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Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini

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di vetro e maioliche) o, ad affidare attraverso gli appalti i tagli agli speculatori creando le premesse<br />

di uno sfruttamento intensivo e di un aspro <strong>conflitto</strong> economico e <strong>sociale</strong> tra utilizzazioni boschive<br />

da una parte e pastorizia.<br />

Contro l’indirizzo privatistico che prevaleva negli scrittori di fine settecento, convinti che anche<br />

in materia di boschi di montagna l’interesse privato risultasse superiore alla proprietà comunale, si<br />

distinse il conte Giambattista Giovio, nettamente favorevole alla conservazione dei boschi comunali<br />

in ragione della loro importanza per le popolazioni lariane, ma anche della considerazione che i<br />

boschi venduti agli speculatori erano destinate a sicura rovina 31 .<br />

I boschi nell’economia di sussistenza oltre al legname da opera e da ardere fornivano, lettiera<br />

per il bestiame e “pattume” per la concimazione dei campi, selvaggina, piccoli frutti, funghi e, ed<br />

erano spesso utilizzati per il pascolo del bestiame. Le comunità potevano aumentare la pressione sul<br />

bosco, ridurre la superficie boscata per estendere le colture e i pascoli, ma la distruzione massiva del<br />

bosco avrebbe significato la rottura degli equilibrio del <strong>sistema</strong>. I disboscamenti settecenteschi sono<br />

pertanto il risultato dello sfruttamento intensivo delle risorse boschive in funzione commerciale con<br />

un forte ruolo del capitale speculativo 32 e non di una “dilapidazione dissennata” da parte delle<br />

comunità.<br />

Il problema della fortissima domanda di carbone venne messo in evidenza nella Lombardia<br />

austriaca dal visitatore generale Odescalchi nelle sue relazioni delle visite effettuate in tutta la fascia<br />

prealpina dello Stato di Milano. A Dongo, nell’alto Lario (dove la siderurgia conoscerà importanti<br />

sviluppo nel XIX e XX secolo, ma dove esisteva anche un importante retroterra pastorale, con un<br />

esteso allevamento caprino)<br />

“«li boschi tanto comunali che particolari […] sono devastati intieramente» poiché vi sono individui la cui sola<br />

occupazione è quella di tagliar legna da mattina a sera, per farvi travi e carbone” 33 .<br />

Situazioni preoccupanti sono riferite anche per Menaggio 34 e Nesso 35 . L’Odescalchi tra le<br />

cause della situazione problematica di boschi individua l’aumento delle capre «cresciute [a Dongo]<br />

in numero di forse 1500» e propone di confinarle nella parte più aspra, inutile e fuori mano della<br />

zona 36 . Di certo era il consumo di legna che tendeva ad aumentare. La siderurgia, industria<br />

energivora, ma ormai in molti suoi impianti “decotta”, era entrata in concorrenza per i rifornimenti<br />

di carbonella con le utilizzazioni manifatturiere sia a causa di un generale risveglio industrialeche,<br />

in particolare, di un’industria giovane, ma in forte crescita quale quella della seta. I forni di prima<br />

fusione e le fucine non solo avevano bisogno di energia, ma, in relazione alla loro crisi strutturale,<br />

anche di energia a costi contenuti 37 . Scomparsi i boschi di alto fusto la pressione della domanda si<br />

31 “Col pretesto di conservar queste selve, e col titolo anche di sanar i debiti delle comunità, furon costrette alcune di<br />

esse alla vendita delle foreste, altre a ricever denaro, perché recidessele a cottimo un appaltatore. Quindi le spietate<br />

scurri han fatta la strage grandissima […]” B.VECCHIO, Il bosco negli scittori italiani del Settecento e dell’età<br />

napoleonica, Torino, 1974, p. 23<br />

32 E. SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari, 1972, p. 307.<br />

33 B. VECCHIO, op. cit., p. 19.<br />

34 «[…] su equesto lago si ha generalmente opinione che li boschi vadano in esterminio» cit. ibidem<br />

35 Dove si tagliano persino le castagne per produrre carbone («[…] contandosi quest’anno [1774] 500 di esse già<br />

atterrate, tutte da frutto», ibidem.<br />

36 Ivi p. 20.<br />

37 Per i problemi strutturali dell’industria estrattiva e della prima lavorazione siderurgica cfr. A.CARERA, «I limiti del<br />

tentato decollo» in A.MOIOLI, A.COVA, A CARERA. L.TREZZI (a cura di) Storia dell’industria lombarda. Un <strong>sistema</strong><br />

manifatturiero aperto al mercato Vol I., Milano, 1988, pp. 228-230. Innanzitutto la proprietà delle miniere, determinata<br />

da una legislazione veneta risalente al ‘400, determinava un <strong>sistema</strong> di multiproprietà che scoraggiava qualsiasi<br />

investimento e consolidava l’antica organizzazione della produzione caratterizzata da metodi primitivi d’estrazione e<br />

dall’incompetenza degli addetti, costretti a condizioni di lavoro estremamente precarie e rischiose. “Ogni eventuale<br />

aumento del costo del carbone esasperava l’inadeguatezza tecnologica delle prime fasi di fusione, dovuta al permanere<br />

in uso degli obsoleti forni "alla bergamasca” (Ivi). La ridotta disponibilità di legna a basso costo, era legata non tanto<br />

alla “distruzione dei boschi da parte delle capre”, ma alla concorrenza per questa risorsa energetica da parte di altri<br />

settori industriali più dinamici in grado di alterare gli equilibri del mercato.

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