficie complessiva di 3,8 ettari, e quelli
giovani (fino ai 7 anni di età) sono in tutto 46 unità per una superficie
totale di 55,7 ettari. Per quanto concerne le condizioni degli impianti,
discriminandoli in tre categorie a seconda delle condizioni vegetative
della pianta e quelle generali del terreno, si rileva che l’82% degli impianti
rientra nella categoria “medie condizioni” e la restante parte nelle
categorie “stato di abbandono” (8,6%) e “buone condizioni” (9,6%).
3.2. Indagini aziendali
Le indagini tecnico-economiche svolte sul campione di aziende
melicole ha consentito di accertarne le caratteristiche organizzative e
gestionali ed i relativi risultati economici.
Limitando l’attenzione ad alcuni importanti aspetti, occorre mettere
in evidenza che l’esercizio delle aziende melicole in esame risulta generalmente
caratterizzato da occorrenze di lavoro relativamente elevate e
dall’impiego di limitati mezzi e servizi produttivi acquisiti all’esterno.
Sugli impieghi complessivi di lavoro, come documentano la tab.4 e
la fig. 4, la raccolta incide mediamente per il 44,7%. Essa varia naturalmente
in funzione del livello produttivo raggiunto dai singoli
appezzamenti, della densità di impianto e della natura del terreno che,
nel caso di terrazzamenti, comporta inevitabili perdite di tempo. Gli
impieghi di lavoro unitari (ore/ha) risultano pari mediamente a 219,6
ore/ha ed oscillano da un minimo di 126,7 ad un massimo di 348,8 ore/ha.
La potatura (interventi cesori ed esecuzione delle operazioni complementari)
incide per il 33,0% sugli impieghi complessivi di lavoro. Essa
presenta una accentuata variabilità in rapporto alla frequenza degli in-
43

terventi (è tuttavia abitualmente praticata ad anni alterni ed in alcuni
casi con periodicità triennale) ed alla densità dell’impianto. Anche in
questo caso, la forma di allevamento a “vaso”, di gran lunga la più diffusa,
rende necessario per l’operatore il ricorso all’uso di scale, con le
inevitabili conseguenze in termini di produttività del lavoro. L’esecuzione
di queste operazioni assorbe mediamente 161,9 ore/ha, con una
variazione da un minimo di 36,6 ad un massimo di 266,7 ore/ha.
Relativamente alle produzioni, ai costi ed ai risultati economici, dall’esame
della tab. 5, emerge quanto segue:
i. in base alle rese medie dichiarate dagli agricoltori, la produzione oscilla
tra 12,20 e 25,58 t/ha, mentre la produzione media si attesta sui 19,21
t/ha; i rendimenti produttivi per ettaro sono condizionati principalmente
dall’età delle piantagioni e dalla densità degli impianti, oltre
che dalle operazioni colturali attuate, soprattutto concimazione e
potatura;
ii. i prezzi medi alla produzione si collocano su 400 i/t (0,40 i/kg) e
variano da un minimo di 300 i/t ad un massimo di 500 i/t. Le varietà
autoctone gelato cola e cola normalmente riescono a spuntare i
prezzi maggiori;
iii.la produzione lorda vendibile, costituita esclusivamente dai ricavi
conseguiti dalla vendita delle mele, non entrando in gioco altre entrare,
risulta assai varia da 5.200i/ha a 10.000i/ha, mentre il volere
medio si attesta su 7.590 i/ha;
iv. il costo complessivo, che comprende le tre grandi categorie (materiali,
lavoro e servizi, quote ed altre attribuzioni) raggiunge un valore
medio per ettaro pari a i8.085,90 (nel quale la voce “lavoro e servizi”
incide per il 53%), variando da un minimo di i4.379 ad un massimo
di i10.938; mentre il costo medio per unità di prodotto si attesta
su 427,70i/t, variando da un minimo di 314,60 i/t ad un massimo
di 617,10 i/t;
v. i profitti risultano quasi sempre negativi, con un livello medio di perdite
che si colloca intorno a 495,60i/ha, anche se occorre rilevare
una grande variabilità dei risultati nelle diverse aziende, con un
44

massimo di +2.134,60 i/ha ed un minimo di -2.954,70i/ha, il che
evidenzia la scarsa redditività della coltivazione in esame, che non
riesce a remunerare a prezzi di mercato i fattori impiegati;
vi. la bassa redditività dei meleti ricadenti nell’area oggetto di studio
viene infine confermata dai valori relativi alla produttività lorda del
lavoro, attestandosi in media la produttività fisica su 0,04 tonnellate
di prodotto/ora di lavoro e quella economica su 15,96 i/ora.
3.3. Indagini sul mercato
Nell’ultimo decennio si è registrata una contrazione costante delle
superfici investite a melo e, dunque, dei relativi volumi produttivi. Attualmente
la produzione melicola risulta piuttosto limitata, potendosi
stimare intorno a 7.000-7.500 t./anno, di cui l’80% di mele alloctone ed
il restante 20% di mele autoctone.
Occorre considerare la peculiarità della melicoltura etnea, che si caratterizza
per il numero di varietà autoctone, frammiste alle più diffuse
alloctone (Red e Golden Delicious). In particolare, tra le autoctone, si
ricordano le varietà Cardillo, Cirino, Cola, Gelato Cola, Gelata, Lappio,
Lappione, Malideci, Rotolo, Turco. (Carrante, 1940; Sottile, 2006;
Continella 2006). Tra queste, le produzioni che assumono ancora un
certo rilievo, tali da essere oggetto di commercializzazione, sono quelle
della Gelato Cola. Questa varietà è stata innestata nel corso degli anni
sulla cosiddetta Cola, un tempo la più diffusa tra le autoctone, ma che
attualmente interessa un’aliquota marginale.
Il periodo di commercializzazione varia a causa del diverso periodo
di maturazione e della diversa serbevolezza del prodotto, a seconda che
si tratti di varietà alloctone o autoctone. A tal proposito occorre anche
prendere in considerazione l’influenza che sul periodo di maturazione
hanno i diversi livelli altimetrici sui quali insiste la coltivazione del melo,
(livelli che oscillano dai 500 ai 1.500 metri s.l.m.) e dunque dei diversi
microclimi.
45

Con riferimento alle varietà alloctone, il periodo di raccolta prende
avvio verso fine Agosto, nelle zone più basse (500-600 metri s.l.m.), per
proseguire nei mesi di Settembre e Ottobre. Il periodo di
commercializzazione si estende, pertanto, da Settembre-Ottobre sino al
mese di Marzo, soprattutto grazie alle particolari caratteristiche
organolettiche e alla possibilità di conservazione delle mele raccolte in
piccoli magazzini presenti nelle zone più alte (1.000-1.500 metri s.l.m.).
Con riferimento alle varietà autoctone, la raccolta prende avvio da
metà Settembre (nelle zone più basse), per concludersi normalmente entro
il mese di Ottobre, ma può spingersi fino a metà Novembre, in relazione
all’andamento climatico. Il periodo di commercializzazione è, per le
autoctone, considerevolmente più breve, concludendosi entro il mese di
Dicembre-Gennaio.
Con riferimento ai mercati di destinazione, quello provinciale assorbe
gran parte della produzione, che viene collocata soprattutto nei mercati prossimi
all’area di produzione. Un’aliquota pari al 5% viene commercializzata
al di fuori della provincia di Catania, in particolare, in quella di Messina.
In genere, il prodotto è raccolto dal produttore e venduto franco azienda,
dopo essere stato selezionato e sistemato in cassette. Più raramente il
commerciante acquista il prodotto sulla pianta, cosiddetta “vendita a
corpo”, curandone la selezione e la sistemazione in cassette.
Occorre evidenziare come nel corso degli anni si sia registrata, parimenti
alla contrazione dell’offerta locale, la tendenza da parte del commerciante
di contrattare l’acquisto del prodotto sempre più a ridosso del
periodo di raccolta, con conseguente riduzione dei margini di trattativa
del prezzo di vendita da parte del produttore.
Le ragioni di tale evoluzione delle modalità di acquisto sono soprattutto
da mettere in relazione alla competizione esercitata dalle produzioni
di provenienza extraregionale, soprattutto il Trentino, delle quali i
grossisti si riforniscono, provvedendo a collocarle sia presso la GDO
che il piccolo dettaglio.
Le ridotte dimensioni aziendali, i bassi volumi produttivi, l’eterogeneità
del prodotto in termini di pezzatura, di varietà, oltre che di qualità,
46

caratterizzano l’offerta delle mele etnee, siano esse alloctone che
autoctone. Essa, inoltre, si contraddistingue per la presenza di un circuito
commerciale corto, tipico delle produzioni locali.
La catena dell’offerta delle mele prodotte sull’Etna si compone essenzialmente
di tre livelli, nei quali si collocano con un diverso peso
relativo diverso i produttori, i grossisti ed i distributori; ormai rara è la
presenza del mediatore, mentre non si riscontra la figura del cosiddetto
“speculante”.
Sulla base delle indagini rivolte ai produttori ed alle imprese commerciali
si evince come il 60% del prodotto sia venduto direttamente dal
produttore presso l’azienda od in prossimità della stessa (20%) e/o presso
mercatini dei paesi etnei (20%) e/o a piccoli rivenditori di ortofrutta
(20%). Il restante 40% della produzione è intercettato da piccoli commercianti-grossisti
che a loro volta la rivendono ai mercati all’ingrosso
(35%) (in particolare quello di Catania e Giarre) e, solo in piccola parte,
la destinano alla GDO (5%) (Cfr. Fig. 5).
3. Conclusioni
Non v’è dubbio che la melicoltura etnea è destinata a sostenere un
confronto impari particolarmente con le realtà produttive di altre regioni
caratterizzate da livelli tecnologici e di efficienza superiori che consentono
di mantenere più bassi i costi di produzione e più elevate le rese.
Ma non vanno sottovalutate le potenzialità, connesse soprattutto al buon
apprezzamento del prodotto presso i consumatori. Pertanto non va trascurata
l’esigenza di recuperare la funzione economica della melicoltura
etnea, indirizzandola verso un miglioramento produttivo, qualitativo e
quantitativo e puntando inoltre ad un’adeguata valorizzazione commerciale
del prodotto.
47

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filiere produttive”, Rivista scientifica di orticoltura, floricoltura e
frutticoltura, Volume 13, n.2
48

VALUTAZIONE DELLA COMPONENTE AROMATICA
E POLIFENOLICA DI PERE “COSCIA” PRODOTTE
NEL TERRITORIO DELL’ETNA
EVALUATION OF THE AROMATIC AND
POLYPHENOLIC COMPOSITION OF “COSCIA”
PEAR ITALIAN CULTIVAR
Gabriele Ballistreri, Nicola Guarrera,
Amedeo Passerini, Emanuele Maccarone
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
La composizione aromatica e polifenolica di pere Coscia, tipiche del
territorio etneo, è stata valutata separatamente per bucce e polpe. I componenti
aromatici sono stati estratti mediante SPME e identificati mediante
GC/MS e GC/O. Il contenuto di aromi è notevolmente superiore
nelle bucce rispetto alle polpe. Gli odoranti dominanti nelle bucce sono
l’esil etanoato, l’-farnesene e l’etil-(E,Z)-2,4-decadienoato, mentre nelle
polpe sono l’-farnesene e i due esteri etilici isomeri dell’acido
decadienoico. Tra i componenti polifenolici, identificati e quantificati
mediante HPLC/DAD, sono presenti gli idrochinoni, i flavanoli, l’acido
clorogenico, i diidrocalconi e vari glicosidi della quercetina,
dell’isoramnetina e del kaempferolo, questi ultimi presenti soltanto nelle
bucce. Le pere Coscia sono più ricche di idrochinoni e di flavonoli
glicosidi, ma più povere di acido clorogenico rispetto alle varietà
Conference, Kaiser e Abate esaminate a scopo di confronto.
Parole chiave: aromi, pera, polifenoli, varietà Coscia, varietà Conference,
varietà Kaiser, varietà Abate
57

Abstract
The composition of volatile and polyphenolic fractions was determined
in separated skin and flesh of one pear cultivar growing in the area of
the Volcano Etna (Catania, Italy), Coscia. Volatile components were
extracted by SPME, identified by GC/MS and GC/O. Total content of
volatiles in the skin is much higher than in the flesh. Hexyl ethanoate, farnesene
and ethyl-(E,Z)-2,4-decadienoate are the most powerful
odorants in the skin, while -farnesene, ethyl-(E,E)-2,4-decadienoate
and ethyl-(E,Z)-2,4-decadienoate characterize the flesh odor. The pear
polyphenols were identified and quantified by HPLC/DAD using the
external standard method. The fraction includes hydroquinones,
flavanols, 5-caffeoylquinic acid, dihydrochalcones and glycosides of
quercetin, isorhamnetin and kaempferol, the latter class is almost
exclusively localized in the skin. The Coscia pears are richer of
hydroquinones and flavonol glycosides, but poorer of 5-caffeoylquinic
acid when compared with Conference, Kaiser and Abate fruits.
Key words: pear, aroma components, Coscia variety, Conference variety,
Kaiser variety, Abate variety, polyphenols
Introduzione
Studi clinici e epidemiologici hanno stabilito che l’incremento del
consumo di frutta e vegetali contribuisce a migliorare la salute (1). L’influenza
positiva è attribuibile al loro contenuto di fibra e sostanze
antiossidanti, specialmente di composti polifenolici, che possiedono
un’alta attività antiossidante prevenendo l’ossidazione del colesterolo
LDL (2).
La composizione fenolica delle pere è ben nota, invece vi sono relativamente
pochi studi sulla componente volatile. Il flavour delle pere
risulta dalla combinazione di diversi metaboliti secondari (esteri, alcoli,
aldeidi ed -farnesene). Altre ricerche riguardano i costituenti polifenolici,
58

che sono stati studiati come antiossidanti (3, 4), come responsabili dei
fenomeni di imbrunimento della frutta e dei derivati (4, 5), e come composti
bioattivi atti a prevenire patologie cardiovascolari e cancro (6, 7).
Nel presente lavoro si riportano i risultati di una ricerca sui componenti
aromatici e polifenolici presenti nelle bucce e nelle polpe di una
varietà di pera, Coscia, coltivata alle pendici dell’Etna, che non è mai
stata caratterizzata nella sua composizione chimica. Per un confronto
omogeneo delle caratteristiche compositive, sono stati anche valutati i
componenti polifenolici delle varietà Conference, Kaiser e Abate.
Materiali e metodi
Campionamento. Cinque differenti campioni di pere Coscia, sono
stati prelevati nell’Ottobre 2005 in diverse aziende del versante nordoccidentale
dell’Etna. Inoltre, campioni commerciali di pere delle varietà
Conference, Kaiser e Abate sono stati acquisiti nel Gennaio 2006. Le
bucce sono state separate dalle polpe, in strisce sottili e riproducibili,
mentre la polpa è stata tagliata in cubetti.
Estrazione dei componenti volatili. L’ SPME è stata eseguita su 5 g
di bucce o su 10 g di polpe, poste in una vial di 30 ml, usando una fibra
SPME 50/30 m DVB/CAR/PDMS (Supelco). Il campione è stato riscaldato
a 40 o C per 30 minuti prima di introdurre la microsiringa SPME
nello spazio di testa. I composti volatili sono stati adsorbiti per 15 minuti
e quindi desorbiti nell’injector del GC/MS e GC/O.
Analisi GC/FID e GC/O. Per l’analisi della componente volatile è
stato usato un apparecchio GC Shimadzu GR-17 AAF equipaggiato con
una colonna Supelcowax (30 m, d.i. 0,32 mm, spessore del film 0,5 m).
Come gas di trasporto è stato usato l’elio ad una velocità di 35 cm/sec;
temperatura dell’iniettore 250 o C; temperatura del forno: iniziale 70 °C,
innalzata fino a 220 °C con un gradiente di 4 °C/min, finale 220 °C
mantenuta per 15 minuti; linea di trasferimento 200 °C; split ratio 1:10;
sorgente EI a 70 eV. L’effluente dalla colonna è stato equamente riparti-
59

to (1:1) attraverso una Y (VSOS-SGE-Alltech Italia s.r.l) tra il FID e la
sniffing port corredatata inoltre di un flusso di aria umidificata (60 o C, 30
mL/min). Le valutazioni olfattometriche sono state eseguite con il metodo
NIF (detection frequency method) da un panel composto da 4 giudici.
Le analisi sono state condotte in doppio.
Analisi GC/MS. L’analisi GC/MS è stata effettuata con un apparecchio
Shimadzu QP 5050 A equipaggiato con una colonna CP-WAX CB
(50 m, d.i. 0,25 mm), usando elio ad un flusso di 2ml/min; split ratio 9;
le temperature dell’iniettore e del forno sono quelle utilizzate per l’analisi
GC/FID e GC/O. L’identificazione dei composti volatili è stata fatta
per confronto dei tempi di ritenzione degli spettri di massa dei composti
standard.
Estrazione dei polifenoli. Campioni di circa 3 g di bucce, o 7 g di
polpe, sono stati estratti ripetutamente con metanolo in bagno a ultrasuoni.
La prima estrazione è stata eseguita con una soluzione di metanolo contenente
150 o 250 mg/l di bisolfito di sodio, rispettivamente per le bucce
e le polpe, per evitare l’imbrunimento enzimatico. Gli estratti sono stati
concentrati sotto vuoto fino ad un volume di 5 ml e filtrati con filtri in
PTFE 0,45 m, prima delle analisi HPLC.
Determinazione dei polifenoli totali. All’estratto metanolico è stato
aggiunto il reattivo di Folin-Ciocalteu e poi Na 2 CO 3 per creare l’ambiente
basico. Dopo due ore dall’aggiunta dei reattivi è stata effettuata
una lettura a 700 nm, utilizzando uno spettrofotometro Shimadzu UV
2401. Dai valori di assorbanza sono stati ricavati i dati di concentrazione
mediante confronto con la retta di taratura dell’acido gallico (8, 9).
Analisi HPLC. La separazione dei polifenoli è stata condotta con un
apparecchio HPLC Varian 9012 Q equipaggiato con un rivelatore a
fotodiodi (DAD) e una colonna Phenomenex Luna 3 m C 18 (2) 100 A
(15 cm, d.i. 4,6 mm). La fase mobile e il programma di eluizione erano
in accordo con quello di Schieber et al. (10). I vari polifenoli sono stati
monitorati alle lunghezze d’onda dei corrispondenti massimi di assorbimento.
L’identificazione è stata effettuata mediante il confronto dei tempi
di ritenzione e degli spettri UV e di massa con quelli degli standard. La
60

quantificazione è stata eseguita mediante HPLC con il metodo della
calibrazione esterna. Per quei componenti i cui standard commerciali
non erano disponibili, la quantificazione è stata effettuata usando la curva
di calibrazione di composti aventi struttura simile.
Risultati e discussione
Composizione aromatica. Il cromatogramma dell’estratto aromatico
delle bucce e delle polpe di pere Coscia mostra la presenza di circa 50
componenti, molti dei quali presenti in tracce. La Tabella 1 riporta i 30
costituenti più rappresentativi. La quantità totale di volatili negli estratti
di bucce è superiore rispetto a quella delle polpe mentre il profilo aromatico
risulta abbastanza simile; gli esteri prevalgono sui terpeni, sugli
alcoli e sulle aldeidi.
L’aroma complessivo delle pere risulta dalla combinazione della qualità
e intensità dell’odore di ciascun componente. I componenti caratteristici
delle bucce sono l’etil butanoato caratterizzato da un odore fresco/fruttato
(soglia di percezione 0,001 mg/l) (11), il butil butanoato
(odore di banana), l’esil pentanoato (odore di mela/pera), il butil esanoato
(odore di mela) e l’etil decanoato. Invece nelle polpe prevalgono l’esanale
(odore erbaceo), il nonanolo e il 2-nonenale (odore di ciliegia). Quest’ultima
aldeide può contribuire all’aroma complessivo della polpa perché
possiede una bassissima soglia di percezione olfattiva (0,00008 mg/
l) (11). I componenti dell’impatto aromatico della pera “Coscia” dell’Etna
non differiscono da quelli riportati in letteratura (12-14).
Composizione polifenolica. La quantità di sostanze polifenoliche è
stata preliminarmente determinata con il saggio di Folin-Ciocalteu, che
in realtà è una misura dell’attività antiossidante totale (15). Al pari degli
aromi, anche i polifenoli sono molto più concentrati nelle bucce, e il
loro contenuto risulta pressoché analogo in tutte le varietà esaminate
(Figura 1). Le Figure 2 e 3 riportano i cromatogrammi HPLC tipici degli
estratti polifenolici di bucce e polpe di pere Coscia, monitorati a 280
61

nm. Comparando i tempi di ritenzione, gli spettri UV e di massa con
quelli di composti standard, sono stati identificati e quantificati 14 componenti
(Tabella 2). I profili HPLC sono simili per tutte le varietà esaminate.
Il contenuto totale di polifenoli è notevolmente più alto nelle bucce
rispetto alle polpe. Le pere Coscia hanno un maggior contenuto rispetto
alle altre varietà, sia nelle polpe che nelle bucce dovuto al contributo di
idrochinoni e flavonoli glicosidi. Le Figure 4 e 5 illustrano la distribuzione
media delle differenti classi di polifenoli in entrambe le parti dei
frutti. Se paragonate alle bucce, le polpe presentano una diversa composizione:
i flavonoli glicosidi predominano nelle bucce, gli idrochinoni e
i derivati degli acidi cinnamici sono comparabilmente distribuiti. Questi
risultati sono in accordo con i dati di letteratura (4, 16-18).
Conclusioni
La componente aromatica delle pere Coscia non differisce sostanzialmente
dalle altre varietà studiate, in particolare i responsabili dell’impatto
aromatico nelle bucce sono l’esiletanoato, l’-farnesene e l’etil-
(E,Z)-2,4-decadienoato, mentre l’odore delle polpe è dovuto all’farnesene
e ai due esteri etilici isomeri dell’acido decadienoico, entrambi
caratterizzati da un intenso odore di pera.
Le pere Coscia mostrano i più alti livelli di polifenoli se paragonate
alle varietà Conference, Kaiser e Abate. Inoltre, è importante notare che
tutti i polifenoli possiedono una struttura 3,4-diidrossifenolica, che presenta
la maggiore capacità antiossidante.
Ringraziamenti
Il lavoro è stato realizzato con il contributo dell’Assessorato per l’Agricoltura
della Regione Sicilia, nell’ambito del Progetto “Miglioramento
e valorizzazione delle produzioni frutticole etnee”. Si ringrazia la SOAT
di Bronte per aver fornito e certificato i campioni di pere Coscia.
62

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64

IL GERMOPLASMA FRUTTICOLO
AUTOCTONO DELL’ETNA: IL PERO
FRUIT GERMPLASM IN THE ETNA DISTRICT:
THE PEAR TREE
Giovanni Continella, Massimo Catalano, Alberto Continella,
Giovanni La Rosa, Greta Gimma, Alessandra Gentile
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari,
Università degli Studi di Catania,
Via Valdisavoia 5, 95123 Catania
Riassunto
Il massiccio etneo ospita un’antica ed importante frutticoltura, caratterizzata
dall’insediamento di parecchie specie, prima tra tutte il pero.
Questo fruttifero vi presenta un elevato grado di biodiversità costituita
in prevalenza da cultivar autoctone e con l’introduzione marginale e nelle
epoche più recenti di alcune cultivar alloctone.
L’indagine svolta nel 2003-2006 nell’ambito del progetto di ricerca
“Miglioramento e valorizzazione delle produzioni frutticole del territorio
etneo” ha condotto al reperimento del germoplasma autoctono sfuggito
all’erosione genetica, giungendo alla individuazione di 35 accessioni
di pero, di cui 7 mai prima descritte.
Il materiale individuato è stato caratterizzato sottoponendolo ad analisi
pomologiche e chimiche nonché ad analisi molecolari.
Oltre all’interesse per possibili utilizzazioni delle caratteristiche genetiche
del germoplasma individuato per lavori di miglioramento genetico,
si prospetta, per alcune cultivar, una riproposizione in coltura per la
produzione di frutti “antichi” destinabili a mercati di nicchia.
Parole chiave: Pyrus communis L., Sicilia, biodiversità, accessioni
autoctone, marcatori molecolari.
71

Abstract
Etna district represents an ancient and important fruit tree cultivation
area characterized by the presence of many species, first of all the pear
tree. This species showes a high level of biodiversity due mainly to the
many autochthonous varieties, and to the recent introduction of foreign
cultivars.
In 2003-2006, inside the research project “Miglioramento e
valorizzazione delle produzioni frutticole del territorio etneo”, a
recognition of the germplasm escaped to the genetic erosion has been
carried out. So far of 35 native pear accessions, of which 7 never before
described, have been individuated.
Pomological and chemical analyses were realized and some cultivars
were characterized by means of molecular markers.
Besides the general interest for genetic improvement, some cultivars
are suitable for reintroduction in new orchards to obtain “ancient” fruits
for niche markets.
Key words: Pyrus communis L., Sicily, biodiversity, native accessions,
molecular markers.
Introduzione
Nel ricco assortimento della frutticoltura etnea il pero rappresenta la
specie più importante sia in termini di diffusione che per la numerosità
delle varietà che sono emerse nel tempo.
La cospicua entità del suo germoplasma nel territorio etneo e, più in
generale, siciliano è testimoniata dalle opere del Cupani (1696) e del
Nicosia (1735) che descrivevano ben 77 varietà e sotto varietà, di cui
alcune [Bergamottu, Bruttubeddu, Falcuneddu, Gammi di donna (= Coscia),
Gintili, Iazzolu, Lardaru, Muscareddu, Riali, S. Giuvanni, Spineddu,
Virticchiaru (= Angelicu), etc.] tutt’oggi presenti e reperite nel
comprensorio etneo.
72

Successivamente, particolarmente nel secolo passato, hanno preso in
considerazione il germoplasma etneo Savastano (1926) che accennò alle
varietà di maggiore importanza, in numero di 6, Carrante (1941) che
descrisse accuratamente 21 varietà, quasi tutte, ad eccezione di 2,
autoctone e Damigella e Alberghina (1991) che, delineando le caratteristiche
di ben 67 cultivar della Sicilia centroorientale, ve ne comprendevano
oltre quaranta di provenienza etnea.
Nell’ ambito dell’attuale progetto “Miglioramento e valorizzazione
delle produzioni frutticole nel territorio etneo” promosso dalla Regione
Siciliana, è stato studiato il pero, che costituisce, come già detto, la specie
frutticola più ricca di biodiversità in tale ambiente e se ne riferisce
nella presente nota, integrando ed aggiornando risultati pubblicati in precedenza
(Continella et al., 2006).
Materiali e metodi
Nel corso del periodo 2003-2006 è stata condotta una accurata ricognizione
delle aree di coltura del pero principalmente nel versante orientale
nel comprensorio etneo, individuando esemplari rappresentativi delle
varietà descritte in passato ed entità mai prima segnalate. Sulle piante
individuate, oltre a compiere alcune osservazioni fenologiche, è stato
eseguito, alla maturazione di raccolta, il prelievo di un campione di 25
frutti per accessione su cui sono stati determinati i parametri carpometrici;
questi hanno riguardato il peso medio dei frutti, i diametri longitudinale
e trasversale, la lunghezza del peduncolo, il numero medio di semi per
frutto, i diametri longitudinale e i due trasversali del seme (larghezza e
spessore) e sono stati calcolati i rapporti polari del frutto e del seme.
Sullo stesso campione di frutti sono state effettuate l’analisi chimica del
succo per la determinazione dei solidi solubili totali (S.S.T.), espressi
come °Brix.
Il materiale vegetale utilizzato per l’estrazione del DNA totale è stato
prelevato nel 2004. Il DNA è stato estratto da foglioline pienamente espanse
delle seguenti 18 varietà di pero: ‘Bergamotto’, ‘Buccadama’, ‘Cam-
73

pana’, ‘Cavaliere’, ‘Coscia’, ‘Cunfittaru’, ‘Etrusca’, ‘Faccibedda’,
‘Falcuneddu’, ‘Gentile’, ‘Iazzuleddu’, ‘Pasqualino’, ‘Savino’,
‘Spineddu’, ‘Ucciarduni’, ‘Urzì’, ‘Virgolese’, ‘Zio Pietro’, utilizzando
il Kit “GenElute” (Sigma) e seguendo il protocollo fornito dalla ditta
produttrice. Il DNA estratto è stato amplificato seguendo una procedura
che prevede la reazione, in un volume di 15l, di 1X tampone di reazione
[20 mM Tris-HCl (pH 8.4), 50 mM KCl] 0,2 m M dNTPs, 1,5 mM di
MgCl2, 0,3 M primer, 1 unità di Taq polimerasi (Invitrogen) e 30 ng di
DNA genomico. Le reazioni di amplificazione sono state effettuate nel
termociclatore Gene-Amp PCR 9700 (Applied Biosystems) programmato
come segue: 5’ a 94 °C per la separazione iniziale dei due filamenti
di DNA, 45 cicli di 15” a 94 °C, 15” a 36 °C e 80” a 72 °C, seguiti per
l’estensione finale da 10” a 72 °C. Per un primo screening del materiale
vegetale in esame sono stati utilizzati 50 primers decameri (Operon
Technologies Inc., Alameda, California). Sono stati scelti, per l’analisi
delle 18 varietà, 16 primer che hanno fornito risultati chiari e riproducibili.
I prodotti di amplificazione ottenuti per ciascun primer sono stati separati
tramite elettroforesi su gel d’agarosio all’1,5%, e colorati con bromuro
d’etidio. Sono state individuate 66 bande polimorfiche ed è stata costruita
una matrice binaria (0= assenza della banda, 1=presenza della banda);
attraverso il modulo SIMQUAL del sofware NTSYSpc 2.11 è stata
ottenuta una matrice di similarità utilizzando il coefficiente di Dice, da cui è
stato ricavato un dendrogramma UPGMA.
Risultati e discussione
Sono state reperite 35 varietà autoctone di pero, caratterizzate da un
calendario di raccolta molto ampio, mentre sono in fase di individuazione
e di studio ulteriori accessioni. Nel corso della ricerca sono state identificate
per la prima volta e qui segnalate 7 accessioni: ‘Bruttubeddu’,
‘Lardaru’, ‘Pasqualino’, ‘Piru Pizzo’, ‘Sciaduna’, ‘Urzì’ e ‘Zio Pietro’
(Fig.1)
74

E’ interessante osservare come il germoplasma reperito presenti tratti
di notevole variabilità della forma del frutto, che va da sferoidale a
calebassiforme, passando per maliforme, turbinata, doliforme etc.; non
mancano accessioni a frutto più tipicamente piriforme. Analoga variabilità
è emersa nella pezzatura del frutto, che, in accordo con i descrittori
IPGRI, è risultata in diversi casi molto piccola e talvolta da intermedia a
grossa.
Diversificati si presentano anche i parametri colore di fondo e
sovraccolore della buccia nonché l’epoca di maturazione che ha permesso
di distinguere, pertanto, le 35 varietà in 9 a epoca di maturazione
precoce (giugno – luglio), 12 media (agosto – settembre) e 14 tardiva
(da ottobre in poi).
Nella tabella 1, ove sono riportate le caratteristiche carpologiche dei
frutti a precoce maturazione, è da rilevare come gran parte dei frutti di
peso inferiore a 60 g ricadano in questo gruppo, mentre costituisce eccezione
la varietà ‘Coscia’, importante anche sotto l’aspetto commerciale,
che fa registrare valori medi del peso del frutto superiori ai 100 g. Il
contenuto in S.S.T. è risultato diversificato e le cultivar ‘Ialufreddu’ e
‘Falcuneddu’ hanno mostrato, rispettivamente, i valori di o Brix più bassi
(13,9) e più elevati (16,4).
75

Dall’esame della tabella 2 si evince come le cultivar a media
maturazione presentino un’ampia variabilità dimensionale del frutto
(dai 30 g di ‘Buccadama’ ai 160 di ‘Regina’). Le pezzature più elevate
, al di sopra dei 100 g, sono state raggiunte, nell’ordine, da ‘Regina’,
‘Cavaliere’, ‘Putiru d’estate’ e ‘Lardaro’. Molto ampio è il
“range” degli S.S.T., variabile dagli 11,9 o Brix di ‘Iazzuleddu’ ai 18,7
di ‘Cavaliere’.
Nella tabella 3 (cultivar a maturazione tardiva) la maggior parte di
esse hanno presentato una pezzatura del frutto da intermedia a grossa e
quelle di maggiori dimensioni sono, nell’ordine, ‘Campana’,
‘Ucciarduni’, ‘Zio Pietro’, ‘Gaggiò’, ‘Savino’ e ‘Virgolese’, tutte con
peso superiore ai 130 g . Le accessioni con un rapporto polare del frutto
inferiore a 1 sono ‘Pasqualino’, ‘Spineddu’ e ‘Virgolese’, la prima con
morfologia del frutto maliforme, la seconda sferoidale, la terza doliforme.
Per quanto riguarda i S.S.T., è stata osservata una notevole variabilità
fra le 14 varietà tardive con valori compresi tra gli 11,5 della ‘Virgolese’
76

ed i 18,3 della ‘Sciaduna’. La cultivar ‘Campana’ ha fatto registrare
un valore basso (12,7) in sintonia con il Carrante che la definiva di
“sapore insipido appena zuccherino”.
Nel loro complesso, i marcatori RAPD hanno permesso di
discriminare le 18 accessioni analizzate (Fig.2).
Un dato interessante appare la presenza delle varietà a maturazione
tardiva in due cluster, l’uno comprendente ‘Bergamotto’, ‘Pasqualino’,
‘Campana’ e ‘Virgolese’, l’altro ‘Savino’, ‘Ucciarduni’, ‘Spineddu’
e ‘Urzì’. Inoltre, è da rilevare la vicinanza tra ‘Coscia’ ed ‘Etrusca’,
caratterizzate da stretti rapporti di parentela, essendo la prima genitrice
della seconda.
77

Conclusioni
La rilevante biodiversità del pero espressa dal germoplasma del
massiccio etneo, intercettato in misura ampia ma non ancora esaustiva
nella presente nota, ha evidenziato come non solo molte entità citate
nella letteratura più o meno antica, ma anche alcune di nuovo reperimento,
siano ancora presenti nel comprensorio considerato, talvolta ormai in
maniera sporadica. Pertanto, risulta auspicabile la costituzione di campi
collezione in areali idonei per conservare il patrimonio genetico e valutare
le accessioni per una eventuale utilizzazione nel miglioramento genetico,
o anche, in alcuni casi, per una loro riproposizione per i mercati di nicchia
come frutto “antico” a fianco delle varietà più diffuse come ‘Coscia’,
‘Gentile’, ‘Putiru d’estate’, ‘Spineddu’, ‘Ucciarduni’e ‘Virgolese’. A tale
destinazione potrebbero essere indirizzate, oltre alle migliori pere e
“perine” di spiccata precocità (in particolare ‘Faccibedda’, ‘Falcuneddu’,
’Ialufreddu’, ‘Iazzolo’, ‘Rosa’), le più attraenti cultivar a maturazione
intermedia come ‘Angelico’, ‘Cavaliere’, ‘Reale’, ‘Regina’ e tardiva quali
‘Gaggiò’, ‘Pistacchino’, Savino’, ‘Zio Pietro’.
80

BIBLIOGRAFIA
CARRANTE V. 1941. Per il miglioramento della frutticoltura in Sicilia
con particolare riguardo alla zona etnea. Annali R. Staz. Sper.
Frutt. e Agrum., Acireale XIV, 27 – 102. Tip. Ed. Orario delle Ferrovie,
Acireale.
CONTINELLA G., CATALANO M., CONTINELLA A., LA ROSA G.,
CICALA A., LAS CASAS G. 2006. Recupero di germoplasma di
pomacee nel comprensorio etneo. Italus Hortus 13 (2) : 210-214.
CUPANI F. 1696. Hortus Catholicus. Apud Franciscum Benzi,
Neapoli.
DAMIGELLA P., ALBERGHINA O. 1991. Le cultivar di pero (Pyrus
communis L.) di antica diffusione nella Sicilia centro-orientale. Quaderni
di ricerca e sperimentazione , n. 39. Unione CCIAA della Regione
Siciliana, Publisicula, Palermo.
NICOSIA F. 1735. Il podere fruttifero e dilettevole. Appresso Angelo
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SAVASTANO G. 1926. La coltivazione del melo nella frutticoltura montana
dell’Etna. Annali R. Staz. Sper. Frutt. e Agrum., Acireale, VIII,
1-39. Tip. Ed. Orario delle Ferrovie, Acireale.
SCIGLIANO A. 1834. Pomona etnea ovvero Saggio sulle specie e varietà
degli alberi fruttiferi che esistono nei contorni dell’Etna. Atti
dell’Accademia Gioenia, Tomo VIII: 53-98. Dai Torchi di Giuseppe
Pappalardo, Catania.
81

PRIMI RISULTATI DI INDAGINI ECONOMICO-AGRARIE
SULLA PRODUZIONE E SUL MERCATO DELLA
PERICOLTURA ETNEA
FIRST RESULTS OF ECONOMIC AND AGRICULTURAL
ANALYSES ON PRODUCTION AND ON THE MARKET
OF THE GROWING OF ETNA PEAR
Salvatore Bracco, Biagio Pecorino, Alfonso Silvio Zarbà 1
Dipartimento di Scienze Economico-Agrarie ed Estimative (DISEAE)
Università degli Studi di Catania, Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
La pericoltura etnea, come la si è individuata, ricopre 689 ettari (2/3
consociati con altre arboree); quella specializzata prevale nel versante occidentale
in cui le innovazioni di processo e di prodotto hanno trovato favorevoli
condizioni rispetto al restante territorio dove invece insistono impianti
principalmente tradizionali.
Dai risultati economici ottenuti emerge una pericoltura scarsamente
remunerativa nel versante sud-orientale dell’Etna, mentre in quello nordoccidentale
consente ai produttori di conseguire apprezzabili utili, benché
suscettibili di miglioramenti.
La commercializzazione delle pere non è interessata da processi innovativi
per quanto riguarda la tecnica e l’organizzazione. Le principali destinazioni
di mercato sono quelle regionali ed i canali di vendita sono quelli dei
mercati all’ingrosso. Risulta carente la strategia di marketing ed è, comunque,
poco efficace la valorizzazione dell’offerta di pere del territorio etneo.
Parole chiave: territorio, produzione, mercato delle pere
1 Riassunto, materiali e metodi sono state curate congiuntamente dagli autori; mentre, si deve
interamente al Prof. S. Bracco l’introduzione, le conclusioni e il paragrafo 3, al Prof. B.
Pecorino il paragrafo 4 e al Prof. A. S. Zarbà il paragrafo 2.
83

Abstract
The survey has obtained that the growing of Etna pear covers 689
hectares (whose 2/3 are associate with other arboreal growing). The
specialized pear growing prevails in the western slope where the process
and product innovation found best conditions relative to the remaining
territory where mainly there are traditional systems.
From the gotten economic results a profitable pericoltura poorly
emerges in the south-oriental slope of the Etna, while in that north-western
it allows the producers to achieve appreciable profits, although
susceptible of improvements.
Key words: territory, production, market of the pears
Introduzione
Con le indagini condotte in base al previsto programma di ricerca
sulla frutticoltura etnea, sono emersi alcuni aspetti tecnico-economici
stimolanti riguardo lo scenario produttivo e di mercato della pericoltura;
essi, infatti, ancorché sinteticamente riportati in questa sede, consentono
di disporre un quadro di conoscenze relativamente ad alcuni principali
caratteri territoriali, aziendali e di mercato di tale comparto ai fini
della individuazione di eventuali strategie di valorizzazione commerciale
delle pere locali a forte connotazione di tipicità o tradizionalità,
facendo affiorare l’opportunità di un’identificazione prodotto-territorio.
1. Materiali e metodi
L’attività di ricerca si è sviluppata in più fasi, secondo una successione
spazio-tempo funzionale all’obiettivo tecnico-economico prefissato
dal programma esecutivo, utilizzando apposite metodologie ampiamente
riconosciute ed utilizzate in studi e ricerche economico-agrarie del-
84

l’agricoltura, in particolare di quella meridionale. Tuttavia, quale che sia
stata la fase di svolgimento di volta in volta interessata, sono state condotte
puntuali ricognizioni dirette, con il supporto di questionari ad hoc,
ai quali hanno partecipato altresì esperti collaboratori esterni.
I dati rilevati sono stati sottoposti ad opportune elaborazioni ai fini
della determinazione dei principali indici tecnico-economici.
2. Risultati e discussione
Percorrendo il massiccio etneo dal versante orientale al versante occidentale
lungo la fascia altimetrica sottoposta ad indagine, il pero si
presenta in areali ben distinti con differenti gradi di omogeneità, spalmandosi,
con riferimento all’annata agraria 2004/2005, su circa 689 ettari,
gran parte dei quali in consociazione con altre colture arboree
(65,7%), prevalentemente con il melo.
Partendo da Est (comuni interessati come si osserva dalla tab. 1,
Mascali, Milo, Sant’Alfio, Zafferana) si riscontra una pericoltura più
antica e tradizionale, ad elevata biodiversità contraddistinta soprattutto
da cultivar autoctone (“Virgolesa”, “Iazzolo”, “Reale”, “Cavaliere”,
“Reggina”, “Spinello”, “Facci Bedda”, ecc.), innestate su “franco”, a
frutto di modeste dimensioni con calendario di maturazione piuttosto
ampio (luglio – ottobre); le rese, variabili, oscillano fra 10 e 20 (nel caso
della “Coscia”) tonnellate per ettaro.
Gli impianti, in regime asciutto, risultano territorialmente dispersi,
fortemente disetanei, prevalentemente in consociazione con altre arboree,
a piante sparse allevate a vaso “disteso”, su terreni di origine vulcanica
con scheletro grossolano a giacitura acclive con ampia diffusione di
terrazzamenti e ripiani di dimensioni variabili, ma in genere modesti.
La superficie totale a pero accertata ammonta a 179 ettari, mentre la
produzione si stima dell’ordine 2.730 tonnellate.
Caratteristiche strutturali accomunabili a quelle appena sopra
evidenziate contraddistinguono la pericoltura del Sudest - Sud (Nicolosi,
Pedara, Trecastagni), tranne per il quadro varietale che denota limitata di-
85

versità; la porzione esclusiva interessa solo l’1,2% della corrispondente superficie
totale, cioè 174,26 ettari; la produzione relativa a 2.400 tonnellate.
Altro areale interessato è quello esposto a Sudovest del cono vulcanico
(Belpasso, Ragalna e plaghe circonvicine dei comuni di Adrano,
Biancavilla e Santa Maria di Licodia). Il pero si concentra in oasi ben
delimitate, relativamente distanti l’una dall’altra, inframmezzate da terreni
abbandonati (in gran parte ricoperti di arbusti, roverella, ginestra,
ecc.) e da colture forestali (querceti, castagneti, ecc.) e arboree (olivo,
vite, ecc.). Pur rinvenendosi in gran parte in appezzamenti policolturali,
si appalesa su filari omogenei disposti in alternanza con altre arboree;
risulta allevato quasi esclusivamente a vaso (sia a bassa che ad alta impalcatura),
rappresentato da cultivar autunno-vernino, sia locali
(“Spineddu” principalmente) che di recente introduzione (“Abate Fetel”
soprattutto). I terreni sciolti o di medio impasto si configurano pianeggianti
nella gran parte dei casi, spiegandosi su ampie terrazze, e inclinati;
il regime irriguo è di tipo asciutto.
Le superfici interessate, determinate a seguito di rilevazioni dirette,
ammontano a 48,32 ettari nel caso della coltivazione esclusiva, a 125
ettari se consociate; la produzione mediamente si aggira sulle 2.340 tonnellate.
Un certo rilievo assume la coltivazione del pero nell’areale del versante
Ovest-Nordovest (denominato “Brontese”), corrispondente ai comuni
di Bronte e Maletto, che si contraddistingue per caratteristiche sufficientemente
omogenee, relative ad impianti esclusivi, con spiccata
continuità territoriale in cui il processo tecnologico ha trovato più ampia
diffusione con l’introduzione di cultivar a maturazione estiva ed autunnale
(“Coscia”, “Decana del Comizio, “Butirra”, “Abate Fetel”, “Conference”,
“Spinelle” ed altre meno rappresentate, quali “Kaiser” e “Passa
Grassana”), innestate su cotogno, e di nuove tecniche agronomiche,
nell’ambito innanzitutto del sistema di allevamento (“vaso”, “palmetta”
e “fusetto”).
Per le rese, mostrano i valori più alti “Coscia” e “Butirra” (30 tonnellate
per ettaro) più bassi (18-20 tonnellate) le altre cultivar.
87

Poco rappresentati sono i pereti consociati; nei casi esistenti, disposti
su file ben distinte, prevalgono susino, albicocco e pesco.
I terreni risultano in prevalenza di tipo alluvionale. L’acqua proviene
da pozzi trivellati distribuita con sistemi di irrigazione ad
aspersione.
Con riferimento alla classe di età, la gran parte degli impianti ricade
nell’ambito della stazione di maturità.
La pericoltura esclusiva dell’areale ricopre 170,21 ettari, quella
consociata appena 3,99 ettari; la produzione ammonta intorno a 4.480
tonnellate.
Nel versante rivolto a Nord (Castiglione di Sicilia e Randazzo), che
costituisce un po’ la continuazione dell’areale “Brontese”, il pero si presenta
in appezzamenti territorialmente dislocati qua e là, distanti per
diversi chilometri e quote altimetriche l’uno dall’altro, con un livello
tecnico a volte apprezzabile (avendosi unità specializzate quanto a
cultivar, circoscritte a quelle a maturazione estiva, e a forma di allevamento,
improntata soprattutto sul vaso) e talora diseguale (riscontrandosi
superfici a regime irriguo o asciutto, di ampiezza piuttosto variabile
pur regolari).
Le superfici interessano 8,31 ettari, interamente in coltivazione esclusiva;
la produzione, 250 tonnellate.
Infine a Nord-Nordest, Linguaglossa presenta alcune realtà pericole
prevalentemente in consociazione. I terreni si configurano per lo più con
le caratteristiche consimili a quelli dell’areale Est. Le superfici si collocano
a circa 4 ettari, la produzione attorno alla tonnellata.
Per l’intero territorio etneo indagato, il tipo di impresa, a seconda
della prevalenza del lavoro salariato o del lavoro familiare, è riconducibile
alla capitalistica-coltivatrice o coltivatrice-capitalistica in terreni in
proprietà.
Anche per quel che concerne le ditte pericole non si rilevano grandi
differenze riguardo alla dimensione, nella maggior parte dei casi si aggira
intorno all’ettaro; quelle con superfici oltre tale soglia non superano i
5 ettari (“Brontese”).
88

3. Aspetti dell’esercizio aziendale
Le aziende esaminate (30) si estendono complessivamente su 65,6
ettari, di cui 38,6 ettari sono interessati alla pericoltura (58,9%). Tale
superficie rappresenta il 5,6% di quella totale investita a pero nell’area
esaminata.
La dimensione media aziendale risulta di 2,19 ettari, mentre quella
dei pereti è di 1,3 ettari, pari al 63,2% di quella aziendale.
La pericoltura dell’Etna presenta aspetti differenziati nei due versanti
del Vulcano, in rapporto ai quali è possibile distinguere due principali
areali: nord-occidentale e sud-orientale.
Il versante nord-occidentale, in senso orario da Adrano a Randazzo è
caratterizzato da una pericoltura meglio strutturata e più efficiente. La
dimensione media degli impianti è maggiore, i sesti sono prevalentemente
regolari e la densità media è intorno a 1.420 piante/ha, allevate a
spalliera e/o a fusetto in coltivazione irrigua (territori di Bronte e Maletto).
Il versante sud-orientale, che in senso orario va da Linguaglossa fino
Belpasso, rappresenta la pericoltura più “antica e tradizionale”, talora
consociata, coltivata prevalentemente in asciutto. Nel versante nord-occidentale
le dimensioni medie dei pereti sono minori, prevale nettamente
la forma di allevamento a vaso, i sesti di impianto sono larghi e spesso
irregolari con circa 650 piante/ha.
Nel complesso, i principali indici tecnico-economici, riportati nel
prospetto che segue, indicano che nel territorio etneo la pericoltura rappresenta
una coltivazione di indubbio interesse.
Gli investimenti fondiari raggiungono un valore medio intorno a 25,23
mila i/ha, così distribuiti: costo d’impianto del pereto 53,8%, fabbricati
23,1%, opere per la captazione e la distribuzione dell’acqua 12,6%,
recinzioni 8,3% circa, viabilità 1,6% e, infine, gli altri investimenti 0,6%.
Gli investimenti di scorta evidenziano un importo medio pari a 6,27
mila i/ha; di cui 4,16 mila i/ha (66,3%) a carico della voce “Macchine
motrici e moto operatrici” (trattrici, motozappe, decespugliatori, ecc.) e
2,11 mila i/ha (33,7%) rappresentano la voce “Altri investimenti”
(motoseghe, cesoie, pompe, scale, cesti, cassette, ecc.).
89

Per quanto riguarda i gradi di attività medi la coltivazione del pero
abbisogna di 495 ore/ha circa. La raccolta necessita in media di 267 ore/
ha (45%), mentre la potatura 2 assorbe intorno a 241 ore/ha (40,6%). La
voce “altre operazioni” (lavorazioni, concimazioni, difesa, irrigazioni,
ecc.) incide in media per il 14,4%.
Per quanto riguarda i mezzi tecnici sono largamente impiegati i concimi
minerali complessi (es. 20.10.10, 11.22.16 ed altri) somministrati,
2 Nella voce “Potatura” sono inclusi il diradamento dei frutti, la potatura verde, la raccolta e la
bruciatura dei rami.
90

generalmente in un unico intervento, a fine febbraio, con dosi intorno a 0,5-
1 kg per pianta nel caso della palmetta e 1,5-2 Kg nel caso del vaso. Nelle
aziende irrigue sono utilizzate, talora, fertilizzanti minerali liquidi ed in particolare
azoto, fosforo e potassio somministrati con la tecnica della
fertirrigazione, mentre risulta quasi assente l’impiego di fertilizzanti organici.
Completano il quadro dei materiali impiegati i diserbanti, i carburanti, gli
oli ed i grassi, l’energia elettrica e l’acqua nei casi in cui è acquistata.
Assai diffusi risultano i trattamenti antiparassitari, rivolti essenzialmente
alla difesa contro gli attacchi di Psilla Pyri, a partire dalla primavera in poi
con una cadenza compresa tra 20 e 30 giorni e sospesi prima della raccolta.
Le produzioni unitarie di pere variano da 11,0 e 25,8 t/ha, con valori
medi di 19,0 t/ha. I fattori che più condizionano le produzioni sono l’andamento
climatico, la coltivazione in asciutto oppure irrigua, la densità
di impianto, la forma di allevamento, le modalità e l’epoca dei trattamenti
antiparassitari. In rapporto a tali fattori, in particolare alla scarsa
diffusione di impianti irrigui, nel versante sud-orientale le produzioni
medie si attestano intorno a 14,6 t/ha, mentre in quello nord-occidentale
le produzioni medie si collocano nettamente al di sopra (21,9 t/ha).
Il costo medio di produzione raggiunge 8,95 mila i/ha, mentre con
riferimento alla produzione di pere il livello medio è pari a 479 i/t. Nel
primo caso la voce “Materiali” evidenzia un valore medio pari a 1,44
mila i/ha (16,1%), quella relativa ai “Lavori e servizi” raggiunge un
valore medio pari a 3,99 mila i/ha (44,6%), mentre la voce “Quote ed
altre attribuzioni” (assicurazioni, imposte e contributi, interessi, ecc.) si
colloca intorno a 3,39 mila i/ha (39,3%). Con riferimento alle produzioni
le stesse voci assumono, rispettivamente, i seguenti valori: 76,78
i/t la prima, 212,51 i/t la seconda e, infine, 190,27 i/t la terza.
In rapporto alle diverse varietà presenti nelle aziende, spesso nello
stesso appezzamento, ed alla scolarità delle vendite, al fine di avere un
solo dato è stato necessario determinare il prezzo medio ponderato che
nelle aziende esaminate risulta in media intorno a 543,00 i/t. Tenuto
conto dei prezzi dell’ultima annata e delle produzioni ottenute, con riferimento
al quadriennio 2001-02/2004-05, la PLV nelle aziende esaminate
91

ammonta mediamente a poco più di 10,37 mila i/ha, con valori maggiori a
carico delle imprese che svolgono in proprio l’operazione di raccolta.
La determinazione dei costi di produzione e dei ricavi ha consentito
di accertare il livello dei profitti e/o delle perdite e i corrispondenti redditi
netti conseguiti.
I profitti sono risultati mediamente intorno a 1,42 mila i/ha, variabili tra
–1,18 mila i/ha e 5,22 mila i/ha. L’ampio campo di variazione è imputabile
alla diversa pericoltura dei due versanti dell’area etnea.
Quanto ai redditi netti i valori più elevati si riscontrano in quelle aziende
in cui una parte cospicua del lavoro è prestato dall’imprenditore e/o dai
familiari. Pertanto, i valori variano da 1,56 mila i/ha a 10,17 i/ha con un
valore medio pari a 4,45 mila euro. Con riferimento alle produzioni i corrispondenti
importi sono, rispettivamente: 120,93 i/t, 465,15 i/t e 236,01 i/t.
La produttività lorda del lavoro risulta intorno a 17,44 i/ora, corrispondente
ad un quantitativo medio intorno a 0,032 t/ora.
L’analisi svolta evidenzia che la coltivazione del pero offre considerevoli
opportunità di lavoro e di reddito, ma al di sotto del proprio potenziale in
rapporto ad altre realtà nazionali. In particolare le aziende del versante sudorientale
del territorio esaminato abbisognano di ammodernamento sia per
quanto riguarda gli impianti sia per l’esercizio della coltivazione che non
può reggere il confronto con le realtà più produttive. Delle diverse varietà
riscontrate, indicate al punto 2 della presente relazione, alcune sono di difficile
commercializzazione perché poco gradite dai consumatori. A tale riguardo
alcuni ecotipi, certamente interessanti per la selezione genetica, costituiscono
uno svantaggio sotto il profilo dei ricavi in quanto le produzioni
sono inferiori ed i prezzi non remunerativi.
4. Commercializzazione
Le varietà di pere commercializzate sono rappresentate prevalentemente
dalla Coscia e dalla Butirra. Le altre varietà (Decana, Abate Fetel,
ecc.) sono presenti in quantitativi e per periodi di tempo di
commercializzazione trascurabili.
92

Le pere prodotte sulle pendici dell’Etna seguono diversi canali commerciali
e le modalità operative risultano differenziate in relazione al
tipo e alla dimensione dell’impresa e all’areale di produzione.
Come è stato evidenziato dall’analisi territoriale e dalle successive
indagini sulle imprese di lavorazione e commercializzazione delle pere,
emerge una realtà differenziata nei diversi versanti Etnei.
In generale, i commercianti di frutta acquistano le pere sia a corpo sia
a peso; nel primo caso la raccolta è a carico dell’acquirente, mentre nel
secondo caso la raccolta è a carico del produttore, che consegna la merce
nell’azienda agricola. In alcuni casi ed in presenza di imprese di ridotte
dimensioni le fasi della raccolta ed il trasporto sono curate dall’agricoltore,
che consegna le pere presso gli stabilimenti di lavorazione
e conservazione, ricevendo un pagamento della frutta a peso. Fra questi
ultimi vi sono agricoltori che operano anche la selezione ed il
confezionamento della frutta in cassette di legno dal peso di circa 18
Kg., consegnandola o nei mercati ortofrutticoli all’ingrosso attivi nelle
aree di produzione (in questo caso al prezzo di vendita si deve detrarre il
12% di spesa d’intermediazione) oppure la vendono direttamente ai consumatori
finali, attivando circuiti diretti.
Le imprese di commercializzazione confezionano le pere in tre
tipologie d’imballaggio, legno, cartone e plastica. Nel caso di produzioni
confezionate in cassette di legno il peso è variabile da un massimo di
18 kg, con sistemazione della frutta alla rinfusa, ad un minimo di 8 kg.,
con sistemazione della frutta a strati regolari. Quando si usa l’imballaggio
di plastica le quantità di frutta variano da un massimo di 10 kg , con
sistemazione della frutta alla rinfusa, ad un minimo di 5 kg , con sistemazione
della frutta a strati ordinati.
Nel cartone è confezionata merce di pregio, selezionata, ordinata in
strati e di peso variabile tra i 10 e i 5 kg.
Dalle indagini condotte emerge che le pere vengono commercializzate
fresche subito dopo la raccolta o dopo un periodo di frigoconsevazione di
circa 2-3 mesi mentre non si è rilevata alcuna attività di trasformazione
industriale. Di seguito viene riportato il calendario di commercializzazione
delle principali varietà di pere prodotte nel massiccio etneo.
93

La frigoconservazione eseguita anche in atmosfera controllata ha consentito
l’estensione del calendario di commercializzazione della frutta
che ha caratteri di maturazione estivi/autunnali. In genere, da notizie
acquisite con interviste dirette, i commercianti estendono il periodo d’offerta
delle pere etnee ed evitano, così, la congestione del mercato puntando
a realizzare prezzi più elevati.
A parte le pere destinate al consumo e alla vendita diretta, dove risulta
comunque molto problematico effettuare valutazioni puntuali sui
quantitativi e sui prezzi di vendita, dalle indagini sulle imprese di
commercializzazione emerge che il 75% delle pere è destinato al mercato
regionale, il 20% a quello nazionale e solo il 5% a quello estero (Francia,
soprattutto). Gran parte delle pere destinate al mercato regionale è
esitata sui mercati all’ingrosso ed, in particolare, su quelli di Catania,
Palermo, Messina, Siracusa e Caltanissetta. Risultano, attualmente, limitati
e sporadici i rapporti con la distribuzione organizzata anche se
bisogna ricordare che alla fine degli anni novanta erano stati attivati dei
rapporti commerciali che non hanno prodotto risultati positivi e stabili.
Modesto è il ruolo delle imprese associative nel territorio, in quanto
le due ancora attive non riescono a concentrare l’offerta e a definire
politiche commerciali che coinvolgono gli operatori agricoli.
Limitata ed in alcuni casi del tutto assente è l’adozione di strategie di
marketing che mirano a valorizzare la provenienza delle pere, infatti,
non sono diffusi marchi commerciali e non sono in corso percorsi finalizzati
al riconoscimento di marchi di qualità contrariamente a quanto
registrato in altre aree del Paese.
94

Nelle imprese di commercializzazione le pere prodotte nel massiccio
Etneo non vengono adeguatamente differenziate da quelle di provenienza
extraregionale ed i prezzi realizzati non mostrano significative
differenziazioni.
Le imprese commerciali si attengono ai parametri previsti dalle norme
di qualità, recentemente modificate dal Reg. (CE) 86/2004, che prevede
la categoria extra, I e II, mentre non sono interessate alle
certificazioni volontarie di qualità.
5. Conclusioni
Quanto sunteggiato in merito alla pericoltura porta a concludere che
nella fascia geografica etnea indagata convivono più realtà che rendono
diverso il comparto nelle caratteristiche territoriali e nelle unità di produzione
agricola, nonché nei rapporti con il mercato, tanto da emergere
aspetti economico sociali tra loro praticamente indipendenti, ma aventi
problematiche comuni riguardo a:
a) rilevante presenza di produttori agricoli marginali rimasti legati alla
coltivazione del pero per l’ottenimento di redditi addizionali svolgendo
attività anche in altri settori;
b) notevole legame ai mercati locali con prodotto di modesta qualità,
allo stato sfuso e a prezzi della fascia bassa;
c) elevato potere di mercato delle imprese di commercializzazione del
prodotto grezzo;
d) scarsa propensione all’associazionismo.
95

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96

GLI INSETTI AUSILIARI DEL PERO IN
FRUTTETI DELL’ETNA
BENEFICIAL INSECTS OF PEAR IN
MOUNT ETNA FRUIT ORCHARDS
Gaetana Mazzeo, Gaetano Siscaro, Santi Longo
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Fitosanitarie
Università degli Studi di Catania, via Santa Sofia 100, 95123 Catania
Riassunto
Vengono riportati i risultati di indagini, condotte in pereti dell’Etna, finalizzate
allo studio dell’entomofauna antofila e del complesso dei parassitoidi
vincolati alla Psilla del Pero, Cacopsylla pyri (L.). Per quanto riguarda gli
insetti antofili sono state censite le specie presenti su pero e su piante spontanee
in differenti biotopi, indicati come agroecosistema ed ecosistema misto,
al fine di valutarne la biodiversità. Le indagini relative alla biocenosi
antagonista della psilla sono state incentrate sulla definizione del complesso
specifico e sull’attività di alcune specie di Imenotteri Calcidoidei in pereti a
diversa conduzione fitosanitaria, dislocati in differenti aree frutticole.
Parole chiave: antofili, biodiversità, entomofagi, psilla del pero.
Abstract
The results of surveys on the anthophilous entomophauna living in
pear orchards on Mount Etna and on the parasitic complex of the pear
psyllid, Cacopsylla pyri (L.), are reported. The antophilous insects were
surveyed on pear trees and spontaneous plants growing in different biotopes,
defined as agroecosystem and mixed ecosystem, in order to evaluate their
biodiversity. The studies on the antagonist biocenosis of the psyllid focused
97

on the detection of the species and activity of some species of Hymenoptera
Chalcidoids in integrated and conventionally managed pear orchards.
Key words: antophilous insects, biodiversity, natural enemies, pear
psyllid.
Introduzione
Il frutteto, tra i diversi ambiti colturali, è probabilmente quello che da
più tempo ha impegnato ricercatori e tecnici nella definizione e
validazione in campo di strategie ecocompatibili di difesa fitosanitaria
quanto più ottemperanti ai principi ecologici, ambientali e tossicologici
della lotta integrata (DELUCCHI, 2002). Nel pereto, la corretta applicazione,
sin dalla fine degli anni ’60, di strategie di controllo integrato ha
fornito risultati così evidenti da contribuire a veicolare tale approccio di
difesa anche su altre colture mediterranee (BAGGIOLINI, 1982; BOLLER,
2006; STEINER, 1977). Come è ben noto, fondamento della lotta integrata
ai fitofagi dannosi è la protezione e il potenziamento dell’artropodofauna
utile nell’ambito della quale gli insetti pronubi ed entomofagi costituiscono
una componente essenziale. Tali ausiliari risentono, per motivi
diversi ma strettamente connessi tra loro, delle modificazioni dell’ambiente
conseguenti, in particolar modo, all’uso reiterato di agrofarmaci
o all’alterazione e semplificazione della composizione floristica. Partendo
da tali considerazioni, nell’ambito del progetto le ricerche sono
state rivolte allo studio dell’entomofauna antofila e al complesso dei
parassitoidi vincolati alla psilla del pero, entrambi aspetti poco investigati
nel comprensorio frutticolo etneo.
La problematica relativa agli insetti antofili è stata considerata sia
sotto il profilo della loro attività quali pronubi sia per le implicazioni
nella valutazione della biodiversità di un’area di particolare pregio ambientale.
Un’elevata presenza di pronubi, legati alle piante da rapporti
simbiotici derivanti da coevoluzione (MAZZEO, 2004), è indice di
biodiversità (PORRINI et al., 1998), ottenuta anche mediante il manteni-
98

mento o l’introduzione di aree di compensazione ecologica (DELUCCHI,
2002). Gli insetti che svolgono attività impollinatrice afferiscono principalmente
agli ordini dei Lepidotteri, Coleotteri, Ditteri e Imenotteri.
Questi ultimi, e in particolare gli Apoidei, rivestono un ruolo preminente
nell’impollinazione delle colture. Tra questi Apis mellifera L. è la
specie più utilizzata in relazione alla facile reperibilità degli alveari, alla
fedeltà di bottinamento e al grande numero di bottinatrici disponibili,
unito alla sempre più ridotta presenza delle specie di apoidei selvatiche
(RADEGHIERI et. al., 1997); i bombi, specie eusociali a ciclo annuale, trovano
invece impiego principalmente nelle serre per l’impollinazione di
colture ortive. Esistono numerosissime specie che garantiscono l’esistenza
di essenze vegetali spontanee; in qualche caso, come ad esempio
per le osmie (Osmia spp.), un’efficiente impollinazione di colture, quali
erba medica o lo stesso pero, è possibile solo grazie alla loro azione. Il
ruolo di tali apoidei selvatici è essenziale ed esplicato abbastanza bene
negli ambienti naturali; negli agroecosistemi, l’assenza di fioriture diverse
da quella della coltura (vuoti di pascolo) rende difficile lo svolgimento
dei loro cicli biologici (RICCIARDELLI D’ALBORE & INTOPPA, 2000).
Altra importante categoria di pronubi è costituita dai Sirfidi, numerosa
famiglia di Ditteri, i cui adulti, eliofili e antofili, sono attivi
impollinatori di svariate specie botaniche sia selvatiche che coltivate.
Gli Omotteri Psilloidei sono fitofagi di primario interesse fitosanitario
per la coltura del pero e a causa della frequenza e dell’intensità delle
loro infestazioni assumono il ruolo di specie chiave della coltura
unitamente alla Carpocapasa (Cydia pomonella L.).
La loro dannosità è legata alla sottrazione di ingenti quantità di linfa
dalle foglie infestate e alla produzione di abbondante melata con conseguente
sviluppo di fumaggini; nel corso dei mesi estivi, inoltre, la melata
può divenire direttamente dannosa alle piante infestate, provocandovi
rilevanti causticazioni. Va infine richiamata la probabile responsabilità
delle Psille nella diffusione del micoplasma agente del cosiddetto “Deperimento
del Pero” (Pear decline) (OEPP/EPPO, 1997).
Su piante del genere Pyrus L. vivono numerose specie di Omotteri
Psilloidei, il cui assetto tassonomico è stato solo recentemente chiarito.
99

Per il territorio italiano sono oggi note cinque specie del gruppo: Cacopsylla
bidens (Sulc), C. notata (Flor), C. pyri (L.), C. pyricola (Forster) e C. pyrisuga
(Forster). Tuttavia importanza economica di rilievo è da attribuire alla sola
C. pyri, responsabile di frequenti e diffuse infestazioni.
Studi condotti in altre situazioni colturali europee, hanno evidenziato
un’attiva artropodofauna antagonista (HERARD, 1986), nel cui contesto i
predatori, e in particolare l’Eterottero Anthocoris nemoralis (F.), rivestono
un ruolo di primo piano; non va tuttavia trascurata l’azione della
ricca e articolata biocenosi parassitaria.
Nell’ambito di ricerche condotte in Sicilia orientale sin dal 1989 sul
controllo di tali fitomizi, è stata riscontrata la presenza di quasi tutte le
psille già note per 1’Italia, con la sola esclusione di C. pyricola ed è
stato avviato lo studio sul loro complesso parassitario (RAPISARDA &
SISCARO, 1990; 1991). Le ricerche condotte nel corso del progetto sono
state preminentemente rivolte all’approfondimento delle conoscenze sul
complesso parassitario vincolato alla Psilla, sia sotto il profilo della definizione
specifica delle sue componenti che della loro attività nelle
molteplici situazioni fitosanitarie e colturali dei frutteti etnei.
Materiali e metodi
Insetti antofili
Le osservazioni sono state condotte in due pereti etnei (cv. Coscia): il
primo sito in territorio di Bronte presso un’azienda razionalmente coltivata
(agroecosistema), e l’altro in territorio di Ragalna (località Milia)
in un’area ove le colture tradizionali (pero, melo) sono inserite in un
ecosistema naturale (ecosistema misto).
Dal settembre 2004 a dicembre 2006 sono stati effettuati rilievi sui fiori
della coltura e sulle piante spontanee presenti nell’area d’indagine. Per quanto
riguarda il pero, le osservazioni sono state condotte durante l’antesi (inizio,
piena e fine fioritura); sulle piante spontanee invece, sia con cadenza mensile
sia in coincidenza con i rilievi su pero. I rilievi sono stati effettuati nelle
ore di luce ad intervalli di 3 ore, percorrendo un camminamento (transetto)
100

appresentativo della flora presente, all’interno della coltura o delle piante
spontanee (QUARANTA et al., 2002); sui fiori incontrati lungo tale percorso è
stata rilevata la presenza di insetti antofili. Gli insetti sono stati registrati e,
se non riconosciuti, catturati per la determinazione specifica. Particolare
attenzione è stata rivolta agli Imenotteri Apoidei e ai Ditteri Sirfidi, la cui
presenza, in relazione agli stretti rapporti che essi instaurano con la flora,
rappresenta un indice della diversità.
Parassitoidi della Psilla del Pero
Le indagini sono state condotte nel biennio 2005-2006 in quattro pereti,
2 a gestione fitosanitaria convenzionale e 2 a gestione integrata, nei quali,
a cadenza mediamente quindicinale da maggio a novembre, venivano
raccolte ninfe di psilla su 200 foglie; queste venivano quindi isolate in
laboratorio sino allo sfarfallamento dei parassitoidi. L’intervallo tra i
prelievi è stato irregolare in alcuni casi, soprattutto nelle aziende a
conduzione integrata, a causa della ridotta infestazione presente in campo.
Parallelamente, sulla scorta di elementi già acquisiti in precedenti
studi, sono state condotte ulteriori ricerche sulle modalità di svernamento
dei parassitoidi, soprattutto al fine di meglio definire le specie che svernano
nel corpo di ninfe dell’ultima generazione di C. pyri che si rifugiano
generalmente in screpolature corticali di rami, branche e tronchi. A
tale scopo, nel periodo autunno-invernale, si è proceduto alla sistematica
raccolta, almeno sul 10% delle piante, di tali ninfe “ibernanti” che
venivano successivamente mantenute in laboratorio in appositi isolatori
fino allo sfarfallamento dei parassitoidi.
Risultati e discussione
Insetti antofili
Nell’intero periodo d’indagine, sono stati rilevati esemplari afferenti
agli ordini degli Imenotteri, Ditteri, Coleotteri e Lepidotteri; per un totale
(sui fiori della coltura e delle essenze spontanee), di 954
101

nell’agroecosistema e 1094 nell’ecosistema misto, il 18% e il 32% dei
quali, rispettivamente, ritrovati sui fiori di pero. Su questi ultimi, inoltre,
non sono stati rilevati in nessun caso lepidotteri. Il numero di specie
censite è stato di 67 nell’agroecosistema e 98 nell’ecosistema misto,
composto rispettivamente per il 62% e 70% da Imenotteri Apoidei.
Nell’agroecosistema, su pero, gli insetti antofili rilevati sono stati
scarsamente presenti ad eccezione di A. mellifera (Hymenoptera
Apoidea), Eristalis tenax (L.) (Diptera Syrphidae) e di Coleotteri
Coccinellidae, Cantharidae e Melyridae (Tab. 1). Sulla flora spontanea
le 56 specie rilevate afferiscono principalmente (66%) agli Imenotteri
Apoidei e in particolare alle famiglie Halictidae (con 9 specie di
Lasioglossum Curtis) e Megachilidae (con numerosi esemplari di
Heriades crenulata Nylander) (Tab. 2); tra i Ditteri le specie riscontrate
afferiscono alle famiglie Syrphidae e Bombyliidae. Tra i Coleotteri predominano
i Mordellidae e tra i Lepidotteri i Pieridae, Lycaenidae,
Sphingidae e Syntomidae.
Nell’ecosistema misto, sui fiori di pero, è stata rilevata la presenza di
Coleotteri, maggiormente rappresentati dalle famiglie Cetonidae e
Coccinellidae. Tra gli Imenotteri, tutti Apoidei, sono state rilevate numerose
specie di Andrenidae, Halictidae e Anthophoridae; tra gli Apidae
A. mellifera è stata la specie numericamente più rappresentata (Tab. 3).
Sulla flora spontanea, delle 84 specie, il 71 % afferisce agli Imenotteri
Apoidei, rappresentati principalmente dai generi Andrena Fabricius e
Lasioglossum. Notevole la presenza di A. mellifera (Tab. 4) e bombi; gli
altri gruppi sono stati invece rappresentati da pochi esemplari (Tab. 5).
L’attività degli antofili su pero, in entrambe le aree d’indagine, è stata
prevalentemente concentrata nella fase finale della fioritura.
Nel corso dei due anni gli antofili hanno mostrato fluttuazioni stagionali
riportate nella Fig. 1. Dai grafici si evince una diversa presenza
numerica tra gli insetti antofili e una differente distribuzione nel corso
dell’anno in relazione anche alla diversa ricchezza in specie che caratterizza
soprattutto il biotopo di Milia, ove la ridotta presenza dell’uomo e
la scarsa interferenza con l’ambiente consentono, in particolar modo alle
102

specie di Apoidei selvatici, di sviluppare discrete popolazioni che riescono
a trovare equilibri all’interno dell’ecosistema.
Parassitoidi della Psilla del Pero
Nel corso della sperimentazione è stata rilevata la presenza degli
Imenotteri Encirtidi Prionomitus mitratus (Dalman), P. tiliaris (Dalman)
e Trechnites psyllae (Ruschka) (Fig. 2). Questi parassitoidi primari, già
segnalati su altre psille del genere Cacopsylla, hanno mostrato una frequenza
variabile nelle diverse aree frutticole individuate. Sono stati altresì
identificati diversi esemplari di Imenotteri Calcidoidei (soprattutto
Syrphophagus mamitus Walker e Pachyneuron sp.) ai quali è stato attribuito
il ruolo di parassitoidi secondari (iperparassitoidi) sui quali sono
stati acquisiti nuovi elementi conoscitivi.
P. mitratus, specie polifaga, segnalata in Europa a carico di diversi
Psilloidei associati a piante dei generi Crataegus e Pyrus, parassitizza
gli stadi ninfali più maturi. Diversamente da quanto si osserva in aree
frutticole dell’Europa continentale e dell’Italia settentrionale, dove è il
parassitoide più attivo a carico di C. pyri (ARZONE, 1979; NGUYEN et al.,
1984), nel corso delle osservazioni è stato solo occasionalmente riscontrato
a carico di ninfe raccolte sulle foglie nel periodo estivo e raramente
ha svernato a carico di ninfe della psilla. La sua incidenza è sempre stata
inferiore al 20% del totale dei parassitoidi complessivamente ottenuti in
entrambe le tipologie di pereti (Figg. 3, 4).
Le indagini hanno confermato che T. psyllae è il parassitoide più attivo
e diffuso raggiungendo elevati tassi di parassitizzazione soprattutto
in estate avanzata e in autunno e svernando all’interno delle ninfe tra le
screpolature corticali (Fig. 5). Tale comportamento delle ninfe di psilla,
non è stato ancora completamente chiarito, ma sembra essere comunque
indotto da uno squilibrio ormonale, dovuto alla parassitizzazione da parte
dell’Encirtide. T. psyllae è stata la specie riscontrata con maggiore frequenza,
sia in pereti a conduzione integrata che in quelli tradizionali
(Figg. 3, 4), sebbene con distribuzione e abbondanza molto variabili.
L’attività parassitaria complessivamente rilevata è risultata maggiore nei
103

pereti a conduzione integrata, nei quali sono stati registrati tassi di
parassitizzazione a carico delle ninfe di psilla prossimi al 50%.
Alquanto interessanti risultano i dati raccolti sui parassitoidi che evolvono
a spese di larve di parassitoidi antagonisti di fitofagi, e che possono
essere considerati come importanti indicatori del livello di complessità
biocenotica dell’agroecosistema in quanto si ritiene svolgano il ruolo
fondamentale di “volano” equilibratore della catena tritrofica piantafitofago-entomofago.
Nel caso specifico, questi iperparassitoidi, rappresentati
essenzialmente da S. mamitus risultano le popolazioni prevalenti
sia in estate che in inverno soprattutto in pereti a conduzione integrata
mentre sono poco presenti in pereti sottoposti a reiterati interventi insetticidi
a largo spettro d’azione (Figg. 3, 4). Considerata la nutrita schiera
di ospiti alternativi (sia psille che afidi) segnalati in letteratura per questa
specie e tra questi anche l’Afide verde del Melo (Aphis pomi de Geer)
(NOYES, 2007), è indubbio che la sua cospicua presenza in tali pereti è
verosimilmente da attribuire anche a una maggiore diversificazione della
composizione floristica dell’agroecosistema che risulta perfettamente
in sintonia con i presupposti applicativi della Integrated Pest Management
(IPM) ormai universalmente riconosciuti. Ulteriori indagini sarebbero
necessarie per meglio definire il ruolo di queste specie in tale contesto
ecologico.
Considerazioni conclusive
E’ consapevolezza diffusa, sia tra gli addetti al settore che nell’opinione
pubblica, che la diversità dei viventi meglio conosciuta con il
neologismo “biodiversità” sia divenuta un valore da salvaguardare anche
nel contesto agricolo, nei suoi tre livelli di diversità: genetica
(intraspecifica), tassonomica (interspecifica) e di comunità biocenotiche
(ecologica). Partendo dalla considerazione che, alla luce di recenti e autorevoli
stime (VIGNA TAGLIANTI, 2002) gli Insetti esprimono circa i 2/3
dell’intera diversità degli organismi viventi, è importante rilevare che
104

anche sotto l’aspetto ecologico essi costituiscono il nucleo principale
della biodiversità negli agroecosistemi. Da qui scaturisce l’interesse che
viene loro rivolto quando si affrontano studi indirizzati alla definizione
delle dinamiche che sottendono alla cosiddetta biodiversità funzionale.
Il mantenimento del più elevato possibile livello di biodiversità negli
agroecosistemi è di primario interesse sia in rapporto al controllo biologico
e naturale degli insetti dannosi che alla protezione e al potenziamento
dei pronubi. In tale contesto le piante, certamente quelle coltivate ma
ancor più quelle spontanee, costituiscono l’habitat principale per queste
importanti componenti biocenotiche; andando oltre le condivisibili considerazioni
generali, obiettivo principale per gli specialisti rimane quello
di individuare e incrementare situazioni ecologiche “funzionali” mirate
al mantenimento di ausiliari (entomofagi e pronubi) chiave per le
colture (VIGGIANI, 2002). Lo studio condotto è solo un esempio di come
affrontare la messa a punto di programmi di controllo integrato partendo
dalla visione complessiva (olistica) del campo coltivato in tutte le sue
componenti (LONGO, 2002a, b).
105

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riguardanti l’Entomologia Agraria in Italia. Atti dell’Accademia Nazionale
Italiana di Entomologi, Rendiconti XLIX (2001): 205-218.
VIGNA TAGLIANTI A., 2002. Biodiversità negli insetti e conservazione.
In: AA.VV. 2002. Conservazione della biodiversità e difesa delle
piante coltivate (III). Tavole Rotonde sui maggiori problemi riguardanti
l’Entomologia Agraria in Italia. Atti dell’Accademia Nazionale
Italiana di Entomologi, Rendiconti XLIX (2001): 191-204.
108

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116

IL GERMOPLASMA FRUTTICOLO
AUTOCTONO DELL’ETNA: IL CILIEGIO
FRUIT GERMPLASM IN THE ETNA DISTRICT:
THE CHERRY TREE
Alberto Continella, Massimo Catalano, Stefano La Malfa,
Giuseppina Las Casas, Giovanni Continella
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari,
Università degli Studi di Catania,
Via Valdisavoia 5, 95123 Catania
Riassunto
Nell’ambito del progetto di ricerca “Miglioramento e valorizzazione
delle produzioni frutticole etnee” è stato reperito e caratterizzato il ricco
germoplasma cerasicolo etneo sfuggito all’erosione genetica; nel corso
di un quadriennio (2003-2006) sono stati rilevati i principali parametri
pomologici ed analitici, al fine di costituire delle schede varietali che
riassumono le principali caratteristiche carpometriche.
Delle 22 accessioni individuate nel versante orientale dell’Etna, di
cui 3 mai prima segnalate, che vanno da cultivar di ampia diffusione
(‘Ciliegia di don Antoni’) fino a entità presenti con pochi esemplari
(‘Gabbaladri’), sono state prescelte 9 su cui, insieme con 4 cultivar introdotte,
è stata eseguita la caratterizzazione mediante analisi molecolare
con la tecnica RAPD. Tale analisi ha consentito di identificare le
accessioni analizzate, di distinguere le cultivar autoctone da quelle
alloctone e di avere indicazioni sulla genealogia della ‘Ciliegia di don
Antoni’.
Parole chiave : Prunus avium L., Sicilia, biodiversità, marcatori
molecolari
117

Abstract
Inside the research project “Miglioramento e valorizzazione delle
produzioni frutticole etnee” the rich cherry germplasm escaped to the
genetic erosion has been found, located and characterized; during a
four-year investigation main pomological and analytical parameters have
been evaluated to arrange cultivar schedules that summarize main
carpometric traits.
Among the 22 accessions found in the east-side of Etna, of which 3
never before described, including wide spread cultivars (‘Ciliegia di
don Antoni’) until those present with few trees (‘Gabbaladri’), 9 have
been chosen on which, together with 4 others introduced, have been set
a characterization by means of molecular analysis with RAPD technique.
Such research allowed to identify the accessions analyzed, to distinguish
the native cultivars from the introduced ones and to find some indications
on the genealogy of ‘Ciliegia di don Antoni’ .
Key words: Prunus avium L., Sicily, biodiversity, molecular markers
Introduzione
Il massiccio etneo è sede di una importante ed antica attività frutticola
che si caratterizza per alcune particolarità tali da consentire di ottenere
produzioni diversificate, ma con una forte valenza di tipicità: fra esse, la
presenza di molteplici microclimi ottenuti nei diversi areali in considerazione
delle differenze altimetriche e di esposizione; le buone caratteristiche
pedologiche dovute ai terreni di origine vulcanica; la lunga storia
di attività frutticola dell’uomo che ha consentito negli anni la selezione
e la propagazione di interessanti varietà e biotipi e che ci permette di
avere una buona gamma di produzioni ed un ampio calendario di
maturazione. L’antica presenza della cerasicoltura sull’Etna, dopo le testimonianze
del Cupani (1696) e del Nicosia (1725) che nell’elencazione
118

delle numerose cultivar citate ne riportavano parecchie di provenienza
etnea, è validamente supportata dall’opera dello Scigliano (1834), che,
nella stesura della “Pomona Etnea”, dedicò il primo capitolo al ciliegio,
di cui studiò e descrisse ben 33 varietà. Un utile contributo è stato apportato
nel secolo passato dai lavori di Savastano (1926), Carrante (1941),
Spina (1959) e Damigella (1973).
Nel massiccio etneo la cerasicoltura riveste un rilevante ruolo estendendosi
con impianti anche specializzati da aree rivierasche fino ad arrivare
a oltre mille metri di altitudine. Presente nel territorio in maniera
diffusa, il ciliegio è dotato di un germoplasma autoctono molto eterogeneo,
caratterizzato dalla presenza di diversi biotipi e di alcuni casi di
sinonimia a cui si accompagnano alcune cultivar nazionali e straniere di
pregio di recente introdotte. La cerasicoltura etnea si concentra essenzialmente
su due varietà, la ‘Ciliegia di don Antoni’ e la ‘Napoleona
precoce’ che rappresentano, rispettivamente, il 30-40% ed il 25-30%
della produzione, seguite dalle altre varietà locali; di recente si sono
diffuse e sono in corso di valutazione alcune promettenti varietà alloctone
con caratteristiche di pregio che vanno dall’autocompatibilità alla
maturazione in periodi che consentono di estendere il calendario di raccolta
in epoca molto precoce o molto tardiva.
Il presente lavoro costituisce un aggiornamento ed un approfondimento
di risultati parziali resi noti in una precedente comunicazione
(Continella et al, 2006).
Materiali e metodi
Nell’ambito del progetto “Miglioramento e valorizzazione delle produzioni
frutticole del territorio etneo”, promosso dall’Assessorato Agricoltura
e Foreste della Regione Siciliana che ha interessato diversi
fruttiferi presenti da lunga data nel territorio etneo, è stato reperito nel
quadriennio 2003-2006 il germoplasma autoctono di ciliegio, che, una
volta individuato, è stato georeferenziato e monitorato riguardo alle principali
fasi fenologiche.
119

Alla raccolta, effettuata in corrispondenza della maturazione di consumo,
sono stati rilevati su un campione di 50 frutti per cultivar alcuni
parametri biometrici che hanno riguardato il peso medio dei frutti, i diametri
longitudinale e i due trasversali (larghezza minima e massima), la
lunghezza del peduncolo, il peso del seme, i diametri longitudinale e i
due trasversali del nocciolo (larghezza e spessore); sono stati calcolati i
rapporti polari del frutto e del seme nonché la percentuale di polpa. Su
un campione di 20 frutti sono state effettuate le analisi chimiche sul
succo estratto dai frutti e centrifugato. Tali analisi sono state finalizzate
alla determinazione dei solidi solubili totali (S.S.T.), espressi come °Brix
e dell’acidità, espressa in g/100 ml.
Il materiale vegetale utilizzato per l’estrazione del DNA è stato prelevato
nel mese di marzo del 2004. Il DNA è stato estratto da foglioline
pienamente espanse delle seguenti 13 varietà di ciliegio, di cui 4 alloctone:
‘Cappuccia’, ‘Cappuccia pizzuta’, ‘don Antoni’, ‘Gabbaladri’,
‘Minnulara’, ‘Napoleona forestiera’, ‘Napoleona precoce’, ‘Napoleona
verifica’, ‘Raffiuna’, ‘Ferrovia’, ‘Lapins’, ‘Sweet Heart’, ‘Van’, utilizzando
il Kit “GenElute” (Sigma-Aldrich,St. Louis, MO) e seguendo il
protocollo fornito dalla ditta produttrice. La scelta delle accessioni straniere
è motivata, oltre che dalla loro diffusione nell’areale etneo, dai
rapporti di parentela tra queste intercorrenti.
Il DNA estratto è stato amplificato seguendo una procedura che prevede
la reazione, in un volume di 15l, di 1X tampone di reazione [20
mM Tris-HCl (pH 8.4), 50 mM KCl] 0,2 mM dNTPs, 1,5 mM di MgCl 2 ,
0,3 M primer, 1 unità di Taq polimerasi (Invitrogen) e 30 ng di DNA
genomico. Le reazioni di amplificazione sono state effettuate in un
termociclatore Geneamp® PCR System 9700 (Applied Biosystems,
Foster City, CA). L’apparecchiatura per le reazioni di amplificazione è
stata programmata come segue: 5’ a 94 °C per la separazione iniziale dei
due filamenti di DNA, 45 cicli di 15” a 94 °C, 15” a 36 °C e 80” a 72 °C,
seguiti per l’estensione finale da 10’ a 72 °C. Il campione è stato quindi
mantenuto a 4 °C sino all’elettroforesi. Per un primo screening del materiale
vegetale in esame sono stati utilizzati 80 coppie di primer decameri
(serie OPA, OPF, OPG, OPN, Operon Tecnologies, Alameda, California);
120

tra questi sono stati scelti 28 che hanno fornito profili polimorfici chiari
e riproducibili, e che sono stati utilizzati per l’analisi delle 13 varietà. I
prodotti di amplificazione ottenuti per ciascun primer sono stati separati
tramite elettroforesi su gel d’agarosio all’1,5%, evidenziati tramite colorazione
con bromuro d’etidio. Le bande polimorfiche sono state utilizzate
per creare una matrice, contrassegnando con “1” la presenza di bande
e con “0” per indicarne l’assenza in ciascun genotipo. La matrice
complessiva delle bande polimorfiche è stata analizzata tramite il software
NTSYS 2.2 (Rohlf, 2000) per la costruzione di un dendrogramma
UPGMA (Unweighted Pair Group Method with Arithmetic mean) basato
sull’indice di similarità di Dice.
Allestimento di campi collezione e di impianti sperimentali
Allo scopo di conservare il materiale autoctono reperito, di apprezzarne
il comportamento in condizioni uniformi, nonché di valutare il
comportamento di alcuni portinnesti di bassa vigoria, sono stati allestiti
dei campi sperimentali nei territori dei comuni di Giarre, S.Alfio e
Piedimonte Etneo. Nei campi sono state messe a dimora alcune cultivar
alloctone per uno studio comparativo con il patrimonio cerasicolo autoctono.
Inoltre, nel 2005 sono state impiantate nel campo di Piedimonte
Etneo le accessioni autoctone di ciliegio innestate su tre portinnesti, due
di origine clonale che inducono un accrescimento più contenuto della
pianta (Gisela 5 e CAB 6 P) ed il franco come testimone. I rilevamenti,
già in corso, riguardano i parametri vegetativi relativi allo sviluppo delle
piante (volume chioma, circonferenza tronco) e le caratteristiche produttive
dei frutti in termini quali-quantitativi.
Risultati e discussione
L’attività di reperimento di germoplasma autoctono di ciliegio ancora
esistente è stata realizzata particolarmente nel versante orientale del
massiccio etneo, ad un’altimetria molto diversificata, da pochi metri ad
121

oltre 1000 m s.l.m. e sono state individuate ventidue accessioni comprendenti
sia cultivar ampiamente diffuse che varietà ad imminente rischio
di scomparsa, delle quali tre mai prima segnalate.
Le accessioni di ciliegio di antica diffusione individuate sono state
distinte, in base all’epoca di maturazione, in medio-precoci e mediotardive,
queste ultime raccolte a partire dalla seconda decade di giugno.
Per quanto concerne le tre accessioni mai prima riportate in letteratura,
tali entità sono state indicate con il nome di ‘Gabbaladri’, in ragione
della colorazione giallo-rosata dei frutti a piena maturazione non
appetibile alle eventuali azioni furtive, ‘Puntalazzese’, in quanto rinvenuta
nella frazione di Puntalazzo, ricadente nel comune di Mascali (CT),
e ‘Zio Peppino’ (Fig. 1).
La ‘Gabbaladri’ si caratterizza per un habitus procombente, una
maturazione compresa fra la seconda e la terza decade di giugno; presenta
il frutto di forma depressa e colore giallo-rosato, con un seme
sferoidale e poco aderente, la polpa di elevata acidità anche a maturazione
inoltrata. La ‘Puntalazzese’ produce frutti che maturano nella terza decade
di giugno, di forma sferoidale con i noccioli ellissoidali poco aderenti;
122

la buccia e la polpa hanno una colorazione rossa intensa. La ‘Zio Peppino’,
che matura tra la seconda e la terza decade di maggio, presenta frutti
cordiformi con noccioli ellissoidali poco aderenti.
Nel complesso delle cultivar reperite per quanto riguarda le caratteristiche
pomologiche si è riscontrata una notevole variabilità delle dimensioni
dei frutti (Tabb. 1 e 2), con pesi medi variabili dai 2,9 g della
‘Cappuccia pizzuta’ agli 8,7 g della ‘Ciliegia di Don Antoni’. Le cultivar
molto precoci sono risultate di scarse dimensioni (‘Maiolina’ e ‘Maiolina
a grappolo’), mentre quelle più diffuse (‘Napoleona precoce’ e ‘Ciliegia
di don Antoni’) hanno raggiunto, rispettivamente, pezzature medie e
grandi. Per quanto concerne le caratteristiche qualitative dei frutti è da
rilevare che le accessioni che hanno mostrato elevati valori di acidità
hanno anche presentato un alto contenuto in solidi solubili totali, ad eccezione
delle cultivar precoci ‘Maiolina’ e ‘Maiolina a grappolo’, della
‘Ciliegia di don Antoni’ che, difatti, presenta un sapore poco contrastato,
e della ‘Gabbaladri’ sopra descritta.
Per quanto riguarda la caratterizzazione molecolare, le 28 coppie di
primer hanno generato un totale di 43 marcatori polimorfici che, nel
loro complesso, hanno permesso di discriminare le 13 accessioni. Il
dendrogramma ottenuto dall’analisi molecolare costruito con il metodo
UPGMA (Fig. 2) mostra una netta separazione tra le varietà autoctone e
quelle alloctone; la presenza tra queste ultime della ‘Napoleona forestiera’
avvalora l’ipotesi che questa sia appunto di origine alloctona, in
contrasto con la ‘Napoleona verifica’; infatti, tale denominazione in dialetto
indica l’identità certa di questa accessione. Riguardo la ‘Napoleona
precoce’, un unico marcatore (OPA_620) ha permesso di discriminarla
rispetto alla ‘Napoleona verifica’. È, infine, da segnalare come i risultati
dell’analisi filogenetica siano in accordo con l’origine di alcune delle
accessioni analizzate. Ad esempio, ‘Lapins’ e ‘Sweet Heart’ ricadono
nello stesso cluster con uno dei loro genitori (‘Van’). Analoga riflessione
può essere fatta per la ‘Cilegia di don Antoni’ che si pone nello stesso
cluster con ‘Cappuccia’ e ‘Raffiuna’; alcuni la considerano semenzale
di quest’ultima e la vicinanza di questi due genotipi avvalora tale ipotesi;
le analogie pomologiche la accostano maggiormente alla ‘Cappuccia’.
123

124

125

Conclusioni
L’attività di reperimento delle accessioni di ciliegio ha permesso di
individuare 22 accessioni di antica diffusione presenti nell’areale etneo;
inoltre, sono state caratterizzate sotto l’aspetto morfologico e pomologico
tre entità non segnalate in precedenza, la ‘Gabbaladri’, la ‘Puntalazzese’
e la ‘Zio Peppino’. Tale ricchezza di germoplasma cerasicolo presente
nel territorio merita di essere studiata con indagini approfondite mediante
la costituzione di campi collezione che consentano di rilevare la
variabilità delle loro caratteristiche in areali vocati ed ambienti uniformi.
Inoltre, nel contesto del recupero della cerasicoltura etnea determinata
anche dal conseguimento della DOP “Ciliegia dell’Etna”, il patrimonio
genetico studiato si presta, almeno in parte, a costituirne la base
produttiva anche sulla scorta degli ulteriori studi da condurre.
126

BIBLIOGRAFIA
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Vol. VIII : 1-39.
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Accad. Gioenia, Tomo VIII: 53-98. Dai Torchi di Giuseppe Pappalardo,
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SPINA P. 1959. La coltura del ciliegio nella zona etnea. Ricerche sulla
biologia fiorale e descrizione delle cultivar. Annali Sper. Agr. XIII, 4,
43 - 132 .
127

128

PRIMI RISULTATI DI INDAGINI ECONOMICHE
SULLA PRODUZIONE E SUL MERCATO
DELLA “CILIEGIA DELL’ETNA”*
INITIAL RESULTS OF ECONOMIC RESEARCH
INTO THE PRODUCTION AND MARKET
FOR THE “CILIEGIA DELL’ETNA”
Marcella Bucca, Mario D’Amico, Alessandro Scuderi
Dipartimento di Scienze Economico-Agrarie ed Estimative (DISEAE)
Università degli Studi di Catania, Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
La coltivazione del Ciliegio nella zona Etnea pur rivestendo un
modesto significato per l’economia agricola locale, nell’ultimo decennio
ha generato un interesse sempre maggiore fra le produzioni tipiche locali.
La ricerca ha per oggetto sia gli aspetti economici territoriali ed aziendali
della coltivazione, che quelli relativi al mercato ed al consumo, necessari
per la definizione di una riflessione sulle possibili future strategie di
sviluppo e valorizzazione della coltura della “Ciliegia dell’Etna”.
Parole chiave: produzione, risultati economici, mercato, consumo.
Abstract
Cherry cultivation in the Etna area while having modest significance
for the local agricultural economy, has generated ever increasing interest
* Coordinatore responsabile prof. Carmelo Sturiale. Il lavoro è frutto della piena collaborazione
degli autori e risulta cosi ripartito: Bucca M. par 3.3; D’Amico M. par 2, 3.2 e 3.5; Scuderi A.
par 3.1 e 3.4. la premessa e le conclusioni sono state redatte congiuntamente tra gli autori.
129

over the last decade in the context of typical local produce. The research
focuses on territorial and entrepreneurial economic aspects of cultivation
as well as aspects relative to the market and consumption, necessary for
giving form to a reflection on possible future strategies for development
and valorization of the “Ciliegia dell’Etna” as a crop.
Key words: production, economic results , market, consumption
1. Introduzione
La coltivazione del ciliegio sull’Etna rappresenta una realtà di modesto
significato per l’economia agricola locale, sia per la tipologia degli
impianti che per le limitate produzioni ottenute. Tuttavia nell’ultimo
decennio, si sta assistendo ad un interesse crescente per tale coltivazione
in relazione sia alla crisi di altre specie arboree (agrumi, pesco, ecc) che
alle interessanti quotazioni di mercato del prodotto proveniente dall’Etna.
La ricerca pertanto intende lumeggiare gli aspetti economici più
significativi della produzione e del mercato del massiccio Etneo, dopo
aver delineato il trend produttivo a diverso livello geografico. Tali analisi
assumono significato propedeutico essenziale, anche ai fini di predisporre
possibili modelli di sviluppo del comparto.
2. Materiali e metodi
La presente indagine, realizzata nel corso dell’ultimo quadriennio, si
è sviluppata in un’ottica di filiera attraverso un percorso originatosi
dall’analisi territoriale, volta ad individuare, delimitare e caratterizzare
gli aspetti tipici della cerasicoltura nell’area pedemontana etnea, seguito
da un’indagine tecnico-economica aziendale su un campione di 12
aziende cerasicole, mirata ad acquisire i peculiari aspetti della coltivazione
sia da un punto di vista tecnico che economico e riferita all’annata agraria
130

2004-2005 riguardo al sistema dei prezzi e al quadriennio 2001-02/2004-
05 circa le quantità (dei prodotti e dei fattori). L’indagine sottende,
inoltre, una ricerca concernente le caratteristiche organizzative del
mercato delle ciliegie etnee, articolata sull’individuazione delle modalità
di vendita (alla produzione, ecc.), dei luoghi di scambio (mercati
all’ingrosso, ecc.), delle “figure commerciali” coinvolte (commercianti,
ecc.) e del trend dei prezzi medi della merce scambiata nell’arco temporale
2002-2005. Ancora, è stato ritenuto indispensabile esaminare, attraverso
una specifica analisi di mercato, i peculiari aspetti legati al consumo
delle ciliegie dell’area etnea, al fine di comprendere meglio le potenzialità
di sviluppo della coltivazione in tale contesto territoriale.
3. Risultati e discussione
3.1 Diffusione e rilevanza della coltivazione
Gli investimenti e le produzioni del comparto cerasicolo rivelano trend
crescenti, con riferimento all’ultimo decennio. Tale tendenza rinvenibile
sia a livello mondiale che dell’UE, trova conferma per l’Italia in ordine
alle superfici investite con l’incremento delle stesse da 24,6 migliaia di
ettari del 1994 a 28,8 migliaia del 2004, con crescita del 17,1%.
Quanto alla distribuzione della cerasicoltura nell’ambito italiano, le
regioni maggiormente interessate sono la Puglia, la Campania e l’Emilia
Romagna, mentre del tutto trascurabile è il ruolo rivestito dalla Sicilia,
ove si osservi che nel 2004 le relative superfici ammontano a 794 ha
(pari al 2,5% di quelle italiane) e le corrispondenti produzioni, nel periodo
2001-04 a 2,6 migliaia di tonnellate (2,0%).
Concentrando ora l’attenzione sulla Sicilia (tab. 1), in termini di
superficie investita, a fronte di una flessione di circa l’8 % nell’ultimo
decennio a livello regionale, Catania presenta una costanza assoluta (ha
535), con la conseguenza di accrescere il proprio peso, che dal 66,3%
del 1994 raggiunge il 72% nel 2004.
131

Le produzioni di ciliegie nell’ultimo decennio invece a Catania
crescono da 923 a 1.044 tonnellate, con aumento delle incidenze su quelle
corrispondenti regionali dal 30% al 40% circa, in controtendenza rispetto
a quelle totali siciliane (flessione di quasi il 15%).
3.2. Primi risultati delle indagini territoriali
La localizzazione della cerasicoltura nel massiccio etneo è stata
accertata attraverso un’indagine diretta sul territorio, articolata e puntuale,
condotta nel 2005. Tale analisi territoriale è stata effettuata con il supporto
di schede-questionario predisposte ad hoc e delle carte dell’IGM scala
1:25.000. I caratteri peculiari della cerasicoltura etnea, con scarsissima
densità sull’ettaro e frammista ad altre specie, ha reso particolarmente
complicata la ricognizione diretta sui luoghi ed ha consigliato di adottare
una delimitazione territoriale di tipo “areale”, evidenziando le aree nelle
quali si rinviene la presenza almeno di un discreto numero di piante in
coltura secondaria. Tali caratteri consentono di affermare che i risultati
conseguiti debbono ritenersi solo approssimativi, quantunque
sufficientemente validi. Il territorio del massiccio etneo è contrassegnato
da una presenza “visibile” della cerasicoltura che si estende da Pedara
fino a Piedimonte Etneo, entro una fascia altimetrica compresa fra 50-
100 metri e 700-800 metri s.l.m..
La consistenza della coltivazione è leggermente superiore a 600
ettari, di cui quella in coltura principale supera di poco i 100 ettari.
Quest’ultima (in prevalenza rappresentata da impianti più o meno
giovani) rappresenta poco meno del 17% del totale e non rivela una
concentrazione territoriale, risultando presente e dispersa in quasi
tutti i comuni nei quali insiste la coltura secondaria. Il volume della
produzione stimato per l’ultimo biennio si attesterebbe intorno a 1.000
tonnellate, presenta sostanzialmente la seguente composizione per
cultivar: “Mastrantonio o Donantonio” (30-40%), “Napoleona
precoce” (25-30%), “Napoleona” (5-10%), “Ferrovia” (5-10%) e le
“Altre” (10-35%).
132

3.3. Primi risultati delle indagini aziendali
Riguardo alla presente indagine, sono state oggetto di puntuale
rilevazione 12 aziende cerasicole specializzate o singoli appezzamenti
specializzati presenti in unità ad indirizzo produttivo misto.
L’acquisizione dei dati è stata condotta attraverso interviste dirette agli
imprenditori (metodo face to face), al fine di acquisire informazioni
generali e specifiche relative all’organizzazione ed alla gestione
aziendale, unitamente a dati che consentiranno, dopo opportuna
elaborazione, l’ottenimento di utili indicatori tecnico-economici dell’unità
produttiva. Nella fase di rilevazione inoltre ci si è avvalsi dell’ausilio di
una scheda appositamente predisposta.
Nelle aziende che compongono il campione le superfici sono risultate,
in netta prevalenza, inclinate e quasi sempre sistemate con terrazzamenti
in muratura, talora di dimensioni più o meno limitate. La cultivar
nettamente prevalente è la “Mastrantonio”, che proprio nell’area etnea
trova ottimali condizioni ambientali per estrinsecare le proprie
potenzialità produttive, con età frequentemente compresa fra 10 e 20
anni. La densità di piantagione è abbastanza differenziata, oscillando da
circa 110 a 280 piante/ha, ancorché negli arboreti più giovani si riscontrino
le fittezze più elevate.
Circa i risultati economici relativi alle suddette imprese, si rileva che
(tab. 2) i valori medi di produzione si attestano su poco meno di 4,8 mila
i/ha, con un campo di oscillazione tra i 3 mila e poco oltre 7,4 mila i/
ha. I costi medi di produzione sono pari a 4,5 mila i/ha, mentre quelli
minimi e massimi risultano rispettivamente di circa 3,8 e 5,8 mila i/ha.
In queste condizioni se il profitto medio aziendale e appena positivo con
36 i ad ettaro si riscontra un minimo negativo per quasi 1.000 euro ed
un massimo poco sotto i 1.600 euro ad ettaro. Emerge, pertanto, una
realtà molto stratificata, ancorché bisogna tenere presente che di fatto
gli agricoltori giudicano l’efficienza in base non tanto al profitto quanto
al reddito netto, cui occorre aggiungere che spesso la componente
cerasicola è solo una frazione dell’unità aziendale.
133

Quello che tuttavia occorre evidenziare concerne la bassa produttività
del lavoro, stante i notevoli impieghi per la raccolta e che ciò non potrà
essere sensibilmente migliorato fin quando detta operazione sarà svolta
manualmente.
3.4. Primi risultati delle indagini sul mercato
Le informazioni acquisite presso gli operatori della filiera indicano
in modo chiaro che il mercato delle ciliegie etnee è rappresentato da
quello locale, intendendo con tale espressione soprattutto centri urbani
di Catania e Giarre ed i rispettivi hinterland.
L’offerta locale tuttavia non è l’unica ad approvvigionare tali aree,
rinvenendosi in essa crescenti quantità di ciliegie di provenienza
extraregionale (soprattutto Puglia ed Emilia Romagna) e dall’estero (in
primo luogo Spagna e Turchia).
Stante questo scenario, l’analisi dei prezzi nel quadriennio 2002/2005,
pur con alcune limitazioni derivanti dalle indicazioni dell’origine, ha
fornito alcune interessanti indicazioni, quali un trend flettente dei prezzi
ed un notevole campo di variazione fra minimo e massimo nello stesso
periodo; tale variazione, sulla base delle rilevazioni effettuate, si desume
sia anche ascrivibile anche all’origine del prodotto, e stante il
posizionamento privilegiato della produzione etnea, si potrebbe dedurre
che le quotazioni più elevate siano riferibili all’offerta locale.
Inoltre analizzando i volumi annuali di ciliegie transitate nel mercato
all’ingrosso di Catania, nel quadriennio esaminato, essi sono pari a circa
4.000 t. Ove si consideri, da un lato, che la valutazione della produzione
cerasicola dell’Etna è di circa 1.000 t e, dall’altro, che il mercato generale
di Catania è solo un segmento, sebbene importante, attraverso il quale si
alimenta il mercato locale del Catanese, discende l’esistenza di grandi
spazi potenziali per l’offerta cerasicola etnea (spesso di alto pregio
qualitativo) nell’area della Sicilia orientale, onde in atto non sembra
necessaria la costituzione di reti lunghe di mercato, anche in
considerazione che parte del prodotto viene destinato sia alla vendita
diretta che al mercato locale di Giarre.
134

All’analisi sopra descritta è seguita l’analisi dell’organizzazione
commerciale sulla base di interviste dirette ad alcuni produttori leader
della zona.
La modalità di vendita del prodotto, da parte del produttore, avviene
secondo due modalità quale quella a “strasatto”, sulla base della stima
delle quantità e del prezzo (tale modalità di vendita può avvenire a “legno
secco” e a “frutto pendente”, la prima, basata sull’acquisto delle
produzioni potenziali, prima ancora dell’avvio della fase vegetativa sta
perdendo importanza e quella a peso, che a tutt’oggi è poco frequente,
ma che tende a diffondersi sempre più).
Con riferimento al mercato delle ciliegie , svolgono le attività i
produttori per circa il 40% dell’offerta, provvedendo alla raccolta e alla
commercializzazione ovvero si fanno carico delle operazioni post raccolta
(selezione, confezionamento e trasporto) con cessione della merce sui
mercati all’ingrosso (Giarre e Catania) a posteggianti o commissionari,
ovvero ancora rifornendo i punti vendita.
Ruolo ancora consistente assumono gli “speculanti” che acquistano
“a strasatto” il prodotto (circa il 35%), provvedono a raccoglierlo e
concentrarlo, con successiva cessione ad altre figure di mercato. Una
terza figura è rappresentata dagli operatori commerciali, che acquisiscono
direttamente la merce presso le aziende cerasicole (25% del totale)
generalmente con acquisiti a “strasatto” e provvedono alle necessarie
operazioni per inoltrarla sui mercati generali o rivendendola a punti
vendita.
Quanto alle strutture operanti a livello territoriale si osserva la presenza
di un’associazione di produttori costituita nel 2004, sorta allo scopo di
concentrare l’offerta e valorizzare le produzioni ottenute. Su iniziativa
di essa è stata avanzata la richiesta della DOP “Ciliegia dell’Etna”, che
è stata accolta dal MIPAAF nel 2006, con l’emissione della protezione
transitoria con decreto del 30/11/2006, in attesa di riconoscimento
dell’Unione Europea. Allo stato attuale ad essa aderiscono 17 produttori
(che detengono una superficie di 70 ettari) e 2 operatori commerciali,
mentre sul piano operativo non sono state ancora avviate le attività
135

istituzionali proprie dei consorzi di tutela, ancorché risulta che è stato
definito un packaging unico per la commercializzazione del prodotto
dell’annata agraria 2006/07.
3.5. Primi risultati delle indagini sul consumo
L’indagine triennale ha previsto un’analisi sui caratteri del consumo
e sulla percezione della qualità delle ciliegie ed in particolare di quelle
etnee, da parte di un campione di 500 consumatori. A seguito
dell’accertamento che i mercati di collocazione dell’offerta delle
produzioni dell’Etna sono quasi esclusivamente rappresentati da quelli
presenti nel tessuto locale, si è proceduto ad effettuare una ricerca di
mercato, delimitando l’area d’indagine al territorio ricadente nella
provincia di Catania.
Le interviste sono state condotte con il metodo face to face utilizzando
una scheda-questionario appositamente predisposta, contenente le
indicazioni relative all’acquisizione di dati ed informazioni inerenti le
abitudini e le preferenze dei consumatori. L’organizzazione del piano di
rilevazione, ha previsto anche una ripartizione adeguata del campione
da intervistare. Infatti, mentre il 50% del campione, pari a 250
consumatori, è stato oggetto di rilevazione presso la Grande Distribuzione
Organizzata, la restante quota è stato oggetto presso il dettaglio
specializzato.
Per quanto riguarda le caratteristiche socio-economiche del campione
esaminato, si rileva che i responsabili degli acquisti familiari intervistati
sono per il 67% donne e per il 33% uomini; la fascia di età prevalente
(49,2%) è quella compresa tra i 31 ed i 50 anni; il titolo di studio posseduto
è medio elevato (il 75% risulta con il diploma di istruzione superiore); il
reddito dichiarato prevalente, dagli intervistati, nel 45,4% dei casi è
compreso tra gli 11 ed i 20 mila Euro. Riguardo ai risultati, il 61% del
campione ha dichiarato (fig. 1) di consumare abitualmente ciliegie fresche
ed il 56% (fig.2) di essere indifferente, nella fase d’acquisto, circa la
provenienza delle ciliegie. Tuttavia, il 71% degli intervistati (fig.3) ha
ammesso di essere a conoscenza della coltivazione del ciliegio effettuata
136

sulle pendici dell’Etna e che, quindi, ha una chiara cognizione circa
l’identità territoriale del prodotto “ciliegie dell’Etna”. Infine, su livelli
ancora più elevati, con un’aliquota pari al 79%, si attesta l’interesse
potenziale mostrato dagli intervistati rivolto verso un effettivo e ripetuto
consumo delle ciliegie etnee (fig. 4), evidenziando ampie possibilità di
sviluppo e valorizzazione di tali produzioni.
4. Conclusioni
Sul massiccio Etneo negli ultimi anni si è registrato un ritorno di
interesse verso la cerasicoltura, a cui hanno fatto seguito una limitata
crescita delle superfici e la tendenza verso una migliore organizzazione
commerciale. Le iniziative per la diffusione e la valorizzazione della
coltura operate sia dalle SOAT di Giarre dell’Assessorato Regionale
Agricoltura e Foreste che dell’Associazione dei produttori neo costituita,
alla quale si deve il riconoscimento della DOP, rappresentano un notevole
stimolo per il rilancio della “Ciliegia dell’Etna”. Tuttavia anche per tale
prodotto, che fino all’annata 2004/05 non presentava problemi di ordine
commerciale derivanti dalla concorrenza delle importazioni extraregionali
o estere, nell’ultima annata sono state rilevate condizioni di
mercato sfavorevoli al prodotto etneo, con crescenti quantità di merce
offerta di provenienza estera, a prezzi molto bassi, che remuneravano
appena i costi di raccolta.
In relazione allo scenario delineato si evince che per la “Ciliegia
dell’Etna” il futuro dovra essere fondato su impianti giovani, specializzati,
con elevata caratterizzazione commerciale (DOP Ciliegia dell’Etna) a
cui associare attività di marketing dirette ad un posizionamento
privilegiato del prodotto etneo, in grado di orientare le preferenze del
consumatore verso l’offerta locale, in quanto strategie price, in generale,
ma ancor di più per la ciliegia locale non potranno essere attuate per gli
elevati costi unitari di produzione, soprattutto per l’alta incidenza delle
spese per la raccolta.
137

BIBLIOGRAFIA
D’AMICO M., 1997. Analisi del costo di produzione delle ciliegie nel
nord-est etneo (primi risultati), Atti del Convegno Nazionale del
Ciliegio, Valenzano (Bari), 19-21 giugno.
D’AMICO M., 2000. Aspetti e problemi del mercato delle ciliegie del
nord-est etneo, Atti del Convegno “Il ciliegio nel massiccio etneo”,
Macchia di Giarre (CT), 22-25 giugno.
138

139

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141

142

I PIGMENTI DEI SEMI DI PISTACCHIO
PIGMENTS IN PISTACHIOS
Maria Giovanna Bellomo, Biagio Fallico
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
I semi di pistacchio sono particolarmente apprezzati per il gusto e il
colore verde brillante. In questo lavoro sono stati studiati e quantificati,
in campioni di pistacchio di diversa origine e grado di maturazione, i
pigmenti che contribuiscono al colore complessivo di questi semi. In
particolare sono stati determinati, via HPLC, il contenuto di cianidina-
3-galattoside presente sulla cuticola esterna, il contenuto di clorofille a e
b, di luteina e -carotene contenuti all’interno del seme di pistacchio.
Sono stati inoltre determinati i parametri del colore L*Ch. I campioni
d’origine italiana sono stati gli unici a mantenere valori di clorofille elevati
fino a maturazione completa.
Parole chiave: pistacchio, colore, cianidina-3-galattoside, clorofilla,
luteina.
Abstract
The pistachio is a seed particularly appreciated for its flavour
and emerald-green colour. The aim of this paper was to study the
major coloured compounds in pistachio nuts from different geographic
origin. Qualitative and quantitative analyses of pigments in
143

commercial samples of pistachio nuts (coming from Greece, Iran,
Italy and Turkey) were performed by HPLC. The CIE color parameters
were also measured.
The results highlighted mainly the presence of Cyanidine-3galactoside,
Chlorophyll a, Chlorophyll b and Lutein. Pigments
concentration and some color parameters are influenced by ripening
degree and origin. Among pigments it was observed a linear correlation,
too. The Italian samples showed at ripeness always the highest pigments
concentration.
Key words: pistachio nuts, anthocyanins, cyanidine-3-galactoside,
chlorophyll, lutein, colour parameters.
Introduzione
Il pistacchio è una specie arborea rustica, dotata di notevole adattabilità
anche a condizioni ambientali (climatiche, idriche e pedologiche)
estreme, il che ha fatto sì che tale coltura, in Europa e in Asia, fosse
relegata in zone in cui qualsiasi altra frutticoltura sarebbe stata impossibile.
La pistacchicoltura, infatti, è localizzata soprattutto in Iran, Turchia,
USA, Siria, Italia, Tunisia e Grecia; ogni area coltivata presenta le proprie
varietà (per quanto il panorama varietale sia piuttosto limitato rispetto
alle altre specie frutticole) dalle quali avremo pistacchi dai
cotiledoni verdi o gialli, in funzione del contenuto in clorofilla, e da cui
dipenderebbe la percentuale dei frutti vuoti e, in parte, anche il fenomeno
della produzione ad anni alterni (F.MONASTRA et al 1987).
In Italia la coltivazione del pistacchio si ha in Sicilia ed in particolare
a Bronte e Adrano (in provincia di Catania) per l’84%, seguono le province
di Caltanissetta, Enna ed Agrigento (A.FABBRI and C.VALENTI,
1998); tuttavia, le circoscritte aree dedicate a tale coltura, le problematiche
legate alla situazione pedoclimatica di tali aree e all’oggettiva difficoltà
d’intervento agronomico (soprattutto nel territorio di Bronte) ed, infine,
144

il fenomeno dell’alternanza fanno sì che la produzione, rispetto ai Paesi
asiatici e alla stessa California, sia piuttosto esigua, ma pur sempre d’elevata
qualità (DI MARCO 1987). Il pistacchio italiano, per le sue apprezzabili
caratteristiche legate alla conformazione, pezzatura, aroma e, soprattutto,
al colore verde, Ë prevalentemente impiegato come prodotto
sgusciato e pelato, destinato all’industria degli insaccati nonché alla pasticceria
e gelateria artigianale, all’industria dolciaria e ad altri usi alimentari
(ANGELINI 1987).
I primi studi concernenti la componente pigmentata dei semi di pistacchio
sono quelli di GIOVANNINI e CONDORELLI (1958) che, in un lavoro
sul metabolismo dei pigmenti cloroplastici, riferiscono circa la presenza
di Clorofilla a, Clorofilla b, b-Carotene e Luteina (confermati da
GEBHARDT e THOMAS, 2002); gli stessi, inoltre, fanno osservare come nel
corso della maturazione il pistacchio sia contrassegnato da una prima
fase di accumulo di clorofilla seguito da una fase di caduta del pigmento.
Ricerche più recenti (AGAR et al, 1998), invece, riportano dati interessanti
sulla variazione del contenuto in clorofilla in alcune varietà di pistacchio
di diversa provenienza; in essa si osserva come, in effetti, le cultivar italiane
mostrino i valori di clorofilla più elevati. Relativamente, infine, alla pellicola
esterna del seme, è disponibile in letteratura un solo lavoro (MINIATI, 1981)
riguardante il riconoscimento qualitativo dei pigmenti responsabili della
colorazione rossa della stessa, identificato come Cianidina-3-galattoside.
In questo lavoro sono riportati i risultati relativi alla composizione
quali-quantitativa dei principali pigmenti in semi di pistacchio di differente
origine e grado di maturazione.
Materiali e metodi
Campionamento
Gli esperimenti sono stati compiuti utilizzando 8 campioni di pistacchio
sgusciato, ciascuno proveniente da partite di 40-100 quintali. I
campioni sono di diversa provenienza (Iran, Grecia, Turchia, Bronte,
145

Agrigento), i campioni stranieri sono stati prelevati a 3 diversi stadi di
maturazione (verde, verde- giallo e giallo) mentre quelli italiani
(Agrigento, Bronte) sono stati prelevati a maturazione completa dei frutti.
Determinazione dei parametri del colore CIE (L*, C, h)
La misura dei parametri del colore L* C h è stata effettuata con un
colorimetro portatile Nippon Denshoku (NR-3000), con illuminante C2.
I valori sono stati rilevati su 20 pistacchi prelevati da ogni campione. Si
sono poi calcolate separatamente le 3 medie, considerando 4 rilevazioni
effettuate sul tegumento del pistacchio sgusciato, sulla superficie esterna
del pistacchio pelato e sulla porzione interna dei cotiledoni.
Preparazione dei campioni ed estrazione delle antocianine
Sono stati pelati (a freddo) la quantità di pistacchi necessari ad ottenere
1-1.2 g di bucce. Le bucce (300 mg per ogni campione) poi, al fine
dell’estrazione sono state sminuzzate finemente e versate in una beuta
da 50 ml, alle quali sono stati aggiunti 20 ml di una soluzione acquosa di
acido formico (1%) e lasciata in agitazione magnetica per un’ora. La
beuta è stata ricoperta con un foglio d’alluminio, per evitare la degradazione
degli antociani con la luce (Gao et al., 1997). Dopo aver filtrato il
miscuglio con carta da filtro si sono condotte altre due estrazioni con 10
ml una soluzione di metanolo acido acidificato con acido cloridrico
(0.1%). Gli estratti sono stati riuniti e portati ad un volume di 50 ml
finali con la soluzione di metanolo acido. Dopo miscelazione ne è stata
presa un’aliquota con una siringa da 5 ml e filtrata con dei filtri con pori
da 0.45 m. Tutte le prove sono state effettuate in doppio.
Determinazione HPLC delle antocianine
Il riconoscimento qualitativo delle antocianine del pistacchio è stato
eseguito sia per via strumentale, sia per via chimica, in particolare:
Un estratto purificato, Via HPLC, è stato analizzato, introducendo il
campione per infusione, tramite uno spettrometro di massa (LCQ-
146

DUO, Thermo Quest) con sorgente Electro-spray. Senza energia di
collisione per avere il picco molecolare e utilizzando un’energia fino
al 20 % del valore massimo per avere informazioni sui frammenti più
importanti.
Per confronto del tempo di ritenzione HPLC del picco contenuto
nell’estratto del campione con quello di uno standard puro
d’antocianina.
Per idrolisi parziale e totale dell’estratto contenente l’antocianina con
HCl (2N) a 90° C per tempi differenti da 30 a 180 minuti e successivo
riconoscimento dell’antocianidina (aglicone) e dello zucchero mediante
HPLC.
Inoltre per stabilire se l’antocianina era un 3, 5 glucoside, sono stati
paragonati i rapporti tra le assorbanze (A 440/ A max ; A 330 /A max ; A 279 /A max )
del picco dello standard a specifiche lunghezze d’onda (Fossen et al.,
1996). L’analisi HPLC è stata eseguita utilizzando un cromatografo liquido
Varian 9012 Q munito di detector diode array (Star 330, Varian)
con un flusso di 1.2 ml /min, in accordo con il metodo di riportato da
Fossen et al.(1996). La colonna utilizzata è una Merck, Lichrocart
250x4mm, Lichrosphere 100 RP-18 (5m).
Determinazione HPLC delle clorofille e carotenoidi.
Cinque grammi di pistacchio triturato sono stati miscelati con una
soluzione d’Acetone/MeOH (75/25) per estrarre le clorofille e la luteina
presente (Fuke et al., 1985). L’estrazione con solvente è stata ripetuta
fino alla completa decolorazione della matrice. La miscela estraente
quindi centrifugata a 8500 gir/min., concentrata in rotovapor, portata a
volume con la stessa fase HPLC ed iniettata (20 l). L’estrazione del carotene
è stata effettuata, su un’altra aliquota di campione, con 40 ml di
esano. Il metodo HPLC era il seguente (Pilar Cano, 1991): colonna,
Merck, Lichrocart 250x4mm, Lichrosphere 100 RP-18 (5m); flusso, 1
ml/min.; lunghezze d’onda: 448 nm luteina, 463 e 430 nm per clorofilla
a e clorofilla b.
147

Risultati e discussione
Antocianine
I risultati della spettrometria di massa, l’analisi sull’idrolizzato e il
confronto del tempo di ritenzione hanno evidenziato che la colorazione
rossa della cuticola esterna del seme di pistacchio è dovuta alla presenza
di cianidina-3-galattoside.
Tutti i campioni analizzati, a prescindere della loro origine geografica
e varietà, hanno mostrato di contenere quasi esclusivamente cianidina-
3-galattoside. Solo in alcuni campioni erano presenti tracce di ciandina-
3-glucoside. Il contenuto di cianidina-3-galattoside (Tabella 1) può essere
utilizzato come indice di maturazione, si ha infatti: un contenuto
molto basso (22 mg/kg) o addirittura assente nei semi di pistacchio immaturi;
un contenuto intermedio, 106-145 mg/kg, nei campioni a
maturazione intermedia; valori eguali o superiori a 300 mg/kg nei campioni
raccolti a maturazione completa (Tabella 1). E’ importante
evidenziare, inoltre, che la pigmentazione esterna del seme è indipendente
dalla sua origine o varietà.
Clorofille e luteina
Il profilo HPLC degli estratti mostra la presenza di clorofilla a e b, di
luteina e -carotene. Il profilo cromatografico mostra, inoltre, due picchi
di minore intensità attribuibili alla presenza di epimeri in C10 delle
clorofille a e b, rispettivamente. Il contenuto delle due clorofille e del
totale è riportato in tabella 2.
La più alta concentrazione di clorofille totali è stata osservata nel
campione 2 (Turco) con 200.3 mg/kg, seguito dal campione 1 (Iran) con
151.8 mg/kg. I campioni italiani (8 e 7) hanno mostrato una concentrazione
di clorofille totali rispettivamente di 159.5 e 143.1 mg/kg. Valori
intermedi, 118.2 e 104.2, sono stati rilevati nei campioni a colorazione
intermedia (giallo/verde), mentre il valore più basso è stato riscontrato
148

nel campione d’origine turca (25.4 mg/kg) venduto come prodotto giallo.
Il campione greco (n. 5), sebbene fosse un prodotto maturo, come
evidenziato dal contenuto esterno di cianidina-3-galattoside, e venduto
a colorazione intermedia, giallo/verde, mostrava un contenuto di clorofille
piuttosto basso, 39.7 mg/kg. I campioni maturi mostravano un diverso
rapporto clorofilla a/clorofilla b, in funzione della loro origine. I
campioni italiani mostravano tutti un rapporto superiore a 2.9, mentre
gli altri mostravano un rapporto compreso tra 2.3 e 1.6.
Nei campioni d’origine turca, raccolti a tre diversi stadi di maturazione,
il livello di clorofille diminuisce linearmente con la maturazione e, di
conseguenza, in maniera inversamente proporzionale con la
pigmentazione esterna del seme.
Tra i campioni analizzati, solo i semi di pistacchio siciliano mantengono
la colorazione verde del frutto fino a completa maturazione.
Per quanto riguarda i carotenoidi, il pigmento principale è rappresentato
dalla luteina (Tabella 3). La concentrazione di -carotene è sempre
inferiore a 1.8 mg/kg. Così come gli atri pigmenti, cianidina-3-galattoside
e clorofille (a e b), il livello di luteina nel seme dipende sia dall’origine
sia dal grado di maturazione del frutto. I due campioni non maturi (n. 2
e 1) mostrano il più alto contenuto di luteina, rispettivamente 52.1 e
41.3 mg/kg. I campioni italiani mostravano valori tra loro molto simili,
37.7 e 35.4 mg/kg. I valori più bassi sono stati riscontrati nel campione
greco e d in quello turco maturo, 18 mg/kg.
Analisi del colore
La tabella 4 riporta i parametri del colore misurati utilizzando le coordinate
cilindriche (L*, C, h). In analogia a quanto evidenziato con la
misura chimica dei singoli pigmenti, anche la misura dei parametri del
colore ha evidenziato delle correlazioni tra il colore del seme e la sua
origine e/o il suo grado di maturazione. In modo particolare per i parametri
L* ed h misurati sulla superficie esterna del prodotto sgusciato. In
questo caso il parametro L* era sempre inferiore a 31 nei campioni ma-
149

turi (n. 6-8); tra 35-38 nei campioni intermedi (n. 3-5); valori superiore
a 50 nei campioni immaturi (n. 1, 2). Per quanto riguarda il parametro h,
misurato sulla superficie esterna del prodotto sgusciato, mostra un valore
inferiore a 11.3 nei campioni maturi ed intermedi, valori nettamente
superiori, 26.9 e 43.2, nei due prodotti immaturi. All’interno del seme il
parametro h, misurato dopo l’apertura dei due cotiledoni dei semi, è
correlato al contenuto di clorofilla dei semi. In ogni caso i prodotto venduti
come “verde” mostrano valori superiori a 99.3, quelli venduti come
“giallo” valori sempre inferiori a 96, mentre i prodotti a maturazione
intermedia mostrano un’elevata variabilità del parametro h interno, tra
98.2 e 99.6.
I parametri del colore dei semi di pistacchio, così come i rapporti tra
le concentrazioni dei diversi pigmenti, possono essere utilizzati per valutare
i diversi gradi di maturazione dei semi. I rapporto h interno/L*
esterno è sempre maggiore di 3 nei campioni maturi; tra 2 e 3 nei campioni
a maturazione intermedia; inferiore a 2 nei campioni non maturi.
Considerazioni finali e conclusioni
Questi studi hanno confermato che la pellicola esterna dei semi di
pistacchio contiene una sola antocianina, la cianidina-3-galattoside.
Il contenuto di cianidina-3-glucoside supera i 300 mg/kg nel prodotto
maturo.
I campioni di pistacchio siciliano sono gli unici che mantengono il
colore verde fino a maturazione completa.
Le coordinate del colore da sole non discriminano i semi di pistacchio
di differente provenienza, ma possono differenziare i diversi stadi
di maturazione dei semi.
150

BIBLIOGRAFIA
AGAR, I.T., KAFKAS, S., & KASKA, N. (1998). International
symposium on pistachio nut. ACTA Horticulturae, 470, 372-377.
ANGELINI P. (1987. Agricoltura Ricerca – II, n.75-80, 79-82.
DI MARCO, L. (1987). Agricoltura Ricerca – II, n.75-80, 9-16.
FABBRI, A., & VALENTI, C. (1998). ACTA Horticulturae, 470, 43-49.
FOSSEN, T., ANDERSEN, Ø.M., ØVSTEDAL, D.O., PEDERSEN,
A.T., & RAKNES, A. (1996). J. Food Sci., 61 (4), 703-706.
FUKE, Y., SASAGO, K., & MATSUOKA, H. (1985). J. Food Sci., 50,
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GAO, L., GIRARD, B., MAZZA, G. (1997). J. Agric. Food Chem., 45
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GEBHARDT, S.E., & THOMAS R.G. (2002). Nutritive value of foods.
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GIOVANNINI, E., & CONDORELLI, G. (1958). La Ricerca Scientifica,
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MINIATI, E. (1981). Fitoterapia, 3 (6), 267-271.
MONASTRA, F., AVANZATO, D., & LODOLI, E. (1987). Agricoltura
Ricerca – II, n.75-80, 1-8.
PILAR CANO, M. (1991). J. Agric. Food Chem., 39 (10), 1786-1791.
151

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VALUTAZIONE DELLA SHELF LIFE
DEI SEMI DI PISTACCHIO
SHELF LIFE EVALUATION IN PISTACHIOS
Maria Giovanna Bellomo, Biagio Fallico, Giuseppe Muratore
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
Il presente studio ha avuto come scopo quello di verificare la stabilità
dei pigmenti (clorofilla a, clorofilla b e luteina) nei semi di
pistacchio. I campioni sono stati confezionati impiegando due differenti
film plastici (nylon ed etilen vinil alcol); in metà delle confezioni,
inoltre, sono stati inseriti degli assorbitori di O 2 . Le buste sono
state chiuse ermeticamente e sono state conservate al buio alle temperature
di 10, 25 e 37°C. Per ciascuna temperatura, infine, sono stati
conservati dei campioni confezionati in buste aperte come riferimento.
A fine conservazione (14 mesi), i pigmenti hanno subito un
certo grado di degradazione influenzato dal tempo e dalla temperatura
di conservazione. Le concentrazioni più basse sono state riscontrate
nei campioni conservati alla temperatura di 37°C con percentuali
di degradazione pari a: 62 % per la clorofilla a, 44 % per la
clorofilla b, 57 % per la luteina. Alle temperature di 10 e 25°C, a fine
prelievo, i campioni non hanno mostrato differenze statisticamente
significative, con percentuali di degradazione pari a: 46% per la clorofilla
a, 33% per la clorofilla b e 37 % per la luteina. Lungo il corso
della conservazione non sono emerse differenze legate né al tipo di
film adottato né alla presenza o meno degli assorbitori di O 2 . A 25°C, dopo
11 mesi, i campioni, conservati nelle buste non chiuse ermeticamente, han-
155

no mostrato la presenza di muffe e ed insetti (Plodia interpunctella - Hubner).
La degradazione dei tre pigmenti ha mostrato una cinetica di pseudo-zeroordine
con un’energia di attivazione di: 11.7 KJ/mol, 12.1 KJ/mol e 18.2
KJ/mol, rispettivamente per clorofilla a, clorofilla b e luteina.
Parole chiave: pistacchio, pigmenti, conservazione, assorbitori d’ossigeno,
cinetica
Abstract
Often the use of suitable packaging is very important to decrease the
degradation of food products. The aim of this study was to test stability of
pigments (chl a, chl b and lutein) in pistachio kernels stored for 14 months,
in the dark, at three different temperatures: 10, 25 and 37°C. The samples
were packaged using two films (nylon and EVOH), with and without oxygen
scavengers; packages were hermetically closed. Moreover, per each
temperature, some samples were packaged in bags without a hermetic seal,
as reference. After 14 months, at the end of the storage period, pigments
underwent a degradation that was influenced by storage time and
temperatures. Lower concentrations were observed at 37°C with a
degradation of about: 62% for chl a, 44% for chl b, 57% for lutein. At 10
and 25°C, the samples didn’t show any differences statistically significant
and the degradation of pigments were: 46% for chl a, 33% for chl b, 37%
for lutein. Among samples, during storage no difference was observed, due
to the packaging films or the presence of oxygen scavengers. At 25°C, after
11 months, samples packaged in bags not closed hermetically, showed a
presence of moulds and bugs (Plodia interpunctella - Hubner). For kinetic
study, rate of degradation of the three pigments fitted a pseudo-zero-order
kinetic and it was observed an activation energy of: 11.7 KJ/mol, 12.1 KJ/
mol and 18.2 KJ/mol, respectively for chl a, chl b and lutein.
Key words: pistachio nuts, pigments, maintenance, absorbers of oxigen,
kinetics
156

Introduzione
Il pistacchio è una specie arborea rustica, dotata di notevole adattabilità
anche a condizioni ambientali (climatiche, idriche e pedologiche)
estreme, il che ha fatto sì che tale coltura, in Europa e in Asia, fosse
relegata in zone in cui qualsiasi altra frutticoltura sarebbe stata impossibile.
La pistacchicoltura, infatti, è localizzata soprattutto in Iran, Turchia,
USA, Siria, Italia, Tunisia e Grecia; ogni area coltivata presenta le
proprie varietà, a seconda delle quali avremo pistacchi dai cotiledoni
verdi o gialli, in funzione del contenuto in clorofilla, e da cui dipenderebbe
la percentuale dei frutti vuoti nonché, in parte, anche il fenomeno
della produzione ad anni alterni (Monastra et al 1987). In Italia il pistacchio
viene coltivato in Sicilia e soprattutto a Bronte e Adrano (in provincia
di Catania) che detengono l’84% della produzione (Di Marco 1987).
I pistacchi sono apprezzati in tutto il mondo ed in genere vengono
consumati tal quali o tostati e salati; quelli italiani, in particolare, per le
loro apprezzabili caratteristiche legate alla conformazione, pezzatura,
aroma e, soprattutto, al colore verde, vengono prevalentemente impiegati
come prodotto sgusciato e pelato, destinato all’industria degli
insaccati nonché alla pasticceria e gelateria artigianale, all’industria
dolciaria e ad altri usi alimentari (Angelini 1987).
Tali semi, tuttavia, per il loro alto contenuto in lipidi (55 %), con
un’elevata % di acidi grassi insaturi, costituiscono un mezzo suscettibile
ai processi di ossidazione, responsabili del deterioramento di quelle
caratteristiche qualitative che li rendono così apprezzati. L’uso, dunque
di un materiale d’imballaggio adeguato si rende necessario al fine di
prolungare le caratteristiche qualitative di tale prodotto durante la conservazione.
Al riguardo, risulterebbe particolarmente indicata una conservazione
in assenza di O 2 ; essa, infatti, oltre a preservare gli acidi grassi
insaturi, impedirebbe anche la degradazione delle clorofille, molecole
anch’esse suscettibili all’azione dell’ O 2 essendo ricche di legami insaturi.
Allo stato attuale pochi lavori sono stati effettuati relativamente alla
stabilità di questo prodotto durante la conservazione; in particolare essi
riguardano la stabilità dei parametri del colore e dell’aroma (Andreini et
157

al., 2000), nonché la stabilità dei parametri qualitativi della componente
oleosa (Maskan and Karatas, 1999); nessuno studio riguardo la stabilità
dei pigmenti.
Nella presente ricerca, dunque, si è voluto verificare come l’uso di un
materiale ad alta barriera come Nylon ed EVOH (Ethylene Vinyl Alcohol),
in presenza o meno di assorbitori d’O 2 , e a diversi livelli di temperatura
(11, 25 e 37°C), influenzassero tali parametri qualitativi (i pigmenti per
l’appunto) dei semi di pistacchio durante un periodo di conservazione di
14 mesi.
Materiali e metodi
Semi di pistacchio di Bronte, relativi alla produzione 2003, sono stati
confezionati in bustine da 150 g, in due film polimerici a diversa
permeabilità: nylon e EVOH. Sono state inoltre preparate, per i due film,
una serie di campioni contenenti, al loro interno, un assorbitore di ossigeno.
I campioni sono stati immagazzinati, a tre temperature differenti:
10, 25 e 37°C. Per ciascuna temperatura, alcuni campioni sono stati lasciati
aperti come campioni di riferimento.
Determinazione delle clorofille e carotenoidi - circa 20 g di pistacchio
sono stati macinati per 30s. I pigmenti sono stati estratti seguendo
la procedura adottata da Fuke et al. (1985) ed analizzati secondo il metodo
di Pilar Cano et al. (1991). Prima dell’analisi HPLC, i campioni sono
stati filtrati (0.45 l) e 20 l di campione iniettati all’HPLC. La colonna
era una MERK LiChrosphere 100 RP-18, m 250 x 4 di LiChrocart
millimetri 5, con un flusso di 0.7 ml/min. Le determinazioni quantitative
sono state fatte alle seguenti lunghezze d’onda: 448 nm per la luteina;
463 nm per la clorofilla b e 430 nm per la clorofilla a. Tutti i dati sono
stati espressi in mg/kg di materia secca.
Elaborazione Statistica - I risultati relativi allo studio sulla conservazione
del pistacchio sono stati sottoposti ad elaborazione statistica effettuata
tramite programma MSTAT WIN 10 per mezzo del quale è stata effettuata
un’analisi della varianza (ANOVA) e delle medie separate con il Tukey test.
158

Risultati e discussione
Dal profilo cromatografico dell’estratto è stata evidenziata la presenza
di tre pigmenti principali: la clorofilla a (chl a), la clorofilla b (chl b)
e la luteina.
All’inizio della conservazione, la concentrazione dei pigmenti è stata
pari a: 38.7 2.1 mg/Kg per la chl a, 32.8 2.0 mg/Kg per la chl b e 25.8
0.9 mg/Kg per la luteina. Il rapporto chl a/b è stato pari a 1.2. I valori
osservati sono stati piuttosto bassi rispetto al prodotto del 2001 (Bellomo
e Fallico, 2007) e del 2005 (dati non mostrati). In particolare piuttosto
basso è risultato il valore del rapporto chl a/b che nelle su citate annate è
stato all’incirca pari a 3.
Al fine di rendere più agevole l’interpretazione dei risultati, per ciascun
parametro si è osservato l’andamento in funzione delle diverse
modalità di conservazione, del tempo e della temperatura. Dal trattamento
statistico, non sono emerse delle differenze significative fra le
varie tesi. Ciò significa che il diverso tipo di confezionamento, così come
la presenza o meno degli assorbitori di O 2 , non hanno inciso sulla qualità
del prodotto, intesa come preservazione del colore o meglio del contenuto
in pigmenti. La chiusura ermetica delle confezioni, inoltre, non
indispensabile alle temperature di 10 e 37°C, è risultata essenziale a
25°C. A tale temperatura, infatti, il prodotto, conservato nelle buste non
chiuse ermeticamente (Riferimento), ha subito, dopo quasi undici mesi
di conservazione, l’attacco di muffe e di Plodia interpunctella - Hubner,
con conseguente perdita del campione.
Stabilità dei pigmenti
In tutti i pigmenti, a prescindere dalla temperatura di conservazione,
si è osservato un andamento decrescente della concentrazione nel tempo
(Figg. 1, 2 e 3). Le variazioni di concentrazione più importanti (in termini
di degradazione dei pigmenti) si sono avute negli ultimi tre prelievi, a
partire cioè dall’ottavo mese di conservazione. Quest’ultimo rappresenta
una tappa importante nel processo degradativo, giacché, prima di al-
159

lora, non è emersa alcuna variazione rilevante, indipendentemente dalla
temperatura di conservazione o dal pigmento preso in considerazione. A
partire da tale prelievo, invece, si sono potute osservare delle degradazioni
mediamente del 28 e del 33 %, rispettivamente per la clorofilla a e b (a
25 e a 37°C), tra il 40 ed il 57 % per la luteina, rispettivamente a 25 e
37°C; a 10°C solo la luteina ha mostrato una maggiore degradazione,
intorno al 27 %.
A fine conservazione (quattordici mesi circa) nei campioni conservati
a 10 ed a 25°C i pigmenti sono andati incontro ad una degradazione
(intorno al 46% la clorofilla a, 33% la clorofilla b e 37% la luteina)
sicuramente inferiore rispetto a quella del prodotto conservato a 37°C
(circa il 62 % di degradazione per la clorofilla a, il 44 % per la clorofilla
b, il 57% per la luteina).
Dalle percentuali di degradazione fin qui elencate è possibile notare
come, fra i pigmenti, la luteina sia andata incontro ad una più rapida
degradazione raggiungendo già dopo otto mesi circa la concentrazione
più bassa indipendentemente dalla temperatura di conservazione (Fig. -
3). A fine conservazione (quattordicesimo mese) si è potuto verificare
come la concentrazione della luteina non abbia subito ulteriori variazioni,
mentre la clorofilla a è risultato il pigmento più suscettibile al processo
degradativo (Fig. - 1). A 37°C, oltre alla clorofilla a anche la luteina
ha mostrato una più alta degradabilità rispetto alla clorofilla b.
Per quel che concerne l’uso degli assorbitori di O 2 , i risultati ottenuti
hanno evidenziato che la presenza o meno di O 2 nelle confezioni non ha
influenzato la stabilità dei pigmenti dei semi di pistacchio.
A questo proposito, dopo circa undici mesi di conservazione, il profilo
cromatografico ha evidenziato, in tutti i campioni, la comparsa di un
nuovo picco (Fig. – 4). Le caratteristiche dello spettro di assorbimento
nonché i rapporti dei tempi di ritenzione calcolati fra tale picco e quelli
delle clorofille a e b (pressochè simili a quelli calcolati dai
cromatogrammi mostrati da Monreal et al., 1999 e da Pilar Cano et al.,
1998) indurrebbero a pensare alla formazione della feofitina a. Se ciò
fosse vero, si potrebbe facilmente intuire il motivo per cui la presenza o
meno di O 2 nelle confezioni non abbia influenzato la stabilità dei pig-
160

menti. È noto, infatti, che le feofitine sono uno dei prodotti della degradazione
delle clorofille, derivanti dalla rimozione del Mg 2+ (sostituito
da due atomi di idrogeno) dal complesso porfirinico, e non da un processo
ossidativo. Anche Schwartz e Lorenzo (1991), in uno studio relativo
alla conservazione di purea di spinaci trattati e confezionati, riferiscono
come, durante la conservazione, gli unici prodotti di degradazione delle
clorofille fossero stati le feofitine a e b e le pirofeofitine a e b, deducendone,
dunque, che l’ossigeno all’interno delle confezioni non avesse
contribuito alla degradazione ossidativa delle clorofille.
In proposito, non è da escludere l’ipotesi che la degradazione delle
clorofille, nella fattispecie della clorofilla a in feofitina a, sia avvenuta
per via enzimatica, cioè ad opera di un enzima, come lo MRE
(magnesium-releasing enzyme), che abbia favorito la liberazione del Mg 2+
dall’anello porfirinico (Owens e Falkowski, 1982).
Velocità di degradazione dei pigmenti ed Energia di Attivazione
La velocità di degradazione dei pigmenti è stata determinata riportando
su grafico la differenza fra la concentrazione iniziale e quella di
ciascun prelievo rispetto al tempo, per ciascuna delle temperature di conservazione
studiate. Dalla relazione lineare è emerso che si tratta di reazioni
di pseudo ordine zero.
Nella tabella 1 sono riportati i valori delle costanti di velocità (k) di
ciascun pigmento alle tre temperature (10, 25 e 37°C). Dai dati si può
facilmente intuire che, a conferma di quanto detto in precedenza, all’aumentare
della temperatura la velocità di degradazione è stata più elevata.
Nella tabella 2 sono riportati i rapporti (R) delle k di velocità fra le
temperature di conservazione e fra i pigmenti. I rapporti delle k: 37/
25°C e 25/10°C sono risultati simili per tutti i pigmenti (R=1.2-1.3). Per
quel che concerne i pigmenti dai valori di (R) è emersa, come già detto
in precedenza, la maggiore suscettibilità della chl a rispetto agli altri
pigmenti. La chl a, infatti, si è degradata: 1.5 volte più velocemente rispetto
alla chl b, indifferentemente a tutte e tre le temperature; 1.7, 1.4 e 1.3 volte
più velocemente rispetto alla luteina, rispettivamente a 10, 25 e 37°C.
161

Per quel che concerne le energie di attivazione (Ea) delle reazioni di
degradazione dei pigmenti, i valori sono stati ricavati riportando su grafico
il logaritmo naturale delle k di velocità rispetto a 1/T. I valori sono
stati calcolati sia in KJ/mole sia in Kcal/mol (Tab. – 3). I risultati ottenuti
(2.8 Kcal/mol per la chl a, 2.9 Kcal/mol per la chl b e 4.37 Kcal/mol
per la luteina) hanno mostrato delle Ea piuttosto basse rispetto ai valori
riportati in altri studi (Schwartz e Von Elbe, 1983; Schwartz e Lorenzo,
1991; Steet e Tong, 1996; Henry et al., 1998; Martins e Silva, 2002). In
tali studi, riguardanti la conservazione di piselli e spinaci (freschi e trattati
termicamente), sono stati riportati valori compresi tra 11.6 e 25 Kcal/
mol per la chl a, 11.1 e 22.8 Kcal/mol per la chl b, 24.9 Kcal/mol per la
luteina.
Queste differenze, relative ai valori di Ea riportati in letteratura e quelli
riscontrati nel presente studio, possono essere dovute a vari fattori: caratteristiche
degli alimenti (deperibilità, attività dell’acqua, contenuto
enzimatico, ecc.), condizioni di conservazione, trattamenti termici,
ecc.. Inoltre, le energie di attivazione sono influenzate anche
da fenomeni di diffusività; infatti, quando una reazione è controllata
dalla diffusione, i valori di Ea sono compresi tra 0 e 8 Kcal/mol
(Robertson, 1993).
I semi di pistacchio, in particolare, hanno un basso contenuto in
acqua (intorno al 5%), una W A generalmente compresa tra 0.65 e 0.75
(Robertson, 1993) e un contenuto in olio intorno al 53-57% (Maskan
e Karatas, 1999). Questa composizione induce a pensare che le reazioni,
all’interno dei semi, dipendano dal processo di diffusione; ciò
potrebbe, dunque, spiegare i bassi valori di Ea osservati nei nostri
campioni.
Conclusioni
Dopo 14 mesi di conservazione, i pigmenti posti allo studio hanno
mostrato una buona stabilità alle temperature di 10 e 25°C. Per quel che
concerne l’uso degli assorbitori di O 2 e dei film plastici ad alta barriera,
162

si è potuto osservare come essi non abbiano influenzato la stabilità dei
pigmenti; ciò significa che è possibile utilizzare un tipo di
confezionamento più economico per garantire la stabilità di tali parametri.
La conservazione alle basse temperature (10°C), infine, è risultata
molto importante, oltre che per garantire la stabilità dei pigmenti, anche
per proteggere il prodotto dall’attacco da muffe ed insetti.
163

BIBLIOGRAFIA
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164

165

166

167

168

DISTRIBUZIONE DI ACIDI GRASSI E FITOSTEROLI COME
CRITERIO PER DISCRIMINARE L’ORIGINE GEOGRAFICA
DEI SEMI DI PISTACCHIO
DISTRIBUTION OF FATTY ACIDS AND PHYTOSTEROLS AS A
CRITERION TO DISCRIMINATE GEOGRAPHIC ORIGIN OF
PISTACHIO SEEDS
Elena Arena, Biagio Fallico e Emanuele Maccarone
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
Lo studio valuta la distribuzione degli acidi grassi e dei fitosteroli presenti
nell’olio di semi di pistacchio provenienti da differenti zone geografiche:
Italia, Turchia, Iran e Grecia. L’olio di pistacchio presenta una distribuzione
simile a quella dell’olio di oliva sia per gli acidi grassi che per gli
steroli. Rispetto agli altri oli di semi l’olio di pistacchio possiede una distribuzione
tipica degli steroli caratterizzata da elevati contenuti di -sitosterolo
e bassi livelli di campesterolo e stigmasterolo. L’applicazione della PCA per
gli acidi grassi e della LDA per gli steroli ha evidenziato la possibilità di
distinguere l’origine geografica dei semi.
Parole chiave: Pistacia vera, olio di pistachio, K, acidità, numero di
perossidi.
Abstract
The distribution of fatty acids and phytosterols in pistachio coming
from different countries, Italy, Turkey, Iran and Greece, was investigated.
169

Pistachio oil had similar distribution for the fatty acids and sterols to
those of olive oil. Respect to other seed oil the pistachio oil had a typical
distribution characterized by high content of -sitosterol, as hazelnut
and olive oil, and by a low content of campesterol and stigmasterol as
olive oil. 5 -Avenasterol had a distribution intermediate between hazelnut
and olive oil. The application of PCA for fatty acids and LDA for sterols
had highlighted the possibility to distinguish the geographic origin of
seeds.
Key words: Pistacia vera, pistachio oil, K, acidity, peroxide number.
Introduzione
Il pistacchio di Bronte, che costituisce oltre il 90% dell’intera produzione
di pistacchio in Italia, è un prodotto dalle pregevoli caratteristiche
organolettiche, riservato preferibilmente a nicchie di mercato che maggiormente
lo apprezzano quali l’industria degli insaccati, il settore
dolciario e la gelateria. Nonostante l’ampia diffusione commerciale di
questo prodotto pochi sono gli studi presenti in letteratura riguardanti la
composizione del pistacchio di Bronte (GIOVANNINI E CONDORELLI,
1956;1958) mentre numerosi sono gli studi condotti sui pistacchi di origine
Turca e Iraniana (GARCIA et al., 1992; AGAR et al., 1995a; 1995b;
1998; SATIL et al., 2003). Negli ultimi anni sono stati condotti diversi
studi sulla caratterizzazione dei semi di pistacchio in funzione dell’origine
geografica. (ANDERSON e SMITH, 2005; GARCIA et al., 1992;
AGAR, et al., 1995a, 1995b; SATIL et al., 2003). Il differente colore dei
semi di pistacchi, dovuto alla presenza di antocianine, xantofille e clorofilla,
è stato valutato in pistacchi di zone geografiche diverse
(BELLOMO e FALLICO, 2007).
Lo scopo del presente lavoro di ricerca è stato la caratterizzazione
chimica della frazione lipidica del pistacchio siciliano confrontata con
quella di pistacchi provenienti da differenti paesi. In particolare, la di-
170

stribuzione della frazione sterolica è stata per la prima volta studiata con
lo scopo di accertare le differenti origini geografiche.
Materiali e metodi
La ricerca è stata condotta su campioni di pistacchio, raccolto a
maturazione, proveniente dall’ Italia, l’Iran, la Grecia e la Turchia. I campioni
italiani, forniti da produttori diversi, sono rappresentativi di una
partita di 100 q di prodotto sgusciato, da cui è stato preparato prima un
campione intermedio di circa 10 Kg (ottenuto da 10 sacchi) e poi 1 Kg di
campione finale. I campioni di origine straniera, anch’essi forniti da produttori
diversi, erano costituiti da pacchi di 1 kg ciascuno provenienti da
lotti da 1000 e 40000 kg.
Estrazione dell’olio e analisi chimiche
Su un’aliquota di semi di pistacchio è stata determinata l’umidità
(BALESTRIERI e MARINI, 1996), e un’altra aliquota è stata triturata
in un omogeneizzatore e sottoposta ad estrazione dell’olio mediante Soxhelet
per circa 6 ore, utilizzando etere di petrolio come solvente. Successivamente
il solvente è stato allontanato per evaporazione sotto vuoto.
Sull’olio estratto sono state condotte le seguenti determinazioni: acidità
(%), numero di perossidi (meq/kg), l’assorbanza Uv a 232, 262,
268, 270, 274 nm e valutazione del K (BALESTRIERI e MARINI,
1996). Tutte le analisi sono state condotte in triplo:
Preparazione e analisi gas-cromatografica degli esteri metilici degli acidi
grassi.
Gli esteri metilici degli acidi grassi sono stati preparati mediante
transesterificazione con NaOH 1 molare in metanolo e BF 3 . L’analisi
gas-cromatografica degli esteri metilici degli acidi grassi, è stata effet-
171

tuata mediante un gas-cromatografo SHIMADZU 17-A munito di detector
FID e di colonna capillare CP-Wax 52 CB (Varian, 50 m 0.25 mm d.i.,
0.2 m d.f. ). Le condizioni operative sono state le seguenti: carrier Elio
(0.8 ml/min); splitting 56:1; injector a 230°C; detector a 260°C; isoterma
iniziale 3 minuti a 140°C, gradiente di 4°C/min fino a 230°C per 20
min. L’identificazione di ciascun acido grasso è stata effettuata mediante
il confronto dei tempi di ritenzione e dello spettro di massa con quelli
di esteri metilici standard mediante un GC/MS SHIMADZU QP 5050
operante secondo le condizioni già descritte.
Estrazione, derivatizzazione e analisi gascromatografica degli steroli
La frazione insaponificabile è stata estratta dopo idrolisi alcalina dell’olio.
Gli steroli sono stati separati dagli altri costituenti mediante
cromatografia su strato sottile (MARINI e BALESTRIERI, 1996). La
trimetilsililazione degli steroli è stata condotta aggiungendo una miscela
di piridina-esametildisilazano-trimetilclorosilano (9/3/1 v/v) ad ogni
campione.
L’analisi gas cromatografia è stata effettuata mediante un gas
cromatografo SHIMADZU 17-A munito di detector FID e di colonna
capillare SE-54 (Supelco, 30m 0.25 mm i.d., 0.25 m d.f). Le condizioni
operative sono state le seguenti: carrier Elio (1.6 ml/min.); splitting
13:1; injector a 260°C; isoterma a 260°C per 60 minuti. L’identificazione di
ciascun sterolo è stata effettuata mediante il confronto dei tempi di ritenzione
e dello spettro di massa con quelli di steroli standard mediante un GC/MS
SHIMADZU QP 5050 operante secondo le condizioni già descritte.
Analisi statistica multivariata
I parametri statistici, il multiple range test e l’analisi multivariata (analisi
delle componenti principali (PCA) e analisi discriminante lineare
(LDA)) dei risultati sperimentali relativi agli acidi grassi e agli steroli
sono stati determinati mediante il programma Statgraphic Plus
(Manugistic Inc. Rockville, MD, USA).
172

Risultati e discussione
La tabella 1 riporta l’umidità, la resa in olio, l’acidità e il numero di
perossidi dell’olio estratto. Il contenuto in olio varia dal 58% nei campioni
Iraniani a circa il 50% nei campioni di Bronte. Questi risultati sono in
accordo con i dati di letteratura (GARCIA et al., 1992; SATIL et al.,
2003). Il valore medio dell’umidità è del 5.7%, con un valore minimo di
4.9% per il campione Turco e un valore massimo di 6.9% per il campione
di Agrigento. I bassi valori relativi all’acidità, sempre inferiori all’1%,
denotano una fisiologica presenza di acidi grassi liberi, senza un
apprezzabile intervento di azioni idrolitiche di origine chimica o
enzimatica. Il numero dei perossidi varia da 2.9 per il campione di
Agrigento a 6.8 nel campione Iraniano, indicando la buona qualità
dell’olio.
La tabella 2 riporta le misure di assorbanza degli oli nella regione
ultravioletta. I risultati ottenuti confermano che l’olio presenta una buona
resistenza alla degradazione ossidativa. In particolare i valori di
assorbanza a 232 nm (zona dei dieni coniugati), a 262, 268 e 270 nm
(zona delle aldeidi e dei chetoni) a 274 nm (zona dei trieni coniugati) e i
valori di K prossimi allo zero sono sicuri indici della scarsa presenza
di prodotti di ossidazione.
La tabella 3 riporta la distribuzione percentuale dei principali acidi
grassi presenti nell’olio di semi di pistacchio. L’acido grasso
predominante è l’acido oleico (55.1-71%), seguito dall’acido linoleico
(13.3-28.9%) e dall’acido palmitico (9.5-10.8%); in percentuali minori
sono presenti l’acido stearico (1.1-2.6%), l’acido vaccenico (1.5-2.5%),
l’acido palmitoleico (0.67-0.95%) e l’acido linolenico (0.45-0.60%).
L’acido miristico è presente in tracce in tutti i campioni.
Tutti i campioni, eccetto gli Iraniani, presentano circa il 70% di acido
oleico e il 28% circa di acido linoleico. La distribuzione degli acidi grassi
nei campioni Turchi appare molto più simile a quella dei campioni Italiani
piuttosto che a quella riportata da altri ricercatori per pistacchi Turchi
(AGAR et al., 1995a; 1995b; SATIL et al., 2003).
173

Il rapporto tra acidi insaturi e saturi (6.5), il favorevole rapporto tra
oleico e linoleico (4.5), nonché l’assenza di acido erucico, sono
caratteristiche tipiche di un olio adatto per l’alimentazione umana, in
particolare, si può osservare che la distribuzione degli acidi grassi dell’olio
di pistacchio è molto simile a quella dell’olio di oliva, mentre differisce
notevolmente da quella degli altri oli di semi (BELITZ e GROSCH,
1999; PARCERISA et al., 1998).
L’analisi delle componenti principali delle percentuali dei sette
principali acidi grassi presenti nell’olio, fornisce due combinazioni lineari
che spiegano complessivamente il 94.8% della varianza, in particolare
l’82% per la prima componente principale e il 12.8% per la seconda. La
figura 1 mostra i vettori per ogni variabile e la distribuzione dei campioni
in un piano definito dai valori delle due componenti principali. I campioni
Italiani (Bronte e Agrigento) e Greci si mostrano simili, e differiscono
dagli altri campioni per gli elevati valori di acido oleico e palmitoleico.
I campioni Turchi, si pongono nel quadrante negativo del piano, lungo il
vettore dell’acido stearico che è la variabile caratterizzante. In una zona
completamente differente del piano si pongono i campioni Iraniani,
caratterizzati da elevati livelli di acido linoleico e linolenico. L’analisi
discriminante lineare conferma la diversità tra i campioni di differente
origine geografica (Figura 2). La tabella 5 riporta i parametri statistici e
la classificazione dei risultati.
Per la prima volta in questa ricerca sono stati identificati e quantificati
nove fitosteroli, mediante GC/MS (Tabella 4) Il -sitosterolo è il
fitosterolo predominate in tutti i campioni, variando da circa l’85% nei
campioni italiani all’88% nei campioni iraniani, segue il 5-avenasterolo
con il 9% circa nei campioni di Agrigento e il 5.7% nei campioni iraniani;
il campesterolo è presente in misura del 3% in tutti i campioni ad
eccezione dei campioni iraniani (4.5%), lo stigmasterolo è presente in
tutti i campioni in misura variabile dallo 0.64% allo 0.95%. I quattro più
importanti steroli assommano ad una percentuale superiore al 98%. I
componenti minori, clerosterolo, 5,24-stigma-stadienolo, 7stigmastenolo,
7-avenasterolo, complessivamente non superano in
174

nessun caso il 2%. Il colesterolo è presente in tracce nei campioni turchi
e in un solo campione di Bronte, mentre il 7-avenasterolo è presente
solo nei campioni provenienti da Agrigento e nei campioni Turchi.
Rispetto agli altri olio di semi, l’olio di pistacchio presenta una distribuzione
tipica degli steroli, caratterizzata da elevati contenuti di sitosterolo,
simile all’olio di nocciole, e da un basso contenuto di
campesterolo e stigmasterolo simile all’olio di oliva. Il 5-avenasterolo,
possiede una distribuzione intermedia tra l’olio di nocciole e l’olio di
olive (CERCACI et al., 2003; PARCERISA et al., 1998).
E’ stata condotta l’analisi discriminante lineare utilizzando il contenuto
percentuale dei quattro principali steroli (campesterolo,
stigmasterolo, -sitosterolo e 5-avenasterolo), come variabili nei 24
campioni. Due funzioni discriminanti delle variabili sono state utilizzate
per distinguere i campioni di differenti origini (tabella 5). Queste funzioni
discriminanti insieme spiegano il 96% della varianza e mostrano i
coefficienti di correlazione multipla e i p-value con un livello di confidenza
del 95%.
Gli elevati valori dei coefficienti standardizzati delle funzioni indicano
che tutte le variabili sono importanti per differenziare gli oli. La classificazione
dei campioni è stata molto buona: 23 casi su 24 sono stati
classificati correttamente (95.65%), solo 1 caso, un campione proveniente
da Agrigento è stato classificato come Bronte. Comunque tutti i
campioni italiani sono stati separati da quelli Turchi, Greci, e Iraniani. I
campioni di Agrigento sono stai collocati vicino ai campioni di Bronte,
mentre quelli greci sono stati posizionati in una zona differente del plot.
Inoltre la robustezza del modello statistico è stata valutata come segue:
4 campioni scelti in maniera random (uno per ogni gruppo di origine),
sono stati lasciati fuori dal set di dati e il modello è stato calibrato
sui rimanenti dati corrispondenti a 20 campioni. I risultati statistici ottenuti
sono stati molto simili a quelli ottenuti con il modello ottenuto con
24 campioni. I quattro campioni lasciati fuori dal modello sono stati
reintrodotti nel set di dati come campioni di provenienza ignota. Per
quanto riguarda gli steroli, tutti e quattro i campioni sono stati corretta-
175

mente classificati, invece per quanto riguarda gli acidi grassi tre campioni
sono stati classificati correttamente mentre uno è stato classificato
come sconosciuto.
Conclusioni
L’analisi delle componenti principali e l’analisi discriminate lineare
per gli acidi grassi e per gli steroli hanno evidenziato la possibilità di
distinguere le differenti origini geografiche del pistacchio. I campioni
provenienti da Bronte e Agrigento presentano una simile distribuzione
sia degli acidi grassi che degli steroli I campioni greci presentano una
distribuzione degli acidi grassi simile a quella dei campioni italiani e
una distribuzione degli steroli simile a quella dei campioni turchi. I campioni
turchi e iraniani possiedono una distribuzione degli acidi grassi e
degli steroli caratteristica, che li distingue sia tra di loro che dagli altri
campioni. Dunque nonostante il numero limitato di campioni analizzati,
soprattutto per quanto riguarda quelli provenienti dalla Grecia e dall’Iran,
sembra che la composizione dell’olio di pistacchio possa essere
utilizzata come marker per distinguere l’origine geografica del seme.
176

BIBLIOGRAFIA
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178

179

180

181

182

PRIMI RISULTATI DI INDAGINI ECONOMICHE
SULLA PRODUZIONE E SUL MERCATO DEL
PISTACCHIO NELLA ZONA ETNEA
FIRST RESULTS ON ECONOMIC ANALYSIS OF THE
PRODUCTION AND THE MARKET OF ETNA PISTACHIO
Gioacchino Pappalardo, Salvatore Pesce, Mariagrazia Signorello*
Dipartimento di Scienze Economico-Agrarie ed Estimative (DISEAE)
Università degli Studi di Catania, Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
La coltivazione del pistacchio in Sicilia riveste un importante ruolo,
non solo dal punto di vista paesaggistico-ambientale, ma anche da
quello economico-sociale per i livelli di reddito e di occupazione che
è in grado di generare, pur attraversando ricorrenti fenomeni di crisi.
La ricerca ha per oggetto sia gli aspetti economici territoriali ed
aziendali della coltivazione, che quelli relativi al posizionamento e
alla valorizzazione del prodotto sul mercato nazionale ed estero. Altro
tema oggetto d’indagine concerne gli effetti economici della riforma
di medio termine della PAC per la frutta secca che ha operato
anche in tale comparto, attraverso l’erogazione di specifici aiuti comunitari.
Parole chiave: indagini territoriali; risultati economici, mercato, sostegno
pubblico.
* Coordinatore responsabile: prof. Francesco Bellia. Il lavoro è frutto della piena collaborazione
degli Autori ed è così attribuito: il cap. 1 e il par. 3.3. a Mariagrazia Signorello; il
cap.2, il par.3.1. e 3.2. a Salvatore Pesce; il par. 3.4 e il cap.4 a Gioacchino Pappalardo.
183

Abstract
Pistachio cultivation in Sicily plays an important role on environment
and local landscape; it, also, reveals a significant function on the socioeconomic
aspects in terms of occupation and incomes for the whole area,
but sometimes have been observed economic crisis phenomena.
The research aims at identifying main territorial and economic aspects
of the cultivation, than those the commercial increase (in value) of the
product at the national and foreign markets. The survey, also, focuses
the economical effects that the reform of the medium term of the CAP
caused to the sector, as a result of specific public payments.
Key words: territorial survey, economic results, pistachio market, public support.
1. Introduzione
La coltivazione del pistacchio nell’area etnea riveste una notevole
importanza sia per quanto riguarda gli aspetti economico-sociali che dal
punto di vista paesaggistico-ambientale, nonostante alcune difficoltà strutturali
che rendono la pistacchicoltura etnea esposta a rischi di crisi economica.
Negli ultimi anni, grazie anche ai sostegni pubblici intervenuti
in seguito alla Riforma di Medio termine della PAC, si è avuto un rinnovato
interesse per tale coltivazione.
Nella presente ricerca si esamineranno, in un prima fase, i caratteri
territoriali ed aziendali della pistacchicoltura in oggetto, analizzando, in
una seconda fase, i risultati economici di un campione sufficientemente
rappresentativo di aziende pistacchicole specializzate, al fine di valutare
gradi di attività, ricavi, costi e redditi della coltivazione. Successivamente,
ci si soffermerà sul grado di applicazione della riforma di medio
termine della PAC (Reg. CE 1782/03) sulla pistacchicoltura etnea ed i
principali aspetti del mercato delle relative produzioni e dei derivati,
analizzando le funzioni svolte dalle imprese commerciali operanti nella
zona di produzione oggetto di studio.
184

2. Materiali e metodi
Sulla scorta di una metodologia uniforme, messa a punto per l’intero
progetto di ricerca sulla frutticoltura etnea, sono state svolte specifiche indagini
economico-agrarie territoriali, aziendali e di mercato del pistacchio.
Per quanto attiene le indagini territoriali, riferite al quadriennio 2002-05,
ci si è avvalsi della collaborazione di operatori pubblici e privati presenti
nell’area esaminata. Con riferimento all’indagine aziendale, è stata
presa in considerazione l’annata agraria 2005 per il sistema dei prezzi
ed il quadriennio 2002-2005 per le quantità prodotte e per quelle dei
mezzi produttivi impiegati. Quale strumento di analisi economica è stato
utilizzato il bilancio consuntivo. Si è ritenuto utile effettuare anche un
confronto con i risultati ottenuti nel 1995 nella stessa zona operando con
metodologie simili.
Il campione esaminato si compone di 30 aziende, per la rilevazione delle
quali si è utilizzata un’apposita scheda questionario preliminarmente validata.
Per quanto attiene alle normative inerenti il comparto in esame, l’analisi
si è focalizzata sul grado di applicazione del Reg.CE 1782/03 relativo
agli aiuti erogati per la produzione di frutta secca.
Quanto al mercato del pistacchio, sono stati intervistati i principali
operatori istituzionali e commerciali presenti nella zona etnea allo scopo
di individuare i caratteri dell’organizzazione commerciale, nonché la
destinazione del prodotto sui mercati nazionali e su quelli esteri,
avvalendosi delle informazioni statistiche ufficiali disponibili.
3. Risultati e discussione
3.1. Principali risultati dell’indagine territoriale
La determinazione delle superfici pistacchicole investite e la relativa
localizzazione è stata effettuata con un’indagine diretta sui due comuni
interessati alla pistacchicoltura (Bronte ed Adrano), raffrontandone i ri-
185

sultati con quelli emersi applicando il metodo GIS (Geographic
Information System), atto all’acquisizione, all’archiviazione, all’analisi
ed alla presentazione dei dati di riferimento della coltivazione
(Burrough, 1992) (Cfr. cartografia allegata).
Dalla tabella 1 si evince che nel comune di Bronte le superfici
complessive sono diminuite dal 1995 al 2005 del 5,4%, con una sensibile
differenza fra le superfici in coltura principale (per le quali
non si è registrata alcuna variazione) e quelle in coltura secondaria,
nelle quali si è registrata una notevole riduzione (-37,5%). In quello
di Adrano, invece, si è avuta una diminuzione delle superfici totali
del 7,1%, con un calo rilevante delle superfici in coltura secondaria
(-33,3%), in presenza di un aumento delle superfici in coltura principale
(+12,5%).
Nel territorio di Bronte, su 2.650 ettari di superfici pistacchicole
in complesso, 350 (pari al 13,2%) sono situate nel Parco dell’Etna
(tab.2), mentre nella zona di Adrano su 650 ha totali, 250 (pari al
38,5%) ricadono nell’area del Parco. In conclusione, delle totali superfici
a pistacchieto della zona etnea (Bronte e Adrano) (3300 ha),
oltre il 18% (600 ha) sono ubicate nell’ambito di tale area.
La densità di piantagione nel pistacchieto in coltura principale è
compresa grosso modo tra 290 e 750 piante per ha, mentre quella in
coltura secondaria è notevolmente più bassa, con un campo di variazione
compreso fra 50 e 200 piante ad ha.
Quanto alla consistenza delle produzioni ottenute (prodotto in guscio),
esse nel 2002-05 ammontano a 1.550 tonnellate, a fronte delle
1.400 tonnellate nel 1992-95, con un incremento di quasi l’11%, dovuto
sia all’espansione delle superfici in coltura principale, sia all’aumento
delle rese unitarie medie (a loro volta correlate
all’infittimento delle piantagioni) (tab. 3). È da notare tuttavia che le
produzioni risultanti dalle indagini svolte (2002-05) risulterebbero
ben maggiori (+38%), rispetto a quelle della statistica ufficiale
(ISTAT).
186

3.2. Principali risultati dell’indagine aziendale
Per quanto riguarda l’indagine aziendale, sono state rilevate 30 aziende
pistacchicole ad indirizzo specializzato, di cui 22 ubicate a Bronte e 8 ad
Adrano.
L’ampiezza fisica delle aziende campionate vede un maggior numero
di aziende concentrate nella classe fra 1 e 2 ettari (14 aziende), 6 aziende
hanno un’estensione fino ad 1 ettaro, 8 aziende da 2 a 5 ettari e, infine, 2
aziende presentano una superficie maggiore di 5 ettari. Si precisa che
delle 30 aziende campionate, 6 ricadono all’interno del Parco dell’Etna.
Raffrontando i dati ed i valori medi risultati dalle analisi delle aziende
rilevate nel 2005 con quelle di un decennio prima (1995) (tab.4),
entro i limiti in cui è possibile farlo data l’esiguità del campione aziendale,
emerge un calo dei gradi di attività, che passano dalle 307,5 ore/ha del
1995 alle 260,0 del 2005 (-15,5%).
Per quanto riguarda le rese unitarie medie di pistacchio in guscio
(tignosella), gli accertamenti svolti segnalano livelli di 540 kg/ha nel
2002-2005, pressocchè equivalenti a quelle di un decennio fa (1992-
95). Le produzioni lorde vendibili medie annue (2.568 i/ha) hanno
invece subito una diminuzione del 7,6%, attribuibile al calo dei prezzi
intervenuto tra i due periodi presi in esame, con un prezzo di 5,10 i/kg
nel 1995 e di 4,76 i/kg nel 2005, ragionando in moneta costante (euro
2005). In lieve riduzione risultano i valori dei costi di produzione (- 5,7%),
mentre in forte diminuzione sono i profitti della coltivazione (-35/-37%).
Tenendo conto degli aiuti comunitari recentemente introdotti (tab.4 bis),
la situazione fa registrare un ribaltamento dei risultati, con valori di produzione
in aumento e profitti della coltivazione positivi, anche se, secondo le
prime informazioni fornite dall’AGEA, l’accesso a tali aiuti per le aziende
che hanno presentato domanda risulterebbe tutt’altro che agevole 1 .
1 Le difficoltà di accesso agli aiuti comunitari per i pistacchicoltori che l’hanno richiesto
sarebbero imputabili ai criteri restrittivi adottati per l’erogazione degli aiuti stessi. Se tali
difficoltà dovessero venire confermate occorrerebbe studiare soluzioni e sistemi per favorirne
l’applicabilità.
187

3.3. Grado di applicazione dell’aiuto comunitario previsto dalla riforma
di medio termine
Con il Regolamento CE 1782/03, si sono stabiliti i nuovi sostegni per la
frutta secca, che prevedono la concessione di aiuti comunitari per gli agricoltori
che producono mandorle, nocciole, noci, pistacchi e carrube. L’importo
previsionale ad ettaro dell’aiuto comunitario 2 , per l’anno 2004, è stato
pari a 314,00 euro per il nocciolo e a 227,00 euro per le altre specie.
Oltre all’aiuto comunitario, gli Stati membri interessati possono concedere
un aiuto nazionale, pari a 120,75 i/ha 3 , applicabile solo per le
superfici ammesse al sostegno comunitario.
Un elemento di forte criticità è stato, tuttavia, il tempo ristretto per la
presentazione delle domande, che non ha consentito alle istituzioni preposte
di effettuare una distribuzione corretta e capillare delle informazioni
ai produttori interessati ed a questi ultimi di presentare le relative
domande.
A partire dal 2005 le domande di aiuto 4 dovranno essere prodotte
ogni anno, entro il 15 maggio. Inoltre, l’aiuto comunitario è stato innalzato
a 232,26 i/ha e, conseguentemente, tenuto conto dell’aiuto nazionale
(120,75 i/ha), l’aiuto complessivo potenzialmente erogabile ai produttori
interessati passerebbe da 347,75 i/ha del 2004 a 353,01euro nel
2005 (tab. 5).
Secondo le informazioni fornite dall’AGEA, nella provincia di Catania
avrebbero presentato domanda nel 2004 966 aziende per una superficie
complessiva di 2.013,34 ha. Di queste solo 838 aziende sarebbero
state ammesse ad usufruire dell’aiuto con una superficie complessiva di
1.708,51 ha.
Per quanto riguarda il 2005, le domande presentate avrebbero interessato
nella stessa provincia 1.001 aziende pistacchicole (+4%), con
2 Decreto del 23 aprile 2004 che ha sostituito il decreto del 18 febbraio 2004.
3 Reg. CE 2237 del 23/12/03.
4 Decreto del 16 marzo 2005 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
188

una superficie investita di 2.382,60 ha (+18%). Ma solo 867
pistacchicoltori avrebbero beneficiato dell’aiuto per una superficie di
1.639,64 ettari di pistacchieto (- 4% rispetto alla superficie ammessa nel
2004) (cfr. tab.6).
3.4. Risultati dell’indagine sul mercato del pistacchio e sulle imprese di
commercializzazione
Le analisi condotte sulle imprese di lavorazione del pistacchio nel
territorio etneo, hanno messo in evidenza un miglioramento qualitativo
nell’organizzazione e gestione delle strutture commerciali rispetto a quanto
risultava fino ad una decina di anni fa.
La principale tipologia di pistacchio acquistato dai commercianti risulta
essere la tignosella, per la quale i prezzi rilevati nel corso del
quadriennio esaminato (2003/2004 – 2005/2006) hanno subito una diminuzione
del 15-20% rispetto al periodo precedente (1999/2000-2001/
2002).
Anche i prezzi dei mercati all’ingrosso hanno mostrato nello stesso
arco temporale un andamento decrescente sia per il prodotto in guscio
sia, in minor misura, per quello sgusciato fino al 2005 (cfr. tab. 7).
I prezzi medi all’esportazione del pistacchio sgusciato, hanno registrato
un andamento altalenante dal 2000 al 2005. Infatti, dopo un costante
incremento nel quadriennio 2000-03, hanno subito una flessione
nel 2004 per poi nuovamente innalzarsi nel 2005 (cfr. fig. 1). Stesso
andamento hanno avuto i prezzi medi all’importazione (riferiti al prodotto
in guscio) che, dopo i consistenti incrementi (oltre il 35%), anche
se meno rilevanti rispetto a quelli del prodotto di esportazione (+50%),
hanno subito una flessione nel 2004 ed una netta ripresa nel 2005, durante
il quale il valore registrato è stato pari a 4,93 Euro/kg.
La principale tipologia di prodotti lavorati è rappresentata dal pistacchio
sgusciato (circa il 60%) cui segue il pistacchio pelato (20%), mentre
il restante 20% si distribuisce fra gli altri derivati (granella, farina,
pasta per dolci, ecc.).
189

I principali mercati di destinazione a livello nazionale sono l’Emilia
Romagna (40%), il Lazio (20%), la Lombardia (20%), il Piemonte (10%),
mentre il restante 10% trova collocazione sui mercati siciliani e, in particolare,
su quello di Catania dove esistono fiorenti industrie dolciarie e
della pasticceria.
Per quanto riguarda i mercati esteri, i principali Paesi acquirenti sono
la Francia (60%) e la Germania (20%), mentre con percentuali minori
troviamo l’Austria, il Belgio, nonché gli USA, il Canada ed il Giappone.
4. Conclusioni
Nel corso dell’ultimo decennio, le superfici pistacchicole complessive
hanno subito nella zona etnea una certa contrazione ma le relative
produzioni sono aumentate in seguito all’espansione delle superfici in
coltura principale e all’aumento delle rese unitarie medie, a loro volta
correlate all’infittimento delle piantagioni.
I valori di produzione ed i profitti della coltivazione risultano in calo
se valutati prescindendo dagli aiuti comunitari ed in aumento se di tali
aiuti si tiene conto, sottolineando in tal modo l’importante ruolo esercitato
dalla recente riforma della PAC.
Inoltre, grazie ai notevoli investimenti effettuati nel corso degli ultimi
anni, i centri di lavorazione del pistacchio che operano nel territorio
etneo sono oggi in grado di offrire al mercato nazionale e mondiale una
produzione di alta qualità, destinata esclusivamente alle industrie di trasformazione
alimentari. Attualmente alcuni centri di lavorazione per ottenere
maggiori margini di profitto, stanno cercando di differenziare ulteriormente
l’offerta, producendo derivati a base di pistacchio.
Per quanto riguarda l’applicazione delle misure di sostegno alla
pistacchicoltura, previsti dalla Riforma di Medio Termine della PAC, si
è registrato un buon grado di partecipazione da parte degli agricoltori,
anche se il numero di domande e le superfici tra il primo (2004) ed il
secondo anno (2005) di applicazione avrebbero subito una diminuzione,
il che suscita evidenti perplessità.
190

Nel prossimo futuro, la pistacchicoltura etnea sembra orientata a puntare
sia su una migliore valorizzazione delle sue produzioni, anche attraverso
il costituendo marchio DOP, sia su processi di concentrazione dell’offerta
e di creazione di sinergie tra la fase agricola e quelle industriale
e commerciale. Infine, in considerazione della valenza ambientale e
paesaggistica, la pistacchicoltura in esame può divenire una valida risorsa
economica attraverso il turismo escursionistico, culturale e culinario
di prodotti tipici locali.
191

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192

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200

LA RACCOLTA AGEVOLATA DEL PISTACCHIO
PISTACHIO HARVESTING BY USING
PORTABLE MACHINERIES
Silvio Balloni 1 , Luciano Caruso 1 ,
Giampaolo Schillaci 1 , Giuseppe Spartà 2
1 Dipartimento di Ingegneria Agraria, Sezione Meccanica
Via Santa Sofia, 100, 95123 Catania,
2 Responsabile U.O. 45 Sperimentazione e Ricerca Applicata
dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia,
Riassunto
In Sicilia, la coltivazione del pistacchio avviene per lo più su terreni
accidentati. Pertanto, la meccanizzazione della coltura non è
sviluppata e la raccolta continua a dimostrarsi onerosa in termini economici
o per la fatica. Per porre rimedio a questa carenza e per innalzare
il grado tecnologico della coltivazione (innalzando in tal modo
anche il gradimento da parte dei giovani coltivatori), sono stati provati
diversi cantieri di raccolta agevolata. Il risultato ottenuto dal cantiere
costituito da uno scuotitore spallabile e da un aspiratore del prodotto
caduto su reti previamente distese ha ottenuto risultati più che
lusinghieri, purché preceduto dal passaggio di un soffiatore allo scopo
di allontanare quelle impurità che altrimenti impediscono l’aspirazione.
Gli effetti benefici di tale allontanamento si riverberano in
tutta evidenza anche sulle operazioni post-raccolta e dovranno essere
quantificati in un eventuale prosieguo.
Parole chiave: Pistacchio, Raccolta, Etna, Meccanizzazione
201

Abstract
Sicilian pistacchio is celebrated and it growths almost only on west
slopes of Mount Etna, where a lot of people, little farm, little factories
are involved in cultivation, in post harvest operations, in the market of
the crop or in the building of machineries. The plants are often sited on
rugged slopes, in which to utilize machineries is very difficult. This
circumstance rends quite high the production cost of the crop and the
labour. Moreover, the lack in technologies results unattractive to young
people removing them from agriculture. We have conducted some trials
of crop harvesting by using portable devices. The best results were
obtained when we use limb shaker, blower (to eliminate leaves and similar
mixed among fruits fallen on the nets previously spread on the ground)
and an aspirator equipped with an devices able to separate fruit from
dust and others. Also, we foresee a remarkable time reduction in post
harvest operations usually conducted in packing house.
Key words: Pistacchio, Harvesting, Etna, Mechanisation
1. Introduzione
Nell’ambito della frutta secca, il pistacchio è considerato uno dei frutti
più importanti, tanto che negli ultimi 20 anni la domanda mondiale ha
registrato un incremento del 196%. L’Italia partecipa al mercato mondiale
per lo 0,4 % della produzione, proveniente da una estensione stimata
di circa 3500 ettari e una produzione media che nel quinquennio
99/03 è stata di 2311 t. Interamente ubicata in Sicilia, il 90% ricade nelle
pendici sud occidentali del vulcano Etna, in una fascia altimetrica compresa
fra i 400 e i 900 mslm. Per le caratteristiche della pianta, il pistacchio
è ritenuto anche pianta di elevato valore ornamentale, ma anche
ambientale, in quanto pianta pioniera e unica a poter produrre in ambienti
ostili come quelli etnei, nonché paesaggistico. In Sicilia, 700 ha
202

icadono nel territorio del Parco Regionale dell’Etna; nell’area etnea il
valore economico è connesso non solo alla produzione, ma anche alle
attività artigianali connesse (costruzione di macchine e attrezzature per
il post-raccolta) e alla trasformazione del prodotto (dolceria e gelateria).
Attualmente, la raccolta viene condotta manualmente ed intercetta più
del 55% della manodopera totale, rappresentando la voce di costo più
onerosa per la gestione, incidendo per quasi il 67%; anche se occorre
sottolineare che una frazione non secondaria di tale onere percentuale
non rappresenta un esborso diretto in quanto viene intercettata dalla
manodopera familiare. Per l’incidenza elevata dei costi e per la decrescente
attrattività nei confronti dei lavoratori più giovani, implicita in
una coltivazione poco o nulla tecnologica, si è ritenuto di individuare
nella raccolta l’operazione colturale ricorrente da sottoporre a prove di
meccanizzazione. In relazione alle particolari condizioni della coltivazione
del pistacchio nelle zone etnee, dove le aziende sono per lo
più di ampiezza ridotta e a conduzione familiare e le piante sono
procumbenti e con tronco irregolare, insediate su terreni accidentati,
fortemente pietrosi se non rocciosi, si è ritenuto necessario orientarsi
verso l’impiego di attrezzature portatili in grado agevolare il compito
degli operatori.
2. La raccolta del pistacchio
Fra i paesi dove la coltivazione del pistacchio è rilevante, soltanto
negli U.S. è diffusa una meccanizzazione paragonabile a quella di ogni
altra coltura arborea da reddito. Altrove, invece, anche la raccolta è effettuata
a mano, mediante bacchiatura con canne o bastoni oppure per
brucatura. Quest’ultimo metodo è di preferenza adottato in Sicilia, dove
i raccoglitori non usano scale, ma si arrampicano con cautela sulle inserzioni
delle branche principali per non danneggiare i rami e senza sfiorare
i grappoli fruttiferi posti alla loro estremità. Negli S.U. la raccolta
viene effettuata a mano mediamente sino ai 6 anni dall’impianto; oltre
203

tale età viene ordinariamente eseguita a macchina mediante vibrazione
del tronco: due telai motorizzati dotati di ampie superfici captatrici procedono
fra filari adiacenti e si accostano ad una medesima pianta; uno
dei due porta la testata scuotitrice. Il cantiere nel suo complesso è stato
descritto in quanto utilizzato in passato in Sicilia per la raccolta delle
mandorle [SCHILLACI, 1989]. Il periodo utile per la raccolta è stabilito
dalla colorazione del mallo (prima verde, poi avorio e poi ancora rosa o
bianco) e del guscio (da translucido a opaco). Si ritiene che la raccolta
debba avvenire entro 3 settimane, lungo un periodo che nella regione
etnea oscilla dalla ultima decade di agosto (nei pistacchieti posti a basse
altitudini) a tutto settembre.
3. Materiali e metodi
Metodologia. Di ogni cantiere sono state rilevate l’organizzazione
del lavoro, le risorse impiegate, i tempi e le condizioni del lavoro. I
risultati sono stati posti in relazione alle superfici, alle piante, alle rese e
ai risultati della raccolta manuale condotta in una porzione di ciascun
campo di prova. I campi ove la raccolta è avvenuta erano quanto più
omogenei al loro interno e di conseguenza le prove condotte nell’ambito
di uno stesso campo possono ritenersi confrontabili.
Le attrezzature. In relazione agli ambienti spesso ostici, se non impervi,
sono state individuate e provate alcune attrezzature portatili azionate
con motori alimentati a miscela olio-benzina: uno scuotitore della potenza
di 2,1 kW e massa pari a 12 kg, con asta telescopica a moto alterno
e gancio terminale da applicare ai rami; un aspiratore della potenza di
3,6 kW, massa pari a 13,5 kg, dotato di dispositivo separatore (con espulsione
delle impurità) e di un serbatoio per l’accumulo del prodotto con
capienza di circa 20 kg. Dopo le prime esperienze, è stato ritenuto necessario
includere nel cantiere un soffiatore a zaino della potenza di 3,6
kW e massa pari 10 kg. In alcuni cantieri sono state impiegate reti delle
dimensioni di 8 x 4 m per l’intercettazione del prodotto.
204

Campi e cantieri. I pistacchieti dove sono avvenute le prove di raccolta
sono costituite da piante adulte di cv Napoletana allevate a vaso.
Dopo alcune esperienze preliminari, effettuate mediante aspirazione da
terra, si è ritenuto opportuno mettere alla prova contemporaneamente
diverse configurazioni del cantiere di raccolta agevolata:
A3 – irriguo, sesto 7 x 7 m, scuotitura e raccolta manuale da reti;
A4- come sopra, scuotitura e raccolta da reti con aspiratore;
B3 – sesti irregolari, giacitura accidentata, scuotitura e aspirazione
da reti previo allontanamento delle impurità mediante impiego di
soffiatore.
Per poter meglio valutare i risultati ottenuti, sono stati effettuati rilevamenti
su cantieri di raccolta convenzionale, ovvero per bacchiatura
(A1, B1) e per brucatura (A2, B2), negli stessi campi ove hanno avuto
luogo le prove di raccolta agevolata.
4. Risultati e discussione
Le operazioni di raccolta vengono condotte come di norma dalle sei
del mattino alle dodici, non prolungandosi oltre. Infatti, nelle prime ore
pomeridiane le condizioni diventano proibitive per gli operatori a causa
delle elevate temperature e dal pesante abbigliamento indossato per proteggersi
dalla resina prodotta dalla pianta. La raccolta per brucatura è
del tutto manuale; i rami più alti vengono piegati verso il basso utilizzando
un’asta rudimentale con una estremità piegata ad uncino.
Nel cantiere A2, 4 operai si distribuivano in coppie su due piante
vicine e il prodotto veniva fatto cadere su reti che, grazie ad una giacitura
più regolare, era stato possibile distendere in precedenza sul terreno.
Nel cantiere B2, più accidentato, 2 operai equipaggiati con ceste di plastica,
capienti circa 10 kg e portate a tracolla, agivano con molta attenzione
per ridurre al minimo la caduta del prodotto sul terreno. In ambedue
i campi, il prodotto raccolto veniva poi riversato in sacchi di circa
50 kg, distribuiti in precedenza. Al fine di semplificare al massimo il
205

lavoro e ridurre al minimo il ricorso a manodopera esterna, il recapito
dei sacchi al centro aziendale avveniva a cura degli stessi operatori a
fine giornata. La raccolta per bacchiatura è stata condotta nei cantieri A1
e B1, con squadre di 4 operai che stendevano le reti prima di iniziare la
raccolta. In ogni caso, durante la raccolta la chioma viene trattata con
massima cura per evitare il distacco accidentale delle drupe e queste,
quando cadute a terra fuori dalle reti o dalle ceste, sono riprese con cura
e dispendio di tempo. Nei campi più agevoli, ove era stato sempre possibile
distendere le reti (A), i risultati mostrano una maggiore produttività
(kg/h*opp) della bacchiatura (A1) e, come era da attendersi, con un
incremento del 30% rispetto alla brucatura (A2). Le impurità frammiste
ai frutti si attestano sul 26% in peso del totale del materiale raccolto e
riposto nei sacchi. Si tratta per lo più di foglie, mentre nel caso della
brucatura prevalgono le infiorescenze distaccatesi insieme alle drupe.
Il cantiere con scuotitura meccanica della chioma e travaso manuale
del prodotto dalle reti nei sacchi (A3) consente incrementi dell’80% rispetto
alla brucatura e del 37% rispetto alla bacchiatura. In questo caso,
le impurità sono aumentate sino a rappresentare il 33% della massa raccolta
e sono costituite per lo più dalle foglie distaccatesi a causa delle
energiche vibrazioni che raggiungono il fogliame. Lungi dal rappresentare
un miglioramento rispetto al cantiere con svuotamento manuale delle
reti (A3), la combinazione scuotitura + aspiratura dalle reti (A4) si è
mostrata impraticabile a causa dei continui intasamenti del condotto
dell’aspiratore dovuti principalmente alle foglie frammiste al prodotto.
Per gli stessi inconvenienti, un primo cantiere per la raccolta agevolata,
rappresentato dalla scuotitura della chioma e dall’aspirazione dal terreno,
non aveva superato le prove preliminari. I risultati della raccolta
manuale effettuata nei campi più accidentati mostrano un incremento
della produttività della bacchiatura (B1) pari al 27% rispetto alla brucatura
(B2) e una incidenza leggermente maggiore di impurità (12% rispetto al
10%). Sempre in questi difficili campi, particolarmente interessanti i
risultati ottenuti dal cantiere B3, dove l’incremento della produttività
sulla bacchiatura è del 43% e quello sulla brucatura è dell’82%. La cre-
206

scente produzione di impurità (dal 10% - 12% dei cantieri manuali sino
al 24% nel cantiere meccanizzato) non ha ostacolato il lavoro di aspirazione
per l’efficace azione di soffiatura effettuata preventivamente e per
l’efficienza del dispositivo separatore in dotazione all’aspiratrice, che si
è manifestato in grado di funzionare bene nonostante la quota di residui
che l’operazione di soffiatura non era riuscita ad allontanare. In definitiva,
il cantiere B3, contraddistinto dall’aspirazione dalle reti del prodotto
caduto per effetto delle vibrazioni impresse alla chioma, previo allontanamento
di foglie ed altre impurità tramite soffiatore a zaino, ha permesso
di valorizzare al massimo le elevate prestazioni dello scuotitore,
infatti:
- con la scuotitura della chioma si è ottenuto il distacco di tutto il prodotto;
- le drupe si sono distaccate lasciando sulla pianta i rametti fruttiferi e
sono ricadute sulle reti;
- il soffiatore ha consentito un agevole allontanamento della maggior
parte delle impurità;
- l’aspiratore ha potuto operare con facilità e senza soste, separando
con efficacia le impurità residue.
Da sottolineare che il lavoro di pulitura condotto presso il centro
aziendale è stato di gran lunga più agevole rispetto ai cantieri tradizionali
(brucatura e bacchiatura), anche se deve essere ancora quantificato
con opportuni rilevamenti.
5. Conclusioni e prospettive
Nelle condizioni più ostiche dell’attuale pistacchicoltura etnea, ove
in molti casi le reti non possono essere distese facilmente neppure a
mano, la raccolta con le ceste a tracolla continuerà ad essere l’unica
praticabile. Una prima meccanizzazione del cantiere, ottenuta con macchine
portatili, quali scuotitrici della chioma e aspiratrici per il recupero
del prodotto direttamente da terra, non si è rivelata praticabile per le
207

perdite e per le impurità; sempre per via delle impurità si è dimostrata
impraticabile l’aspirazione del prodotto caduto su reti previamente distese.
Ovunque le reti possono essere dispiegate, le prime prove mostrano i
vantaggi del cantiere B3, ove avvengono la scuotitura e l’aspirazione
del prodotto dalle reti stesse, previo allontanamento delle impurità mediante
l’azione di una soffiatrice spallabile. L’azione di questo strumento
si rivela decisiva consentendo sensibili aumenti della produttività del
lavoro del cantiere nel suo complesso (dal 42% all’82% a seconda dei
casi). Essenziale, per il successo delle operazioni, che l’aspiratore sia
dotato di un efficace dispositivo separatore. La riduzione delle impurità
riduce anche il lavoro svolto dalla famiglia coltivatrice presso il centro
aziendale dopo la raccolta, riduzione che dovrà essere quantificata da
puntuali rilevamenti in un prosieguo della ricerca.
Sul piano dei costi, una verifica particolarmente accurata potrà essere
fatta dopo che una seconda tornata di prove confermerà i primi risultati.
In ogni caso, un importante effetto appare acquisito grazie al maggior
livello tecnologico del cantiere B3; esso consiste nel gradimento registrato
dai coltivatori più giovani rispetto al cantiere manuale, e ciò potrebbe
facilitare un riavvicinamento verso la coltivazione e, di conseguenza,
il ricambio generazionale.
In un eventuale ulteriore prosieguo delle prove, dovranno essere sottoposti
a raccolta meccanica anche i pochi pistacchieti impiantati con
sesti regolari e distanze sufficienti, potati regolarmente e senza rami bassi,
ubicati in aree pianeggianti e su terreni agrari “normali”, anziché su roccia
o pietra lavica. Anche se, per queste piantagioni, più che la rispondenza
alla raccolta meccanica tramite scuotitori del tronco, che appare
assodata, sembrerebbe più interessante accertare definitivamente la qualità
e la quantità del prodotto ottenibile su terreni non strettamente lavici
e dunque diversi da quelli che caratterizzano la coltivazione tradizionale
del pistacchio siciliano.
208

BIBLIOGRAFIA
AA.VV., 1991. Il Pistacchio, Supplemento a “Etna Territorio”, Catania, n.9.
ALBERGHINA O., 1989. La pistacchicoltura di Bronte (Catania): antica
ed intramontabile attività agricola. L’informatore Agrario, n.29.
AVANZATO D., MONASTRA F., CORRAZZA L., 1997. Attività di
ricerca in corso sul pistacchio e primi risultati, in Atti del 7° Colloquio
G.R.E.M.P.A. di Reus (Spagna), 15/20 giugno.
SPINA P., 1982. Il pistacchio. Ed. Edagricole, Bologna.
SPINA P., 1987. Introduzione al Convegno Nazionale sul pistacchio, in
Atti del Convegno Nazionale “Il pistacchio: contributi per il rilancio
di una coltura”. Agrigento.
SCHILLACI G., 1989. La raccolta delle mandorle in Sicilia, macchine
e motori agricoli, N° 7/8, pp. 19-24.
209

210

VARIAZIONI QUALITATIVE NEL CORSO DELLA
CONSERVAZIONE DEI FRUTTI DELLA CULTIVAR DI
PISTACCHIO “BIANCA DI BRONTE ” SOTTOPOSTI A
DIVERSI METODI DI ESSICCAZIONE
PHYSICAL AND CHEMICAL COMPOSITION OF THE FRUITS
OF THE PISTACHIO CULTIVAR ”BIANCA DI BRONTE” AS
AFFECTED BY POST-HARVEST TREATMENTS.
Elena La Russa 1 , Francesco Paolo Marra 1 , Carlo Finoli 2 ,
Giuseppe Occorso 1 , Giovanni Pulvirenti 3 , Tiziano Caruso 1
1 Dipartimento di Colture Arboree - Università di Palermo,
V.le delle Scienze, 90128 Palermo
2 Dipartimento di Ingegneria e Tecnologie Agro-Forestali
Università di Palermo V.le delle Scienze, Palermo
3 Assessorato Agricoltura e Foreste – IX Servizio Regionale, Servizi
allo Sviluppo, Regione Siciliana
Riassunto
I frutti di pistacchio (Pistacia vera L.), trattandosi di frutta secca, si
consumano in genere parecchio tempo dopo la raccolta. A Bronte, (CT),
sulle colate laviche dell’Etna, il pistacchio produce ad anni alterni per
cui i frutti possono essere consumati anche 24 mesi dopo la raccolta. Il
mantenimento delle peculiari caratteristiche qualitative dei frutti di pistacchio
di Bronte dipende in larga parte dalla gestione post-raccolta e,
in particolare, dall’essiccazione dei frutti. Tale operazione, a Bronte, viene
tradizionalmente effettuata stendendo i frutti al sole, su teli, per 4-5 giorni,
in relazione all’andamento climatico; in altri Paesi che coltivano il pistacchio
(Iran, Turchia, USA) sono invece oramai consolidate tecniche
di essiccazione “artificiale”, che consentono di abbattere l’umidità nel
frutto nell’arco di poche ore.
211

Nella presente ricerca si riferisce delle variazioni nella composizione
chimica e fisica di frutti di pistacchio della cultivar “Bianca di Bronte”,
sottoposti ad essiccazione “naturale” al sole, e “artificiale”, con essiccatoi
meccanici. In particolare, sono state valutate variazioni delle caratteristiche
chimico-fisiche dei frutti alla raccolta e dopo 12 e 18 mesi di
conservazione in cella frigo a 4 °C. I risultati ottenuti hanno permesso di
valutare l’evoluzione nei frutti di: colore, clorofilla, umidità, ceneri, lipidi e
proteina grezza, parametri spettrofotometrici, acidi grassi, steroli e tocoferoli.
Parola chiave: acidi grassi, clorofilla, steroli, tocoferoli, parametri
spettrofofometrici
Abstract
Physical and chemical characteristics of pistachio fruits of cultivar
“Bianca di Bronte” were studied in relation to drying methodology and
storage time. After harvest and hull removal, about 4000 kg of pistachio
fruits were splitted in three sub-samples. The first sample was dried up
“naturally” laying the fruits in the courtyard under the sun, and the
other two, using an automatic dryer machine. At harvest and after 12
and 18 months of storage, fruits were analysed for physical and chemical
properties. In details analyses were carried out on: embryo colour,
chlorophyll content, fruit moisture, ash, lipid, proteins, spectrophotometer
data, fatty acids, sterols and tocopherols. With the exception of the
spectrophotometer data, that in the “natural” dried fruits increased
during the storage, no differences were detected in the other physical
and chemical components.
The obtained results, may represent, if confirmed by further
investigation, an useful opportunity to mechanize the fruit drying process
of the “Green pistachio of Bronte”.
Key words: fat acids, chlorophyll, sterols, tocopherols, spectrophotometric
parameters
212

Introduzione
L’elevato valore alimentare, le pregevoli caratteristiche organolettiche,
nutrizionali e salutistiche fanno del pistacchio di Bronte un prodotto di
ampia diffusione commerciale apprezzato dall’industria dolciaria, gastronomica
(insaccati, gelati, dolci) e farmaceutica. Oltre alle scelte
agronomiche, numerosi sono i fattori che influenzano tali caratteristiche
tra i quali notevole importanza assumono le tecniche di gestione dei
frutti nella fase post-raccolta (Kashani Nejad et al., 2003). A Bronte, in
particolare, il prodotto, subito dopo la raccolta viene tradizionalmente
essiccato al sole, per 4-5 giorni o sotto tunnel plastici per 2-3 giorni, in
relazione all’andamento climatico. Nei principali Paesi produttori di pistacchio
(Iran, USA, Turchia), da tempo sono state sviluppate tecniche
di essiccazione che prevedono la rapida riduzione dell’umidità naturale
che il frutto presenta alla raccolta, attraverso l’impiego di essiccatoi
meccanici. A differenza di quanto avviene in quei Paesi, dove il pistacchio
viene destinato al consumo diretto, salato e tostato, il pistacchio di
Bronte è apprezzato soprattutto per il colore e le caratteristiche
organolettiche, tanto che il mercato internazionale riconosce a questo
prodotto un prezzo superiore rispetto a quello iraniano o americano. La
possibilità di alterare tali peculiarità, in seguito all’adozione di tecniche
che non siano quelle tradizionali, quali la rapida essiccazione del prodotto
dopo la raccolta, rappresenta uno dei maggiori ostacoli
all’ammodernamento della filiera produttiva.
Più recentemente, l’emanazione di regolamenti in sede comunitaria
per tutelare la salute del consumatore, obbliga i produttori del settore
agro-alimentare a fornire garanzie sulla salubrità del prodotto. Con riferimento
al pistacchio, durante la fase di essiccazione al sole i frutti sono
esposti anche all’azione di agenti patogeni, alcuni dei quali possono determinare
profonde alterazioni nella composizione (insetti) altri, addirittura,
la formazione di sostanze tossiche (microrganismi).
Attualmente poco si conosce sull’influenza del metodo di essiccazione
sulla evoluzione dei componenti chimici e fisici dei frutti di pistacchio
213

di Bronte durante la conservazione. Al fine di colmare tale lacuna, si è
ritenuto importante intraprendere uno specifico studio con l’obiettivo di
valutare la risposta all’essiccazione “meccanica” in alternativa alle tecniche
di essiccazione “naturale”.
Materiali e metodi
Le prove sono state condotte a Bronte nel 2005. Una partita di circa
4000 kg di frutti di pistacchio della cultivar “Bianca di Bronte”, fornita
dal consorzio di tutela “Pistacchio verde di Bronte”, è stata suddivisa in
tre sub-campioni. Ciascun dei quali è stato sottoposto a un diverso metodo
di essiccazione: artificiale, mediante un essiccatore meccanico, che
insuffla aria calda nella massa dei frutti; naturale al sole, seguendo la
consuetudine locale. Quest’ultimo trattamento è stato assunto come controllo.
Per quanto concerne l’essiccazione artificiale i trattamenti sono
stati diversificati in rapporto alla temperatura di essiccazione e alla durata
del trattamento (tab. 1).
Sul prodotto essiccato, in tre momenti successivi, subito dopo
l’essiccazione, 12 e 18 mesi dopo, sono state determinate le caratteristiche
fisico-chimiche della frazione edule dei frutti. I frutti su cui sono
state effettuate le determinazione 12 e 18 mesi dopo la raccolta sono
stati mantenuti in cella frigo alla temperatura di 4 °C.
Poco prima di procedere alle analisi i frutti sono stati sgusciati, pelati
e triturati. Sulla polvere così ottenuta sono state eseguite analisi chimico-fisiche
riguardanti: colore (Minolta, Chroma Meter CR300), umidità,
ceneri, clorofilla, lipidi e proteina grezza.
Il contenuto di umidità è stato determinato alla temperatura di 105
°C. Le ceneri sono state determinate alla temperatura di 550 °C.
La clorofilla, i lipidi e la proteina grezza sono state determinate su
campioni di polvere seguendo la metodologia riportata negli AOAC-
Official Methods, 1995.
L’olio è stato estratto a freddo da campioni di polvere dei frutti con
etere. Sull’olio così ottenuto sono state effettuate le seguenti analisi:
214

parametri spettrofotometrici: K 232 e K 270 (mediante uno spettrofotometro
UV, Beckman DU 640), acidi grassi, steroli, tocoferoli. L’analisi gascromatografica
degli acidi grassi e degli steroli è stata effettuata mediante
un gas cromatografo Perkin-Elmer Autosystem XL con rilevatore
a fiamma d’idrogeno (F.I.D.). Infine, i tocoferoli sono stati determinati
mediante HPLC dotato di colonna Lichrosorb ODS2.
Risultati e discussione
I valori relativi alle coordinate colorimetriche (L, h e C) non hanno
mostrato alcuna variazione significativa in rapporto ai trattamenti effettuati
(tab. 2). Anche per quanto concerne le ceneri, l’umidità, il contenuto
di lipidi e di proteina grezza fra i diversi trattamenti non sono emerse
differenze degne di nota (tab. 3). Le medesime considerazioni possono
essere espresse per il contenuto di clorofilla a e b (tab. 4).
I fenomeni ossidativi più intensi nel corso della conservazione hanno
interessato oli estratti dai frutti essiccati in modo “naturale” (tab. 5); nei
due campioni sottoposti ad essiccazione “artificiale” non è stata invece
rilevata alcun aumento apprezzabile dei valori spettrofotometrici.
Per quanto riguarda il contenuto di acidi grassi (fig.1), quello
predominante è risultato l’oleico (72%), seguito dal linoleico (15%) e
dal palmitico (10%); sono inoltre state rilevate tracce di miristico (0,07%)
e di eptadecanoico (0,03%). Nel corso della conservazione la
composizione acidica dei frutti si è mantenuta pressoché costante.
Nessuna significativa differenza è stata riscontrata tra i diversi trattamenti
relativamente agli steroli (fig.2). Tra i composti sterolici il sitosterolo
ha raggiunto le maggiori concentrazioni (circa 83%), seguito
dal 5-avenasterolo e dal campesterolo, presenti in percentuale più ridotte
(9,4%, 3,9% rispettivamente). Trascurabili sono risultati i
quantitativi di colesterolo (0,1%) e 7-stigmastenolo (0,9%).
Infine, con riferimento ai tocoferoli (fig. 3) il composto più rappresentato
e risultato il + tocoferolo (479 mg/kg). Nessuna variazione
degna di rilievo è stata rilevata tra i diversi trattamenti di essiccazione.
215

Conclusioni
Dal complesso delle osservazioni effettuate emerge la possibilità di procedere
all’essiccazione dei frutti in modo alternativo a quello tradizionale,
attraverso l’impiego di essiccatoi “meccanici” ad aria calda. Rispetto al
metodo “tradizionale”, che implica la stesura dei frutti al sole nelle ore più
calde della giornata e il loro ricovero durante le ore notturne, l’utilizzo di
essiccatoi automatici comporta diversi vantaggi quali: tempestività nelle
operazioni di asciugatura; possibilità di ridurre l’umidità dei frutti ai valori
desiderati in tempi ben definiti; possibilità di programmare il calendario di
raccolta; possibilità di ridurre i rischi di attacchi di patogeni; possibilità di
ridurre l’impiego di manodopera.
Dalle indagine condotte, pur limitate nel tempo, non sono emersi effetti
negativi sulle caratteristiche chimico-fisiche dei frutti oggetto di studio nella
presente ricerca, sia in rapporto al tipo di essiccazione che con riferimento
al periodo di conservazione. Preme sottolineare che le temperature di
essiccazione adottate (40; 50 °C) non si discostano eccessivamente da quelle
che i frutti possono raggiungere quando vengono esposti al sole in giornate
particolarmente calde, piuttosto frequenti nel mese di settembre in Sicilia.
Tali temperature sono infatti decisamente più basse rispetto a quelle adottate
in Iran e negli USA (70-75 °C) nel corso del processo di essiccazione dei
frutti (Reza Gazor H., Minaei S., 2005). In effetti, in quei Paesi, a motivo dei
grandi quantitativi di frutti che devono essere lavorati in breve tempo e,
soprattutto, della destinazione finale del prodotto (snack), minore attenzione
viene posta nel controllo delle temperature. Temperature prossime a 60 °
C possono, infatti, causare alterazioni della clorofilla, (Giovannini e
Condorelli, 1958) delle proteine, degli acidi grassi, degli steroli e dei
tocoferoli. Sembra utile evidenziare che a questi ultimi composti viene oggi
riconosciuto importante valore nutraceutico.
Pur volendo considerare i risultati oggetto della presente nota preliminari
non sembra tuttavia azzardato ipotizzare che anche per il pistacchio “Verde
di Bronte” sussistano concrete possibilità di automatizzare il processo di
essiccazione senza alterarne le caratteristiche di pregio che ne fanno il prodotto
di elite le cui peculiarità sono internazionalmente riconosciute.
216

BIBLIOGRAFIA
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current situation and prospects. . Nucis 12: 16-19.
KASHANI NEJAD M., TABIL L. G., MORTAZAVI A., SAFE KORDI
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technology, 21(5), 821-838 (2003)
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vera L.)”. Journal Drying Technology, Vol. 23, 2463 – 2475.
GIOVANNINI E., CONDORELLI G. 1956. Sul contenuto vitaminico
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GIOVANNINI E., CONDORELLI G. 1958. Contributo alla conoscenza
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con i tocoferoli. Lsa Ricerca Scientifica, 9, 1-10
OFFICIAL METHODS OF ANALYSIS OF AOAC INTERNATIONAL,
16 th Edition. Gaithersburg, USA. 1995
217

218

219

220

VARIAZIONI QUALITATIVE DEI FRUTTI DI
DIVERSE CULTIVAR DI PISTACCHIO
NEL CORSO DELLA CONSERVAZIONE
FRUIT QUALITATIVE VARIATION IN SEVERAL PISTACHIO
CULTIVARS IN THE TIME-COURSE OF STORAGE
Elena La Russa 1 , Carlo Finoli 2 , Ettore Barone 1 , Tiziano Caruso 1 ,
Francesco Paolo Marra 1 , Valerio Mineo 2
Riassunto
1 Dipartimento di Colture Arboree - Università di Palermo
v.le delle Scienze, 90128 Palermo
2 Dipartimento di Ingegneria e Tecnologie Agro-Forestali
Università di Palermo, v.le delle Scienze, 90128 Palermo
Obiettivo dello studio è stata la valutazione qualitativa di frutti di
pistacchio di cultivar di diversa origine. I frutti sono stati smallati, essiccati
e quindi sottoposti ad analisi chimico-fisiche alla raccolta e dopo conservazione
per dodici e diciotto mesi.
Dopo la conservazione sono state evidenziati incrementi nei lipidi,
glucidi e protidi. La clorofilla ha subito un decremento particolarmente
accentuato (-30%) nella cv Larnaka. La Kerman ha mostrato contenuti
in acido oleico ed in linoleico rispettivamente minore e maggiore.
Tocoferoli e steroli hanno subito variazioni apprezzabili nel tempo. Gli
aumenti dei valori di assorbanza nel tempo confermano un progressivo
processo d’irrancidimento.
Parola chiave: Pistacia vera, qualità, caratteri chimico-fisici.
221

Abstract
This paper reports the results of a study carried out onto some fruit
qualitative parameters and their variation after 12 or 18 months of cold
storage for three pistachio (Pistacia vera L.) cultivars of different origin:
Bianca (Italy), Kerman (Iran) and Larnaka (Cyprus), grown in an
experimental orchard located in Sicily (Agrigento area - 37°33’N -
13°10’E). After the harvest, the fruits were de-hulled and sun dried.
Samples of dried fruits were processed in the lab soon after and part of
them were processed after two periods of cold storage different in length.
Increasing values of lipidic, proteic and glucidic contents were recorded
during storage, according to the parallel decrease observed for the humidity
content. However, the recorded values were in the known limit ranges for
the species. Total chlorophyll content showed a progressive decrease that
resulted particularly high (-30%) for the cv Larnaka. Among the cultivars,
the lowest oleic acid content and the highest linoleic acid content were
observed for the cv Kerman. Significant variation of the tocopherols and of
the sterols was observed in the time course of storage for all the studied
cultivars. The observed absorbance values showed a generalized increase,
clearly indicating the onset of a progressive rancidation process.
Key words: Pistacia vera, quality, chemical and physical caracteristics
Introduzione
Il pistacchio (Pistacia vera L.), originario dell’Asia centrale, si è diffuso
nei paesi del Bacino del Mediterraneo (Libano, Palestina, Turchia,
Grecia, Italia, Tunisia, Marocco, ecc.) all’inizio dell’era cristiana, seguendo
i movimenti e le vicende economiche e storiche dei diversi popoli
che in questa area si sono succeduti (Barone et al., 1996). La diffusione
della specie in Sicilia viene attribuita agli Arabi, che, tra il IX e
l’XI secolo, la coltivarono soprattutto nelle aree interne (Minà Palumbo,
1882). Nel 1890 il pistacchio fu introdotto negli Stati Uniti, ma solo
222

negli anni ’70 si diffuse in coltura intensiva (Hendricks and Ferguson,
1995) soprattutto in California con la cv Kerman ottenuta a partire da
materiale genetico di provenienza iraniana, dimostratasi particolarmente
idonea per il consumo diretto (Monastra et al., 1987). Ancora più recentemente
è stato introdotto in Australia (Maggs, 1982) dove è presente
con la cv di recente costituzione da parte del CSIRO “Sirora”. Attualmente
il pistacchio è maggiormente prodotto in Iran, USA, Turchia, Siria,
Grecia ed in Italia dove ha interesse economico praticamente solo in
Sicilia (Barone e Marra, 2004). Qui, il pistacchio, viene coltivato per lo
più sui terreni lavici del versante sud-occidentale delle pendici dell’Etna
(Adrano, Belpasso Biancavilla, Bronte, Ragalna) e in aree delle province
di Agrigento (Racalmuto), Caltanissetta (S. Caterina, S. Cataldo) e
Palermo (Barone et al., 1985) con diverse cultivar locali alcune delle
quali a rischio di erosione genetica (Barone e Caruso, 1996). Oltre il
90% della produzione di pistacchio, in Italia è, comunque, costituita dal
pistacchio della cv Bianca (“Napoletana”) coltivato nell’areale di Bronte
per il quale, recentemente, è stata proposta la Denominazione di Origine
Protetta del “Pistacchio Verde di Bronte” e il relativo Disciplinare di
produzione riservati alle drupe della cultivar “Napoletana”
(sin.=“Bianca”). Le pregevoli caratteristiche commerciali e l’elevato valore
alimentare del pistacchio ricco in proteine, vitamine, sali minerali,
antiossidanti, acidi grassi polinsaturi (linoleico, linolenico), modesto
contenuto in acidi grassi saturi (arachico, beenico, butirrico, laurico,
miristico, palmitico, stearico) ne fanno un prodotto potenzialmente interessante
per le sue elevate qualità nutraceutiche. Infatti, i grassi non saturi,
come i polinsaturi e monoinsaturi, di cui il pistacchio è ricco, agiscono
diminuendo il tasso di lipoproteina, (LDL, lipoproteine a bassa
densità, o colesterolo “cattivo”) gli Omega 3 poi (ac. alfa linoleico) diminuiscono
il rischio di malattie cardiache, ictus, diabete, depressione,
obesità, cancro; gli antiossidanti, invece, forniscono una protezione contro
l’ossidazione, cioè il danneggiamento delle cellule del corpo quindi lo
sviluppo di tumori, diabete, malattie cardiache, malattie polmonari e
cataratte.
223

Il presente studio ha avuto, come obiettivo principale, la valutazione
di alcune caratteristiche quali-quantitativa presentate dai frutti di tre
cultivar di pistacchio di diversa origine: Bianca (Italia), Kerman (Iran) e
Larnaka (Cipro), allevate in un unico ambiente, e la verifica di eventuali
modificazioni subite nel corso di differenti periodi di conservazione.
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto su frutti raccolti da piante adulte di pistacchio
allevate in un impianto sperimentale del Dipartimento di Colture
Arboree, comprendente diverse cultivar italiane ed estere, sito in provincia
di Agrigento (Sciacca - 37°33’N - 13°10’E). I frutti di pistacchio
di tre cultivar di diversa origine (Bianca, Kerman e Larnaka), sono stati
raccolti a maturazione nel settembre del 2005, smallati ed essiccati naturalmente
(al sole). Prima di procedere alla determinazione chimico-fisica degli
oli estratti dai semi di pistacchio, questi, sono stati sgusciati, pelati e quindi
triturati in un omogenizzatore e sulla polvere così ottenuta sono state eseguite
analisi chimico-fisiche riguardanti: colore (Minolta, Chroma Meter
CR300), umidità, ceneri, clorofilla, lipidi grezzi, proteina grezza.
Determinazione dell’umidità
L’umidità è stata determinata introducendo circa 10 g di polvere di pistacchio
in un pesafiltro tarato e pesato esattamente. Ogni campione è stato
poi essiccato in stufa alla temperatura di 105 °C fino a peso costante.
Determinazione ceneri
Le ceneri sono state determinate ponendo all’interno di un crogiolo
di platino, precedentemente tarato e messo in muffola a 550 °C un campione
di circa 5 g di polvere di pistacchio. I campioni sono stati lasciati
all’interno della muffola fino a quando il loro peso non è rimasto costante
e le ceneri bianche.
224

La clorofilla, i lipidi grezzi e la proteina grezza sono stati determinati
secondo gli AOAC-Official Methods, 1995.
Caratterizzazione chimico-fisica dell’olio
La caratterizzazione chimico-fisica dell’olio di pistacchio ha previsto
la sua estrazione dai semi a freddo con etere che poi è stato allontanato
per evaporazione. Sull’olio così ottenuto sono state effettuate analisi
riguardanti parametri spettrofotometrici (mediante spettrofotometro
UV, Beckman DU 640), acidi grassi, steroli, tocoferoli.
Determinazione degli acidi grassi
L’analisi gas-cromatografica degli esteri metilici degli acidi grassi è
stata effettuata mediante gascromatografo Perkin-Elmer Autosystem XL
con rilevatore a fiamma d’idrogeno (F.I.D.); equipaggiato con una colonna
Varian Wcot Fused Silica 50 m x 0,25 mm ID coating CP-SIL 88
Tailor Made Fame. Sono state adottate le seguenti condizioni operative:
forno: 170 °C per 20 minuti; 10 °C/min sino 220 °C; 220 °C per 5 minuti,
temperatura iniettore: 250 °C; temperatura FID: 250 °C; gas di trasporto:
elio; gas ausiliare: azoto; flusso di elio in colonna: 2 ml/min;
rapporto di splittaggio: 1/60; quantità iniettata: 1l. L’identificazione
dei picchi, è stata effettuata confrontando i tempi di ritenzione dei diversi
acidi grassi, con i tempi di ritenzione ottenuti iniettando una miscela
standard di esteri metilici di acidi grassi puri (Larodan, Malmoe, Svezia),
nelle condizioni operative suddette.
Determinazione steroli
E’ stata effettuata mediante gas-cromatografo con rivelatore a
ionizzazione di fiamma, colonna capillare SPB5 Supelco 30 m x 0,25
mm ID. Le condizioni operative adottate sono le seguenti: temperatura
colonna: 260 °C; temperatura evaporatore: 280 °C; temperatura del rivelatore:
290 °C; gas di trasporto: idrogeno; flusso dell’idrogeno in colon-
225

na: 40 ml/min; flusso dell’aria: 450 ml/min; flusso dell’azoto: 43 ml/
min; rapporto di splittaggio: 1/50; quantità iniettata 0,5 l. L’identificazione
dei picchi è stata effettuata confrontando i tempi di ritenzione dei
diversi steroli con quelli ottenuti iniettando una miscela standard di steroli
nelle medesime condizioni operative.
Determinazione tocoferoli
I tocoferoli sono stati determinati mediante HPLC dotato di colonna
Lichrosorb ODS2 5 m RP 18 , lunghezza: 25 cm, d.i. 4,6 mm; flusso: 1
ml/min; rivelatore UV posizionato alla lunghezza d’onda di 294 nm;
fase mobile: A= acqua 0,5% H 3 PO 4 , B= Acetonitrile/Metanolo 1/1 v/v;
isocratica 4% di A e 96% di B; quantità iniettata: 10 l. Le stesse analisi
sono state ripetute dopo un periodo di conservazione dei campioni di
dodici e diciotto mesi in cella frigorifera alla temperatura di 4°C.
Risultati e discussione
La tab. 1 riporta le coordinate colorimetriche determinate alla raccolta
e dopo 12 e 18 mesi nei campioni sgusciati, pelati e triturati.
Non si osservano variazioni degne di nota per le componenti CIELAB
sia all’interno della cultivar che fra le cultivar nei diversi periodi in
cui sono state effettuate le analisi.
Nella tab. 2 vengono riportati i risultati ottenuti dalle analisi delle
ceneri, dell’umidità e del contenuto lipidico e proteico. Sia fra le
cultivar che all’interno della cultivar nel corso dei diversi periodi
non sono state evidenziate variazioni di grande rilievo, se si esclude
un incremento generalizzato nel tempo delle differenti componenti
per effetto della progressiva perdita di umidità. I valori del contenuto
proteico e lipidico dei frutti sono risultati in generale in linea con
quelli standard della specie (Woodroof, 1967) e, in particolare, quelli
della cv Bianca sono risultati comparabili con i valori ottenuti
226

sulla medesima cultivar da altri autori (De Palma and Godini,
1987).
La tab. 3 riporta i risultati ottenuti dall’analisi della clorofilla. E’
evidente come, per la cultivar Bianca, il contenuto totale in clorofilla
sia risultato superione rispetto alle altre due cultivar, a conferma del
colore verde intenso dei suoi cotiledoni che, peraltro, mostra di
persistere nel tempo. I valori più bassi di clorofilla totale sono stati
osservati nella cv Larnaka, mentre per la cultivar Kerman sono state
riscontrate le variazioni più ampie in corrispondenza delle epoche di
rilievo. A riguardo è noto dalla letteratura che elevate temperature e
luce eccessiva degradino la clorofilla e che essa diminuisca con
l’aumentare della maturazione del seme (Giovannini e Condorelli,
1958). In base ai risultati ottenuti, si può affermare che i diversi
campioni, raccolti a piena maturazione e sottoposti a periodi di
conservazione, abbiano manifestato una stabilità nel tempo differente
in relazione alla cultivar. Relativamente poi al rapporto clorofilla a/
b, esso si attesta intorno a valori di 1,3-1,5 leggermente inferiore a
quanto riportato da Giovannini e Condorelli (1958) e da Agar et al.
(1998) pari a circa 1,7 ottenuto tramite misure quantitative realizzate
per via spettrofotometrica.
Nella fig. 1 vengono riportati i risultati inerenti alle assorbanze
degli oli nella regione dell’ultravioletto. I risultati ottenuti indicano,
per l’olio estratto dai semi di tutte e tre le cultivar, una differente e
comunque modesta resistenza alla degradazione ossidativa. Infatti
per il K 232 , il campione di Bianca ha presentato un incremento
dell’11% e del 23%, per il K 270 del 100% e del 14% rispettivamente
dopo 12 e 18 mesi dalla raccolta. Il campione Larnaka ha invece
presentato un incremento del 4% e del 45% per il K 232 , per il K 270 del
46% e del 40% a 12 e 18 mesi dopo la raccolta. Il campione Kerman
ha subito 12 mesi dopo la raccolta un incremento pari al 6% per il
K 232 e al 66% per il K 270 . e un incremento del 20% per il K 232 e del
77% per il K 270 , 18 mesi dopo; ciò, a conferma di un progressivo
processo d’irrancidimento ossidativo.
227

La fig. 2 riporta la distribuzione percentuale degli esteri metilici
degli acidi grassi. Anche in questo caso si osserva un generalizzato
incremento nel tempo dei principali costituenti da porre in relazione con
la perdita progressiva di umidità registrata nei frutti nel corso della loro
conservazione. E’ possibile notare che l’acido predominante è l’oleico,
(75% nella cultivar Larnaka) seguito dall’acido linoleico (28% nella
cultivar Kerman) e dal palmitico (11% nella Kerman); gli altri acidi sono
presenti in percentuali minori. In tracce sono presenti il linolenico (0,3%),
il miristico (0,08%), l’eptadecenoico (0,06%). Del tutto assente l’erucico
nelle cultivar Bianca e Larnaka mentre nella Kerman è presente in
percentuale pari a 0,03. In letteratura è riportato, in oli estratti da cultivar
di pistacchio allevate in diverse zone della Turchia, un contenuto in oleico
compreso tra il 55-65%, in linoleico tra il 14,7-17,7% e in palmitico tra
11,4-25,3% (Satil et al., 2003). I valori ottenuti per la cv Bianca sono
risultati confrontabili con quelli presentati per la stessa cultivar da altri
autori (De Palma and Godini, 1987).
La fig. 3 riporta la distribuzione percentuale degli steroli presenti negli
oli estratti dai semi dei campioni in esame. Fra le cultivar non si
riscontrano variazioni di grande rilievo; queste interessano piuttosto le
singole cultivar nei diversi periodi in cui sono state effettuate le analisi.
Predomina il -sitosterolo (83% nella cultivar Kerman, 71% in Larnaka)
seguito dal 5 avenasterolo e dal campesterolo presenti in percentuale
molto più ridotta rispetto al precedente (18% il primo nella cultivar
cipriota, 7% nella cultivar Bianca, 4,7% il secondo in Kerman, 2,7% in
Larnaka). Gli altri steroli sono presenti in tracce, (0,3% colesterolo, 0,3%
24metilencolesterolo, 0,1% campestanolo, 1,7% stigmasterolo). Uvaolo,
eritrodiolo, brassicasterolo, 7 campesterolo, 5,23 stigmadienolo sono
del tutto assenti. I valori ottenuti sono risultati confrontabili con quelli
ottenuti in uno studio effettuato su cultivar della Turchia (Satil et al.,
2003). Nella fig. 4 è riportato il contenuto in mg/kg dei tocoferoli presenti
negli oli estratti dai semi di pistacchio delle cultivar esaminate. Predomina
il +y-tocoferolo. Tutti e tre i tocoferoli presentano variazioni di un certo
rilievo durante il corso della conservazione.
228

Conclusioni
Il presente studio ha consentito di effettuare un primo confronto su
alcune caratteristiche carpologiche ed analitiche utili ai fini della
caratterizzazione qualitativa dei frutti di pistacchio appartenenti a
differenti pool genetici e rappresentative di distinti areali di coltivazione.
Le analisi effettuate su frutti sottoposti a differenti periodi di
conservazione hanno consentito di apprezzare l’evoluzione subita da tali
parametri nel tempo simulando, quindi, condizioni che possono verificarsi
nelle fasi del post-raccolta in attesa della commercializzazione delle
produzioni per periodi che, nella pratica produttiva e commerciale tipica
della principale area pistacchicola siciliana, si verificano regolarmente a
causa della produzione ad anni alterni.
Relativamente al giudizio su alcuni dei parametri legati alle qualità
nutraceutiche del pistacchio, è risultato evidente come, in alcuni casi, le
cultivar straniere abbiano mostrato profili qualitativi diversi rispetto alla
cultivar siciliana Bianca, soprattutto per ciò che concerne il contenuto in
acido oleico (maggiore nella Larnaka), in acido linoleico (maggiore nella
Kerman) ed il potere antiossidante. Non è da escludere al riguardo che le
caratteristiche proprie del genotipo siciliano, unite alla note differenze
in termini di percentuale di frutti deiscenti, abbiano potuto influenzare
tali risultati. Ulteriori e più approfonditi studi sono comunque necessari
prima di poter esprimere un più articolato giudizio comparativo sul reale
valore qualitativo dei frutti delle tre cultivar poste a confronto nel presente
studio.
229

BIBLIOGRAFIA
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16 th Edition. Gaithersburg, USA. 1995
231

232

233

234

INTERVENTI AGRONOMICI PER MIGLIORARE LA
PRESENZA DI POLLINE DI PISTACCHIO (P. VERA L.)
NEGLI IMPIANTI COMMERCIALI DI BRONTE
HORTICULTURAL PRACTICES TO IMPROVE THE
AMOUNT OF PISTACHIO (P. VERA L.) POLLEN IN
BRONTE COMMERCIAL ORCHARDS
Rosalia Buffa, Michele La Mantia, Francesco Paolo Marra,
Marcello Cutuli, Piero Spata*, Tiziano Caruso
Dipartimento di Colture Arboree
Viale delle Scienze, 90128 Palermo
* Assessorato Agricoltura e Foreste
IX Servizio Regionale, Servizio allo Sviluppo, Regione Siciliana
Riassunto
Presso tre aziende commerciali rappresentative della pistacchicoltura di
Bronte sono stati condotte osservazioni per verificare la presenza e la concentrazione
del polline di pistacchio nell’atmosfera in rapporto alla fioritura
della cultivar femminile “Bianca di Bronte”. Su campioni di polline prelevati
da piante maschili di P. vera e di P. terebinthus presenti nelle tre aziende
in argomento è stata inoltre determinata la vitalità e la germinabilità. Grande
variabilità è stata riscontrata sia nella quantità di polline presente nell’atmosfera
che nella vitalità e nella germinabilità del polline stesso.
Osservazioni sono altresì state condotte sulla fenologia di fioritura di
nove genotipi maschili di pistacchio siciliani, selezionati dal Dipartimento
di Colture Arboree (DCA) dell’Università di Palermo, in rapporto alla fioritura
della cultivar femminile Bianca di Bronte. Nel complesso i nove maschi
siciliani selezionati hanno fatto registrare un periodo di fioritura che ha
avuto inizio l’ultima settimana di aprile e si è concluso due settimane più
tardi. Tale periodo è risultato sufficientemente lungo da sovrapporsi al
periodo di piena della cultivar femminile “Bianca di Bronte”.
235

Gli autori suggeriscono di avviare un programma pluriennale per introdurre,
nella pistacchicoltura etnea, attraverso il reinnesto di piante
adulte femminili di Bianca di Bronte, le selezioni maschili del DCA di
Palermo, fino a raggiungere un’incidenza, complessiva, di tali genotipi
prossima al 10% delle piante.
Parole chiave: fenologia, indagine aerobiologica, pistacchio
Abstract
In three commercial orchards located at Bronte, surveys have been carried
out in order to verify the pollen presence and concentration in the atmosphere
during the flowering period of the main female cultivar, Bianca di Bronte.
Great variability has been observed on pollen quantity spread in the air as
well as on pollen germinability. Authors refer as well on the results obtained
on observing the phenology of the blooming period of nine Sicilian male
genotype selected by the Dipartimento of Colture Arboree (DCA) of
University of Palermo and on one female cultivar “Bianca di Bronte”. Bloom
dynamics, of male and female cultivars are discussed. on the whole, the nine
Sicilian males selected had a flowering period that started at the last week
of April and ended 2 weeks later: that period was long enough to overlap
with the blooming period of the mentioned female cultivar. The results of
this study suggest that it is important to introduce, in the Etna pistacchio
orchards, new male genotype, selected by the DCA of University of Palermo,
by top-morning re-grafting female adult plants, in order to reach
approximately the 10% of male incidence.
Key words: phenology, airborne research, pistachio
Introduzione
Il pistacchio (Pistacia vera L.) è senza dubbio la specie che maggiormente
caratterizza la frutticoltura etnea, sia per tradizione che per diffu-
236

sione. Nella provincia di Catania, infatti, la pistacchicoltura interessa
una superficie di circa 3.500 ettari, ricadenti quasi esclusivamente nel
territorio di Bronte ed Adrano, in una fascia altitudinale compresa fra i
350 m e gli 800 m s.l.m.. Poco meno della metà degli impianti sono
pistacchieti “naturali” ovvero formati da piante innestate su terebinto
(Pistacia terebinthus L.) spontaneo, mentre la rimanente parte è per lo
più costituita da impianti di tipo “misto” in cui cioè, frammiste a quelle
spontanee, sono state trapiantate piante di terebinto provenienti da vivaio
e poi innestate a dimora (Barone et al., 1985).
Il pistacchio è specie dioica, i fiori maschili e quelli femminili sono
infatti portati su piante diverse. L’impollinazione può avvenire indistintamente
a carico di individui maschili di P. vera, diP. terebinthus e di
ibridi naturali di P. vera x P. terebinthus. Numerosi studi hanno inoltre
dimostrato che la regolare impollinazione delle piante femminili di un
pistacchieto viene assicurata quando la percentuale di individui maschili
presenti nell’impianto non è inferiore al 10%. Nella maggior parte dei
pistacchieti del comprensorio etneo, però, la scarsa importanza attribuita
alla presenza delle piante maschili, poiché improduttive, ha condotto
alla riduzione del numero degli impollinatori al di sotto della soglia minima
dell’1 %. Nelle aree pistacchicole di Bronte, inoltre,
l’impollinazione viene in genere affidata ad individui maschili spontanei
di terebinto, specie che tende a fiorire con sensibile anticipo rispetto
alle piante femminili della cultivar “Bianca di Bronte”, con conseguenze
negative sull’impollinazione e, quindi, sulla fruttificazione di queste
ultime. Sembra oramai accertato, per di più, che il polline di terebinto
abbia, nei confronti dei fiori femminili di pistacchio, una minore capacità
fecondativa rispetto a quello dei maschi di P. vera; in molti casi, la
ridotta produttività degli impianti può essere riconducibile a una scarsa
impollinazione e/o fecondazione, per cui alla raccolta molti frutti possono
risultare vuoti. Tale fenomeno si verifica quando l’allegagione e la
crescita dell’ovario avvengono regolarmente, ma l’embrione non si sviluppa.
Le cause sono ascrivibili sia ad una mancata fecondazione dell’ovulo
a seguito di una normale impollinazione con conseguente assenza
di embrione (partenocarpia), sia all’aborto dell’embrione circa due
237

mesi dopo la fecondazione, prima che inizi la fase di attiva crescita
(stenospermocarpia). È stato inoltre dimostrato che nel pistacchio, così
come in altre specie da frutto, la fonte del polline influenza non solo la
dimensione, la forma e le caratteristiche qualitative del seme (xenia),
ma ha anche un effetto diretto sulla dimensione, la forma e l’epoca di
maturazione del frutto (metaxenia). La scarsa quantità di impollinatori e
la presenza tra di essi di un numero piuttosto modesto di piante di maschili
di P. vera è, molto probabilmente, la maggiore causa della mancata
o imperfetta impollinazione di numerosi fiori delle piante della cultivar
femminile Bianca e, assieme al fenomeno dell’alternanza di produzione,
contribuisce a limitare le potenzialità produttive degli impianti
pistacchicoli dell’Etna. Al fine di verificare la validità di tale ipotesi
sono state intraprese specifiche indagini delle quali si riferisce nella presente
nota. In dettaglio sono state condotte osservazioni sulla dinamica
di fioritura, sulla vitalità e sulla germinabilità del polline di individui
maschili di P. vera e di P. terebinthus presenti in tre aziende pistacchicole
rappresentative del comprensorio etneo. Parallelamente sono state condotte
osservazioni comparative sulla fenologia della fioritura di 9 genotipi
maschili di P. vera e della cultivar “Bianca di Bronte”.
Materiali e metodi
Indagini sulla presenza di polline nell’atmosfera in pistacchieti etnei in
rapporto alla fioritura della “Bianca di Bronte”
Le indagini, sono state effettuate durante l’anno di carica (2005) presso
tre diverse aziende che ricadono nel territorio di Bronte: Meli, sita in
contrada Rocca Tufano Vallazzo (750 m s.l.m.), D’Aquino, in contrada
Rocca Tufano (650 m s.l.m.); Zingale, in contrada Malaga (550 m s.l.m.).
Nei tre impianti, a partire da metà aprile, a cadenza settimanale, è stato
effettuato il campionamento di infiorescenze di piante spontanee maschili
di P. terebinthus e di P. vera. In laboratorio, da alcune infiorescenze
238

prelevate durante le diverse fasi dell’antesi, è stato prelevato polline direttamente
dalle antere. Il polline è stato colorato con acetato di
fluoresceina e osservato al microscopio a fluorescenza, al fine di saggiarne
la vitalità. Prove di germinabilità del polline sono state effettuate
su substrato solido (H 3 BO 3 10 -3 M e Ca(NO 3 ) 2 *4H 2 O 0,5*10 -3 M + saccarosio
10% + 0,5% agar) dopo aver mantenuto i granuli pollinici per
48h a 24 °C (Heslop-Harrison, 1986). Alcune antere sia di pistacchio
che di terebinto sono state inoltre incluse in resina e le sezioni ottenute
sono state osservate al microscopio ottico. Tramite l’uso di un programma
di analisi di immagine su tali sezioni è stata misurata la dimensione
del polline. Ulteriori indagini di tipo morfologico dei granuli pollinici
sono state effettuate mediante microscopio elettronico a scansione.
Nelle suddette aziende è stato, inoltre, effettuato il monitoraggio della
concentrazione di polline di pistacchio e/o di terebinto nell’atmosfera
mediante un capta-polline portatile Burkard Spore-trap (Burkard
Manufacturing Co. Lmtd., UK). Attraverso l’osservazione al microscopio
ottico è stata effettuata l’identificazione ed il conteggio dei granuli
in modo da pervenire al numero esatto di granuli pollinici presenti in un
volume noto d’aria; questa informazione, insieme all’osservazione dell’andamento
della presenza dei pollini, della data di inizio della
pollinazione e della durata della fioritura ha permesso di determinare il
fenogramma di fioritura delle piante maschili di terebinto e di pistacchio.
Osservazioni comparative sulla fenologia di fioritura di 9 genotipi maschili
di P. vera e della “Bianca di Bronte”
Le indagini sono state condotte presso un campo collezione costituito
nel 1991 dal Dipartimento di Colture Arboree (DCA) dell’Università
di Palermo in agro di Sciacca (Ag). Ciascuno dei nove genotipi maschili,
contrassegnati con diverse sigle (M1,...M9) è rappresentato da 3 piante
adulte innestate su un portinnesto clonale di P. integerrima. Sempre
nel medesimo campo sono presenti 18 piante femminili della “Bianca di
Bronte”. La scelta di porre le piante in un unico luogo, è stata dettata
239

dall’esigenza di svincolare la variabilità dell’espressione fenotipica da
fattori ambientali. Le osservazioni sulla fenologia dei diversi genotipi
maschili rispetto alla cultivar “Bianca di Bronte” sono state effettuate,
nel biennio 2005-2006. La fenologia dell’antesi è stata valutata
empiricamente suddividendola in tre distinte fasi (inizio, piena e fine),
rappresentate nelle immagini riportate in figura 1.
Risultati
Indagini sulla presenza di polline nell’atmosfera presso pistacchieti etnei
in rapporto alla fioritura della cultivar femminile “Bianca di Bronte”
Nonostante le differenze di altitudine (da 550 a 750 m s.l.m.) tra i tre
impianti commerciali di pistacchio in osservazione, nel complesso, non
sono state osservate marcate differenze nel periodo di presenza del polline
di pistacchio e di terebinto nell’atmosfera. In ciascuna delle tre aziende
in cui sono state condotte le osservazioni, la piena antesi delle
piante femminili di Bianca di Bronte è durata mediamente una settimana
(Fig. 2).
La maggiore concentrazione di polline di pistacchio e di terebinto
nell’atmosfera è stata registrata nell’azienda Meli, mentre nell’azienda
D’Aquino è stata rilevata una quantità di polline inferiore di circa l’80%.
In dettaglio, nell’azienda Meli i picchi di concentrazione del polline
nell’atmosfera si sono verificati il 21 e il 27 aprile, con valori di 275
granuli/m 3 d’aria. Nelle piante maschili l’antesi è durata 22 giorni, dal
14/04 al 4/05 mentre in quelle femminili è durata nove giorni: dal 20 al
28/04 (Fig. 3).
Nell’azienda Zingale la massima concentrazione di polline nell’atmosfera
è stata rilevata il 28 aprile (80 granuli/m 3 d’aria). La presenza
del polline nell’aria è stata registrata per 24 giorni, dal 13/04 al 6/05; nel
complesso i fiori delle piante femminili hanno raggiunto la piena antesi
dal 16 al 25/04 (Fig. 3).
240

Nell’azienda D’Aquino (600 m. s.l.m) la presenza del polline nell’aria
è stata rilevata per 21 giorni (dal 15/4 al 5/5); la massima concentrazioni
è stata registrata il 30/04 (49 granuli/m 3 di aria). Nell’azienda in
questione la “Bianca di Bronte” ha iniziato a fiorire il 22/4, una settimana
dopo l’inizio della presenza di polline nell’atmosfera, e ha terminato
la piena antesi il 30/04 (Fig. 3).
Valutazione della vitalità e della germinabilità del polline
I granuli di polline di P. vera e di P. terebinthus non presentano differenze
morfologiche e strutturali. L’unica differenza osservata tra il polline
di pistacchio e quello di terebinto riguarda le dimensioni medie dei
granuli: il polline di P. vera, infatti, ha un diametro maggiore (29,6 m)
rispetto a quello di P. terebinthus (25 m).
La vitalità del polline di P. vera è risultata di circa il 60% in tutti e tre
i pistacchieti in osservazione, mentre valori oscillanti fra il 30,6% (az.
Meli) e l’80% (az. D’Aquino) sono stati osservati per il polline di
terebinto.
Per quanto riguarda la germinabilità, i campioni di polline prelevati
dalle piante delle due specie (P. vera e P. terebinthus) presenti nei tre
impianti commerciali in osservazione hanno fatto registrare valori sempre
inferiori al 10%, ad eccezione del pistacchio dell’azienda D’Aquino
(14,1%) e del terebinto dell’azienda Meli (12,3%).
Osservazioni comparative sulla fenologia di fioritura di 9 genotipi maschili
di P. vera e della “Bianca di Bronte”
La fioritura della “Bianca di Bronte” nel 2005 ha avuto inizio il 3
maggio ed è durata 8 giorni (Fig. 4). L’antesi dei nove genotipi maschili
è iniziata nell’ultima settimana di aprile e si è conclusa dopo un paio di
settimane. In generale, la sovrapposizione della fioritura delle piante
maschili rispetto a quelle femminili di “Bianca di Bronte” è stata di circa
una settimana, periodo sufficientemente ampio da permettere
l’impollinazione della cultivar femminile.
241

In dettaglio, nell’ambito delle accessioni maschili in osservazione il
genotipo M2 è risultato quello a fioritura più precoce e ha anticipato la
fioritura della “Bianca di Bronte” di circa 7 giorni; i genotipi M9 e l’M6,
che sono invece risultati quelli caratterizzati da fioritura più tardiva, hanno
raggiunto la piena antesi contemporaneamente alle piante femminili. In
questi due ultimi genotipi maschili il periodo di fioritura è risultato più
breve rispetto agli altri.
Nel 2006 la fioritura di tutte le piante in osservazione è iniziata con
una settimana di anticipo rispetto all’anno precedente (Fig. 4) ed ha avuto
una maggiore durata (7 giorni circa). Anche nel secondo anno di osservazione
l’antesi degli individui maschili, nel loro complesso, è stata
pressoché contemporanea a quella della “Bianca di Bronte”. Il primo
maschio a rilasciare il polline è stato l’M5, mentre il genotipo M6 ha
confermato di essere il più tardivo fra i genotipi maschili in studio.
Considerazioni conclusive
L’epoca di fioritura, sebbene sia influenzata da fattori ambientali,
costituisce uno strumento indispensabile per la scelta dei genotipi maschili
da utilizzare negli impianti di pistacchio .
Nelle tre aziende pistacchicole in osservazione a Bronte è stata riscontrata
una grande variabilità nella quantità e nella composizione relativa
del polline delle due specie di pistacchio presenti nei pistacchieti
di Bronte (il terebinto e il vera). Il polline deriva spesso dalle poche
piante maschili di P. vera e, più frequentemente, da semenzali di P.
terebinthus che crescono spontanei in prossimità dei muretti a secco che
separano le aziende. In suddetto contesto la presenza di polline nell’atmosfera
e, di conseguenza, il grado di impollinazione dei fiori femminili,
varia nel tempo (anni) e nello (spazio), dando luogo ad un’alta incidenza
percentuale di frutti vuoti.
I risultati degli studi di biologia fiorale intrapresi sin dagli anni ’70
hanno sollecitato i ricercatori di tutti i paesi produttori a selezionare,
242

nell’ambito del germoplasma locale, cultivar maschili di P. vera con
epoca di fioritura contemporanea con le principali cultivar femminili. In
alcuni paesi come Turchia e Iran, la riconversione varietale attraverso il
reinnesto di piante femminili con marze di cultivar maschili di P. vera
ha consentito di pervenire ad incrementi produttivi considerevoli, sia
per l’aumento di frutti allegati che per la diminuzione dell’incidenza di
quelli vuoti o con cotiledoni non completamente sviluppati (Kaska, 1993).
In questa ottica, date le differenti condizioni ambientali e altimetriche
che caratterizzano i pistacchieti del comprensorio etneo, l’introduzione
di un maggior numero di genotipi maschili di P. vera garantirebbe, oltre
ad un periodo di dispersione del polline sufficientemente ampio, anche
una maggiore disponibilità di polline vitale, longevo e compatibile con
la cultivar femminile locale. A tale scopo, i diversi genotipi maschili
selezionati dal DCA e valutati nel medesimo ambiente (campo collezione),
hanno fatto registrare, nel complesso un periodo di antesi ampio e
simultaneo alla fioritura della “Bianca di Bronte” tale da assicurarne
l’impollinazione. Si ritiene pertanto poter suggerire di introdurre, nel
territorio di Bronte, attraverso reinnesto di piante adulte, i genotipi maschili
di pistacchio selezionati, fino a raggiungere una incidenza complessiva
delle piante maschili rispetto a quelle femminili prossima al
10%.
243

BIBLIOGRAFIA
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superfici coltivate e aspetti agronomici. L’informatore Agrario
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244

245

246

STATO NUTRIZIONALE DELLE PIANTE DI
BIANCA DI BRONTE SOTTOPOSTE A CONCIMAZIONE
FOGLIARE CON UREA ED ESTRATTI PROTEICI
NUTRITIONAL STATUS OF “BIANCA DI BRONTE”
TREES SUBJECTED TO FOLIAR FERTILIZATION WITH
UREA AND WITH ORGANIC EXTRACTS
Valentina Vilardo, Michele La Mantia, Rosalia Buffa,
Piero Spata*, Tiziano Caruso
Dipartimento di Colture Arboree, Università di Palermo
Viale delle Scienze, 90128 Palermo
* Assessorato Agricoltura e Foreste
IX Servizio Regionale, Servizio allo Sviluppo, Regione Siciliana
Riassunto
Si riferisce di una ricerca condotta per valutare gli effetti di trattamenti
fogliari con urea e con estratti proteici, questi ultimi ammessi nella coltura
biologica, sullo stato nutrizionale di piante di pistacchio (Pistacia vera L.).
Le esperienze sono state realizzate in agro di Bronte (CT) su piante della
cultivar Bianca di Bronte. Su campioni di suolo prelevati al di sotto della
chioma delle piante sottoposte a concimazione fogliare e di quelle di controllo
sono state determinate le principali caratteristiche fisiche e chimiche.
Prima e dopo il trattamento di concimazione sono, inoltre, state effettuate
analisi dei macro- e dei micro-elementi su campioni di foglie. In seguito alle
applicazioni di urea, effettuate alla fine dell’estate, è stato riscontrato un
innalzamento del tasso di azoto nelle foglie; gli estratti proteici non hanno
invece sortito alcun effetto. Nessuna differenza è stata osservata nella composizione
del suolo.
Parole chiave: Pistacchio, concimazione fogliare, suoli vulcanici, fertilità
del suolo.
247

Abstract
A study on the effect of foliar applications of urea and an organic
fertilizer on nutritional status of pistachio (Pistacia vera L.) trees has
been performed. The experiences have been carried out on pistachio
cultivar “Bianca di Bronte”. Main physical and chemical characteristics
were determined in each soil sample collected under the crown of the
plant treated and the control. The analysis of micro- and macro-nutrients
in each leaf sample were determined before and after fertilization. Urea
applications, at the end of vegetative season, positively affected the leaf
nitrogen content.
Key words: Pistachio, foliar fertilizer, volcanic soil, soil fertility.
Introduzione
La produttività di una coltura arborea e la qualità della relativa produzione
sono strettamente correlate alla disponibilità dei nutrienti nel
suolo.
I suoli vulcanici contengono notevoli quantità di argille allophaniche
e ossidi di Fe ed Al (Fassbender, 1972; Martini e Palencia, 1975), colloidi
del suolo le cui superfici possono essere cariche positivamente (Oades,
1995). Inoltre, i suoli vulcanici sono caratterizzati da un alto contenuto
di C e Al incorporati in allumosilicati non cristallini e complessi Alhumus
(Shoji et al., 1993).
Lungo le pendici dell’Etna, la pistacchicoltura ha caratteri di particolare
tipicità, sia perché basata su di un patrimonio varietale esclusivamente
autoctono (la cultivar “Bianca di Bronte”) sia perché costituita
attraverso l’innesto a dimora di piante spontanee di terebinto (P.
terebinthus L.).
Il particolare contesto pedologico sul quale insiste la coltivazione
del pistacchio a Bronte rende, perciò, spesso estremamente difficile
248

somministrare concimi organici e minerali al suolo per cui, per migliorare
lo stato nutrizionale delle piante, si ricorre spesso alla
concimazione fogliare. L’applicazione di concimi attraverso le foglie
non è però un via alternativa di nutrimento delle piante ma rappresenta
soltanto una misura complementare (Brown, 1998), spesso
efficace, per superare o prevenire deficienze localizzate, soprattutto
quando la somministrazione di un determinato elemento al suolo è
limitata da fattori fisici permanenti (suoli superficiali e/o con roccia
affiorante) o da limitazioni di tipo agronomico (assenza di acqua
irrigua). Il prodotto più frequentemente utilizzato ai fini di tale pratica
colturale è l’urea.
La presente ricerca ha avuto lo scopo di studiare gli effetti di due
diversi concimi somministrati per via fogliare sullo stato nutrizionale
delle piante. In particolare, uno dei due concimi (urea) è utilizzato nell’agricoltura
convenzionale, mentre l’altro (carniccio) è ammesso nell’agricoltura
biologica.
Materiali e metodi
Le indagini sono state condotte sul suolo di due aziende agrarie dedite
alla coltivazione del pistacchio (Pistacia vera cultivar autoctona “Bianca
di Bronte”). Entrambe le aziende sono estese circa 1 ettaro e ricadono
nel territorio comunale di Bronte (CT). Un’azienda (Meli) è sita in
contrada Rocca Tufano Vallazzo (750 m s.l.m.), l’altra (D’Aquino) è in
contrada Rocca Tufano (650 m s.l.m).
In ciascuna azienda sono stati selezionati nove alberi della cultivar
femminile “Bianca di Bronte” innestata su P. terebinthus, scelti per omogeneità
produttiva e sviluppo vegetativo. Su tre delle nove piante selezionate
sono stati effettuati i trattamenti di concimazione fogliare con
urea (urea tecnica, 46% di N e biureto

l’agricoltura biologica (N e C organico, rispettivamente all’8,5 e al 29,0
%, w/v); infine, i tre alberi rimanenti, su cui è stata somministrata solamente
acqua e bagnante, sono stati assunti come controllo. I trattamenti
fogliari sono stati effettuati nella prima decade di settembre 2004
e ripetuti dopo 15 giorni. Al fine di apportare i medesimi quantitativi di
N sono stati somministrati 210 g di urea tecnica per pianta, mentre di
carniccio ne sono stati somministrati 245 g/pianta.
Campioni di suolo sono stati prelevati al di sotto delle piante trattate,
in prossimità della superficie delimitata dalla proiezione della chioma,
nel mese di settembre 2004, poco prima che fossero effettuati i trattamenti
di concimazione fogliare. Sono state campionate due carote di
suolo per pianta per un totale di 18 campioni di suolo/azienda.
I parametri fisici e chimici del suolo quali la tessitura, la conducibilità,
i cationi solubili (Ca, Mg, K, Na), le basi di scambio (Ca, Mg, K, Na),
l’azoto totale e il carbonio organico sono stati determinati secondo i
metodi ufficiali del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (2000).
Al fine di valutare l’effetto dei trattamenti sullo stato nutrizionale
delle piante, sono stati prelevati campioni di foglie dal tratto intermedio
dell’ultimo flusso di vegetazione, di piante in annata di “scarica”. In
dettaglio, i campionamenti sono stati eseguiti poco prima che fossero
effettuati i trattamenti (settembre 2004) e nel mese successivo (ottobre
2004). Sui campioni di foglie, utilizzando la metodica di Morard et al.
(1970), sono stati determinate le concentrazioni dei principali macro- e
microelementi (N, P, K, Na, Fe, Ca, Mg, Zn, Mn).
Risultati e discussione
Suolo
Nella tabella 1 sono riportati i valori medi relativi ai parametri fisicochimici
dei suoli delle due aziende, determinati sui campioni prelevati
nel mese di settembre 2004. Nell’azienda D’Aquino, il suolo è risultato
di tipo sabbioso-franco (sabbia 88%), mentre nell’azienda Meli è risul-
250

tato sabbioso (sabbia 93%). Nei suoli delle due aziende in studio non
sono emerse differenze degne di nota nel pH in H 2 O. I valori di
conducibilità elettrica hanno, invece, fatto rilevare valori sensibilmente
differenti (Meli 0,15 dS m -1 , D’Aquino 0,36 dS m -1 ). Il contenuto di N
totale (Meli 5,4 g/kg, D’Aquino 4,1 g/kg) e di C organico del suolo (Meli
65,7 g/kg, D’Aquino 37,5 g/kg) è risultato elevato in entrambe le aziende.
I cationi solubili come Ca, Mg, Na e K hanno fatto registrare una
concentrazione maggiore nell’azienda D’Aquino (Tab.2); nessuna differenza
apprezzabile è, invece, stata rilevata nelle basi di scambio dei
suoli dei due appezzamenti (Tab. 3).
Foglie
I contenuti di macro- e micro-elementi riscontrati nelle foglie sono
riportati in Tab.4. Il contenuto di N fogliare ha presentato un decremento
significativo tra le due epoche di campionamento, ciò a testimoniare che
nelle piante di pistacchio, a prescindere dal trattamento di concimazione,
si verifica una traslocazione di N dalle foglie ad altri organi anche sul
finire dell’estate, molto probabilmente alle radici, che in questa stagione
riprendono, in genere, una pur modesta attività di accrescimento, prima
della stasi invernale. Le foglie delle piante sottoposte al trattamento con
urea hanno mostrato una risposta più pronta all’apporto di N rispetto a
quelle delle piante sottoposte al trattamento con carniccio. Anche le concentrazioni
nella lamina fogliare degli altri elementi come K, Ca, P e Fe
hanno mostrato un decremento tra le due epoche di campionamento. In
tal senso non è da escludere che, oltre all’N, anche altri elementi minerali
siano traslocati dalle foglie ad altri organi in accrescimento o in fase
di accumulo per costituire le riserve necessarie alla ripresa vegetativa,
prima della filloptosi autunnale.
Nel complesso, i livelli nutrizionali riscontrati nell’ambito delle presenti
indagini e gli andamenti stagionali della concentrazione degli elementi
minerali nelle lamine fogliare non si discostano da quelli rilevati,
sempre sul pistacchio, da altri ricercatori in un diverso contesto colturale
(Crescimanno et al., 1985)
251

Conclusioni
Recenti indagini sulla fisiologia della nutrizione delle piante arboree
da frutto hanno evidenziato l’importanza di mantenere elevati i livelli
degli elementi minerali nelle foglie durante la stagione autunnale. Poco
prima della filloptosi invernale buona parte degli elementi minerali
presenti nelle foglie vengono infatti traslocati ai tessuti di riserva degli
organi di accumulo (grosse branche e radici) della pianta. L’albero
“rimobilizza” tali elementi al termine della fase di dormienza, ai fini
della ripresa vegetativa.
Dalle prove condotte è emerso che i trattamenti fogliari con urea,
effettuati alla fine dell’estate, consentono di innalzare il tasso di azoto
nelle foglie e quindi, molto verosimilmente, attraverso i processi prima
descritti, di elevare i quantitativi di riserve azotate nell’albero. Il concime
organico utilizzato (carniccio) non ha invece sortito alcun effetto.
Vista l’efficacia delle applicazioni fogliari con urea a fine stagione,
soprattutto nelle annate di “carica” non sono da escludere effetti positivi
dovuti alla ripetizione di tali interventi in diversi periodi del ciclo
biologico annuale delle piante in produzione, per tentare di soddisfare la
cospicua domanda di azoto esplicata da parte dei frutti.
I risultati, pur preliminari, integrati con quelli scaturiti da altre indagini
condotti sulla medesima tematica, (Barone et al.,2005) aprono novi
scenari ai fini della gestione della concimazione, per via fogliare, del
pistacchio.
252

BIBLIOGRAFIA
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SHOJI S., NANZYO M., DAHLGREN R., 1993 Volcanic Ash Soils
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253

254

255

256

STUDIO DI TECNICHE ALTERNATIVE ALLA
‘SCOZZOLATURA’ DEL FICODINDIA IN AMBIENTE ETNEO
ALTERNATIVE METHODS TO ‘SCOZZOLATURA’ IN
PRICKLY PEAR IN THE ETNA DISTRICT
Calogero Germanà, Alberto Continella, Maria Pace Ciraldo
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari,
Università degli Studi di Catania,
Via Valdisavoia 5, 95123 Catania
Riassunto
Con la presente ricerca sono state studiate alcune tipologie d’intervento
alternative alla “scozzolatura”, tecnica tradizionalmente usata in Sicilia
e che prevede l’eliminazione meccanica di fiori e cladodi del flusso
primaverile per ottenere una seconda produzione autunnale. I risultati
degli interventi agronomici, seppur preliminari, hanno permesso di inibire
la fioritura primaverile.
Parole chiave: Opuntia ficus-indica (L.) Mill., Sicilia, rete ombreggiante,
fioritura
Abstract
Some methods alternative to the “scozzolatura”, technique traditionally
used in Sicily and that consists in the removal of spring-flush flowers
and pads in order to obtain a second flush with autumnal production,
have been studied. Preliminary results of the agronomical methods
allowed to inhibit spring flowering.
Key words: Opuntia ficus-indica (L.) Mill., Sicily, covering nets, flowering
257

Introduzione
La produzione di frutti di ficodindia fuori stagione si esegue in Sicilia
con la tecnica tradizionale della ‘scozzolatura’, consistente nell’eliminare
i fiori e i cladodi del primo flusso primaverile, con l’obiettivo di
ottenere un secondo flusso vegetativo e riproduttivo, e, quindi, una seconda
produzione nel periodo autunnale, caratterizzata da maggior pregio
commerciale.
In relazione a tale tecnica sono state studiate la sensibilità delle diverse
cultivar, del momento e dell’entità della rimozione (Barbera et al.,
1991; Inglese et al., 1994) e l’influenza di trattamenti ormonali ed ombreggianti
(Barbera et al., 1993). Questi ultimi Autori ipotizzano il ruolo
di alcuni fattori endogeni ed esogeni alla pianta.
In Israele tecniche alternative, come sottoporre le piante di ficodindia
a continue fertilizzazioni in autunno dopo la raccolta estiva, hanno consentito
di ottenere anche una seconda produzione di frutti nel corso della
stagione invernale (Nerd et al., 1991, 1993; Nerd e Mizrahi, 1994).
Scopo del presente lavoro è stato quello di provare mezzi agronomici
alternativi alla ‘scozzolatura’ sul ficodindia con soluzioni meno traumatiche.
Si tratta di ridurre e/o manipolare il primo flusso intervenendo
preventivamente sulla prima fase del ciclo di fruttificazione, cioè durante
l’induzione a fiore, dalla quale dipende essenzialmente la produzione
finale. Poiché le piante fioriscono in seguito a stimoli fisici ambientali
(luce, freddo, stress idrico) e poiché è difficilmente attuabile il controllo
delle basse temperature, si è cercato di intervenire principalmente sul
fattore luce, che provoca la formazione di fiori quando il rapporto tra
due lunghezze d’onda della luce [rosso (R) e rosso lontano (FR)] è superiore
ad uno.
Ciò potrebbe ottenersi con le seguenti metodologie a cui si è attenuto
il piano sperimentale della ricerca: 1. regolando la quantità e la qualità
della energia radiante incidente in termini di radiazioni fotosinteticamente
attive (PAR), come già sperimentato da altri Autori (Cicala et al., 1997;
Nobel e Castañeda, 1998) e, in particolare, modificando il rapporto fra
258

le lunghezze d’onda del rosso (R) e del rosso lontano (FR), ritenuto da
diversi Autori (van Lieburg e Kendrick, 1997; Gerin et al., 1973; Germanà
et al., 2003) responsabile della fioritura; 2. sottoponendo le piante a stress
idrico.
In entrambi i casi, si rivela interessante saggiare l’influenza dell’acido
gibberellico (GA), fitoregolatore auxinico che inibisce l’iniziazione
delle gemme a fiore (Barbera et al., 1993; Inglese et al., 1998; Pimienta
e Engleman, 1981; Nobel e Castañeda, 1998).
Un’ulteriore variabile deriva dalla somministrazione di sostanze che
sono state ritenute capaci di far sviluppare nuovi organi (Nobel e
Castañeda, 1998).
Questo stimolo delle piante a fiorire in epoche diverse da quelle naturali
viene, d’altronde, utilizzato anche in altre piante tropicali e subtropicali
come il caffè (Magalhaes e Angelocci, 1976), il mango (Singh
et al., 1974) ed il limone (Barbera et al., 1985, Monselise, 1985;
Southwick e Davenport, 1986;), nonchè il pesco (Erez, 1987; George et
al., 1988) e il melo (Schupp e Ferree, 1987).
Materiali e metodi
La ricerca è iniziata nel 2005 in un ficodindieto ubicato in territorio
di Biancavilla, impiantato nel 1998 al sesto rettangolare di m 5 x m 7.
Il trattamento principale ha previsto la riduzione dell’incidenza delle
radiazioni luminose attraverso una copertura con reti ombreggianti, capaci
di abbassare il rapporto R/FR, cui è stato affiancato un secondo
fattore, l’acido gibberellico che, come è noto, inibisce la formazione dei
fiori, pur in presenza di sufficiente luce.
La copertura è stata realizzata nel mese di dicembre 2005 installando
tunnel con reti di polietilene di colore nero, con ombreggiamento pari al
70%, che hanno esplicato la loro azione nel periodo autunno-inverno
individuato da precedenti ricerche (Cicala et al., 1997) come il più idoneo
per l’induzione a fiore delle gemme indifferenziate.
259

Nel mese di maggio le reti sono state arrotolate e le piante di tutte le
tesi sottoposte a copertura sono state trattate in parte soltanto con GA 3
nel mese di aprile e acido indolacetico (IAA) nel mese di giugno e in
parte anche con concimazioni fogliari a base di urea per stimolarle ad
emettere una seconda fioritura.
Nel programma di ricerca è stata inserita un’altra variabile, consistente
nel provocare uno stress idrico temporaneo (fino al mese di giugno),
per contribuire a ridurre e/o postergare la formazione dei fiori.
Le tesi così trattate (copertura, trattamenti ormonali e concimazione
fogliare), sia irrigue che stressate, ciascuna con 8 ripetizioni per tesi,
sono state confrontate con piante testimoni, alle quali sono state riservate,
in condizioni di massima luminosità, nella prima tesi le tradizionali
tecniche colturali di irrigazione e concimazione, compresa la
‘scozzolatura’, e nelle altre due anche i trattamenti con gli ormoni e
l’urea.
In totale le tesi in studio sono state nove, tutte con piante della cv
‘Gialla’, così articolate:
- A: piante irrigate sotto copertura ombreggiante;
- B: piante con lo stesso trattamento della Tesi A in cui ad aprile è stato
somministrato acido gibberellico (GA 3 , 100 ppm) e nel mese di giugno,
dopo la scopertura, acido indolacetico (IAA, 800 M);
- C: piante con lo stesso trattamento della tesi B, cui è stata somministrata
urea tecnica (8 g/L) per via fogliare;
- D, E, F: piante trattate come quelle delle tesi A, B e C, ad eccezione
dell’irrigazione sospesa fino a giugno;
- G: piante testimoni in pien’aria, ‘scozzolate’ e trattate ad aprile con
acido gibberellico e a giugno con acido indolacetico;
- H: piante con lo stesso trattamento delle tesi G, a cui è stata somministrata
urea tecnica per via fogliare;
- I: piante in pien’aria e soltanto ‘scozzolate’.
Inoltre, le reti dei due tunnel, rispettivamente per le tesi A, B e C, e le
tesi D, E e F, sono state arrotolate alla fine di maggio, per essere successivamente
distese entrambe nel mese di settembre, nel primo caso per
260

un periodo di due mesi e nell’altro per tre per verificare eventualmente
la possibilità di mantenere i frutti sulla pianta e, pertanto, prolungare il
periodo di raccolta.
Sono state montate due capannine meteorologiche, una sotto copertura
e l’altra in pien’aria, al fine di monitorare la temperatura dell’aria e
del terreno e l’umidità atmosferica.
Nel corso della primavera e dell’estate dell’anno 2006 è stato eseguito
con frequenza settimanale il conteggio delle gemme a fiore ed a legno
su 8 cladodi per pianta durante il primo flusso verificatosi tra aprile e
maggio.
Il 22 maggio sono state sottoposte a ‘scozzolatura’ le piante testimoni,
sulle quali è stato monitorato il secondo flusso.
Nel mese di agosto si è proceduto alla raccolta dei frutti, controllando
la produzione per pianta. Sono stati prelevati campioni di frutti sui quali
sono state effettuate le seguenti osservazioni ed analisi: peso medio,
percentuale della polpa, numero dei semi, solidi solubili totali e pH del
succo.
Risultati e discussione
I risultati conseguiti nel primo anno di prove hanno consentito di accertare
e confermare la possibilità di influire sul numero delle gemme a
fiore che, sotto copertura, hanno subito una cospicua riduzione che non
ha raggiunto il 100% perché le reti sono state montate con un certo ritardo
rispetto alla cronologia programmata.
Infatti, le piante di ficodindia allevate sotto i due tunnel hanno prodotto
alla data del 7 aprile un numero medio di gemme indifferenziate
per singolo cladodo mediamente inferiore di circa il 93% rispetto a quelle
allevate all’aperto (tab. 1). Alla data del 18 aprile, le piante ombreggiate
non raggiungevano la media di una gemma a fiore per singolo
cladodo, mentre le piante in pien’aria presentavano più di 6 gemme a
fiore.
261

E’ da segnalare che l’emissione di queste gemme è avvenuta nelle piante
sotto rete in ritardo e che nei rilevamenti del 24 aprile e 15 maggio (tab. 2) il
numero medio di fiori ancora in boccio risultava essere inferiore di circa
l’88% rispetto alle piante scoperte. Il numero medio delle gemme a legno
per cladodo ha subito, invece, un calo di circa il 50%.
L’antesi è iniziata nelle piante di ficodindia in pien’aria poco prima
del 15 maggio e, nel rilevamento del 22 maggio, presentavano mediamente
circa 4 fiori aperti per cladodo, mentre nelle piante sotto rete i
fiori non erano ancora sbocciati (tab. 3).
I trattamenti eseguiti con l’obiettivo di indurre un secondo flusso non
hanno prodotto nessun esito positivo. Pertanto, il tentativo di modificare
per via chimica il quadro ormonale per produrre nuove gemme dopo la
scopertura non ha dato esito positivo e neanche lo stress idrico ha influito
sull’entità della prima fruttificazione.
262

A fine giugno, dopo circa 35 giorni dalla ‘scozzolatura’, i rilievi relativi
al secondo flusso vegeto-produttivo hanno fatto registrare un numero
medio di fiori nettamente inferiore rispetto al primo flusso (-39%),
che si sono completamente aperti nel corso del mese di luglio, mentre
non ne venivano più emessi dalle piante sotto rete (tab. 4).
I frutti ottenuti dall’unico flusso dalle piante coperte hanno fatto notare
un calo medio di circa il 73% per singolo cladodo alla data dell’8
agosto e una diminuzione della produzione finale di circa l’86% rispetto
a quelli del secondo flusso dalle piante in pien’aria (tab. 5), ma con
caratteristiche carpometriche e chimiche soltanto leggermente differenti.
Infatti, mentre i solidi solubili totali ed il pH sono risultati analoghi
(tab. 6), il peso medio e la percentuale della polpa sono risultati inferiori,
rispettivamente, del 18% e del 6% nei frutti delle piante delle tesi con
copertura. In calo nettamente più evidente è risultato, invece, il numero
dei semi che è diminuito del 33%.
263

Conclusioni
Mentre da un lato non è stato possibile inibire del tutto la prima fioritura
con le reti ombreggianti e non è stato possibile stimolare le piante nè con
mezzi fisici nè chimici per una seconda fruttificazione, si può programmare,
nel prosieguo delle prove, la tempistica del ciclo di fruttificazione regolando
l’entità della luce ricevuta durante il periodo di riposo in modo da ottenere
un numero di frutti per cladodo tale da rendere economicamente remunerativa
la tecnica alternativa proposta. Inoltre, poiché i fiori con l’ombreggiamento
vengono emessi in ritardo, è possibile rallentare il ritmo di crescita dei frutti,
tentare di prolungarne la fase di maturazione e ritardarne la raccolta con
successivi periodi di copertura.
264

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266

CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-FISICA E SENSORIALE
DI FICHI D’INDIA DELL’ETNA
CHEMICAL AND SENSORY CHARACTERIZATION OF
ETNA PRICKLY PEARS
Nicola Guarrera, Antonio Scacco, Carmela Maria Lanza,
Carlo Nicolosi Asmundo
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
Questo studio riporta l’estrazione della componente aromatica delle tre
varietà (rossa, gialla, bianca) di fichi d’India siciliani (Opuntia ficus indica
(L.) Mill. Cactaceae), utilizzando una tecnica SPME modificata che ottimizza
il rilevamento GC e GC/MS. Rispetto all’estrazione liquido/liquido sono
stati identificati trentatre composti anzichè quindici e solo cinque non sono
quantificabili in ciascuna varietà perché presenti in bassissima concentrazione.
La distribuzione quali-quantitativa risulta uguale per le tre varietà.
L’analisi sensoriale ha mostrato che le varietà rossa e gialla hanno profili
sensoriali simili mentre quella bianca differisce significativamente dalle altre
per i descrittori freschezza, turgidità, resistenza al taglio e croccantezza.
Parole chiave: Opuntia ficus indica, micro-estrazione in fase solida
(SPME), componente aromatica, attributi sensoriali.
Abstract
This paper reports the distribution of the aroma components of three
varieties of Italian prickly pears (Opuntia ficus indica (L.) Mill.
267

Cactaceae) namely white, yellow and red. The extraction was performed
using a modified SPME technique that optimized GC/FID and GC/MS
detection. Thirty three compounds were identified with respect to fifteen
compounds identified by liquid/liquid extraction. Only five of thirty three
detected compounds are not quantifiable in each variety because present
in very low concentration (< 0.2 ppm in the liquid/liquid extraction).
The qualitative and quantitative distribution of aroma compounds
appears to be the same among the three varieties. The sensory data
confirmed that red and yellow varieties had a similar profile, while a
significant difference was observed for the white one, particularly for
the higher scores of the descriptors of freshness, turgidity, resistance to
cut and crispness.
Key words: Opuntia ficus indica, Solid Phase Micro Extraction (SPME),
aromatic component, sensory attributes.
Introduzione
Il fico d’India è il frutto di un cactus (Opuntia ficus indica (L.)
Mill. Cactaceae) originario dell’America centrale che cresce in regioni
aride o semi aride e costituisce un’importante fonte alimentare
per gli abitanti del luogo. Circa 1500 specie appartengono al genere
Opuntia e sono diffuse nei paesi del Mediterraneo, dell’Africa, del
sud-ovest dell’America, del Messico del nord ed in altre aree
(Hegwood, 1990). Nei paesi mediterranei, i cladodi del fico d’India
non vengono utilizzate come alimento, mentre sono largamente utilizzati
i frutti (Butera et al., 2002; Lee, Kim, Kim e Jang, 2002).
Recentemente, molti paesi hanno aumentato la produzione di fichi
d’India; la Sicilia è seconda fra tutti i paesi al mondo per la produzione
e l’esportazione. Le cultivar siciliane di fico d’India producono
frutti gialli, rossi e bianchi per effetto della combinazione di due pigmenti
betalainici, la rosso-viola betanina e la giallo-arancio indicaxantina
268

(Butera et al., 2002). Il frutto è succoso e dolce, con una buccia spinosa
ed un gran numero di semi piccoli e duri. Sono stati studiati il contenuto
dei pigmenti e dei componenti del flavour, in particolare betalaina,
polifenoli, importanti costituenti nutrizionali del frutto (amminoacidi,
zuccheri, acidi organici, vitamine, minerali, fibre) e dei semi, come
anche il suo potenziale uso in cibi funzionali (Dominguez-Lopez,
1995; Sawaya e Khan, 1982; Stintzing, Schieber e Carle, 2001; galati
et al., 2003, Kuti, 2004). Gurrieri et al. (200) hanno studiato alcuni
parametri biochimici ed hanno esaminato alcuni aspetti della conservazione
a lungo termine del succo utilizzando l’analisi sensoriale.
Inoltre, i frutti sono conosciuti per i loro effetti positivi sulla salute
nel trattamento dell’arteriosclerosi, della gastrite, dell’iperglicemia
e del diabete (Frati, Jimenez e Ariza, 1990; Fernandez, Lin, Trejo e
McNamara, 1992).
I componenti aromatici del fico d’India sono stati ricercati per primi
da Flath e Takahashi (1978) che trovarono gli alcoli come classe maggiormente
rappresentata nell’estratto volatile di una varietà messicana.
In particolare, hanno puntualizzato la rilevanza aromatica di nonenoli e
nonadienoli, precedentemente ritrovati in cocomero e melone (Kemp,
Knavel, Stoltz e Lundin, 1974). I composti volatili in cultivar di fico
d’India sono state studiate da Di Cesare et al., (1991) e Di Cesare e Nani
(1992) che trovarono una differente composizione, dipendente dalla varietà,
dalle condizioni climatiche e dal metodo utilizzato per l’estrazione
del succo. Arena et al. (2001) hanno studiato il contributo all’aroma
di sedici composti volatili identificati in estratto liquido/liquido delle
varietà siciliane gialla, rossa e bianca.
Con il presente lavoro abbiamo approfondito le conoscenze del profilo
aromatico delle cultivar siciliane, utilizzando la Micro Estrazione in
Fase Solida (SPME) modificata in modo tale da aumentare la capacità
adsorbente della fibra, ottimizzando l’estrazione e il rilevamento gas
cromatografico a ionizzazione di fiamma (GC/FID) e gas cromatografico
spettrofotometrico di massa (GC/MS). Questa procedura ha permesso
di rilevare ed identificare 33 composti aromatici rispetto ai 15 identifi-
269

cati con l’estrazione liquido/liquido dando una distribuzione comprensiva
del profilo aromatico dei fichi d’India siciliani. La caratterizzazione
è stata completata da una valutazione sensoriale utilizzando specifici
descrittori generati da un panel addestrato (ISO 13299, 2003).
Materiali e metodi
I campioni
I campioni delle varietà rossa, gialla e bianca di fichi d’India sono
state raccolteT nell’area del monte Etna. Dopo la rimozione della buccia,
la parte edibile di dieci frutti di ciascuna cultivar, includendo i semi,
è stata omogeneizzata con un frullatore. Un’aliquota (100 g) della purea
ottenuta da ciascuna varietà è stata immediatamente estratta mediante
un’estrazione liquido/liquido e SPME. Per l’analisi sensoriale ciascun
campione è stato preparato immediatamente prima dell’assaggio.
Estrazione liquido/liquido e analisi GC/FID
L’estrazione liquido/liquido è stata condotta seguendo il metodo riportato
da Arena et al. (2001). Un’aliquota (100 gr) di purée,
preventivamente addizionata di 5 ml di standard interno (1-amil acetato,
1-eptanolo e -citronellolo,100 ppm ciascuno), è stata posizionata in un
estrattore liquido/liquido provvisto di refrigerante a -15°C portato a volume
(200 ml) con una soluzione (2/1 v/v) di pentano/diclorometano
(Merck – Darmstadt, Germany). Dopo venti ore di estrazione, lo strato
organico è stata separato e concentrato sotto vuoto a 20°C utilizzando
un rotavapor a -15°C. Il residuo è stato essiccato mediante un leggero
flusso di azoto e portato a volume di 2 ml con una soluzione (2/1 v/v) di
pentano/diclorometano; 1l di estratto è stata analizzata mediante GC.
Per l’estrazione liquido/liquido è stato utilizzato un GC SHIMADZU
GR-17 A (SHIMADZU ITALIA S.R.L – Milano, Italy) munito di detector
270

con fiamma di ionizzazione (FID) e CP-WAX 52 CB (Chrompack 50 m,
0.50 mm i.d., 0,25 m di spessore del film). Come gas di trasporto è
stato utilizzato elio a velocità costante (35 cm/sec.) e uno split di 1:50;
l’iniezione del campione è avvenuta a 220°C, la temperatura del forno
veniva mantenuta a 70°C per 3 min, quindi portata a 220°C con un incremento
di 4°C/min. La temperatura finale veniva mantenuta per 20
min.
Estrazione SPME e analisi GC/MS
Gli estratti SPME sono stati ottenuti mediante un metodo di estrazione
di adsorbimento consecutivo dello spazio di testa di due vial dello
stesso campione mantenuto nelle stesse condizioni (quantità del campione,
temperatura, tempo di equilibratura, tempo di adsorbimento della
fibra); è stata usata una fibra SPME 50/30 m DVB/CAR/PDMS
(Supelco) precedentemente condizionata. Ciascuna vial, contenente 5 g
di purea tenuta sotto agitazione, è stata mantenuta a 40°C per 30 min e
successivamente la fibra SPME è stata esposta per 5 min. allo spazio di
testa della prima vial e poi altri 5 min. allo spazio di testa della seconda
vial. Gli analiti adsorbiti dal film della fibra SPME sono stati desorbiti a
220°C per 5 min nell’iniettore del gas cromatografo (GC/FID o GC/
MS). Prima di ciascun nuovo processo di estrazione la fibra è stata mantenuta
a 250°C per 5 min. e successivamente a temperatura ambiente per
2 min. Il contributo di questo metodo di estrazione era quello di ottenere
la massima capacità adsorbente della fibra SPME per ottimizzare rilevamento
GC e GC/MS. La Figura 1 mostra la capacità di adsorbimento
della stessa fibra SPME (GC-FID) su una (B), due (C) e tre (D) vial della
purea di fico d’India tenuto sotto agitazione; inoltre, è stata effettuata
un’estrazione su una vial contenente 2.5 g dello stesso campione (A).
L’analisi GC/MS è stata condotta alle seguenti condizioni: apparecchio,
GC/MS SHIMADZU QP 5050 A (SHIMADZU ITALIA S.R.L –
Milano, Italy) munito di colonna CP-WAX 57 CB (Chrompack 50 m,
0.25 mm i.d., 0,25 m di spessore del film). L’iniettore è stato mantenu-
271

to a 220°C; la temperatura iniziale di 45°C per 3 min, raggiungeva 70°C
a 1°C/min, 220°C a 1,5°C/min mantenuta per 20 min. Come gas inerte
è stato usato elio a flusso costante con una velocità lineare di 24,5 cm/
sec. La transfer line è stata mantenuta a 200°C. Gli spettri di massa sono
stati generati mediante una corrente elettronica a 70eV e sono stati raccolti
da m/z 35 a 400. Una soluzione di idrocarburi (C 8 -C 26 ) è stata iniettata
giornalmente nelle stesse condizioni per calcolare l’LRI. L’identificazione
dei composti volatili degli estratti liquido/liquido e SPME è stata
condotta sulla dell’LRI e tramite il confronto degli spettri totali dello
standard di riferimento Sigma-Aldrich, Milano, Italia).
Analisi sensoriale
Ogni campione dei fichi d’India (varietà rossa, gialla e bianca) è stato
preparato immediatamente prima dell’assaggio; dopo la rimozione della
buccia, ai giudici è stato servito mezzo frutto di ogni varietà. Per definire
il profilo sensoriale del fico d’India dell’Etna è stata effettuata un’analisi
descrittiva quantitativa (ISO 13299, 2003). Il panel è stato reclutato fra
gli studenti della sezione di Tecnologie Agroalimentari del Dipartimento
di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari dell’Università
di Catania, che avevano precedenti esperienze in analisi sensoriale;
sono stati selezionati venti giudici, 10 femmine e 10 maschi, di età compresa
tra 20 e 30 anni. Tutte le valutazioni sensoriali sono state effettuate
tra le 10.00 e le 12.00 in cabine singole (ISO 8589, 1988), illuminate
con luce bianca. Una valutazione preliminare dei campioni di fico d’India
è stata effettuata per selezionare (70% minimo di frequenza di citazioni)
una lista di 13 descrittori comuni (metodo del vocabolario libero).
I descrittori selezionati erano due riguardanti l’aspetto (freschezza,
turgidità), cinque l’aroma ed il flavour (aroma e sapore tipico, aroma e
sapore erbaceo, off-flavour), quattro le proprietà reologiche (resistenza
al taglio, croccantezza, numerosità dei semi, succosità), due il gusto (dolcezza
ed acidità). Ai giudici è stato chiesto di misurare l’intensità di
ogni descrittore usando una scala a sette punti. L’analisi statistica dei
272

dati sensoriali è stata effettuata mediante cross validation, analisi discriminante
e multiple range test, utilizzando il software statistico
Statgraphics Plus versione 5.1 per Windows (Manugistics, Inc.).
Risultati e discussione
L’analisi GC/FID degli estratti liquido/liquido dei fichi d’India ha
mostrato che la composizione qualitativa della componente volatile era
la stessa per le tre varietà, infatti, 15 composti aromatici sono stati identificati
in tutti e tre i campioni mediante LRI ed il confronto con gli
standard: estere metilico dell’acido 2-metilbutanoico, esanale, (E)-2esenale,
2-idrossibutanone, (Z)-2 penten-1-olo, 1-esanolo, (Z)-3 esen-1olo,
(E)-2-esen-1-olo, linalolo, (Z)-3-nonen-1-olo, (E)-2-nonen-1-olo,
(Z,Z)-3,6-nonadien-1-olo, (E,Z)-2,6 nonadien-1-olo, acido esanoico ed
acido ottanoico. Inoltre la quantità totale di composti volatili è risultata
paragonabile per tutte le varietà, con i valori leggermente più alti in quelle
bianca e gialla (11,72 ppm e 11,10 ppm rispettivamente) rispetto alla
rossa (9,51 ppm). In particolare, l’(E)-2-esen-1-olo era il composto principale
in tutti i casi (valore medio 5,85 ppm), seguito dall’1 esanolo
(2,74 ppm), dall’(E,Z)-2,6-nonadien-1-olo (0,42 ppm) e dall’(E)-2esenale
(valore medio 0,30 ppm); la concentrazione di tutti gli altri composti
risultava minore di 0,2 ppm. Questi risultati coincidono con quelli
segnalato da Arena et al. (2001).
La Figura 1 mostra un tipico cromatogramma GC-FID degli estratti
SPME della varietà rossa mediante i differenti metodi di estrazione A,
B, C, D (v. la sezione Materiale e metodi). I metodi A e B non permettevano
una buona determinazione quali-quantitativa, mentre i risultati
migliori sono stati ottenuti con il metodo C. La risposta GC-FID dell’estratto
ottenuto con il metodo D non ha dato alcun miglioramento.
Effettivamente, mentre la determinazione quantitativa era paragonabile
nella maggior parte dei casi dei composti aromatici per i metodi C e D,
la determinazione qualitativa per alcuni composti (esteri della prima parte
273

del cromatogramma e alcooli della seconda parte) era certamente migliore
con il metodo C. Di conseguenza il metodo C è stato scelto per
l’estrazione, l’identificazione e la determinazione GC/MS (Figura 2).
L’analisi GC/MS degli estratti SPME ha permesso di rilevare ed identificare
33 composti rispetto ai 15 degli estratti liquido/liquido. La Tabella
1 riporta tutti i 33 composti aromatici degli estratti SPME identificati
in tutte e tre le varietà insieme alla distribuzione percentuale. Il confronto
fra le distribuzioni percentuali (media di tre analisi e deviazione
standard) dei composti aromatici ha indicato che non ci sono differenze
significative quantitative nelle tre varietà. L’(E)-2-esen-1-olo e l’1 esanolo
sono risultati mediamente i composti aromatici predominanti con il 23,6%
e il 16,2% rispettivamente, confermando i risultati quantitativi dell’estrazione
liquido/liquido. Questi due componenti, seguiti da limonene (8,5%),
(E)-2-nonen-1-olo (7,4%) (coeluito con (Z)-3-none-1-olo), 2-metiletil
butanoato (7,3%) e butanoato di etile (6,5%) rappresentano il 70% dei
composti volatili. Tutti e quindici i composti presenti negli estratti liquido/liquido
sono stati identificati anche negli estratti SPME (in grassetto
nella Tabella 1). Tra questi composti soltanto cinque non sono stati
quantificati in ciascuna varietà a causa della loro bassissima concentrazione
(minore di 0,2 ppm) come risultava dai dati dell’estrazione liquido/liquido:
metil estere dell’acido 2-metilbutanoico, esanale, 2idrossibutanone,
(Z)-2-penten-1-olo e (Z,Z)-3,6-nonadien1-olo, tra cui
è importante sottolineare la presenza dell’estere metilico dell’acido 2metilbutanoico
che, quantificato soltanto nella varietà bianca (0,18%),
era stato già riportato come marcatore della freschezza della varietà bianca
(Arena et al., 2001).
La Figura 3 mostra il profilo sensoriale delle tre varietà ed i 13 attributi
selezionati dal panel (vedi la sezione materiale e metodi). L’aroma
erbaceo, descrittore specifico selezionato dai giudici durante la sessione
preliminare oltre all’aroma tipico di fico d’India, è dovuto all’elevato
contenuto di 2-esen-1-olo e di 1-esanolo che danno le note erbacee o il
tipico odore di verdure. Tutti e tre i campioni hanno mostrato i valori
simili per i principali descrittori, in particolare, i valori più bassi per tutti
274

gli attributi collegati ad una scarsa qualità sensoriale come l’acidità (valore
medio 1,6), il sapore erbaceo (2,7) ed off-flavour (1,7), mentre i più
alti si riferiscono a descrittori quali succosità (4,5) e dolcezza (4,3). La
varietà bianca ha mostrato i più alti valori per i descrittori freschezza,
turgidità, resistenza al taglio e croccantezza rispetto alle altre varietà.
La Tabella 2 mostra i risultati della cross-validation dove la probabilità
preventiva nella differenziazione delle tre varietà di fichi d’India da
parte del panel, usando tutti e tredici i descrittori, era del 70% per la
bianca, del 50% per la gialla e del 65% per quella rossa. Utilizzando
soltanto il descrittore croccantezza come discriminante, la percentuale
dei casi classificati correttamente è del 51,67% (61,67% con tutti e 13 i
descrittori), ma con una probabilità predittiva di differenziazione
dell’80% per la varietà bianca, del 55% per la gialla e del 20% per la
rossa.
L’analisi discriminante è stata utilizzata per trovare i descrittori con
differenze significative (p

cinque non sosno stati quantificati in ciascuna varietà per la loro bassissima
quantità (< 0,2 ppm nell’estrazione liquido/liquido). Il confronto
fra le percentuali di distribuzione dei composti aromatici ha mostrato
che la composizione qualitativa è la stessa e non ci sono differenze
quantitative significative tra le tre varietà.
Tutti e tre i campioni hanno mostrato valori simili per la maggior
parte dei descrittori sensoriali, in particolare, i valori più bassi per tutti
gli attributi collegati ad una scarsa qualità sensoriale mentre i più alti si
riferiscono a descrittori del gusto come quali la succosità e la dolcezza.
Il profilo sensoriale delle varietà rossa e gialla era simile, mentre quella
della varietà bianca è caratterizzato dai più alti valori per i descrittori
freschezza, turgidità, resistenza al taglio e croccantezza.
Ringraziamenti
Ringraziamo l’Assessorato per l’Agricoltura della Regione Sicilia per
il supporto finanziario nell’ambito del progetto “Miglioramento e
valorizzazione delle produzioni frutticole etnee”. Inoltre i nostri ringraziamenti
vanno al sig. Salvatore Campisi per il suo prezioso contributo
nella conduzione delle analisi gas cromatografiche e al prof. Emanuele
Maccarone per gli utili suggerimenti.
276

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and nutritional significance of cactus pear. European Food Research
and Technology, 212 (4), 396-407.
278

279

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281

282

PRIMI RISULTATI DI INDAGINI ECONOMICO-AGRARIE
SULLA PRODUZIONE E SUL MERCATO DEI
FICHIDINDIA DEL “SUDOVEST ETNEO”
FIRST RESULTS OF ECONOMIC AND AGRICULTURAL
ANALYSES ON PRODUCTION AND ON THE MARKET OF THE
CACTUS PEAR IN THE “SUDOVEST ETNEO”
Filadelfio Basile, Vera Teresa Foti,
Mariagrazia Signorello, Giuseppe Timpanaro *
Dipartimento di Scienze Economico-Agrarie ed Estimative (DISEAE)
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
La fichidindicoltura etnea è stata interessata da un profondo dinamismo
nelle superfici, nelle produzioni e nelle attività commerciali. La
ricerca mira a fornire alcuni indirizzi e strategie per la valorizzazione
della fichidindicoltura, alla luce degli interessanti livelli di reddito ed
occupazione generati dalla cactacea.
Parole chiave: indagini territoriali, risultati economici, mercato produzione/ingrosso
Abstract
The cultivation of the cactus pear in the Etna area has been
characterised by a profound dynamism on the land, in production and
* Coordinatore responsabile prof. Giuseppe Timpanaro. Il lavoro è frutto della piena collaborazione
degli Autori ed è così attribuito: Basile F. par. 3.1.; Foti V.T. par. 3.3.; Signorello M.
par. 3.2.; Timpanaro G. capp. 1, 2 e 4 e par. 3.4.
283

in the productive and commercial activities. The search aims to fill
specific analysis and interpretative lacks and to provide some
addresses and strategies to valorize cactus pear cultivation to the
light of the interesting levels of income and employment produced by
the cactacea in the research area.
Key words: territorial survey, economic results, wholesale and production
markets
1. Introduzione
La fichidindicoltura rappresenta oggi una realtà consolidata nell’ambito
della frutticoltura etnea, anche grazie al profondo dinamismo
manifestato da investimenti fondiari ed agrari e dalle produzioni
realizzate soprattutto sotto il profilo qualitativo, a partire dagl’inizi
degli anni ottanta, sotto la spinta di svariati fattori tra i quali occorre
richiamare l’evoluzione della domanda dei consumatori, l’ampliamento
dei mercati, la messa a punto di innovazioni di prodotto e
di processo che hanno determinato rilevanti sviluppi negli schemi di
coltivazione, nelle modalità di organizzazione e gestione delle unità
di produzione e nelle tecnologie di lavorazione, confezionamento,
distribuzione e consumo dei frutti della cactacea. Gli impianti di
fichidindia – sfruttati con finalità produttive e di reddito – risultano
concentrati lungo la fascia sud-occidentale del massiccio etneo, nell’ambito
di una zona denominata “Sudovest Etneo”, in precedenti
studi e ricerche condotte dal Dipartimento di Scienze Economico-
Agrarie ed Estimative. La ricerca mira a realizzare uno scenario aggiornato
sulla consistenza e struttura della fichidindicoltura etnea,
sui relativi risultati economici e sulle principali problematiche di
mercato utile per la predisposizione di eventuali azioni di
valorizzazione ad opera di soggetti pubblici e/o privati.
284

2. Materiali e metodi
Per la costruzione dello scenario di riferimento sono state svolte specifiche
indagini economico-agrarie territoriali, aziendali e sul mercato
sulla scorta di una metodologia comune predisposta nell’ambito del
DISEAE. In particolare le indagini territoriali, riferite al 2002-05, si sono
avvalse della collaborazione di vari operatori pubblici e privati attivi
nella zona; invece, l’indagine aziendale è stata riferita all’annata agraria
2005 per il sistema dei prezzi, al quadriennio 2002-2005 per le quantità
(produzioni realizzate e fattori impiegati) ed al bilancio consuntivo quale
strumento di analisi economica. Complessivamente sono state rilevate
30 aziende (scelte con campionamento ragionato), successivamente
ridotte a 25 per la carenza di dati gestionali, imperniate sulla produzione
dei fichidindia “scozzolati” o “bastardoni”, frutti di seconda fioritura
oggetto di maggiore apprezzamento commerciale; una parte ristretta del
campione è stata selezionata casualmente tra le aziende che adottano il
metodo di coltivazione biologico che, allo stato attuale, costituisce l’unica
integrazione al reddito dei fichidindicoltori. Quanto al mercato dei fichidindia
sono state analizzate le fasi alla produzione ed all’ingrosso, intervistando gli
operatori istituzionali e commerciali della zona (con un campione finale di
10 imprese), per individuare i principali limiti e debolezze dell’organizzazione
commerciale e definire possibili linee di intervento.
3. Risultati e discussione
3.1. Primi risultati delle indagini territoriali
L’indagine territoriale è stata concentrata in tre diverse sottozone
(“Belpasso e altri comuni”, “Biancavilla e Paternò” e “Adrano e Bronte”),
seguendo un approccio metodologico consolidato in precedenti studi e
ricerche condotte dal DISEAE. In complesso, le superfici in coltura specializzata
risultano pari a circa 600 ettari (tab. 1), in tendenziale aumen-
285

to rispetto all’ultimo dodicennio (+50% rispetto al 1994) così come
mostra la fig. 1. Nell’ambito delle tre sottozone primeggia la
fichidindicoltura di “Biancavilla e Paternò” in termini di investimenti
(50% della zona), seguita in ordine d’importanza da “Belpasso e altri
comuni” e da “Adrano e Bronte”. Quanto poi alle superfici destinate a
ficodindieto in coltura “tradizionale”, negli anni più recenti è proseguita
la tendenziale contrazione già avviata nel corso dell’ultimo quindicennio.
La produzione totale dell’area d’indagine si aggira sulle 22.000 tonnellate
(+26% circa rispetto ai primi anni ’90), variamente distribuita tra
le diverse sottozone individuate (fig. 2). Quanto al panorama varietale,
nel Sudovest Etneo, la più diffusa delle cultivar è la Gialla (65% circa
degli impianti) mentre la Rossa e la Bianca sono ancora presenti in misura
ridotta (25% la prima e 10% la seconda). Nella zona d’indagine, le
rese unitarie medie negli impianti fichidindicoli specializzati ed in fase
di maturità produttiva si attestano sulle 14-15 t/ha, con sensibili variazioni
legate alle condizioni pedo-climatiche e ad altre variabili esogene
(avversità meteoriche, tecniche di coltivazione, ecc.).
Per gli indirizzi produttivi, nell’ambito del Sudovest Etneo il
ficodindieto in coltura esclusiva rappresenta circa il 5-10% dell’insieme
prevalendo, invece, le aziende con impianti specializzati in ordinamenti
misti (agrumi, fruttiferi, mandorli e pistacchi). I tipi di impresa prevalenti
sono la proprietà coltivatrice-capitalistica (45-50%) e la capitalistico-coltivatrice
(35-40%), mentre, la proprietà capitalistica con salariati
è presente in minor misura (10%).
3.2. Primi risultati delle indagini aziendali
L’ampiezza media delle aziende, pur essendo in leggera crescita
rispetto al passato, si concentra nella classe da 1 a 3 ettari (56% del
campione), denunciando diffusi fenomeni di polverizzazione e
frammentazione (tab. 2). La fichidindicoltura specializzata è solitamente
realizzata in imprese coltivatrice-capitalistiche su terreni in
286

proprietà (48% dei casi rilevati), seguite dalle capitalistico-coltivatrici
e capitalistiche con salariati. Quanto all’età della piantagione, il 52%
del campione copre la fascia compresa tra 10 e 15 anni, anche se
risultano degne d’attenzione gli impianti di età superiore ai 15 anni
(36%). Relativamente alla disponibilità di acqua irrigua, nel 76% delle
aziende la cactacea è condotta in regime irriguo con acqua propria e/
o di terzi.
Quanto ai risultati economici della fichidindicoltura etnea (tab. 3),
sul piano dei ricavi le differenziazioni registrate tra i casi rilevati sono
da attribuire all’ampia variabilità delle produzioni unitarie della coltivazione
(da 12,5 a 19 t/ha) e dei relativi prezzi (da 290 a 390 i/t) differenti
per sottozone di provenienza, età delle piantagioni, cultivar, regime di
coltivazione, metodo di coltivazione (convenzionale o biologico), ecc.
Complessivamente i ricavi unitari oscillano tra minimi di 3,6 mila i e
7,5 mila i ad ettaro, con valori medi di 4,9 mila i.
Sulla scorta dei dati raccolti e delle relative elaborazioni eseguite,
i costi di produzione delle aziende fichidindicole risultano strettamente
correlati soprattutto alla differenziazione dei gradi di attività
che, a loro volta, dipendono dalle modalità di esecuzione delle operazioni
colturali. È la voce lavori e servizi, pur escludendo le giornate
per la raccolta di norma a carico dell’acquirente e le lavorazioni
meccanizzate a noleggio ed altri servizi, ad intercettare aliquote più
consistenti del costo di produzione (variabili tra il 48% ed il 56%). I
costi nelle aziende campionate oscillano da minimi di 2,8 mila a 5
mila i ad ettaro, con valori medi di 3,6 mila i, mentre i gradi d’attività
variano da 190 a 260 ore/ha, con medie di 220 ore. L’ampio
campo di variazione è legato soprattutto al grado di specializzazione
degli impianti, alla presenza di sistemi di irrigazione, di pozzi, di
fabbricati, di macchine per le lavorazioni, ecc. Tenuto conto dei ricavi
e dei costi di produzione elaborati viene alla luce una realtà alquanto
multiforme, con aziende caratterizzate da profitti che vanno
da minimi di 800 i a massimi di 2,5 mila i/ha, con valori medi di
1,3 mila i.
287

3.3. Primi risultati delle indagini sul mercato alla produzione
L’offerta fichidindicola dell’area etnea è stata interessata da alcune
evoluzioni positive riconducibili: all’ampliamento dei calendari di raccolta
e di commercializzazione; all’adozione di sistemi di coltivazione
ecocompatibili; al miglioramento della qualità del prodotto (per maggiore
disponibilità di acqua irrigua, ricorso alle operazioni di diradamento
dei frutti, perfezionamento delle operazioni di magazzino, ecc.); alla
valorizzazione qualitativa del prodotto con la definitiva approvazione
della denominazione “Ficodindia dell’Etna” DOP. Complessivamente è
possibile stimare una produzione raccolta pari a circa 21 mila tonnellate
(tab. 4), desunta tenendo conto di uno sfrido del 10% rispetto all’offerta
complessiva della zona, al netto delle eventuali perdite legate alle coltivazioni
secondarie e/o tradizionali, spesso non raccolte. Quanto alla destinazione,
le produzioni fichidindicole vengono solitamente indirizzate
al consumo allo stato fresco (80% del totale raccolto) compresi gli
autoconsumi, ancora oggi elevati, in ragione a tradizioni e consuetudini
locali. Seguono le “altre” destinazioni (15%), rappresentate da scarti di
campagna, cali di peso e/o sfridi di lavorazione destinati all’alimentazione
del bestiame e/o in alcuni casi al consumo umano (ambulantato).
Limitata è, inoltre, la trasformazione in mostarda, marmellata, rosoli e
grappe. La modalità di vendita prevalente sul mercato alla produzione
dei fichidindia è quella “a strasatto” (50%) con raccolta a carico dell’acquirente,
seguita dalla vendita “a peso” e “franco mercato”. Quest’ultima
risulta in tendenziale crescita rispetto al passato e trova quale prevalente
destinazione il MOI di Catania. Sul mercato dei fichidindia prevale
la figura del grossista internista e/o esportatore (60-65%), anche se
negli anni più recenti si sono affermate varie strutture associative. Tra i
circuiti distributivi prevale nettamente (fig. 2): produttore grossista
e/o impresa associativa commissionario e/o GDO dettagliante
consumatore. Le produzioni fichidindicole della zona hanno ottenuto il
marchio “Ficodindia dell’Etna DOP” (Reg. CE 1491 del 25 agosto 2003),
ma non risulta ancora utilizzato per finalità commerciali (per il mancato
288

decollo del Consorzio di valorizzazione). In un siffatto scenario, prevalgono
i marchi d’impresa e la notorietà del prodotto etneo è ancora oggi
limitata, per la maggiore promozione del ficodindia delle Colline di San
Cono e per l’assenza di una vera e propria strategia di comunicazione
privata e/o istituzionale.
3.4. Primi risultati delle indagini sul mercato all’ingrosso
Nel Sudovest Etneo trovano localizzazione svariate imprese commerciali
tradizionalmente impegnate sul mercato all’ingrosso dei fichidindia
dell’intera Sicilia orientale (comprese le produzioni delle Colline di San
Cono). Data l’attività stagionale che contraddistingue la fichidindicoltura,
tali imprese solitamente si dedicano anche alla lavorazione di agrumi e/
o di altra ortofrutticoltura, onde realizzare le necessarie economie di
scala. Con riferimento alle indagini condotte (tab. 5), è stato selezionato
un campione di imprese rappresentative che complessivamente intercettano
circa il 27% della produzione totale della zona, al netto di quanto
commercializzato e proveniente da altre zone produttive. Si tratta prevalentemente
di imprese individuali e di cooperative e/o organizzazioni di
produttori (o.p.) che, rispettivamente, intercettano il 40% ciascuno dei
casi esaminati. Queste ultime strutture sono di più recente costituzione e
sono state realizzate con il sostegno pubblico (UE e regione Sicilia) per
favorire l’aggregazione dei produttori ed il collegamento con il mercato.
La prevalenza delle imprese intercetta una quantità di fichidindia mediamente
compresa tra 500 e 1.000 tonnellate (60%) e risulta particolarmente
attiva sul mercato alla produzione della zona (65%), anche se non
trascurabile è il peso dei fichidindia proveniente dalle Colline di San
Cono (35%). Tra le cultivar lavorate prevale la Gialla (56,5%), seguita
dalle altre necessarie per la creazione di un gradevole effetto cromatico
particolarmente ricercato dal consumatore. Tra i mercati di destinazione
risultano preferite alcune piazze nazionali di antica tradizione di consumo,
quali Lazio, Lombardia, Veneto, Piemonte, Campania, Puglia,
289

Calabria e Toscana che complessivamente intercettano il 63,5% del totale;
non trascurabili risultano inoltre le destinazioni verso il mercato
europeo (Francia, Germania, Belgio e Danimarca) ed extra europeo (Canada
ed USA).
4. Conclusioni
La fichidindicoltura del Sudovest Etneo ha fatto registrare negli anni
più recenti un intenso ritmo di crescita realizzato più dalla fase produttiva
che non da quella commerciale. Alcuni punti deboli del mercato permangono,
quali: scarsa concentrazione dell’offerta; limitata trasformazione;
circuiti distributivi lunghi; carente promozione e/o iniziative per
la valorizzazione, pur in presenza del marchio DOP.
Le iniziative pubbliche per la fichidindicoltura del Sudovest Etneo
risultano limitate all’erogazione di contributi per la costituzione di nuovi
impianti (POR Sicilia 2000-06). Per l’attività commerciale non si sono
rinvenuti specifici finanziamenti pubblici e/o erogazione di servizi a cura
delle istituzioni, ma la fichidindicoltura della zona si è avvantaggiata
indirettamente delle risorse pubbliche per l’ammodernamento ed il miglioramento
delle condizioni di commercializzazione e per la costituzione
di organizzazioni di produttori (sempre nell’ambito delle risorse
cofinanziate con la programmazione 2000-2006), erogate a favore dei
commercianti ortofrutticoli (grossisti e cooperative) impegnati anche sul
mercato dei fichidindia. Limitata risulta inoltre l’attività di marketing e
di promo-pubblicità, riconducibile generalmente a depliants illustrativi
sulle caratteristiche del prodotto e sulle modalità di consumo dello stesso.
È da segnalare la commercializzazione di modeste quantità di
fichidindia di IV gamma presso la GDO, per soddisfare le attese del
moderno consumatore.
290

BIBLIOGRAFIA
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Distribuzione, Università degli Studi, Catania, pp. 40.
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Riassunto
POST RACCOLTA DEL FICO D’INDIA
POST – HARVEST IN CACTUS PEAR
Luciano Caruso, Emanuele Cerruto, Giuseppe Manetto,
Emilio Romano, Giampaolo Schillaci
Dipartimento di Ingegneria Agraria - Sezione Meccanica
Via S. Sofia 100, 95123 Catania
Il lavoro riassume i risultati di una ricerca effettuata per valutare la
sensibilità dei frutti di fico d’India verso le sollecitazioni da urto contro
superfici rigide riferendole ad alcune madolità di raccolta. Dopo aver
studiato tramite una sfera sensorizzata IS100 alcune linee rappresentative
della realtà siciliana, si è provveduto a sottoporre in laboratorio un
campione di frutti ad urti simili a quelli rilevati nelle linee.
I risultati hanno evidenziato che, dopo 8 settimane di conservazione,
la percentuale di frutti danneggiati è molto superiore fra i frutti urtati
piuttosto che fra quelli conservati come testimone ed è più alta fra i frutti
raccolti la mattina, in condizioni di elevata umidità, piuttosto che fra
quelli raccolti il pomeriggio.
Parole chiave. Post-raccolta, urti, IS100.
Abstract
This research reports the results of experimental tests aimed at
evaluating the susceptibility of cactus pears to impacts against hard
surfaces, similar to those that happen during post-harvest processes in
packing lines. A study of some packing lines, representative of the Sicilian
299

situation, was carried out by means of an Instrumented Sphere IS100.
The device, with a recording threshold of 10 g, recorded an average of
42 impacts/replicate, and showed that the feeding of the packing line
emptying the containers and the fruit drops at the end of the conveyor
belts that link two consecutive machines, are the main source of impacts.
The laboratory impact tests show that neither crop conditions nor
impact characteristics significantly influenced either percentage weight
loss or fruit hardness after 8 weeks. On the contrary, these variables
influenced the emergence of external damage. In fact, after 8 weeks of
storage, the percentage of damaged fruit was greater among fruit
harvested in the morning, when the relative humidity is high, rather than
among those harvested in the afternoon. Furthermore, this percentage
was much higher among knocked fruit rather than for the control, and
reached values near 60% for fruit subjected to 20 cm drop heights or 10
impacts. The presence of medium and serious damage was so high as to
compromise the marketability of the product.
Key words. Post-Harvest, Impacts, Instrumented Sphere IS100.
1. Introduzione
Negli ultimi anni la crescente richiesta, da parte del mercato, di prodotti
con un elevato livello qualitativo e senza spine, ha spinto ad una maggiore
attenzione alle fasi di raccolta ed ai processi post-raccolta del fico d’India.
Il passaggio dei frutti nelle linee di lavorazione per le operazioni di
despinatura, cernita, calibratura e confezionamento è pertanto
indispensabile. Le macchine costituenti tali linee hanno subito una
continua evoluzione ma, nonostante le innovazioni, i frutti
inevitabilmente subiscono una serie di urti che potrebbero esordire in
microlesioni epidermiche, facili vie di penetrazione per i patogeni
(Carimi, 1989). Si è ritenuto perciò opportuno iniziare una ricerca per
valutare la suscettibilità dei frutti al danneggiamento da urto, anche in
relazione alle condizioni ambientali al momento della raccolta.
300

2. Materiali e metodi
Il ficodindieto prescelto per le prove è irriguo ed è ubicato nel territorio
del versante sud-ovest della fascia pedemontana dell’Etna. Per la raccolta,
effettuata a luglio, gli operatori adoperano affilati coltellini a lama ricurva e
panieri di plastica (capacità di 6-7 kg). La squadra di raccolta è composta da
5 operai, due dei quali fruiscono di scale e i frutti raccolti vengono deposti in
cassette di plastica (capacità 18-20 kg), movimentate da un sesto operaio,
talvolta con l’aiuto di uno degli addetti alla raccolta. Il trasporto all’esterno
del ficodindieto avviene con un rimorchio trainato da una trattrice 2 RM.
In merito al processo di lavorazione, le operazioni nelle linee di
lavorazione di fichi d’India sono quelle di alimentazione, despinatura,
calibrazione, selezione manuale e confezionamento, anch’esso manuale
(Caruso et al., 2001). Lo studio di tali linee, dal punto di vista degli urti
che infliggono ai frutti che vi transitano, è stato effettuato utilizzando un
misuratore di impatti IS100 (Zapp et al., 1990). Si tratta di inserire
ripetutamente lo strumento insieme ai frutti in lavorazione, affinché
registri l’intensità degli urti subiti durante l’intero processo.
In laboratorio si è provveduto a sottoporre un consistente numero di
frutti di fico d’India di varietà gialla ad urti di caratteristiche note e da altezze
paragonabili a quelle presenti nelle linee di confezionamento. Inoltre, si è
voluto indagare se il momento della raccolta (mattina o pomeriggio) poteva
influenzare la suscettibilità dei frutti al danneggiamento. I frutti raccolti sono
stati immediatamente trasportati in laboratorio e sottoposti alle prove d’urto
secondo il piano sperimentale che ha previsto le seguenti combinazioni di
altezza di riferimento (cm) e numero di urti: 10x1, 10x5, 20x1, 20x5, 20x10.
Il valore di energia somministrata per ogni urto e per ogni altezza di caduta
è stato determinato rapportandolo ad un frutto di massa pari a 135 g,
corrispondente a circa la massa media dei frutti utilizzati per le prove. Per
l’esecuzione delle prove si è adoperato un pendolo appositamente
costruito (Blandini et al., 2003), munito di dispositivi per misurare la
percentuale di energia assorbita dai frutti rispetto a quella somministrata.
I frutti urtati sono stati posti in cassette di legno e tenuti sotto osservazione
per circa 2 mesi.
301

3. Risultati e discussione
In merito alle prove in linea, i rilievi effettuati in tre linee di
confezionamento hanno evidenziato che la sfera IS100, con una soglia
di registrazione di 10 g, registra mediamente 42 urti ad ogni ripetizione,
con un minimo di 20 nella linea più corta, senza macchina calibratrice, e
un massimo di 67 nella linea più lunga e completa, con precalibratrice,
calibratrice e banchi di confezionamento separati. Circa 17 urti/ripetizione
si verificano durante il ribaltamento delle cassette nella linea, i salti alla
fine dei nastri e fra gli elevatori che collegano due macchine successive;
10 urti/ripetizione, invece, sono stati registrati durante la despinatura, 4
durante la calibratura e 3 durante il confezionamento. In merito alla
distribuzione degli urti in funzione dell’accelerazione di picco, la classe
più rappresentata (68%) è la prima (urti di accelerazione compresa fra
10 e 20 g), ma non bisogna trascurare gli urti ricadenti nelle classi
successive proprio per la loro maggiore pericolosità.
In laboratorio la temperatura media durante il periodo di
conservazione dei frutti è stata di 14,2 °C, con un minimo di 10,4 °C e
un massimo di 18,4 °C; per l’umidità relativa i valori sono stati del 69,8%
(media), del 49% (minimo) e dell’80% (massimo). In queste condizioni
ambientali, l’andamento del calo percentuale di massa dei frutti può essere
descritto da una relazione di tipo potenza (y=0.032x 0.588 ), che spiega quasi
il 100% della variazione (R 2 =0,9985). Il calo percentuale di massa, inoltre,
non risulta statisticamente influenzato né dalle condizioni di urto, né dal
momento della raccolta per cui non può essere considerato un indicatore
di un eventuale danno da urto.
Per quanto riguarda la percentuale di energia assorbita, l’analisi di
varianza evidenzia la presenza di differenze significative per p=0,004
imputabili alle condizioni d’urto e nessuna differenza attribuibile al
momento della raccolta. Questo potrebbe essere dovuto a un diverso
comportamento elastico dell’epicarpo rispetto alla polpa del frutto (gli
urti da 10 cm, al contrario di quelli da 20 cm, riguardano infatti
prevalentemente solo la buccia).
302

In merito alla durezza dei frutti dopo 8 settimane di conservazione,
con l’elaborazione dei dati penetrometrici si è esaminato il rapporto fra
la durezza della zona urtata e quella della zona non urtata. L’analisi di
varianza evidenzia che anche questo dato è indipendente dal momento
della raccolta e dalle condizioni d’urto.
Per quanto riguarda i danni esteriori, si evidenzia che la loro
manifestazione è nettamente influenzata dagli urti.
In merito al momento della raccolta, sebbene la differenza fra le
due percentuali di danno non sia risultata statisticamente significativa,
emerge la tendenza dei frutti raccolti la mattina a manifestare danni
con un tasso di crescita più elevato rispetto quelli raccolti il
pomeriggio. Più precisamente, mentre inizialmente (le prime 4
settimane) la percentuale di danneggiamento è superiore fra i frutti
raccolti il pomeriggio, la situazione si inverte nel lungo periodo (dalla
quinta all’ottava settimana).
Con riferimento alle condizioni di urto, è stata calcolata la percentuale
di frutti danneggiati a parità di numero di urti e a parità di altezza di
caduta e si evidenzia il netto aumento del danno al crescere del numero
di urti: quasi il 60% dei frutti urtati 10 volte da 20 cm ha mostrato
alterazioni. Inoltre, suddividendo le alterazioni manifestate in tre categorie
(lievi, medi e gravi), all’ottavo controllo, il 28% dei frutti urtati nelle
diverse condizioni previste nel piano sperimentale, ha subito danni medi
e gravi (14% ciascuno). Sono valori molto elevati dal punto di vista
commerciale, tali da richiedere certamente la massima attenzione nelle
operazioni di raccolta e post-raccolta.
Se si esamina la localizzazione del danno, si evidenzia come la
percentuale di frutti con danni al di fuori della zona d’urto è comparabile
a quella dei frutti danneggiati nel testimone, mentre quella dei frutti con
danni nella zona urtata è sempre superiore. Ciò è da tenere in particolare
considerazione anche in relazione al fatto che la superficie interessata
all’urto è il 20-25% di quella dell’intero frutto, per cui la probabilità che
su di essa insorga un danno casuale come quelli manifestati dal testimone
si riduce proporzionalmente.
303

Infine, se si esamina l’intensità del danno che insorge nelle due zone
emerge sostanzialmente che sono i danni di lieve entità ad essere osservati
in maniera preponderante nella zona urtata, mentre gli altri due tipi di
danno si manifestano con una frequenza pressoché uguale anche nella
zona non urtata. Tuttavia, come già osservato, la limitatezza della zona
urtata rispetto a quella non urtata deve indurre ad assegnare ai danni un
peso diverso a seconda delle zone in cui insorgono, con l’ulteriore
conferma che gli urti influenzano pesantemente la comparsa nei frutti di
difetti anche gravi.
4. Conclusioni
Le misure effettuate nelle linee di confezionamento di fichi d’India
con la sfera sensorizzata IS100 mostrano che:
fissata una soglia di registrazione di 10 g, il numero di urti per ogni
ripetizione può variare da circa 20 a quasi 70, in ragione della
lunghezza e della complessità della linea. Poiché le successive prove
di laboratorio hanno mostrato una chiara influenza degli urti
sull’insorgere di danni anche gravi nei frutti, un loro contenimento e
una loro attenuazione durante i processi post-raccolta sono d’obbligo
ai fini di preservare la commerciabilità del prodotto. I punti più critici
del processo sono l’alimentazione della linea per ribaltamento delle
cassette e i salti alla fine dei nastri trasportatori che collegano due
macchine consecutive;
le prove di urto in laboratorio hanno evidenziato che né il calo
percentuale di massa, né la durezza dei frutti dopo 8 settimane di
conservazione possono essere considerati indici di danno da urto. Varia
molto, invece, la percentuale di frutti con danni esteriori sia in relazione
alle loro condizioni al momento della raccolta, sia alle caratteristiche
degli urti subiti. Relativamente al primo aspetto, i frutti raccolti in
condizioni di elevata umidità presentano una tendenza al
304

danneggiamento al passare del tempo superiore a quella dei frutti
raccolti in condizioni più asciutte, confermando così le indicazioni
avute dagli operatori. Relativamente al secondo aspetto, i frutti urtati
presentano probabilità di danneggiamento significativamente superiori
rispetto al testimone, vicine al 60% nel caso di frutti che hanno subito
10 urti. Tenuto conto poi che nella sola zona urtata, estesa circa il 20-
25% dell’intero frutto, si hanno percentuali di danni medi e gravi del
tutto simili a quelle che interessano il rimanente 75-80% del frutto, si
può concludere che le condizioni d’urto esaminate con le prove di
laboratorio sono tali da comportare danni tali da pregiudicare la
commerciabilità del prodotto.
305

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306

Riassunto
MECCANIZZAZIONE DEL FICO D’INDIA
CACTUS PEAR MECHANISATION
Luciano Caruso, Giampaolo Schillaci
Dipartimento di Ingegneria Agraria, Sezione Meccanica
Via Santa Sofia, 100 – 95123 Catania
Il lavoro affronta con osservazioni sperimentali le operazioni colturali
ricorrenti e riferisce su quelle ritenute tipiche per la coltura: potatura,
scozzolatura e raccolta, menzionando il diradamento della produzione
agostana. I risultati ottenuti sono lusinghieri in merito alle operazioni cesorie,
per le quali è possibile ricorrere ad attrezzature già in produzione, purché
oculatamente scelte e poi adeguate alla particolare consistenza del fico d’India.
I numerosi prototipi di utensili provati per la scozzolatura, pur efficaci
taluni di essi, mostrano i limiti connessi alla delicatezza dei tessuti vegetali
delle pale, che non debbono essere danneggiate. Per il diradamento le difficoltà
sono connesse alla necessaria selettività dell’intervento, tuttavia la ridotta
superficie dove esso viene effettuato riduce la necessità di affrontare
la questione. Per la raccolta, infine, un prototipo è stato approntato e si è
manifestato in grado di raccogliere i frutti. Occorre proseguire le ricerche
per velocizzarne l’operatività e migliorare la qualità del taglio.
Parola chiave: potatura agevolata, meccanizzazione, raccolta
Abstract
Bibliography is lack about cactus pear mechanisation. Some trials have
carried out about cactus pear pruning, fruit harvesting and some other typical
crop operations as “scozzolatura” (full removal of blossom and new
cladode), fruit thinning, thorns removal, by using prototypes or by modifying
307

existing machines. The results about mechanised pruning show that it can
be already applied on field; whereas, as concerning cactus pear picking
device, its movements have to be speeded up 3 times. Any among the four
prototypes manufactured with the aim to remove cactus pear blossom an to
carry out others operations is quite satisfying, because they induce injuries
both on fruit and cladode.
Key words:assisted pruning, mechanization, harvest
1. Introduzione
Attualmente, le operazioni colturali ricorrenti nella coltivazione del
fico d’India sono effettuate per lo più manualmente, oppure, nelle aziende
di maggiore estensione, impiegando attrezzi e macchine mutuate da
altre colture. Tuttavia, scozzolatura, diradamento dei frutti, potatura e
raccolta richiedono attrezzature specifiche. L’obiettivo principale di questo
lavoro è quello di colmare l’assenza di letteratura specifica sulla
meccanizzazione di questa coltura e di esporre i primi risultati di prove
condotte con macchine appositamente costruite o modificate.
2. Materiali e metodi
Dopo una prima indagine conoscitiva, che è valsa da presa di contatto
con le svariate realtà aziendali, le operazioni colturali, eseguite sia manualmente
che con macchine o attrezzi, sono state attentamente osservate e,
successivamente, scomposte e rilevate seguendo la metodologia del
C.I.O.S.T.A. (Comitato Internazionale per l’Organizzazione Scientifica del
Lavoro in Agricoltura) e le raccomandazioni A.I.G.R.. In tal modo è stato
possibile desumere informazioni sulla organizzazione dei cantieri e calcolarne
la capacità di lavoro, il tempo unitario e la produttività degli addetti.
Quando consentito o reso opportuno dalla tipologia del cantiere, oltre che
alle superfici lavorate, questi valori sono stati riferiti all’unità di prodotto
(tagli di rami e massa asportata, nel caso della potatura).
308

3. Risultati e discussione
3.1 Le operazioni colturali e prestazioni dei cantieri
Potatura. Tradizionalmente, l’asportazione dei cladodi viene eseguita
tradizionalmente con un coltello a lungo manico e lama ricurva talvolta
dentellata (detta “roncoletta”). Per raggiungere i cladodi più interni la
roncoletta viene fissata all’estremità di un’asta di prolunga. Per le prove
è stato utilizzato un seghetto pneumatico a moto alterno su asta di prolunga
e azionato da un motocompressore carrellato (motore 4 tempi,
potenza 1,8 kW, portata d’aria alla testata di 300 l/min, regime di 3000
giri/min), con lama da 20 cm. Un aspo ad avvolgimento manuale reca
circa 100 metri di condotta. Le prove sono state effettuate su appezzamenti
differenti per età delle piante, sesto d’impianto e sviluppo della chioma.
In merito ai tempi necessari ad effettuare ciascun taglio, con l’attrezzatura
agevolata si ottiene un risparmio che può agevolmente superare il
30%, anche se con l’intervento agevolato sono richiesti tempi maggiori
per il posizionamento dell’operatore. Tuttavia, con i seghetti pneumatici
si può calcolare un risparmio medio di tempo pari al 25%. Gli interventi
su piante di grande mole o di età avanzata si giovano sensibilmente della
potatura agevolata, per via della minore fatica nell’operare il taglio, per
la facilità con la quale possono essere raggiunti i cladodi più lontani,
per i tempi ridotti, per la sicurezza connessa al minore ricorso alle
scale.
Scozzolatura. Quest’operazione consiste nella completa asportazione
dei fiori, dei frutti e della quasi totalità dei giovani cladodi (lasciando
una piccola percentuale, intorno al 10-15%). La pianta reagirà emettendo
un nuovo flusso fiorifero e una produzione di frutti qualitativamente
più pregiati. Attualmente, l’operazione è eseguita a mano, calzando guanti
di gomma spessa per proteggersi dalle spine, e molto delicatamente per
non danneggiare il cladodio. In alcuni casi è stato riscontrato l’uso di
utensili rudimentali, quali un bastone di canna o una sorta di rastrello.
309

Al fine di rendere meno gravosa l’esecuzione della scozzolatura e di aumentare
la produttività degli addetti sono stati realizzati e provati in campo
quattro utensili pneumatici, e portati all’estremità di un’asta di alluminio.
Un primo utensile è formato da un corpo cilindrico di materiale plastico, sul
quale sono fissati, opposti fra loro, due ponticelli metallici ricoperti di gomma
al fine di ammortizzare gli eventuali urti contro la superficie della pala.
L’operatore può effettuare una certa regolazione della velocità e dunque
della potenza d’impatto. Per l’azionamento sono sufficienti 180 l/min d’aria
e, pertanto, un compressore di dimensioni contenute. Un altro utensile consiste
in un corpo cilindrico sul quale sono stati avvitati radialmente 2 serie di
4 denti lunghi 10 cm, distanziati 4 cm. Ciascuna coppia di denti è unita alla
base da bastoncini di plastica della stessa lunghezza. La funzione dei denti è
quella di distaccare i frutticini presenti sulle due facce piane della pala, mentre
i bastoncini colpiscono quelli presenti sul margine della stessa. Un ulteriore
utensile pneumatico è quello composto da un’appendice metallica ricoperta
di gomma e azionata da un pistoncino a moto alterno il quale, tramite
un fissaggio con camera eccentrica, determina un certo angolo di rotazione
dell’appendice che dovrebbe abbattere la vegetazione.
Infine, è stata provata una spazzola rotante anch’essa azionata
pneumaticamente.
Dalle prove effettuate in campo è stato possibile appurare che per
tutti gli utensili risulta difficile colpire con precisione i frutticini tanto
da eliminarli senza danneggiare la pala. La spazzola rotante, oltre all’inefficace
impatto sui frutticini, essa provoca una grande dispersione
dei glochidi nell’aria, causando non pochi inconvenienti agli operatori.
In definitiva, le prove effettuate mostrano il vantaggio di operare su
sieponi, pur piuttosto alti (3 m), rispetto alle piante singole, intorno alle
quali gli operai perdono tempo a girare. Occorre sottolineare l’importanza
di agire all’interno del periodo agronomicamente utile, in modo
da non incontrare forti resistenze all’asportazione dei frutti e le conseguenti
lesioni a “spennellamento”. Probabilmente, dovrà perfezionarsi
un utensile in grado di “percorrere” il bordo della pala servendosene
come guida, nel contempo abbattendo i frutticini presenti sia sul bordo
stesso che sulla faccia piana della pala.
310

Diradamento. Nelle zone vocate alla coltivazione del fico d’India, il
diradamento dei frutti è un’operazione frequente se non obbligatoria,
ma soltanto negli impianti ove la produzione è composta da frutti detti
Primofiore o Nostrale; solitamente, per i frutti Bastardoni o Scozzolati
non viene eseguita per via della pezzatura comunque sufficiente raggiunta
dalla produzione.
Un’eventuale meccanizzazione dovrebbe superare lo scoglio rappresentato
dal dover raggiungere con una certa precisione ciascuno frutto
da asportare; tuttavia, l’impiego limitato non induce ad investimenti in
tal senso.
Despinatura o spazzolatura. Può essere eseguita in campo, per
asportare i fastidiosi glochidi in vista della raccolta, oppure in magazzino,
a tutto vantaggio dei consumatori del prodotto lavorato.
L’operazione colturale non risulta particolarmente diffusa, venendo
effettuata solo sulle produzioni “agostane” e comunque non di frequente.
Nella zona etnea gli agricoltori talvolta intervengono effettuano
una despinatura in campo all’incirca alla fine del mese di luglio,
utilizzando una scopa fatta con lunghi fili di rafia, con la quale
sono spazzolati i frutti ancora in via di maturazione. L’aggravio economico
che ne consegue e la diffusione delle macchine despinatrici,
poste nella linea di lavorazione, hanno man mano ridotto la
despinatura sulla pianta.
Raccolta. Le piante iniziano a produrre non prima del secondo o terzo
anno di vita, ma soltanto dal sesto o settimo anno si può considerare
raggiunta la piena maturità produttiva.
La raccolta è scalare, a partire dalla seconda metà di agosto e fino
all’ultima decade di settembre per i frutti detti “Primofiore o Agostani”,
fino tutto novembre e i premi di dicembre per la produzione dei frutti
tardivi detti “Bastardoni o Scozzolati”. Le operazioni sono del tutto
manuali. Per proteggersi dalle spine talvolta si rende opportuno l’uso di
occhiali, guanti e grembiuli da parte degli operatori.
311

La raccolta è eseguita da terra, se la pianta è a globo, o con l’ausilio di
scale metalliche a tre piedi, per raggiungere i punti più alti, se la pianta è
a vaso. I frutti sono recisi con un coltello a lama ricurva, tagliente e
sprovvista di punta.
Un primo prototipo ad azionamento pneumatico è stato provato nel
corso del presente lavoro. L’operatrice è composta di un’asta metallica
che porta ad un’estremità un sistema per il distacco e per la raccolta dei
frutti presenti sul margine della pala. Il sistema, azionato tramite aria
compressa fornita da un motocompressore a carrello, con portata alla
testata di 200 litri al minuto, è composto da una lama, con sezione di
taglio leggermente arcuata, e da una gabbia, posta superiormente alla
lama, che imprigiona il frutto da raccogliere. L’operatore rilascia poi la
leva di comando consentendo l’apertura dello sportello; in tal modo, la
lama si ritira e lascia cadere il frutto entro il contenitore. Con l’attrezzatura
provata non è possibile procedere alla raccolta dei frutti troppo vicini
gli uni agli altri, a causa dell’eccessivo ingombro della gabbia. Essa
dovrà subire aggiustamenti e modifiche in modo da aumentarne l’efficacia
ed il suo utilizzo dovrà essere inteso per lo più come supporto alla
raccolta convenzionale. Infatti, essa consente di ridurre l’uso delle ingombranti
scale, facilitando la raccolta dei frutti posti più in alto. In
definitiva, per mettersi al pari con i cantieri convenzionali, occorrerà
incrementare la produttività degli addetti alla raccolta agevolata di almeno
3 volte, passando da 7,4 a 21 frutti/min·op.
4. Conclusioni
La potatura, la scozzolatura, il diradamento e la raccolta presentano
aspetti specifici, connessi alla particolarità intrinseche alla struttura della
pianta. Si tratta, peraltro, di operazioni che richiedono tempo e manodopera,
e che possono imporre agli addetti non pochi disagi, ragioni per
le quali una loro meccanizzazione razionale rimane del tutto auspicabile.
I rilievi svolti per la scozzolatura ed il diradamento mostrano tempi mi-
312

nori qualora il lavoro si svolga su un allevamento a siepone, vantaggio
tipico delle “pareti fruttificanti”, già note nell’arboricoltura moderna.
Fra queste due operazioni la seconda è quella che appare oggi più difficilmente
meccanizzabile, per via della selettività dell’intervento; tuttavia,
è la meno importante. Le esperienze orientano verso un utensile
portato in cima ad un’asta di opportuna lunghezza e che possa procedere
alla scozzolatura servendosi del bordo della pala come guida, in modo
da eliminare tempi, fatiche ed incertezze connesse dal dover brandeggiare
l’asta stessa. Inconvenienti, questi, che appaiono più difficili da eliminare
nell’ipotesi di una esecuzione meccanizzata del diradamento dei
frutti, intervento che sembrerebbe obbligare l’operatore ad eseguire continui
movimenti per centrare i frutticini da asportare.
La potatura è di certo l’operazione colturale ricorrente che più si presta
ad essere meccanizzata, potendosi utilizzare attrezzature in commercio
purché adeguatamente modificate. Le esperienze condotte, tuttavia,
appaiono fortemente incoraggianti verso l’introduzione di questa pratica
meccanizzata nella routine della coltivazione del fico d’India.
La raccolta rappresenta certamente un punto nodale, così come per le
altre colture arboree. L’attrezzo pneumatico provato non può raccogliere
frutti ravvicinati e, perciò, richiede un diradamento preventivo, pratica
peraltro in uso. Il dover intervenire su ogni singolo frutto compiendo
una serie di movimenti, rappresentati dal suo raggiungimento, dalla cattura
e dal taglio, nonché al rilascio verso il contenitore, rende difficile
operare con celerità. Tuttavia, un certo vantaggio potrebbe evidenziarsi
nella raccolta dei frutti ubicati nella parte alta della chioma e, non appena
si potrà disporre di un attrezzo maggiormente affidabile, le prove
potranno proseguire sino a pervenire alla sua messa a punto.
In definitiva, non appare azzardato ritenere che, a più lungo termine,
la stessa sopravvivenza del settore potrà essere messa in forse se non
dovesse disporsi in tempi ragionevoli di macchine o attrezzi in grado di
far ottenere un deciso incremento sia della produttività degli addetti preposti
a questi lavori, che del livello di sicurezza e di comfort durante
l’esecuzione degli stessi.
313

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314

STUDIO PRELIMINARE SU FICHI D’INDIA DELL’ETNA DI
IV GAMMA ATTRAVERSO L’ANALISI SENSORIALE
PRELIMINARY STUDY OF ETNA PRICKLY PEARS
READY TO EAT BY SENSORY EVALUATION
Carmela Maria Lanza, Agata Mazzaglia, Antonio Scacco
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania, Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
Il consumo di Opuntia ficus indica, produzione interessante della zona
etnea, come frutto fresco è limitato dalla difficoltà di sbucciatura. Poiché
come prodotto minimamente trasformato potrebbe costituire un’alternativa,
mediante profilo sensoriale è stata studiata la shelf-life di fichi d’India dell’Etna
sottoposti a differenti packaging (film, atmosfera modificata e trattamenti
tecnologici). In base ai risultati microbiologici i campioni di alcune
tesi sono stati valutati fino al quinto giorno, mentre per altre si è arrivati fino
al decimo giorno di shelf-life ottenendo i migliori risultati con il packaging
che prevede un film a bassa permeabilità e basse percentuali di O 2 .
Parole chiave: shelf-life, profilo sensoriale, confezionamento, atmosfera
modificata.
Abstract
The consumption of Opuntia ficus indica, interesting production of
Etna area, is scarcely diffused because of difficulty of peeling. So the
possibility of finding a new market segment for this product has suggested
to study its shelf-life by evaluation of sensory profile varying films,
packaging conditions and technological treatments.
315

On the basis of microbiological results, sensory evaluation was not
possible beside the 5th day for the samples of some trials, while for
other trials the shelf-life was up 10 days showing the best results using a
film at low permeability and a packaging at low content of O 2 .
Key words: shelf-life, sensory profile, packaging, modified atmosphere.
Introduzione
Il fico d’India (Opuntia ficus indica) è una pianta appartenente
alla famiglia delle Cactacee (ordine Centrosperme) originaria delle
regioni tropicali e subtropicali dell’America centro-meridionale, oggi
cosmopolita. In Europa è presente nell’area mediterranea da circa
quattrocento anni ed in Italia è coltivata nelle regioni più calde. Prospera
nelle zone rocciose ed in Sicilia è usata per preparare terreni
incolti a colture più esigenti. La polpa è dolce, profumata, di colore
bianco, giallo albicocca o rosso, ricca di semi scuri e duri (Barbera e
Inglese, 1993).
Il fico d’India è un frutto che presenta elevata deperibilità a temperatura
ambiente ed elevata sensibilità (“chilling injures”) alle temperature
di frigoconservazione normalmente utilizzate (0-4°C) (Di Cesare et al.,
1993). I limiti principali nella conservazione dei fichi d’India sono la
perdita di consistenza e lo sviluppo di off-flavour dovuti a diversi fattori,
tra i quali la crescita microbica ed i fenomeni di ossidazione e degradazione
cellulare ad opera di enzimi endogeni.
Il crescente successo commerciale dei vegetali e della frutta di IV
gamma, collegato ad una maggiore richiesta da parte dei consumatori
di convenient food, con proprietà chimico-fisiche e sensoriali non
dissimili da quelle del prodotto fresco, nonchè la possibilità di trovare
un nuovo segmento di mercato per i fichi d’India siciliani, ha indotto
lo studio di questi frutti come prodotto minimamente trasformato.
316

In particolare l’obiettivo di questa ricerca è stato quello di studiare,
attraverso l’analisi sensoriale, la shelf-life di frutti di fico d’India dell’Etna
D.O.P. variando i film per il confezionamento (bassa e alta
permeabilità), utilizzando diverse miscele di atmosfera modificata e diversi
trattamenti tecnologici.
Materiali e metodi
Per questa ricerca sono stati utilizzati frutti di fico d’India dell’Etna
della cultivar gialla raccolti nella zona di Paternò (CT), decorticati manualmente
e confezionati (4 frutti per contenitore) in apposite vaschette
in condizioni asettiche. I frutti sono stati confezionati in atmosfera ordinaria
con due film a diversa permeabilità, in atmosfera modificata utilizzando
miscele di gas a diverse concentrazioni di O 2 e CO 2 . La miscela
di gas usata per l’atmosfera modificata è quella generalmente consigliata
in letteratura per i vegetali freschi (Cantwell et al.,1995; Izumi et al.,
1996). Inoltre, alcuni frutti sono stati confezionati in atmosfera ordinaria
dopo essere stati immersi in acqua a 80°C per 10 sec, mentre altri
hanno subito lo stesso trattamento termico ma in acqua contenente il 2%
di acido citrico.
Piano dei trattamenti effettuati sui campioni dopo sbucciatura:
A: 2.2% O 2 /2.6% CO 2 /film a bassa permeabilità;
B: 5.0% O 2 /2.0% CO 2 /film a bassa permeabilità;
C: 2.0% O 2 /5.0% CO 2 /film a bassa permeabilità;
D: blanching dei frutti in acqua a 80°C x 10sec/film a bassa
permeabilità;
E: blanching dei frutti in acqua al 2% acido citrico a 80°C x 10sec/
film a bassa permeabilità;
F: film ad alta permeabilità;
G: film a bassa permeabilità.
Dopo il confezionamento i frutti sono stati frigoconservati a 4°C. Sui
campioni oltre alla valutazione sensoriale venivano eseguite anche analisi
microbiologiche (carica aerobia totale, lieviti e muffe).
317

Per scegliere le condizioni ottimali di packaging per questi frutti,
monitorando nel corso della conservazione i cambiamenti sensoriali degli
attributi caratterizzanti, è stato utilizzato il metodo del profilo sensoriale
(ISO 13299, 2003). Le valutazioni sono state condotte presso il laboratorio
di analisi sensoriale, a norma ISO 8589 della sezione di Tecnologie
Agro-Alimentari del DOFATA della Facoltà di Agraria di Catania.
Dieci giudici già addestrati (5 donne e 5 uomini), studenti della facoltà
di Agraria dell’Università di Catania, sono stati allenati per un circa
un mese, con frequenza di due-tre sedute settimanali, a familiarizzare
con il prodotto, mettendo a punto un vocabolario comune per i descrittori
generati nel corso delle sedute, e ad utilizzare correttamente le scale di
valutazione.
I quattordici descrittori sensoriali scelti (in base ad una frequenza di
citazione del 70%) per il monitoraggio sensoriale dei frutti, durante la
frigoconservazione, sono stati: freschezza e turgidità (visivi), aroma tipico
di fico d’India, aroma vegetale, off-odor (olfattivi), resistenza al
taglio, croccantezza, succosità (reologici), dolcezza, acidità (gustativi),
flavour tipico di fico d’India, flavour vegetale e off-flavour (flavour)
nonché una valutazione complessiva.
Nella sedute a 1, 3, 5, 8 e 10 giorni di conservazione al panel è stato
chiesto di quantificare l’intensità di ogni singolo descrittore su una scala
discontinua da 1 (assenza del descrittore) a 7 (massima intensità del
descrittore). Ad ogni giudice è stato presentato mezzo frutto di ogni trattamento
in piatto di plastica siglato con codice a tre cifre. Per tutti i
campioni l’ordine di presentazione è stato randomizzato per giudice e
per seduta (MacFie et al., 1989).
I punteggi forniti dai giudici per ciascun descrittore e per ciascun
campione sono stati sottoposti a validazione statistica, ricorrendo all’Analisi
della Varianza ad una via (ANOVA) considerando, come variabile
indipendente, i giorni di conservazione, e come variabile dipendente
il singolo descrittore sensoriale. La significatività dell’effetto della
sorgente di variazione è stata valutata in termini di F (rapporto di
varianza o F di Fisher) mediante il confronto tra valori sperimentali e
valori tabulati.
318

L’elaborazione dei dati raccolti ha permesso di valutare l’influenza
dei giorni di conservazione sul profilo sensoriale. Inoltre, i dati medi
sono stati sottoposti al test del confronto multiplo LSD (Least Significant
Difference) per determinare quali descrittori differenziano i campioni
(Pagliarini, 2002). Il software STATGRAPHICS Plus version 4.0 è stato
utilizzato per l’elaborazione dei dati sensoriali.
Risultati e discussione
Sulla base dei risultati microbiologici è stato possibile effettuare le
valutazioni sensoriali su tutti i campioni fino al 5° giorno, mentre fino
all’8° giorno di conservazione sono stati valutati i campioni delle tesi A,
B, C, D, G, solo i campioni A, B, C, G sono stati valutati fino al 10°
giorno
I risultati dell’analisi della varianza non mostrano, ai prelievi 1°, 3° e
5°, differenze significative tra i campioni per tutti i descrittori.
All’8° prelievo (Tab.1) differenze significative si sono evidenziate
tra i campioni per i descrittori croccantezza (p

Conclusioni
Dal presente studio, è possibile concludere che dal punto di vista
microbiologico, le miscele di gas utilizzate riducono in maniera non significativa
la carica batterica totale, mentre hanno effetto positivo su
lieviti e muffe. Il trattamento termico invece, ha influito positivamente
sulla riduzione dei microrganismi.
Dai risultati sensoriali si è visto come i frutti confezionati in atmosfera
ordinaria con film a bassa permeabilità (G) hanno mantenuto invariate,
nel tempo, le proprie caratteristiche sensoriali, in particolare quelle
reologiche, quali la croccantezza e la resistenza al taglio. Anche i frutti
confezionati con la miscela A (2.2% O 2 , 2.6% CO 2 , film a bassa
permeabilità) e C (2.0% O 2 , 5.0% CO 2 , film a bassa permeabilità) non
hanno subito durante i 10 giorni di frigoconservazione decadimenti tali
da pregiudicare la loro qualità sensoriale.
In conclusione, è possibile affermare che, per la conservazione dei
fichi d’India di IV gamma, è consigliabile l’uso di film a bassa
permeabilità e miscele di gas con basse concentrazioni di O 2 che devono
essere, comunque, sempre superiori alle concentrazioni di CO 2 , associate
ad un breve trattamento termico le cui condizioni (tempo/temperatura)
dovrebbero essere ulteriormente approfondite.
320

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321

322

323

324

ASPETTI BIOAGRONOMICI DELLA
CORILICOLTURA ETNEA
BIOAGRONOMIC TRAITS OF HAZELNUT
GROWING IN THE ETNA DISTRICT
Elisabetta Nicolosi 1 , Edoardo Finocchiaro 1 , Giuseppe Leotta 2 ,
Giovanni Raiti 2 e Giovanni Continella 1
1 Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari,
Università degli Studi di Catania,
Via Valdisavoia 5, 95123 Catania
2 Assessorato Agricoltura e Foreste Regione Siciliana U.O. 73,
Via Emilia 21, 95014 Giarre
Riassunto
La corilicoltura etnea ha antiche tradizioni risalenti all’inizio dell’800
ed è presente soprattutto sul versante nord-orientale occupando zone
collinari e montane, spesso acclivi, di forte impatto paesaggistico. Nell’ambito
del progetto di ricerca “Miglioramento e valorizzazione delle
produzioni frutticole nel territorio etneo” sono state affrontate due
tematiche riguardanti l’individuazione e la caratterizzazione genetica del
germoplasma e l’analisi di alcuni aspetti legati alle tecniche di fertilizzazione.
L’analisi molecolare ha permesso la discriminazione di dodici
accessioni presenti sul territorio ed il loro raggruppamento in due cluster.
Una prova di concimazione fogliare effettuata con fertilizzanti organici
e minerali contenenti macro e microelementi ha fornito risultati positivi
sulla qualità della produzione, lasciando ben sperare sulla possibilità di
adottare tecniche colturali idonee a garantire maggiore qualità delle produzioni.
Parole chiave: Corylus avellana, concimazione fogliare, resa, analisi molecolare
325

Abstract
Corylus avellana has been grown in the north-east slope of Etna since
the beginning of 1800 and it has a high landscape value. Inside the
research project “Miglioramento e valorizzazione delle produzioni
frutticole nel territorio etneo” two main aspects have been investigated,
one concerning molecular characterization of hazelnut germoplasm
and another one about the analysis of some aspects related to
fertilization practices. Molecular analysis allowed to fingerprint
twelve analyzed genotypes and to group them into two clusters. Leaf
fertilization with organic and mineral fertilizers containing macro
and micro nutrients gave good results concerning kernels yield,
showing that rational fertilization practices may allow to achieve
better quality production.
Key words: Corylus avellana, leaf fertilization, kernels yield, molecular
analysis
Introduzione
La coltura del nocciolo in Sicilia, secondo i dati ISTAT 2006, occupa
una superficie poco superiore ai 15.000 ettari con una produzione di
17.286 tonnellate; è localizzata in quattro areali ben distinti ricadenti
nelle province di Messina, Catania, Enna e Palermo. La provincia di
Messina da sola intercetta l’83% della superficie e l’87% della produzione.
Segue la provincia di Catania, dove i noccioleti interessano una
superficie di 1.500 ettari con una produzione di 1.500 tonnellate. Essi
sono ubicati sui versanti settentrionale e orientale dell’Etna ed interessano
la fascia pedemontana che va dai 400 ai 1200 metri sul livello del
mare. A partire dalle falde dei Peloritani, sopra Randazzo, i noccioleti si
estendono cingendo il vulcano lungo il versante che degrada verso la
valle dell’Alcantara, interessando i territori di Castiglione di Sicilia,
326

Linguaglossa e Piedimonte Etneo, per risalire sino ai territori di Mascali,
Sant’Alfio e Milo. Che buona parte della corilicoltura siciliana versi in
uno stato di abbandono è stigmatizzato da Alberghina (2002), il quale
giunge alla conclusione che in Sicilia i noccioleti effettivamente coltivati
si estendono per meno di 4.000 ettari, di cui circa 600 in provincia di
Catania.
Sul massiccio etneo i noccioleti, oltre ad avere una importante
ricaduta sull’occupazione agricola, costituiscono la soluzione di continuità
fra i terreni coltivati ed il bosco, rivestendo una importante
funzione ambientale e paesaggistica, in alcuni casi superiore al valore
economico della produzione. L’introduzione del nocciolo sull’Etna,
da quanto riferito verbalmente da anziani corilicoltori locali, è
segnalata agli inizi dell’ottocento a Castiglione di Sicilia e, 50 anni
dopo a Sant’Alfio, ad opera di sacerdoti che lo “importarono” dai
monti del messinese; un contratto di compravendita di nocciole del
1880 testimonia come i rapporti fra commercianti etnei e messinesi
fossero molto simili a quelli attuali, anche in riferimento alle categorie
merceologiche del prodotto. Il massimo sviluppo della coltivazione
si è avuto dal dopoguerra agli anni settanta, a seguito della
crisi della viticoltura.
Nell’ambito del progetto “Miglioramento e valorizzazione delle
produzioni frutticole nel territorio etneo” sono state affrontate due
tematiche: una ha riguardato l’individuazione e la caratterizzazione
genetica del germoplasma, l’altra l’analisi di alcuni aspetti legati alle
tecniche di fertilizzazione. Un fattore colturale di rilevante importanza,
così come riportato da Bignami et al. (1999), è l’apporto di
elementi fertilizzanti, che rappresenta oggi, più che nel passato, una
pratica delicata nel ciclo colturale del noccioleto, in considerazione
dei risvolti produttivi ed economici. A tal proposito, si è voluto verificare
l’influenza di concimazioni fogliari sulla qualità della produzione.
327

Materiali e metodi
La prima fase della ricerca ha riguardato l’analisi territoriale del versante
orientale etneo al fine di individuare le varietà presenti e indagare
sulle tecniche colturali adottate. Per la fase ricognitiva ci si è avvalsi
della tecnica del rilevamento per campione, attraverso la compilazione
di una apposita scheda. Successivamente è stata condotta una indagine
genetica mediante analisi molecolare ed è stata realizzata una prova di
concimazione fogliare. Quest’ultima è stata condotta nel 2005 in un campo
ubicato in territorio di Castiglione di Sicilia, impiantato nel 1987 con
la cultivar Tonda Gentile Romana, allevata a vaso monocaule al sesto di
metri 5x5, avente come impollinatrice la cultivar Nocchione (circa il
5% delle piante) anche se, trovandosi il campo all’interno di una zona a
specializzazione corilicola, l’impollinazione verrebbe assicurata anche
dalle altre varietà presenti nei campi limitrofi. La prova ha riguardato
interventi di concimazione fogliare effettuata con una soluzione (2 L/
pianta) contenente l’1‰ di un fertilizzante all’8,5% di N organico
(Humozon 10 L, Isagro) e il 3‰ di concime ternario 20-20-20 +
microelementi chelati di B, Cu, Fe, Mn, Mo, Zn (Spray Feed, Pavoni).
Le tesi a confronto sono state: tesi A (due trattamenti), tesi B (tre trattamenti)
e tesi T (testimone). I trattamenti sono stati eseguiti per la tesi A
a fine maggio (allegagione) e fine giugno (seme sviluppato), per la tesi
B un ulteriore intervento a metà luglio. Alla raccolta, su campioni di 100
frutti per ogni tesi, sono stati determinati i valori medi del calibro della
nucula e del seme, dei rispettivi pesi e della resa in sgusciato.
Per l’indagine genetica sul germoplasma è stata adottata la tecnica
RAPD e sono stati utilizzati 40 primer decameri casuali (Operon). Nell’aprile
2004 sono stati eseguiti in campo prelievi di giovani foglie per
l’estrazione del DNA totale. Il DNA è stato estratto, secondo il metodo
di Thomas et al. (1993), ed ha riguardato le seguenti 12 accessioni di
nocciolo: Caraffara Sant’Alfio, Selvaggiola Sant’Alfio, Selvaggiola piatta,
Tonda Gentile Romana Sant’Alfio, San Giovanni, Riccia di Talanico,
Tonda di Giffoni, Camponica, Selvaggiola Castiglione, Selvaggiola ric-
328

cia, Nostrale Castiglione e Tonda Gentile Romana Castiglione. Le prime
8 provenienti dal territorio di Sant’Alfio e le altre da quello di
Castiglione di Sicilia. L’amplificazione PCR è stata eseguita utilizzando
l’amplificatore della Perkin Elmer ‘Cetus Gene Amp PCR 9600’ utilizzando
volumi di reazione e parametri PCR già descritti da Deng et al.
(1995). Ogni amplificazione è stata ripetuta almeno due volte per verificare
la riproducibilità dei risultati. I prodotti della PCR sono stati separati
su gel d’agarosio all’1,5%, visualizzati con bromuro di etidio ed
esaminati e fotografati sotto luce UV.
I prodotti stabili dell’amplificazione sono stati segnati con -1- per
indicare le bande presenti e con -0- per indicare quelle assenti; per l’analisi
statistica è stato utilizzato il modulo SIMQUAL del software
NTSYSpc 2.11 e sono state ottenute due matrici di similarità utilizzando
i coefficienti di Dice e Simple Matching.
Risultati e discussione
Nei vecchi impianti sono stati individuati dei biotipi ascrivibili alla
varietà autoctona principale, denominata nelle varie contrade Caraffara,
Nostrale o Comune, alla Minnulara e all’eterogeneo gruppo delle
Selvaggiole (Selvaggiola comune, Selvaggiola riccia, Selvaggiola piatta,
Selvaggiola bianca e Selvaggiola tardiva). In impianti di più recente
costituzione è stata riscontrata prevalentemente la cultivar Tonda Gentile
Romana, assieme all’impollinatore Nocchione e, in minor misura, la
Tonda di Giffoni e la Mortarella (foto 1); inoltre, sono state individuate
piante sporadiche di altre varietà alloctone come la Riccia di Talanico, la
Camponica, la San Giovanni e la Tonda Gentile delle Langhe. Delle
accessioni individuate si riportano le principali caratteristiche nelle tabelle
1 e 2.
In merito alla tipologia degli impianti si è potuto constatare che la
forma di allevamento più diffusa è quella policaule (a trofa) con sesti
variabili compresi tra 3x5 e 5x5, anche in funzione delle sistemazioni
329

del terreno. Da diversi anni nei nuovi impianti viene adottata la forma
di allevamento a vaso monocaule; il siepone, poco diffuso, è stato
riscontrato solamente in un noccioleto nel territorio di Sant’Alfio
(foto 2). Le ragioni della diffusione della forma policaule sono molteplici:
rispecchia maggiormente l’habitus vegetativo della specie, è
legata alle tradizioni colturali del territorio, determina una maggiore
densità di fusti/ha con precoce entrata in produzione, maggiori rese
nei primi anni e presenta una più efficace azione antierosiva. Inoltre,
assicura la sopravvivenza della pianta quando, specialmente nei vecchi
impianti, malattie fungine quali la Cytospora corylicola (mal dello
stacco) attaccano i fusti.
330

L’impollinazione generalmente è assicurata dalla massiccia presenza
di piante Selvaggiole, ovvero di semenzali di origine spontanea.
Di recente sono stati introdotti nuovi impollinatori come il
Nocchione, ottimo in combinazione con la Tonda Gentile Romana.
Dall’analisi del territorio è emerso che, a causa della crisi del settore,
nella maggioranza delle aziende tutti gli interventi colturali sono
331

idotti al minimo indispensabile comportando una gestione del
noccioleto lontana da quella ottimale. Quest’ultima, difatti, prevedrebbe
per ogni annata: due lavorazioni del terreno, una concimazione
minerale, la spollonatura ed uno o più trattamenti fitoiatrici (foto 3).
332

333

Discorso a parte merita la raccolta che, se non è effettuata meccanicamente,
comporta altissimi costi di manodopera, costituendo una delle
voci più rilevanti dell’intero ciclo produttivo. Sicuramente una gestione
agronomica più razionale consentirebbe alle piante di esprimere
al meglio la loro potenzialità produttiva, producendo frutti più
sani, di maggiore pezzatura e più serbevoli. Una più razionale pratica
della concimazione porterebbe ad un incremento sia
dell’allegagione che della resa.
Nella tabella 3 sono riportati i valori riguardanti le principali caratteristiche
morfo-qualitative dei frutti delle piante di Tonda Gentile
Romana sottoposte alla prova di concimazione fogliare. Come si
può notare, il calibro ed il peso medio del seme sono stati influenzati
positivamente dal numero dei trattamenti e nel complesso la resa in
sgusciato ha fatto registrare un certo incremento soprattutto nella tesi
B (3 trattamenti).
Per quanto riguarda l’indagine molecolare, con l’analisi RAPD
sono stati generati 47 frammenti polimorfici che hanno permesso di
discriminare le 12 accessioni analizzate. Nella figura 1 è riportato un
dendrogramma UPGMA basato sull’indice Simple Matching dove si
possono distinguere 2 cluster: il primo comprende le cultivar alloctone
ad esclusione della San Giovanni, il secondo oltre a quest’ultima comprende
il materiale autoctono. Nel primo cluster le due accessioni di
Tonda Gentile Romana, prelevate nei due territori di Sant’Alfio e
Castiglione, risultano molto simili ma non identiche, cosa probabilmente
imputabile alla loro natura policlonale, e le più vicine al
subcluster delle cultivar campane. Nel secondo cluster tutte le cultivar
risultano differenti, anche la cosiddetta Caraffara nei confronti della
Nostrale che, pur essendo morfologicamente assai simili, non risultano
geneticamente identiche.
334

Conclusioni
L’indagine svolta, che andrebbe ulteriormente approfondita, ha
rimarcato lo stato di sofferenza in cui versa la corilicoltura etnea, anche
se non sono mancati esempi di aziende sensibili alle innovazioni colturali.
A tale riguardo i risultati ottenuti con la prova di concimazione possono
offrire un utile suggerimento a chi desideri migliorare nell’immediato la
qualità della produzione.
Per quanto concerne il germoplasma autoctono impiegato nel territorio,
come era da aspettarsi, è stata evidenziata l’elevata eterogeneità della
popolazione di Selvaggiole impiegate come piante impollinatrici; inoltre,
sono state discriminate con l’analisi molecolare le accessioni
autoctone Caraffara e Nostrale che risultano, per gli aspetti morfologici,
assai simili.
L’introduzione di cultivar alloctone, prima fra tutte la Tonda Gentile
Romana, comincia a dare risultati positivi anche se non si dovrebbe tralasciare
la possibilità di giungere a selezioni della cultivar autoctona
Nostrale, che potrebbero ottenersi nel prosieguo del lavoro di reperimento
e di caratterizzazione del germoplasma.
335

336

BIBLIOGRAFIA
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Repetitive DNA of grapevine: classes present and sequences suitable
for cultivar identification. Theor. Appl. Gen., 86: 985-990.
337

338

Riassunto
MECCANIZZAZIONE DEL NOCCIOLO CON
PARTICOLARE RIGUARDO ALLA RACCOLTA
NUT HARVEST MECHANISATION AND
OTHERS OPERATIONS
Luciano Caruso, Giampaolo Schillaci
Dipartimento di Ingegneria Agraria, Sezione Meccanica
Via Santa Sofia 100, 95123 Catania,
Per la raccolta delle nocciole è stata provata una attrezzatura
raccattatrice portata da una trattrice a ruote a guida reversibile, composta
da una spazzola controrotante rispetto alle ruote della motrice e da
dispositivi per la pulizia del prodotto. Le prove dimostrano che la macchina
esegue un lavoro soddisfacente sul piano della quantità e della
qualità del prodotto raccolto. I rilievi effettuati mostrano altresì la necessità
di procedere, preliminarmente alle operazioni, alla eliminazione
dei residui vegetali di varia natura presenti sul terreno, fra i quali quelli
provenienti dalle operazioni di potatura, al fine di consentire alla macchina
i migliori risultati in termini di capacità di lavoro e di riduzione di
soste per rotture ed ingolfamenti.
Parole chiave: raccattatura, meccanizzazione, nocciolicoltura
Abstract
The cultivation of hazel nuts is going through a difficult phase but is
still of great importance in vast hill and mountain areas in our country.
Harvesting is the operation requiring most work and therefore a study
339

was carried out of harvesting equipment towed by a tractor with
reversible drive wheels and consisting of a brush rotating in the opposite
direction to the wheels of the tractor as well as devices for cleaning the
product. The results show that before collecting the nuts, plant remains
of various types, including that resulting from pruning, should be removed
to optimise the work capacity of the machine and reduce time wasted by
break-downs and flooding. The characteristics of the farm can also
negatively influence the harvesting performance. For example,
narrowness of access tracks can mean that total turning times are 25%
of the total work in the field while increasing steepness reduces speed
and leads to malfunctioning of the machinery. However, the first trials
indicate that the machinery studied produces an acceptable result as
regards both the quantity and quality of product harvested.
Key words: nut, mechanisation, harvest
1. Introduzione
La Sicilia si colloca al quarto posto per produzione raccolta, con 14.755
tonnellate, e al terzo posto per superficie in produzione, con 15.368 ha
(ISTAT 2001). In termini di produzione la Sicilia viene superata dal
Piemonte, pur avendo quasi il doppio della superficie destinata, a causa
della produzione unitaria notevolmente più bassa rispetto a quest’ultima
(Sicilia 1 t/ha, Piemonte 2 t/ha). La ridotta resa unitaria della corilicoltura
siciliana la pone all’ultimo posto per produzioni unitarie del resto del
paese ed espone il comparto isolano più delle altre alla instabilità del
mercato mondiale. A questo si aggiungono le difficili condizioni
ambientali e agronomiche in cui versano vaste aree vocate dell’isola, si
stima il 70% della totalità degli impianti, condizioni che sono spesso
influenzate dalla irregolarità dei modelli di impianto, spesso obbligati
dalla conformazione orografica collinare o montuosa, dalla eccessiva
acclività delle superfici interessate e dalla modesta dimensione aziendale.
340

Se a questi fattori strutturali della coltura aggiungiamo la rarefazione
della manodopera necessaria alle operazioni colturali nelle aree di
coltivazione oltre la scarsa o inesistente meccanizzazione dalle aziende
produttrici, si comprende l’importanza della riduzione dei costi di
produzione attraverso la diffusione di tecniche di raccolta meccanica
che possano adattarsi alle difficili condizioni di coltivazione dei noccioleti
siciliani.
2. Materiali e metodi
2.1. Metodologia e campi prova
Le prove di raccolta meccanica sono state condotte in 3 differenti
noccioleti; le rilevazioni sull’organizzazione del lavoro hanno seguito
le norme C.I.O.S.T.A. e raccomandazioni A.I.G.R.
In un primo noccioleto (A), ubicato sulle pendici etnee, il terreno si
presenta sciolto per la elevata componente di sabbia vulcanica; vengono
effettuate unicamente due trinciature annue delle infestanti, in primavera
e due settimane prima della raccolta. Anche la spollonatura delle ceppaie
è anch’essa a frequenza annua, come pure una potatura per il rinnovo
delle parti vegetative che dovranno fruttificare l’anno successivo.
Nel comprensorio di produzione dei Monti Nebrodi sono state
individuate due differenti realtà produttive. La prima è rappresentata da
un noccioleto (B) la cui superficie coltivabile è posta su una pendice
collinare con modesta pendenza, corretta da ampie terrazze trattenute da
muretti a secco in pietra. La seconda (C), presenta terrazze di larghezza
ridotta a circa 3 m e delimitate da scarpate consolidate dalle ceppaie dei
noccioli che vi sono impiantati. In questo noccioleto i filari sono orientati
secondo le curve di livello, in direzione est – ovest, con esposizione a
nord. Anche nei due noccioleti dei Nebrodi, ormai da un quadriennio la
gestione del suolo avviene con due trinciature delle infestanti, delle quali
l’ultima circa un mese prima della esecuzione della raccolta.
341

Poiché frequentemente le superfici dei noccioleti siciliani si presentano
parzialmente ricoperte con residui vegetali di varia provenienza a causa
dello stato di trascuratezza in cui spesso versano, dopo le prime prove si
è ritenuto di verificare le prestazioni del cantiere di raccolta su
appezzamenti appositamente sgomberati. Pertanto, nel campo A, dove
la superficie si presenta con residui di potatura sistemati in cumuli sparsi
al centro dei filari, è stata eseguita una prova di raccolta meccanica in un
appezzamento A 1 dopo l’allontanamento di tali cumuli; così pure per il
noccioleto B, che presenta sulla superficie residui legnosi sparsi che
ostacolano la raccolta, si è provveduto ad operare in B 1 , con la superficie
preventivamente sgomberata.
2.2. Le attrezzature utilizzate
Per le prove di raccolta meccanica è stata utilizzata una macchina
semiportata da una trattrice 4RM, con guida reversibile, potenza di 55
kW e massa complessiva di circa 1600 kg; l’azionamento avveniva
tramite pdp meccanica posteriore con regime normalizzato a 540 giri/
min. Il dispositivo di raccolta della operatrice è composto in primo luogo
da una spazzola rotante (nel verso opposto alle ruote), che raccatta da
terra il prodotto, larga circa 1,8 m e composta da 28 pettini in materia
plastica flessibile, distribuiti su 8 ranghi paralleli. Il materiale raccolto
viene inviato verso una coclea retrostante, inferiormente alla quale è
collocato un tappeto di rulli defogliatori, tra loro distanti quanto basta
per un primo scarico sul terreno delle impurità (terriccio, foglie, cupole,
sarmenti); una seconda coclea di pulizia elimina le impurità più
grossolane (che cadono a terra), mentre il prodotto, tramite un vaglio a
rete, cade verso una terza coclea inferiore dalla quale, dopo una ulteriore
pulizia, raggiunge la bocchetta di uscita. Da qui, un flusso d’aria trasporta
le nocciole all’interno di un tubo flessibile sino al pianale porta-sacchi
agganciato all’altra estremità della trattrice.
Per favorire il recupero delle nocciole dalla prossimità del tronco e la
sistemazione in andane è stato utilizzato un soffiatore spallabile composto
342

da un motore a 2 tempi della potenza di 3,6 kW in grado di azionare un
ventilatore radiale in grado di generare una portata d’aria di 20 m 3 /min.
Solo nel campo C è stato impiegato un soffiatore azionato da una trattrice.
3. Risultati e discussione
3.1. Composizione del cantiere e descrizione del lavoro
Due addetti eseguono l’andanatura delle nocciole con i soffiatori; si
aggiungono il conducente della trattrice e un ulteriore operaio preposto
alla movimentazione dei sacchi per la raccolta. Durante l’andanatura ci
si premurava di allontanare le foglie, le quali, se in quantità rilevante,
causano ingolfamenti degli organi di trasferimento e di pulitura. Prima
della raccolta vengono eseguiti interventi di trinciatura delle infestanti.
3.2. Le fasi della raccolta
In uno dei campi risulta particolarmente elevata l’incidenza di TAV
(25%), a causa delle capezzagne di ridotta ampiezza. L’incidenza della
fase di scarico e carico dei sacchi dal gruppo portasacchi della operatrice
sul lavoro (TAS) può raggiungere il 10% (B) e ciò anche per la notevole
massa di impurità raccolte. Perdite di tempo (TMI) frequenti si sono
verificate in tutti i noccioleti (A: 15 %, B: 12 % e C: 8 %), dovuti a
ingolfamenti e soste per la presenza di residui sul terreno. Il dispositivo
separatore aggiunto per migliorare la pulizia non sembra abbia raggiunto
lo scopo, poiché si sono registrate frequenti soste per rimediare ad
ostruzioni del condotto.
3.3. Prestazioni del cantiere di raccolta
Con la superficie ingombra di residui come negli appezzamenti A, B
e C, le prestazioni più elevate erano quelle nei noccioleti B (1 ha/h) ed A
(0,98 ha/h). Le prestazioni decrescevano se il cantiere operava nel
343

noccioleto tipo C, dove una bassa velocità di avanzamento (0,74 m/s) e
un più ridotto coefficiente di utilizzazione in campo (Ru 59%), influivano
negativamente sulla capacità di lavoro, calcolata in 0,94 ha/h.
Quando la superficie da raccogliere veniva preventivamente
sgomberata da residui legnosi come nei noccioleti tipo A 1 , B 1 e C 1 , le
prestazioni del cantiere risultano sensibilmente più elevate: 2 ha/h in A 1
dove la giacitura pianeggiante del noccioleto consentiva un’elevata
velocità di avanzamento (1,3 m/s) ed un elevato coefficiente di
utilizzazione del cantiere (86%). Quando il cantiere operava nei noccioleti
tipo B 1 e C 1 , si è ottenuto un decremento delle prestazioni man mano che
diventava più acclive e accidentata.
Per il calcolo della superficie dominabile sono stati presi in
considerazione i differenti valori del periodo utile, che nelle condizioni
considerate è riferibile alla quota relativa alla ubicazione dei noccioleti
in cui sono state fatte le prove di raccolta e dipendente pure dalla differente
epoca di maturazione in base alla collocazione orografica del noccioleto,
e al conseguente periodo disponibile, considerato che il cantiere lavorava
7 ore giornaliere.
Dalla valutazione di questi fattori si può asserire che la tempestività
della raccolta è rispettata se eseguita all’interno delle 126 h/anno nella
zona di pianura, di 112 h/anno nella zona di collina e di 231 h/anno nelle
zone montuose. Di conseguenza è stata calcolata una superficie
dominabile dal cantiere nelle zone di pianura che può variare da 252 a
123 ha/anno, nella zone di collina da 157 a 112 ha/anno e nelle zone di
montagna da 277 a 217 ha/anno.
I merito alle prestazioni del cantiere e alla produttività del lavoro
(compresa l’andanatura svolta con i soffiatori) (tab. 1), le prestazioni
più elevate sono quelle rilevate quando il cantiere operava nel noccioleto
con giacitura pianeggiante (A e A1), dove è stato calcolato un tempo
unitario pari a 2,7 h/t se la superficie non veniva preventivamente ripulita
(A), mentre scendeva a 2,2 h/t, se la superficie era sgombera dalla massa
legnosa, che altrimenti intralciava il lavoro della operatrice. Comunque,
si direbbe che il tempo unitario del cantiere resta sempre condizionato
344

dalla pendenza della pendice e dalla relativa sistemazione idraulicoagraria.
Difatti, al cantiere è necessaria una maggiore quantità di tempo
per unità di prodotto raccolto quando aumenta l’inclinazione della
superficie del noccioleto ed allora il tempo per tonnellata di prodotto si
innalza da 4,8 h/t (B) a 5,8 h/t (C), per ridursi rispettivamente a 3,2 (B1)
a 4,5 h/t (C1) se la superficie viene sgomberata da ostacoli.
Come per le prestazioni del cantiere anche la produttività del lavoro
varia in base alla differente giacitura del noccioleto, come pure dalla
modalità di preparazione della superficie prima della esecuzione della
raccolta. Così che la produttività varia da valori quali 112,5 kg/h*op. nel
noccioleto tipo A1, a valori quali 42,5 kg/h*op. nel noccioleto tipo C.
4. Conclusioni
Dalle osservazioni condotte in campo risulta evidente come i noccioleti
siciliani non siano condotti con criteri adeguati alla raccolta meccanica
con macchine raccattatrici, le quali comunque, si confermano utili in
campi che siano adeguati alla meccanizzazione. Quando gli appezzamenti
sono stati preventivamente sgombrati dalle cataste di potatura o dai residui
presenti, i tempi di lavoro sono sensibilmente diminuiti, L’andanatura
del prodotto appare indispensabile e difficilmente eseguibile in altra
maniera se non con soffiatori spallabili e più raramente portati da trattrici.
L’andana dovrà essere unica e posta al centro, perché l’angustia degli
spazi, accentuata dall’ingombro dei rami del policaule, rende
praticamente impossibile operare sulla intera larghezza del filare. Le prove
effettuate forniscono utili indicazioni e dovranno essere ripetute su terreni
ben ripuliti da sassi e residui, su superfici più ampie e con macchine
meglio attrezzate alla pulitura. Dovranno altresì essere provati cantieri
di raccolta agevolata, in modo da poter indicare con migliore cognizione
quale meccanizzazione della raccolta possa essere adattata in rapporto
al contesto ambientale.
345

BIBLIOGRAFIA
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raccolta delle nocciole, Informatore Agrario XLIV(9).
346

347

348

SELEZIONE MASSALE DEL CASTAGNO (CASTANEA SATIVA
MILL.) NEL DISTRETTO DELL’ETNA: CARATTERIZZAZIONE
FENOTIPICA E MOLECOLARE DI 25 ACCESSIONI
MORPHOLOGICAL AND MOLECULAR CHARACTERIZATION
OF 25 ACCESSIONS OF CASTANEA SATIVA MILL.
FROM THE ETNA AREA
Ilaria Cutino (1) , Annalisa Marchese (1) , Carmela Bonfanti (2) ,
Piero Spata (2) , Giuseppe Fichera (2) ,
Giovanni Pulvirenti (2) , Tiziano Caruso (1)
(1) Università degli Studi di Palermo - Dipartimento di Colture Arboree
Viale delle Scienze, Edificio 4 - 90128 Palermo
(2) Assessorato Agricoltura e Foreste - IX Servizio Regionale,
Servizi allo Sviluppo, Regione Siciliana
Riassunto
Nel 2003 – 2006 è stata condotta un’indagine nel “Distretto Etna”
per selezionare i migliori genotipi di castagno (Castanea sativa Mill.)
sulla base delle caratteristiche carpologiche. Sono stati prelevati 50 frutti
per accessione sui quali sono stati rilevati i tratti morfologici e
biometrici. Delle oltre 100 accessioni esaminate sono state selezionate
le migliori 25, poi analizzate con marcatori SSR (EMC15, EMC32,
EMC38, 9A6, CSCAT4 e CSCAT6), e suddivise in due gruppi in base
alla possibile destinazione finale: consumo diretto o trasformazione.
Parole chiave: biodiversità, caratteristiche carpologiche, SSR, Sicilia
Abstract
This research aimed to study chestnut diversity from the Etna area
(Sicily) in order to improve the knowledge of the local germplasm and to
349

protect genetic resources of this species. A group of 25 accessions were
analysed at the morphological and molecular level. The morphological
and biometric traits were collected according to the UPOV’s descriptor
list. SSR markers (EMC15, EMC32, EMC38, 9A6, CSCAT4 e CSCAT6)
were used for the molecular characterization.
Interesting genotypes of chestnut from the Etna area were found,
although some of them showed inferior quality in comparison to the
standard quality required by the market.
Key words: biodiversity, selection, fruits trait, Sicily
Introduzione
Per secoli il castagno (Castanea sativa Mill.) ha rappresentato una
grande riserva polifunzionale soprattutto nelle aree economicamente
svantaggiate, dove svolgeva un’importante fonte di alimenti, di energia
e di materiale per costruzione. Il castagno ha un’elevata capacità di mantenere
l’assetto idrogeologico ed è un’importante risorsa paesaggisticaecologica.
Come modello agro-forestale rappresenta un unico ed
insostituibile ponte tra cultura e coltura.
Dopo un periodo di declino, causato dagli effetti del cancro corticale
(Cryphonectria parasitica) e alle mutate condizioni socio-economiche,
la coltura di questa specie attraversa una fase di lenta ripresa in tutto il
mondo. Al rinnovato interesse verso il castagno, hanno fatto riscontro il
recupero ed il miglioramento tecnico di impianti tradizionali, la diffusione
di razionali tecniche di potatura, il controllo biologico della
Cryphonectria parasitica, il riconoscimento di marchi comunitari e l’applicazione
dei relativi disciplinari di produzione DOP e IGP. Quest’ultimo
aspetto, in alcune realtà montane: Marradi (Fi), Montella (AV) ha
costituito un trampolino di lancio per l’economia locale.
In Sicilia il castagno (Castanea sativa Mill.) è presente nelle aree
interne collinari e montane (Etna, Nebrodi, Madonie ed Iblei), ed in alcune
isole minori (Pantelleria ed Eolie) ad altitudini comprese tra i 300
350

e i 1600 m. s.l.m. (Pasta et al., 2003). Sebbene la sua distribuzione sia
quindi praticamente ubiquitaria su tutti i rilievi siciliani, l’abbandono
della montagna ha reso fragile il sistema “castagneto” ed ha portato una
inevitabile erosione genetica. Tuttavia la diffusione spontanea e la scarsa
specializzazione della specie fanno sì che esista, in parecchie aree
montane della Sicilia, ancora un’elevata variabilità genetica.
Tra queste l’Etna rappresenta, senza dubbio, una delle aree più importanti
del territorio isolano di differenziazione genetica: in un territorio
ristretto si susseguono cambiamenti repentini dovuti alla presenza
del vulcano che ha influenzato ed influenza l’orografia, la pedologia, il
clima, le culture, l’uomo e i suoi saperi, e dove, si è conservata una
importante tradizione agro-colturale.
Per approfondire le conoscenze sulla variabilità residua della specie
e intraprendere un’azione di tutela e valorizzazione delle relative risorse
genetiche, è stata avviata, nell’ambito di un progetto di ricerca sul “Distretto
Etna”, un’estesa indagine territoriale al fine di individuare la
biodiversità presente e selezionare le migliori accessioni per la produzione
di frutti per il consumo diretto.
Materiali e metodi
L’indagine territoriale è stata condotta nel periodo 2003 – 2006, con
l’aiuto dei funzionari tecnici del IX Servizio della Regione Siciliana. I
sopraluoghi hanno interessato i territori che ricadono nei tredici comuni
coinvolti nel progetto (Tab.1).
La selezione massale della popolazione ha coinvolto i frutteti, le piante
isolate (giardini privati), i boschi cedui e le fustaie ed è avvenuta sulla
base delle caratteristiche carpologiche e dell’epoca di maturazione del
frutto. Sono stati osservati i parametri fenotipici secondo le indicazioni
delle schede UPOV (Unione Internazionale per la Protezione delle Nuove
Varietà) per il castagno. Per ciascuna accessione è stato prelevato un
campione di 50 frutti sui quali sono stati rilevati caratteri quantitativi e
351

qualitativi. In particolare, i rilevamenti quantitativi hanno riguardato:
l’apertura del riccio, il numero delle valve in cui esso si apre, il numero
dei frutti sani ed abortiti e il tipo di achenio (frutto piatto, doppio e singolo)
presente all’interno del riccio. Su ogni frutto sono state effettuate
le seguenti misurazioni: lunghezza (esclusa la torcia), larghezza, spessore
e peso. Sono stati rilevati parametri qualitativi quali: forma, dimensioni,
penetrazione del tegumento nell’embrione della castagna, grado
d’introflessione dell’episperma dentro l’embrione, pelabilità
dell’episperma, colore e lucentezza.
Le 25 accessioni selezionate sono state sottoposte ad indagine genetica-molecolare
utilizzando marcatori SSR (EMC15, EMC32, EMC38,
9A6, CSCAT4 e CSCAT6).
Per meglio valutare le relazioni intercorrenti tra i genotipi del
germoplasma etneo sono state aggiunte 3 accessioni provenienti dall’Inghilterra
(Emily 13, 14 e 19) e due individuate nell’isola di Pantelleria.
Tale attività è stata condotta presso il Dipartimento di Breeding e
Biotecnologie a East Malling Research, Kent (Inghilterra), dove erano
disponibili marcatori molecolari utilizzati nell’ambito di uno specifico
progetto finanziato dall’Unione Europea (EU project CASCADE EVK2-
CT-1999-00006).
Risultati e discussione
Nell’ambito della popolazione studiata sono stati selezionati 25
genotipi di castagno, rinvenuti ad altitudini comprese tra 440 e 1350 m
s.l.m. (Tab.1). Il calendario di maturazione, redatto in base all’epoca di
raccolta dei campioni, copre un range di variazione compreso tra l’1 di
ottobre e il 15 novembre (Tab. 1).
Morfologia del frutto
L’analisi morfologica relativa all’apertura delle valve del riccio ha
consentito di rilevare che nel 44% dei campioni esaminati il riccio, a
maturazione, si apre completamente; nel 14% si presenta semiaperto,
352

nel 19% rimane sempre chiuso, nel restante 23% non è invece stato possibile
pervenire ad una unica tendenza. Il numero medio dei frutti sani
all’interno del riccio è oscillato tra un valore minimo di 0,9 (Viagrande
3) ad un massimo di 2,8 (Biancavilla 10 e Viagrande 1), il numero dei
frutti abortiti è risultato compreso tra 0,1 (Palmintelli 1) e 2,3 (Monte
Cataratte 1); il numero medio di frutti doppi è variato tra 0.5 (Monte
Cataratte 2) e 2.0 (Viagrande 1); i frutti piatti sono variati tra 0,0 (Monte
Sellato 1) e 0.9 (Biancavilla 10); i frutti singoli tra 0.0 (Biancavilla 1) e 2.0
(Biancavilla 9). E’ stato riscontrato, inoltre, una maggiore presenza di
accessioni che producono frutti doppi seguiti da quelli piatti e infine da
quelli singoli.
La diversità nella forma e nelle dimensioni degli acheni riflettono la
grande variabilità della popolazione dell’Etna (Fig. 1). Per quanto riguarda
la lunghezza (Fig. 2), essa è variata da un minimo di 23,5 mm
(Dagala 3) ad un massimo di 39,1 mm (Presa 1, Monte Troina); la larghezza
da 23,2 mm (Biancavilla 1) a 35,5 mm (Viagrande 1) e lo spessore
da 14,4 (Biancavilla 1) a 23,6 mm (Monte Troina). Il numero dei frutti
in un kg è variato da 72 (Viagrande 1) a 219 (Dagala 3).
Per quanto riguarda le principali caratteristiche qualitative, è stato
osservato che nel 35% dei campioni analizzati prevaleva la forma globosa
seguita da quella ovoidale (28%).
Nel 35% dei genotipi studiati i frutti presentavano un grado di pelabilità
dell’episperma medio–facile; il 33% ha manifestato un grado di penetrazione
dell’episperma dentro l’embrione molto basso. Il 35% dei campioni esaminati
ha evidenziato comunque un grado di introflessione basso. Il colore
predominante d el frutto alla raccolta è risultato bruno rossastro-nerastro
(23%). Nel 37% dei campioni è stata riscontrata lucentezza.
Analisi molecolari
Il numero di alleli per locus riscontrato è stato di 6.8.; l’eterozigosità
aspettata è stata di 0.7, il PIC (Polymorfic Information Content) è risultato
di 0.6 e infine il potere di esclusione è risultato di 0.91.
Nonostante il numero esiguo di primers utilizzati, tutte le accessioni
sono state distinte ad eccezione di Fossa del Pero marrone e Monte Troina,
353

le quali mostrano un elevato grado di similitudine (Fig. 3). Nonostante
siano state riscontrate differenze morfologiche evidenti tra le diverse
accessioni in studio, all’analisi molecolare i genotipi non hanno mostrato
una elevata distanza genetica (Fig. 3).
L’accessione Tichirichi (Pantelleria) non ha evidenziato strette relazioni
con il resto del germoplasma mentre Montagna grande (Pantelleria)
è ricaduta nello stesso cluster delle Etnee. Due delle tre accessioni inglesi
sono risultate abbastanza distanti dalle siciliane. Tra le accessioni etnee,
Dagala 2 non ha mostrato stretta affinità con le restanti.
Infine le analisi genetiche condotte su campioni di foglie prelevati
nelle diverse parti della chioma dei tre fusti costituenti il Castagno dei
Cento Cavalli, hanno evidenziato che si tratta di un’unica entità (Fig. 3).
Conclusioni
Per gli aspetti qualitativi delle accessioni selezionate nessuna produce
frutti che possono essere definiti “marroni”. A tale categoria possono
essere ascritti frutti con pezzatura medio-grossa (55-70 frutti/kg), non
settati, con la pellicola (episperma) che non penetra nell’interno della
polpa e che si stacca con facilità durante la pelatura. Diverse sono invece
le accessioni che producono castagne di un certo interesse. Le “castagne”,
infatti, secondo i mercati nazionali, hanno pezzatura di 45-110
frutti/Kg ed episperma che può penetrare anche in profondità nell’interno
della polpa, in qualche caso fino a dividerla (frutti settati). Dal punto
di vista commerciale le castagne hanno una duplice destinazione: consumo
diretto e trasformazione (castagne bianche secche e, per alcune
varietà, in castagne confettate).
Dall’analisi complessiva dei dati emerge che, in generale, le piante
producono frutti piccoli, che non soddisfano pienamente lo standard quanti-qualitativo
oggi richiesto dal mercato del consumo diretto. Sono però
stati rinvenuti esemplari che producono frutti di un certo interesse (Presa;
Viagrande 1; Dagala 5; Miscarello 1; Fossa del Pero marrone; Mon-
354

te Arso marrone e Monte Troina) i cui tratti biometrici, talvolta, superano
gli standard quantitativi di riferimento e che possono diventare punto
di partenza per un programma di rilancio della castanicoltura etnea. Molto
interesse potrebbe destare l’individuazione di una o più varietà cui poter
legare dei marchi comunitari di tutela (DOP o IGP) come già avvenuto
in altre parti d’Italia (marrone del Mugello, castagna di Montella ecc...).
Inoltre, le castagne che non possono essere destinate al consumo diretto
possono altresì essere utilizzate per la produzione di prodotti lavorati o
semilavorati (farine, birra, confetture ecc.). E’ il caso delle accessioni
Cuccia e Bosco di Maletto che pur presentando frutti piccoli possono
essere impiegate per tali scopi in quanto molto dolci.
Se si considera poi il loro valore nutrizionale e la possibilità di essere
inserite nelle diete dei celiaci e dei diabetici, si intuisce l’importanza che
ne potrebbe derivare, alla quale si unisce il valore aggiunto di essere un
prodotto biologico.
Infine sembra giusto ricordare che tutta Italia, escluso la Sicilia, è
percorsa dalla strada Europea del Castagno, sostenuta dal progetto leader
II misura C. Essa comprende Spagna, Portogallo, Francia e Italia
(fino alla Calabria) e nasce come uno strumento di promozione turistica
e di valorizzazione delle peculiarità ambientali, storico-culturali e gastronomiche:
solo legando il prodotto al suo territorio si può raggiungere
una sinergia d’intenti. Un primo passo per la valorizzazione del castagno
potrebbe essere l’allungamento della Strada Europea del Castagno
oltre lo stretto; la promozione di fattorie didattiche; la sponsorizzazione
di eventi mediatici quali feste, sagre e fiere che permettono un contatto
diretto ed immediato del prodotto e dei suoi produttori.
Ai fini della più completa valorizzazione delle accessioni selezionate
si ritiene infine importante avviare, nel territorio dell’Etna, attraverso la
costituzione di specifici campi di orientamento varietale, indagini comparative
dove porre a confronto le migliori accessioni etnee con le principali
cultivar affermate nel mondo, per verificare, alle latitudini della
Sicilia, il relativo comportamento.
355

BIBLIOGRAFIA
BOUNOUS G., 2002 – Il castagno (coltura, ambiente ed utilzzazioni in
Italia e nel mondo) – Ed Agricole.
EU project CASCADE EVK2-CT-1999-00006. Securing gene
conservation, adaptive and breeding potential of model multipurpose
tree species (Castanea sativa) in a changing environment. http://
soi.cnr.it/~chestnut
PASTA S., LA MANTIA T., 2003 – Note sul paesaggio vegetale delle isole
minori circumsiciliane. II. La vegetazione preforestale e forestale nelle
isole del canale di Sicilia: dalla ricostruzione storica alla gestione
futura. - Annali della Accademia Italia di Scienze Forestali, Vol LI :
77-124.
356

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359

360

SELEZIONE MASSALE NEL GERMOPLASMA AUTOCTONO
DI NOCE (JUGLANS REGIA L.) NEL MASSICCIO
DELL’ETNA: VARIABILITÀ DEI TRATTI MORFOLOGICI
E MOLECOLARI DI CIRCA 40 GENOTIPI
MORPHOLOGICAL AND MOLECULAR CHARACTERISATION
OF 41 WALNUT (JUGLANS REGIA L.)
ACCESSION FROM ETNA AREA
Ilaria Cutino (1) , Annalisa Marchese (1) , Danila Amico (1) ,
Francesco Paolo Marra (1) , Carmela Bonfanti (2) ,
Dario Cartabellotta (3) , Tiziano Caruso (1)
(1) Università degli Studi di Palermo - Dipartimento di Colture Arboree.
Viale delle scienze, Edificio 4 - 90128 Palermo
(2) Assessorato Agricoltura e Foreste
IX Servizio Regionale, Servizi allo Sviluppo, Regione Siciliana
(3) Assessorato Agricoltura e Foreste – Dirigente Generale
Dipartimento Interventi Infrastrutturali
Riassunto
Nel biennio 2004-2006 è stato intrapreso uno studio che aveva
come obiettivo quello di valutare la variabilità genetica del noce comune
e di individuare eventuali accessioni con caratteristiche dei frutti
di pregio e favorirne la diffusione. A tal fine è stato avviato un lavoro
di selezione massale nell’ambito della popolazione di noce differenziatasi
nell’Isola ed in particolare nel comprensorio etneo.
Sono state complessivamente individuate e valutate 40 accessioni,
di cui 19 reperite nell’areale etneo. Le piante di noce sono state scelte
sulla base dell’epoca di maturazione, della produttività e delle caratteristiche
carpologiche. Particolare attenzione è stata, inoltre, riservata
all’habitus di fruttificazione. Infine, le accessioni sono state
361

caratterizzate anche dal punto di vista molecolare mediante analisi SSR
con i seguenti marcatori: WGA27, WGA32, WGA69, WGA72, WGA76.
Parole chiave: selezione massale, caratteristiche carpologiche, SSR,
Sicilia
Abstract
In 2003 a research project was carried out with a cooperative effort
by Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana. The study
was carried out on the Etna area before, and on the Sicily then in order
to improve the knowledge of the existent germpla sm and to protect walnut
genetic resources. A group of 40 accessions were described using both
morphological, phenotypic and molecular approaches. The morpho -
biometric character were collected according to the UPOV’s and IPGRI’s
descriptors list.
SSR markers (WGA27, WGA32, WGA69, WGA72, WGA76) used on
the same set of accessions. A lot of accessions showed interesting
biometric and agronomical traits; a high standard quality and many
genetic differences. Some “Sicilian” accession could be use for a new
breeding program.
Key words: fruits trait, selection, SSR, breeding, Sicily
Introduzione
Il noce (Juglans regia L.), pianta d’origine antiche, si è diffusa in
gran parte dell’emisfero boreale grazie ai frutti eduli e al valore alimentare
degli stessi.
In Italia il noce è stato tradizionalmente piantato negli orti familiari
dove, per molto tempo, ha rappresentato un importante fonte di grassi
vegetali e di vitamine di “facile” conservazione.
362

In Sicilia, come nel resto della Penisola, il noce raramente si rinviene
in impianti specializzati poiché l’albero ha elevate esigenze idriche; infatti,
nell’isola la specie ha trovato, assieme al castagno ed al nocciolo,
il suo habitat ideale nelle aree pedo-montane (pendici dell’Etna, dei
Peloritani, dei Nebrodi e delle Madonie) che sono quelle caratterizzate
da maggiori precipitazioni annuali. A livello del mare, il noce, è ben
rappresentato nella Conca d’oro di Palermo dove, come è ben risaputo,
non mancano le risorse idriche naturali.
La nocicoltura italiana, negli ultimi anni, ha subito un notevole ridimensionamento
delle superfici investite ed una conseguente riduzione
delle produzioni. La crisi è stata per lo più determinata dalla mancanza
di specializzazione colturale degli impianti e dalla spiccata eterogeneità
delle produzioni, fenomeno dovuto dall’assenza di varietà selezionate
di elevato pregio agronomico.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto la soluzione più immediata
del problema potrebbe essere rappresentata dall’introduzione di ben definite
cultivar alloctone sulle quali si basa la nocicoltura mondiale. Una
soluzione alternativa è, invece, rappresentata dalla possibilità di procedere
ad una selezione massale nell’ambito del germoplasma autoctono
che la specie ha differenziato nel tempo in Sicilia. La spiccata eterogeneità
dei contesti colturali in cui il noce è presente nell’Isola, assieme
alla consuetudine di propagare la pianta per seme ha, infatti, dato luogo
ad un pool genetico autoctono la cui variabilità, ad oggi, risulta poco
studiata.
Con l’intento di individuare, caratterizzare e valorizzare le migliori
accessioni del germoplasma autoctono di noce in Sicilia, è stata intrapresa
una estesa attività di indagine che ha interessato una delle aree in
cui la specie è maggiormente rappresentata: il massiccio dell’Etna. Per
valutare la specificità delle accessioni Etnee si è, inoltre, ritenuto opportuno
procedere al loro raffronto con genotipi provenienti da altre aree in
cui il noce è abbastanza rappresentato (Monti Sicani, Nisseno, Conca
d’Oro).
363

Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto nel triennio 2004-2006 ed ha interessato i
comprensori sopraindicati. I sopralluoghi nei territori oggetto di indagine,
sono stati effettuati con l’ausilio dei tecnici del IX Servizio Assistenza
Tecnica, Sperimentale, Ricerca Applicata e Divulgazione, dell’ Assessorato
Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana.
Tra le numerose accessioni individuate (circa 100), si è proceduto ad
una prima selezione in campo sulla base delle caratteristiche carpologiche.
Particolare attenzione è stata, inoltre, riservata all’habitus di
fruttificazione, con l’obiettivo di individuare genotipi che portano i frutti
in posizione “laterale” rispetto al ramo.
Tale attività ha consentito di selezionare circa 40 accessioni che presentavano
caratteristiche carpologiche “superiori”.
Di ciascuna accessione sono stati prelevati campioni di 50 frutti e,
facendo riferimento ai descrittori riportati nelle schede UPOV (Unione
Internazionale per la Protezione delle Nuove Varietà) del noce, sono stati
rilevati tratti morfologici e bio-metrici. In particolare, sono stati misurati,
lunghezza, larghezza, spessore e peso della noce e del gheriglio.
Sui frutti sono stati altresì rilevati caratteri morfologici quali: colore,
forma, venature, aderenza delle due valve dell’endocarpo, spessore delle
membrane interne (primarie e secondarie). Sono stati infine valutati
alcuni parametri commerciali tra i quali la facilità di schiacciamento
dell’endocarpo, la semplicità di estrazione del seme, l’indice di rotondità
del frutto e la resa in sgusciato. Relativamente a quest’ultimo parametro,
le accessione sono state suddivise in tre categorie: bassa (= 43%)
media (43- 48%) ed alta (= 48%).
Sempre per ciascuna accessione, in estate, su un campione di trenta
foglie, facendo riferimento alle schede IPGRI (International Plant Genetic
Resources Institute), sono state misurate lunghezza e larghezza della
foglia composta, della fogliolina più grande e di quella più piccola; si è
inoltre proceduto a rilevare forma, pubescenza, colore della lamina e del
rachide.
364

I dati rilevati sono stati sottoposti a “cluster analysis” e, a causa della
contemporanea presenza di dati di tipo qualitativo e quantitativo, si è
reso necessario trasformare tutte le variabili quantitative in scala ordinale
in modo da utilizzare misure di associazione di tipo “matching-type”.
Al fine di caratterizzare le accessioni selezionate anche nei tratti genetico-molecolari,
sono stati utilizzati cinque marcatori SSR specifici
per il genere Juglans e precisamente: WGA27, WGA32, WGA69,
WGA72, WGA76.
Il Dna è stato estratto da giovani foglioline secondo il metodo Doyle
& Doyle (1987). I primer sono stati utilizzati in due multiplex e le reazioni
di PCR sono state effettuate secondo il protocollo per multiplex
PCR messo a punto da Vaughan and Russel 2004 in ciliegio. Le dimensioni
alleliche in pb dei prodotti di PCR sono state determinate utilizzando
il sequenziatore automatico ABI Prism 3100. Il dendrogramma
per la visualizzazione delle relazioni intercorrenti tra i genotipi è stato
costruito con il metodo UPGMA.
Risultati e discussione
Le accessioni selezionate sono state rinvenute ad altitudini comprese
tra il livello del mare (S. Tecla) ed i 1250 m s.l.m. (Monte Peruso) tab.1.
Nel triennio di osservazione i frutti sono maturati tra la terza decade
di agosto (L. Currida 1, Catania) e la prima decade di Ottobre (M. Canino,
Caltanissetta); la maggior parte delle accessioni sono state raccolte
nella seconda metà di settembre.
Per quanto concerne le caratteristiche carpologiche, ed in particolare
l’indice di rotondità (fig. 1), i genotipi M. Canino, Pillare1 e SMA1,
producono frutti tondeggianti (indice pari ad 1); i genotipi rimanenti
hanno prodotti frutti con indice di rotondità inferiore 0,95; le accessioni
Proto, Difesa e Tummin2 hanno prodotto frutti estremamente allungati.
Relativamente alle dimensioni del frutto, tra i genotipi selezionati si
riscontra notevole variabilità. In dettaglio, i valori sono variati tra: 2,8
365

(L. Currida 2) e 5,2 cm (Alblongo 1) per quanto riguarda la lunghezza;
2,2 (L. Currida 2) e 4,1 cm (Alblongo 1) per la larghezza; 2,2 (L. Currida
2) e 3,7 cm (Alblongo 1) per lo spessore; 4,8 (L. Currida 2) e 17,9 g
(Alblongo 2) per quanto attiene al peso. Altrettanta marcata è risultata la
variabilità dei valori dei tratti biometrici rilevati sul gheriglio; la lunghezza
è infatti variata tra 2,2 e 3,8 cm; la larghezza tra 1,7 a 3,1 cm; lo
spessore tra 1,5 a 2,2 cm; tra 2,18 a 7.19 g il peso.
Per quanto concerne la resa in sgusciato, in più del 50% delle
accessioni selezionate tale parametro è risultato minore del 43%, ovvero
inferiore allo standard minimo commerciale; il 22% delle accessioni
hanno mostrato rese molto alte, in particolare 6 (Gatto, Giordano, Proto,
Stecla2, G_LaMantia e Pillare1) delle 40 accessioni hanno fatto registrare
rese in sgusciato anche superiori al 48% (fig. 2).
Il 39% delle accessioni selezionate ha mostrato frutti “facilmente”
schiacciabili; il 24 % “mediamente” schiacciabili mentre le rimanenti
accessioni hanno prodotto frutti molto consistenti.
Sempre nell’ambito delle accessioni selezionate, piuttosto variabili
sono risultati i caratteri colore e presenza di venature sul gheriglio; alcuni
genotipi producono infatti frutti con gheriglio molto chiaro e con
venature poco evidenti mentre altri presentano gheriglio molto scuro e
con venature evidenti. Si ritiene infine utile evidenziare che larga parte
delle accessioni hanno prodotto frutti con gheriglio di forma regolare e
intero.
Per quanto concerne le foglie, il 70% delle accessioni ha mostrato un
numero medio di 7 foglioline per foglia composta; non sono tuttavia
mancate accessioni che mostravano foglie composte da 3 o da 11 foglioline.
Anche i parametri biometrici relativi al suddetto organo sono variati
sensibilmente: tra 26,3 (La Mendola) e 45,8 cm (G_lamantia) per quanto
concerne la lunghezza; tra 19,5 (La Mendola) e 34,8 cm (M Peruso) per
la larghezza.
Il diagramma di similarità (fig. 3) costruito in base alle variabili
quantitative e qualitative del frutto e delle foglie, mostra una grande
variabilità tra i genotipi selezionati. Dall’analisi del suddetto diagram-
366

ma non è possibile aggregare le accessioni neppure in base alle zone di
provenienza. La medesima considerazione può essere espressa anche
relativamente al dendrogramma di similarità genetica (fig. 4).
Per quanto concerne questo ultimo tipo di analisi, la maggior parte
delle accessioni è stata discriminata con il set di primer utilizzati. Non è
stato possibile, invece, discriminare le accessioni Lamantia da Tummin2;
La ferla3 da Gallaccio; P bronte da Cammarata e Plascala da Giordano.
Viceversa, le suddette coppie presentano caratteri morfologici ben differenziati,
come ben si evince dal diagramma di figura 3 tanto che i livelli
di distanza non sono mai scesi al di sotto di 0,68. Dal raffronto dei due
dendrogrammi, morfologico e genetico, non è possibile stabilire nessuna
relazione tra i cluster.
Conclusioni
In Sicilia sono state numerose le indagini condotte sul noce da legno,
mentre poca attenzione risulta sia stata rivolta al noce come pianta da
frutto. L’attività svolta nel distretto Etna ha permesso di evidenziare la
grande variabilità del germoplasma esistente e le peculiarità carpologiche
di alcune accessioni.
Per quanto concerne le produzioni etnee si può senz’altro affermare
che in un territorio di modesta estensione esiste una grande biodiversità
alla quale si associa in genere una buona qualità del frutto. Ciò è verosimilmente
determinato dalla diffusa tradizione agro-colturale dell’Etna.
Tali caratteri però sono stati rinvenuti anche in altre zone della Sicilia,
per cui non si può parlare strettamente di una tipicità del territorio etneo
ma più in generale di una esclusività siciliana. Non è escluso infatti che
ampliando la perspezione ad altri territori dell’isola non possano trovarsi
genotipi altrettanto interessanti.
Durante le indagini non sono stati rinvenuti genotipi con fruttificazione
laterale e o intermedia decisamente più adatti alla frutticoltura. Tuttavia,
sono state trovate accessioni che producono frutti che soddisfano piena-
367

mente lo standard qualitativo richiesto dal mercato per dimensioni del
frutto, resa in sgusciato, facilità di schiacciamento dell’endocarpo, di
estrazione del gheriglio ed in generale con un sapore definibile buono.
Nell’ambito di queste ultime si segnalano: Proto, Santa Tecla_2, Gatto e
Giordano.
Inoltre molte delle accessioni studiate sono state localizzate in situazioni
“non ideali” dal punto di vista agronomico e benché questa pianta
sia notoriamente esigente per suolo ed acqua, ha mostrato una grande
plasticità di adattamento anche ad agenti difficilmente sopportabili quali
l’aerosol marino o le temperature fredde e prolungate.
I migliori genotipi sono stati moltiplicati per innesto su semenzali e
saranno utilizzati per la realizzazione di campi di orientamento varietale
che si ha in programma di costituire in varie aree nocicole della Sicilia.
In detti campi si prevede d’introdurre anche le migliori cultivar internazionali
per procedere ad un raffronto sul comportamento
bioagronomico ed orientare la scelta varietale per lo sviluppo della
nocicoltura in Sicilia. In particolare se la diffusione della nocicoltura
nell’isola potesse basarsi su cultivar autoctone, con tratti di tipicità, potrebbe
rappresentare un punto di forza per l’affermazione delle produzioni
non solo sui mercati locali ma anche in quelli europei.
368

BIBLIOGRAFIA
DOYLE J.J., DOYLE J.L., 1987. A rapid DNA isolation procedure for
small quantities of fresh leaf tissue. Phytochem Bull 19:11-15
IPGRI, 1994. Descriptor for walnut (Juglans spp.).- International Plant
Genetic Resources Istitute, Rome, Italy
VAUGHAN S.P., RUSSELL K., 2004. Characterization of novel
microsatellites and development of multiplex PCR for large-scale
population studies in wild cherry, Prunus avium. Molecular Ecology
Notes 4:429-431
369

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ATTIVITÀ ENZIMATICHE E SHELF-LIFE DELLE
FRAGOLE DI MALETTO
ENZYMATIC ACTIVITIES AND SHELF-LIFE OF
STRAWBERRIES FROM MALETTO
Riccardo N. Barbagallo, Marco Chisari, Giovanni Spagna
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania,
Via S. Sofia 98, 95123 Catania
Riassunto
Sono state caratterizzate le attività enzimatiche di pectin-metilesterasi
(PME, EC 3.1.1.11) e -glucosidasi (-G, EC 3.2.1.21) in fragole tipiche
della frutticoltura etnea (Fragaria vesca L., cv. Madame Moutot)
confrontando i risultati con quelli dei prodotti commercialmente più diffusi
a livello nazionale (Fragaria x ananassa Duch., cv. Elsanta). Entrambi
gli enzimi seguono la cinetica di Michaelis-Menten con valori di
K m e V max della PME in Madame Moutot nettamente inferiori rispetto ad
Elsanta; i valori K m della -G in Madame Moutot risultano circa 50
volte superiori quelli di Elsanta e paragonabili fra le cultivar in termini
di V max. In entrambe la T ottimale della PME è pari a 25°C e 40°C per la
-G; i parametri di attivazione permettono di evidenziare la maggiore
termostabilità della PME nella cv. Madame Moutot rispetto alla Elsanta
(Ea=111.1 e 92.7 kJ mol -1 ), mentre differenze poco rilevanti tra le cultivar
si registrano relativamente alla -G. Gli enzimi risultano inibiti da zuccheri,
con perdita di attività del 40-70% anche a basse concentrazioni
(0.1 M). I frutti della cv. Madame Moutot presentano infine un contenuto
in antocianine circa 1/3 inferiore rispetto alla cv. Elsanta.
Parole chiave: attività enzimatiche degradative, fragola, shelf-life
375

Abstract
Pectin methylesterase (PME, EC 3.1.1.11) and -glucosidase (-G,
EC 3.2.1.21) were extracted from strawberries cultivated in the area of
mount Etna (Fragaria vesca L., cv. Madame Moutot) and characterized,
comparing the results with those obtained with extracts from strawberries
widely diffused in national markets (Fragaria x ananassa Duch., cv.
Elsanta). Both enzymes followed the Michaelis-Menten kinetics, showing
K m e V max values of PME much lower in Madame Moutot than in Elsanta;
K m value of -G in Madame Moutot was 50 times higher than in Elsanta,
while V max values were similar between cultivars. In both cultivars
optimum T was 25°C for PME and 40°C for -G; the activation
parameters allowed to evidence the higher termostability of PME in cv.
Madame Moutot than in Elsanta (Ea=111.1 and 92.7 kJ mol -1 ), whereas
no remarkable differences were observed between cultivars relatively to -
G. The enzymes were inhibited by sugars, showing a 40-70% loss of activity
even at low concentrations (0.1 M). Finally, fruits from cv. Madame Moutot
presented an anthocyanin content about 1/3 lower than cv. Elsanta.
Keywords: degradative enzymatic activities, strawberry, shelf-life
Introduzione
La qualità della fragola in post-raccolta dipende da molteplici variabili
di differente natura (La Malfa, 1986; Bianco, 1990; Montero et al.,
1999; Cordenunsi et al., 2003) ma sono le attività enzimatiche endogene
che danno rapidamente luogo a fenomeni di autolisi delle cellule e
decompartimentalizzazione dei componenti cellulari delle pareti. Con
la perdita dell’integrità delle cellule e degli organelli subcellulari, gli
enzimi e i substrati in essi contenuti fuoriescono ed entrano in contatto,
dando avvio ad una serie successiva di reazioni enzimatiche a “cascata”
che provocano l’aumento dell’intensità respiratoria dei tessuti
(disidratazione e senescenza), l’incremento della biosintesi di etilene, la
376

degradazione dei polisaccaridi che compongono la parete cellulare dei
vegetali e conseguente rammollimento dei tessuti; l’alterazione della
pigmentazione dovute all’idrolisi delle antocianine e alla formazione di
composti chinonici con perdita delle proprietà nutrizionali dei frutti
(Barbagallo et al., 2005; Chisari et al., 2007). Gli enzimi responsabili
della degradazione della parete cellulare e del conseguente rammollimento
dei tessuti sono rappresentate dalle pectinasi (Kertez, 1955); in
particolare la pectin-metilesterasi (PME, EC 3.1.1.11) catalizza la
deesterificazione della pectina con idrolisi dei gruppi metossilici e liberazione
di acidi pectici e pectinici (Mangos e Haas, 1997). La PME ha
un’elevata specificità per i gruppi metossilici prossimi all’estremità non
riducente dell’acido pectico, mentre non attacca quelli degli altri
polisaccaridi; inoltre pur agendo su altri esteri dell’acido
poligalatturonico, quali quelli etilici, propilici o allilici, l’azione è meno
efficace. La PME deesterifica linearmente a partire dall’estremità terminale
della catena o da un gruppo carbossilico libero, e in maniera alternata
così da avere un’alternanza di gruppi carbossilici liberi e metossilati.
La deesterificazione non giunge mai a completamento a causa dell’inibizione
competitiva del prodotto formatosi, il pectato, e dell’abbassamento
del grado d’esterificazione, infatti è necessario un grado di
esterificazione superiore al 10%, ciò causa una caduta dell’attività
dell’enzima (Daqing Sun e Wicker, 1996).
Nell’ambito delle glicosidasi, la -glucosidasi (-G, EC 3.2.1.21) è
coinvolta nel meccanismo di idrolisi dei terpenoli glicosidati (Günata et
al., 1998) e in quello degradativo delle antocianine (Wightman e Wrolstad,
1995; Rapisarda et al., 2001), principale fonte del potere antiossidante
delle fragole.
Nel territorio di Maletto (CT) da oltre mezzo secolo si coltiva una
tipologia di fragola (Fragaria vesca L., cv. Madame Moutot) dal sapore
straordinariamente intenso ed aromatico; particolarmente pregiata e delicatissima,
dallo spiccato profumo e di ampio impiego in pasticceria,
per farcire dolci e preparare infusi (Paglietta, 1988). Scopo del presente
lavoro è stato quello di caratterizzare le fragole tipiche della fragolicoltura
etnea, in termini di attività enzimatiche degradative PME e -G, con-
377

frontando i risultati con quelli relativi alla cv. Elsanta (Fragaria x
ananassa Duch.), commercialmente diffusa a livello nazionale, con il
fine ultimo quello di ottenere informazioni utili per la comprensione dei
complicati processi che regolano la degradazione della fragola in postraccolta
e suggerire alcune condizioni operative che possano prolungarne
la shelf-life, mantenendone il più possibile invariate le caratteristiche
nutrizionali e sensoriali.
Materiali e metodi
Le infruttescenze di fragola, raccolte a maturazione commerciale e
mantenute a 4 C durante il trasporto in laboratorio, sono state immediatamente
suddivise in 3 lotti omogenei su ciascuno dei quali sono state
condotte le determinazioni analitiche.
Le attività PME e -G sono state caratterizzate in termini di parametri
chimico-fisici e cinetici (temperatura ottimale, pH ottimale, inibizione
da D-glucosio e D-fruttosio, V max , K m , stabilità termica) ottimizzando
per le fragole i saggi spettrofotometrici proposti da alcuni Autori (Fachin
et al., 2002; Spagna et al., 2000). I campioni sono stati omogeneizzati
con acetone a freddo in Ultraturrax T25 a 16000 rpm per 10 min e la
miscela filtrata con carta Whatman no. 4 sotto vuoto in imbuto Büchner.
Separata dagli acheni, la polvere acetonica ottenuta è stata pesata e dissolta
in un’aliquota di soluzione estraente, contenente tampone citratofosfato
0.1 M pH 6.0, NaCl 1 M e ditiotreitolo 1 mM. La soluzione è
stata lasciata over night a 4 0.5 °C prima di essere centrifugata e filtrata
sottovuoto. Il filtrato limpido è stato poi conservato a -20 0.5 °C in
Eppendorf fino al momento della determinazione enzimatica. I risultati
sono espressi in unità (U) su 100 g di peso fresco. Il contenuto proteico
degli estratti enzimatici è stata determinato, a seguito di precipitazione
con acido tricloracetico al 7% (p/v), impiegando Comassie Blue G250 e
sieroalbumina bovina come standard (Bradford, 1976).
Le determinazioni analitiche sono state effettuate in accordo con i
metodi ufficiali (AOAC, 1984). L’acidità titolabile è stata determinata
378

su 10 mL di succo di fragole impiegando NaOH 0.1N fino a pH 8.1 ed
espressa in g di acido citrico monoidrato per 100 mL di prodotto. E’
stata effettuata la lettura rifrattometrica dei solidi solubili totali, espressa
in °Brix a 20 ºC. Il pH è stato determinato previa taratura con soluzioni
tampone. Per la determinazione delle antocianine (Rapisarda et al.,
2000) un’aliquota di succo (2 mL) è stata diluita a 25 mL con una soluzione
a pH 1 (125 mL di KCl 0.2M e 375 mL di HCl 0.2M). Una seconda
aliquota (2 mL) è stata diluita a 25 mL con soluzione a pH 4.5 (400
mL di CH 3 CO 2 Na 1M, 240 mL di HCl 1M, e 360 mL di acqua).
L’assorbanza delle soluzioni è stata misurata a 510 nm. Il contenuto in
antocianine è stato calcolato per differenza di assorbanza tra le soluzioni
a pH 1.0 e pH 4.5, considerando il valore di 484.82 massa molecolare
della cianidina 3-glucoside e 24825 assorbività molare () a 510 nm.
Risultati e discussione
Relativamente alla caratterizzazione enzimatica degli estratti grezzi,
entrambe le attività studiate seguivano la cinetica di Michaelis-Menten
e l’interpolazione di Lineweaver-Burk risulta lineare, con valori di r 2
variabili da 0.95 a 0.97. I valori dei principali parametri cinetici,
coefficiente di saturazione del substrato (K m ) e velocità massima (V max ),
sono stati riassunti in tabella 1. Relativamente alla K m i valori della PME
nella cv. Madame Moutot risultavano nettamente inferiori rispetto quelli
riscontrati nella cv. Elsanta, mentre la -G mostrava valori molto più
elevati (circa 50 volte) nella cv. Madame Moutot, indice di un’elevata
suscettibilità del tipo locale a subire l’attività idrolitica dell’enzima.
Quanto ai valori di V max risultavano 3 volte superiori in Elsanta per la
PME e paragonabili fra le cultivar relativamente alla -G.
La temperatura ottimale della PME (Fig. 1a) variava da 25 a 40 °C
per le cv. Madame Moutot ed Elsanta, rispettivamente, mentre si attestava
a 40 °C per la -G in entrambe le cultivar (Fig. 1b). Alla temperatura
di 4 °C si notava un netto abbattimento di attività enzimatica, molto più
379

ilevante per la -G (più del 90% di perdita di attività) rispetto alla PME
(attività residua variabile dal 41 al 66% per le cv. Madame Moutot ed
Elsanta, rispettivamente). Le condizioni di frigoconservazione, dunque,
incidevano maggiormente sulla fragola di tipo commerciale dal momento
che a 4 °C l’enzima chiave per il processo di disgregazione cellulare
(PME) presentava una maggiore termoresistenza rispetto alla stessa attività
estratta dal tipo locale.
Il pH ottimale della -G (Fig. 2) variava da 5.0 (cv. Madame Moutot)
a 6.0 (cv. Elsanta) con attività relativa tendenzialmente più bassa nei
frutti della cv. etnea, mentre differenze rilevanti in termini di attività
residua sono state riscontrate al pH fisiologico del frutto (pH 3.5). In tali
condizioni, infatti, la -G estratta dalla cv. Madame Moutot presentava
un’attività residua maggiore del 27% rispetto alla cv. Elsanta, con
ipotizzabile effetto negativo sulla componente aromatica ed antiossidante
del frutto del tipo locale. Non è stato possibile effettuare la determinazione
del pH ottimale per la PME in quanto il saggio spettrofotometrico
utilizzato si basava sulla variazione di pH a seguito del rilascio di ioni
H + nel mezzo di reazione.
Sono state effettuate prove di inibizione per verificare il comportamento
enzimatico in presenza di D-glucosio e D-fruttosio (Fig. 3). Si
registrava una progressiva diminuzione di entrambe le attività
enzimatiche all’aumentare della concentrazione di zuccheri nel mezzo
di reazione, con rilevanti effetti in termini di inibizione (dal 40 al 70% di
perdita di attività) già alla concentrazione di 0.1 M. La PME della cv.
Elsanta risentiva poco dell’effetto inibitorio, mostrando una perdita di
attività di circa il 30% in presenza di D-fruttosio e, addirittura, rimanendo
attiva in presenza di concentrazioni di D-glucosio fino ad 1 M. Tali
risultati potrebbero essere rilevanti nella produzione di confetture di fragola,
dato l’elevato contenuto zuccherino di tali prodotti.
La tabella 2 mostra i risultati delle prove di stabilità termica, ottenuti
incubando per 120 min gli estratti enzimatici a 4 diverse temperature
(40, 50, 60, 70 °C) e determinandone quindi l’attività residua. I parametri
di attivazione permettevano di evidenziare la maggiore termostabilità
della PME nella cv. Madame Moutot in termini di energia d’attivazione
380

(Ea=111.1 e 92.7 kJ mol -1 per Elsanta e Madame Moutot, rispettivamente),
mentre differenze poco rilevanti tra le cultivar si registravano relativamente
alla -G.
La tabella 3 mostra i risultati delle determinazioni relative ai principali
parametri chimico-fisici delle cv. Elsanta e Madame Moutot. I dati
di maggiore interesse riguardano il più elevato ratio delle fragole cv.
Madame Moutot ed il contenuto in antocianine della cv. Elsanta, circa 3
volte superiore rispetto alla cultivar etnea.
Conclusioni
Le differenze più rilevanti fra le due cultivar hanno riguardato: (a) le
attività enzimatiche (bassa attività PME ed elevata attività -G nella cv.
locale Madame Moutot); (b) la temperatura ottimale della PME (maggiore
stabilità nella cv. commerciale Elsanta in condizioni di
frigoconservazione); (c) l’inibizione da D-glucosio (la PME da cv. Elsanta
non risentiva dell’effetto inibitorio dello zucchero); (d) la stabilità termica
(valore inferiore di energia d’attivazione e conseguente maggiore
termostabilità della PME nella cv. Madame Moutot) che spingerebbe a
proporre tale enzima quale indice di qualità delle varietà di fragola, soprattutto
se posto in correlazione con la perdita di consistenza dei frutti
in post-raccolta; (e) il più basso contenuto in antocianine delle fragole
cv. Madame Moutot.
Ciò spiegherebbe la maggiore suscettibilità delle fragole tipiche del
territorio di Maletto ai fenomeni ossidativi e la minore tendenza al decadimento
della consistenza benché con attività enzimatiche altamente
termostabili.
381

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388

CARATTERIZZAZIONE DI PROVENIENZE DI
FRAGOLA A PICCOLI FRUTTI
CHARACTERIZATION OF WOOD STRAWBERRY TYPES
Ferdinando Branca, Alessandro Tribulato
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degi Studi di Catania
Via Valdisavoia 5, 95123 CATANIA
Riassunto
Sono state rilevate in contemporanea, in un campo collezione realizzato
sul versante orientale dell’Etna a 900 m s.l.m., le caratteristiche di
otto provenienze di fragola a piccoli frutti, prelevate in areali collinari
della Sicilia e della Calabria. I caratteri rilevati sono stati prescelti tra
quelli indicati in letteratura come maggiormente discriminanti. Tra questi,
in particolare, si è fatto riferimento al portamento della pianta, ed
alle caratteristiche dell’infiorescenza e dei frutti.
Parole chiave: specie spontanee, piccoli frutti, caratteristiche
biomorfologiche, qualità, composti antiossidanti
Abstract
Morphological and qualitative traits of eight populations of wood
strawberry were detected in a collection field located on the East side of
mount Etna at 900 m a.s.l. Plant material was collected in the wild in
Sicily and Calabria. To perform characterization, descriptive parameters
were chosen among the most significant reported in literature. The most
389

distinctive appeared to be related with plant architecture, flowering traits
and qualities of inflorescence.
Key words: wild species, berries, morphological characteristics, quality,
antioxidant compounds.
Introduzione
I produttori e gli operatori commerciali della filiera della fragola continuano
a manifestare interesse notevole per i frutti di piccole dimensioni
(fragolina) sostenuto dalle caratteristiche qualitative, in particolare
organolettiche, che li rendono insostituibili e comunque molto apprezzati
per diverse utilizzazioni. A tale interesse si continua a dare riscontro,
sia pure con crescenti difficoltà, ora con il prodotto ottenuto in alcune
aree dalla raccolta su piante spontanee (fragoline di bosco), ora con
quello proveniente da piante presenti ai margini di coltivi dove si avvantaggiano
di occasionali interventi colturali. Tipiche a questo riguardo
sono le piante di fragolina che svolgono il ciclo biologico a ridosso dei
muri a secco di pietra lavica caratteristici del paesaggio agrario della
viticoltura del massiccio etneo. Altre specifiche configurazioni produttive
sono quelle riconducibili alla fragolina della valle del Tellaro, in
territorio di Noto (SR), ed a quella della valle del Verdura, in territorio di
Ribera (AG).
L’affermazione su ampia scala della coltivazione intensiva fino a questo
momento è stata remorata da una non perfetta rispondenza dei materiali
genetici, non sempre idonei a dare riscontro alle richieste del mercato
sotto il profilo della qualità dei frutti. Il temine di riferimento per il
consumatore è sempre e comunque rappresentato ancora oggi dal particolare
profilo aromatico della fragolina di bosco (Caruso, 1981).
Le difficoltà della diffusione della coltura della fragolina sono molteplici
ed appaiono in larga parte determinate da una scarsa conoscenza
dei materiali genetici utilizzati; inoltre, alcuni di essi, ad esempio, malgrado
la propagazione vegetativa potrebbero differire per effetto di una
390

possibile pressione selettiva di origine antropica esercitata dalle occasionali
operazioni colturali o da tentativi di selezione operata dal coltivatore.
In questo quadro appare preminente l’interesse di raccogliere, caratterizzare
e descrivere i materiali che ancora oggi è possibile rinvenire
nei contesti in cui la fragolina è presente al di fuori delle coltivazioni
specializzate. L’obiettivo delle attività svolte è stato pertanto quello di
attivare un campo collezione di materiali genetici diffusi allo stato spontaneo
per potere innescare processi colturali vantaggiosi sotto il profilo
del contenimento dei costi di produzione, dell’individuazione di genotipi
più adattabili in coltura ed infine dell’attivazione di interventi di miglioramento
genetico per realizzare costituzioni più rispondenti sotto il profilo
agronomico.
Materiali e metodi
Il programma di lavoro, avviato nell’estate del 2005, è stato incentrato
fino a questo momento su tre temi che hanno riguardato:
l’individuazione e la raccolta di materiali di propagazione su piante
spontanee o sottoposte ad occasionali interventi colturali;
l’attivazione di un campo collezione per il rilevamento dei caratteri
morfo-biometrici maggiormente discriminanti;
la valutazione dei risultati ai fini della scelta delle provenienze da
moltiplicare per l’impianto di nuove colture.
Il reperimento dei materiali è stato effettuato in Sicilia e Calabria, sia
prelevando piante allo stato spontaneo presenti nel sottobosco presso i
comprensori di Mascali (CT), Milo (CT), Castell’Umberto (ME), Acri (CS)
e Camigliatello Silano (CS) sia presso orti familiari, ai margini dei coltivi, in
territorio di Maletto (CT) e Trecastagni (CT), la cui origine in ogni caso era
da ricondursi all’ambiente forestale; a queste è stato aggiunto un lotto di
piante proveniente da colture diffuse nella provincia di Agrigento ed ampiamente
coltivate nel comprensorio produttivo di Ribera (AG).
391

I materiali raccolti sono stati impiantati ed allevati per realizzare un
campo di moltiplicazione, presso l’Azienda Sperimentale Agraria dell’Università
di Catania, dall’estate del 2005 fino all’inverno successivo.
Nel gennaio 2006 le piantine ottenute sono state collocate in un campo
collezione realizzato sul versante orientale dell’Etna, presso un’azienda
del comune di Mascali all’altitudine di 900 m s.l.m.
Le piante sono state disposte su file binate, alla distanza di 1,2 m tra
le bine e di 0,2 m sia tra le file che sulla fila, realizzando così un investimento
unitario di 8,3 piante m -2 . La superficie del terreno è stata
pacciamata con film nero di polietilene ed è stato realizzato un impianto
di irrigazione localizzata.
La caratterizzazione dei materiali è stata effettuata rilevando, su ciascuna
pianta, i principali caratteri scelti tra quelli segnalati in letteratura
ai fini della descrizione della pianta (portamento), della foglia (dimensione
longitudinale e trasversale, forma, angolo di incidenza della base
del lembo rispetto al picciolo e tomentosità), dell’infiorescenza (portamento
assi, altezza, numero di fiori), del fiore (forma del sepalo e del
petalo, dimensioni dello stame e del petalo) e del falso frutto (peso, dimensione
longitudinale e trasversale, numero di acheni e solidi solubili),
sulla base delle indicazioni di Baldini e Branzanti (1964).
Le strutture riproduttive sono state analizzate su venti infiorescenze e
venti fiori per ripetizione. Cento frutti per ciascuna ripetizione sono stati
utilizzati per rilevare alcune componenti qualitative del frutto. In particolare,
è stato determinato il contenuto in polifenoli totali, antocianine,
-carotene e vitamina C. Per l’estrazione e la quantificazione dei
polifenoli è stato seguito il protocollo di Slinkard e Singleton (1997),
per le antocianine il protocollo di Swain e Hills (1959), per il -carotene
il protocollo di Mayfileld et al. (1986), ed infine per la vitamina C il
protocollo di Tillmans (1932).
Sono stati registrati, altresì, la data di raccolta, la produzione per pianta
e le relative componenti, che per il momento non sono prese in considerazione
in quanto le piante non hanno presentato tra loro l’uniformità
richiesta in occasione del primo ciclo produttivo.
392

Risultati e discussione
Nel loro complesso i risultati acquisiti, dal confronto fra le piante
delle diverse provenienze ed allevate nelle stesse condizioni, hanno dimostrato
che queste ultime esprimono significative differenze per uno o
più caratteri.
I dati acquisiti ed analizzati non sono ancora sufficienti per un’analitica
determinazione delle differenze accertate e delle cause che le hanno
determinate. Tuttavia i risultati fanno ritenere che della variabilità accertata
tra le provenienze una quota significativa fa riferimento a fattori
di natura genetica e solo una parte può essere ricondotta a cause ambientali.
Fra queste cause vi potrebbe essere la storia di questi sotto il profilo
bio-fisiologico. Tale indicazione trova spesso riscontro nel profilo complessivo
che sembra accomunare le provenienze prelevate nello stesso
areale.
Pur nel quadro del significato relativo, che può essere attribuita alla
variabilità di cui sopra, almeno per quanto riguarda i fattori che la hanno
determinata, dalla elaborazione dei dati emerge che le provenienze di
fragoline appaiono differenziate per caratteri che assumono rilievo in
funzione della loro possibile diretta valorizzazione agronomica. Con
specifico riferimento ai diversi gruppi di caratteri, è stata riscontrata,
nella media delle popolazioni, maggiore variabilità con riferimento all’apparato
vegetativo della pianta ed in particolare per la dimensione
trasversale della fogliola centrale, per l’ampiezza della stessa i valori
più elevati sono espressi dalla provenienze siciliane (Tab. 1). La configurazione
delle provenienze per i caratteri relativi ai fiori ed alla
infiorescenze è risultata assai differenziata; per queste ultime, il profilo
appare diverso con riferimento alla dimensione dello stelo principale
(fra 10 e 18 cm) ed alla sua ramificazione, e quindi alla disposizione dei
singoli fiori rispetto all’asse principale (Tab. 2). Ancora, è risultato ampio
il campo di variabilità relativo al numero di fiori (fra 4 e 12). Dimensione
e configurazione sono risultati discriminanti ed hanno messo in
evidenza la elevata floribundità di alcune provenienze isolane
393

(Castell’Umberto e Milo); altrettanto diversificati i parametri relativi ai
falsi frutti, che mettono in evidenza una dimensione più elevata per due
delle provenienze prelevate in ambiente prossimo a quello dove sono
state confrontate (Tab. 3). Interessanti e meritevoli di considerazione
appaiono poi i parametri della composizione del “frutto”, fra i quali il
contenuto di solidi solubili (fra 10,9 e 13,7) nonché la concentrazione di
polifenoli totali, di antocianine, di -carotene e di vitamina C, dei quali
sono risultate piuttosto ricche di volta in volta ora alcune tra le provenienze
siciliane ora le due calabresi (Tab. 4).
Conclusioni
I dati acquisiti, ancorché richiedono ulteriori verifiche su piante propagate
nello stesso ambiente per un significativo numero di cicli, esprimono
una variabilità che pare interessante anche in una prospettiva
agronomica. Le otto provenienze a confronto hanno rivelato differenze,
sicuramente significative, per quasi tutti i caratteri descrittori cui si è
fatto riferimento sulla base di indicazioni disponibili in letteratura. Tali
differenze riguardano, tra l’altro, caratteri sicuramente interessanti ai fini
della definizione di un ideotipo di pianta più rispondente alle esigenze
della coltivazione e della produzione di fragolina. In questo ambito sono
da segnalare le espressioni del portamento della pianta più o meno espanso
o assurgente, lo sviluppo in altezza dell’infiorescenza e la disposizione
dei fiori, le stesse dimensioni dei frutti e la composizione degli stessi,
che assume rilievo sotto il profilo del valore alimentare e della qualità
del prodotto, come nel caso di alcuni antiossidanti. Un risultato da sottolineare,
conclusivamente, è il variegato profilo delle provenienze che
non è stato possibile ricondurre ai diversi contesti di origine, e cioè il
sottobosco ed i margini dei coltivi. Per queste ultime, si sarebbe potuto
ipotizzare, infatti, effetti di pressione selettiva riconducibili ad interventi
colturali diretti o indiretti per agevolare una, sia pur episodica e marginale,
valorizzazione produttiva. Nell’ambito dei materiali prelevati, in
394

contesti più agricoli che forestali, si segnalano alcune provenienze reperite
sul versante orientale dell’Etna (Trecastagni e Mascali) nonché quella
coltivata a Ribera.
I risultati acquisiti e discussi, in aggiunta alle indicazioni fornite in
ordine ad una prima caratterizzazione di provenienze siciliane e calabresi
di piccoli frutti, hanno fatto emergere un rinnovato interesse per una
prosecuzione delle attività orientate verso: l’esplorazione, geografica ed
ambientale, dei materiali genetici della fragolina; l’articolazione dello
studio della variabilità genetica che questi esprimono; la realizzazione
di programmi rivolti verso la conservazione e valorizzazione agronomica
degli stessi materiali; l’attivazione di adeguati programmi di miglioramento
genetico.
395

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ESPERIENZE DI COLTIVAZIONE DEL LAMPONE
NEL MASSICCIO ETNEO
CULTIVATION TRIALS OF RED RASPBERRY
IN THE ETNA DISTRICT
Antonio Cicala, Alberto Continella, Filippo Ferlito
Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari
Università degli Studi di Catania
Via Valdisavoia 5, 95123 Catania
Riassunto
Con la presente ricerca si è studiato il comportamento del lampone
rifiorente e unifero in due ambienti dell’areale etneo (Giarre e Sant’Alfio).
Per ogni cultivar rifiorente sono stati previsti due trattamenti: uno finalizzato
alla doppia produzione, estiva ed autunnale, l’altro alla sola produzione
autunnale. A Giarre le cultivar più produttive sono state ‘Galante’
e ‘Sumo’ per la doppia produzione e ‘Galante’ per la singola produzione.
Nel complesso è stata confermata una buona adattabilità del lampone
rifiorente alle condizioni climatiche degli ambienti del versante
orientale dell’Etna.
Parole chiave: Rubus idaeus, rifiorente, unifero, Sicilia, piccoli frutti
Abstract
The behaviour of red raspberry in two areas of Etna district (Giarre
and Sant’Alfio) has been studied. Two treatments were scheduled for
primocane-fruiting cultivars: one treatment for the double production
(summer and autumn crop) and the other for single autumnal production.
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In Giarre’s grove the most productive cultivar were ‘Galante’ and ‘Sumo’
for double production and ‘Galante’ for single one. Primocane-fruiting
red raspberry showed a good adaptability to the climatic conditions of
Etna east-side.
Key words: Rubus idaeus, primocane-fruiting, floricane-fruiting, Sicily,
small fruits
Premessa
In Italia la diffusione dei piccoli frutti è concentrata nelle regioni settentrionali,
anche se, negli ultimi venti anni, si è registrata una discreta
introduzione in ambienti meridionali. Tali esperienze sono state prevalentemente
indirizzate al soddisfacimento della domanda nei periodi di
scarsa offerta ed al mercato del fresco.
Un ostacolo alla loro diffusione è dato dall’alto costo della raccolta
che, per ottenere un valido prodotto commerciale da destinare al consumo
fresco, deve essere eseguita a mano e ad intervalli brevi. Altro ostacolo
è dato dall’esistenza di un mercato troppo esoso, con prezzi al consumo
elevati, anche a causa della rapida deperibilità del prodotto (Paglietta,
1987). Così, i piccoli frutti vengono prevalentemente consumati
come prodotto trasformato e surgelato, per il cui ottenimento l’industria
italiana può contare su una materia prima più economica di provenienza
estera (Eccher et al., 2002).
I piccoli frutti che destano maggiore interesse ai fini di una loro introduzione
in ambienti meridionali sono il lampone ed il rovo. In particolare,
per quanto riguarda il lampone si distinguono cultivar unifere e
rifiorenti; le prime hanno un ciclo biennale e fruttificano sui tralci nell’anno
successivo alla loro formazione. Le seconde sono caratterizzate
da una prima fruttificazione sull’estremità del tralcio dell’anno, tra l’estate
inoltrata e l’inizio dell’autunno, e da una seconda fruttificazione sui
polloni radicali, che ha luogo nella primavera successiva all’anno della
loro formazione. Un modo di produrre che consente di estendere sia il
402

calendario di maturazione che l’area d’adattamento della coltura, visto
che affranca la prima fruttificazione da qualsiasi esigenza di
soddisfacimento in freddo, che nelle varietà unifere viene stimata in circa
1100-1400 ore (Ciesielska e Malusà, 2000). Si capisce, pertanto, come
la meridionalizzazione della coltura punti sulla introduzione di cultivar
rifiorenti (Rosati et al., 1999). Per quanto riguarda la seconda
fruttificazione, seppure in quantità minore delle varietà unifere, le esigenze
in freddo sono necessarie, nel senso che sebbene possano avvenire
sia l’induzione che l’inizio della differenziazione, le fasi successive
non possono completarsi in presenza di temperature troppo calde
(Vasilakakis et al., 1979).
In ogni caso il lampone è sensibile alle alte temperature estive e da
ricerche specifiche è stato evidenziato come la temperatura ottimale dell’aria
per l’attività vegetativa sia di 22 °C (Carew et al., 1999), mentre
per il funzionamento delle radici quella del terreno è compresa tra 13,9 e
26,7 °C. Gli effetti negativi delle alte temperature si avranno sulle dimensioni
delle piante che subiranno anche una riduzione delle riserve
immagazzinate negli organi sotterranei e sui frutti che presenteranno
una minore consistenza. Tuttavia, da una ricerca sugli effetti della copertura
sull’accrescimento riproduttivo e vegetativo della cultivar
‘Autumn Bliss’, si è visto come temperature anche di 37-46 °C non hanno
ridotto l’accrescimento vegetativo (Nonnecke e Taber, 1989).
Nei primi anni ‘90, in ambienti di medio-alta collina della Sicilia
(Nebrodi, Etna) sono state introdotte diverse cultivar rifiorenti di lampone
(Inglese et al., 1998), la cui coltivazione è oggi orientata alla sola
produzione estivo-autunnale, in maniera da essere complementare a quella
primaverile-estiva offerta dalle cultivar unifere, che in quelle realtà
climatiche riescono a soddisfare le loro esigenze in freddo.
Col presente lavoro di ricerca si è studiato il comportamento del lampone
rifiorente in due ambienti dell’areale etneo. Il primo situato nella
zona limonicola della costa jonica, una zona climatica considerata non
idonea alla coltivazione del lampone unifero, il secondo ad un’altitudine
di circa 800 m s.l.m., presso il quale è stata valutata anche l’adattabilità
di alcune cultivar unifere.
403

Materiali e metodi
Nel primo ambiente che si trova a Giarre (37° 44’N), ad un impianto
realizzato nel dicembre del 1998 con sesto di 0,5 m sulla fila e di 2,5 tra le
file con le cultivar rifiorenti ‘Autumn Bliss’, ‘Galante’, ‘Heritage’, ‘Joan
Squire’, ‘Polana’, ‘Ruby’, ‘Scepter’ e ‘Sumo’, nell’inverno del 2005 sono
state aggiunte le varietà ‘Rossana’, ‘Polka’, ‘Zeva’ e le unifere ‘Glenn Ample’
e ‘Glenn Lyon’. Esso si caratterizza per il terreno sabbioso, a reazione subacida
e ben dotato di sostanza organica. Queste ultime varietà, rifiorenti e unifere,
sono state impiantate a Sant’Alfio (37° 45’N) sempre nel 2005. In questo
caso il sesto adottato è stato di 0,3 m sulla fila e di 2 m tra le file. Il terreno
presenta caratteristiche fisico chimiche simili, ma è meno profondo e maggiormente
dotato di scheletro.
Per ogni cultivar rifiorente nei due ambienti sono stati previsti due
trattamenti: uno finalizzato alla doppia produzione, estiva ed autunnale,
lasciando, con la potatura invernale, circa 15 polloni per metro, accorciati
a 70 cm dal suolo, l’altro alla sola produzione autunnale eliminando
tutti i polloni con un taglio raso terra. Le cultivar unifere sono state
gestite con una potatura alta a 70 cm.
In entrambi i casi si è provveduto al monitoraggio delle temperature e
delle piogge e si è calcolato l’ammontare delle Unità di Freddo (UF)
accumulate dal primo ottobre fino al 28 febbraio. L’attività produttiva è
stata valutata sul piano quantitativo mediante raccolte bisettimanali,
mentre sui frutti raccolti ogni 15 giorni, sono stati calcolati: peso, diametro
polare ed equatoriale, numero di drupeole, solidi solubili totali
(S.S.T.) ed acidità. I rilievi sono stati condotti nell’anno 2006.
Risultati e discussione
Il monitoraggio delle temperature ha permesso di verificare come nel
sito di Giarre i livelli più elevati si siano verificati durante il mese di
agosto allorché si sono di poco superati i 30 °C. Le stesse temperature a
Sant’Alfio sono state raggiunte già durante il mese di giugno, mentre
404

nei rimanenti mesi estivi si sono mantenute sempre sotto i 30 °C. La
piovosità durante il periodo primaverile-estivo non ha mai raggiunto i
50 mm ad esclusione del mese di giugno a Giarre. Nei due ambienti
sono stati registrati valori pluviometrici molto differenti, con un ammontare
di 1850 mm a Sant’Alfio contro i 1025 mm di Giarre nel 2006
(Figg. 1 e 2). L’accumulo delle UF è iniziato durante la terza decade di
novembre a Giarre, mantenendosi sotto le 500 ore al 28 febbraio, e durante
la seconda decade di novembre a Sant’Alfio superando le 1200 ore
alla stessa data (Fig. 3).
A Giarre le cultivar più produttive sono risultate ‘Galante’, ‘Sumo’ e
‘Scepter’ per la doppia produzione e ‘Galante’ per la singola produzione.
Al contrario ‘Heritage’ e ‘Autumn Bliss’ in entrambi i casi non hanno
raggiunto i 1000 g . m -1 (Fig. 4). In merito alle tre varietà messe a
dimora successivamente è da segnalare l’elevato livello produttivo raggiunto
dalla ‘Polka’ nei due ambienti di coltivazione. Questa, in entrambi
i casi, ha fornito le produzioni più elevate quando è stata allevata per
la produzione singola. Discreti quantitativi di prodotto sono stati ottenuti
a Sant’Alfio dalla ‘Rossana’ allevata secondo le due differenti modalità
(Fig. 5). Le cultivar unifere presenti in questo ambiente si sono attestate
su una produzione che non ha raggiunto i 500 g.m -1 , mentre a Giarre non
sono state ovviamente in grado di produrre quantità significative di prodotto.
A Giarre sia nella doppia fruttificazione, che nella singola i frutti più
grossi sono stati prodotti da ‘Sumo’, seguita in entrambi i casi da ‘Galante’.
La prima si è distinta per aver avuto il diametro maggiore dei
frutti, la seconda per il maggior numero di drupeole nella doppia
fruttificazione. Tra le cultivar allevate per la doppia produzione ‘Joan
Squire’ ha fatto registrare i valori più elevati di S.S.T., mentre nel caso
della produzione singola è stata ‘Autumn Bliss’ a far registrare i valori
più alti. Per quanto riguarda le cultivar impiantate successivamente, in
entrambi gli ambienti ed in entrambi i tipi di produzione, ‘Polka’ ha
prodotto i frutti più grossi e con il numero maggiore di drupeole. Da
segnalare i livelli più elevati di S.S.T. ottenuti da ‘Rossana’ nei due ambienti,
ad esclusione della produzione singola a Sant’Alfio dove si è
maggiormente distinta la ‘Polka’ (Tabb. 1 e 2).
405

Conclusioni
Nel complesso, è stata confermata una buona adattabilità del lampone
rifiorente alle condizioni climatiche del versante orientale dell’Etna.
Tuttavia, andrebbe meglio approfondita l’effettiva esigenza in freddo,
richiesta da ognuna delle varietà per completare la differenziazione
a fiore delle gemme portate dai polloni invernali. Per quanto riguarda i
livelli produttivi non molto elevati realizzati dalle cultivar già presenti a
Giarre è da considerare che si trattava di un impianto realizzato nel 1988,
che già accusava segni di declino produttivo, e per il quale, da esperienze
precedenti (Cicala et al., 2001), si è potuto constatare una maggiore
capacità produttiva. La produzione estiva della doppia fruttificazione è
sempre inferiore a quella autunnale e a quella della fruttificazione singola.
Per cui è opportuno puntare alla doppia produzione solo se si tratta
di aziende che producono per il consumo diretto e hanno interesse ad
essere presenti sul mercato locale per un più ampio periodo dell’anno.
In questo caso sarebbe conveniente perseguire una specializzazione del
lamponeto, per cui parte di esso verrebbe destinata alla prima produzione
e parte alla seconda. Ciò consentirebbe un razionale impiego delle
tecniche colturali, come l’eliminazione in anticipo della parte fruttifera
del tralcio dell’anno, in modo da ottenere nella stagione successiva tralci
più robusti.
Le cultivar unifere hanno mostrato una discreta adattabilità all’ambiente
posto ad una quota superiore, pur non raggiungendo livelli produttivi
soddisfacenti, mentre, come prevedibile, non sono state in grado
di fruttificare nell’ambiente di Giarre.
406

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Finito di stampare nel mese di novembre 2007
dalla Emme Erre Grafica srl
Via Nizzeti, 43 - Tremestieri Etneo (CT)
Tel. 095 4034008
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