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Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini

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di vacca su quello di capra, ed io m’accontenterò di lodarlo come alimento del miserabile o come irritamento del palato<br />

già soddisfatto” 382<br />

Come antesignana di una campagna di comunicazione commerciale “comparativa” giocata sul<br />

prestigio <strong>sociale</strong> del prodotto non c’è male, ma considerata l’influenza dei media del tempo è<br />

irrealistico pensare che sia da attribuirsi al Gautieri un’influenza significativa sulla definizione dello<br />

statuto <strong>sociale</strong> dei prodotti caprini. I provvedimenti amministrativi che limitavano alle “famiglie<br />

miserabili” (o, per sovramercato, “assolutamente miserabili”) la facoltà di mantenere le capre<br />

furono certamente più efficaci nel consolidare una rappresentazione <strong>sociale</strong> della capra.<br />

L’associazione con la miseria riceveva una sanzione ufficiale e pubblica, rinforzata dall’autorità<br />

della norma. Dal momento che, per proprietà transitiva, alla condizione di marginalità e miseria,<br />

non è difficile associare quelle di sporcizia e malattia, lo stigma della capra era stabilito e per tutta<br />

la fase storica dell’industrializzazione dell’agricolatura si è rafforzato sempre di più mano a mano<br />

che la produzione di latte vaccino si “igienizzava” e “sanificava”. Il latte vaccino proveniente da<br />

moderne stalle “razionali”, sempre più sottoposte a controlli sanitari, nelle Centrali del latte veniva<br />

sottoposto a sempre più “moderni” trattamenti: omogeneizzato, pastorizzato, imbottigliato, sino<br />

all’apogeo del “latte sterile” in tetrapak. Per il contadino consumare il latte Uht e non quello quello<br />

fresco della sua vacca era un modo per non sentirsi ai margini della modernità. La capra restava<br />

confinata in una dimensione spazio-temporale al di là del margine, fuori dal supermercato<br />

(paradigma dell’universo del consumo reale), privata di uno statuto di realtà “consumabile”. Non<br />

meraviglia che l’opinione corrente negli anni ’70 fosse che: “il latte di capra è cattivo, salato, porta<br />

malattie” 383 . Un’esperienza di marketing della metà degli anni ’80 del secolo scorso ci conferma<br />

che il consumatore, pur non avendoli mai assaggiati, associava ai formaggi di capra “strani odori e<br />

sapori”.<br />

“Uno dei primi problemi che si è cercato di risolvere è stato quello di dare al prodotto finito un gusto delicato,<br />

morbido, che potesse avvicinare i consumatori all’assaggio vincendo la ritrosia collegata al convincimento che il<br />

formaggio di capra potesse avere strani odori o sapori” 384<br />

In anni successivi si è assistito ad un vero e proprio ribaltamento simbolico: la massificazione e<br />

l’appiattimento dei gusti dei prodotti industriali, gli scandali alimentari, l’immagine negativa delle<br />

“fabbriche del latte” dal punto di vista del benessere degli animali e degli impatti ambientali, la<br />

diffidenza per la scienza e per la dietologia ufficiale (protagonista di clamorosi ribaltamenti nelle<br />

linee guida nutrizionali in odore di funzionalità agli interessi industriali) l’affermazione di<br />

orientamenti etici nei consumi alimentari ecc., hanno determinato un forte movimento verso una<br />

differenziazione dei consumi e una forte aspirazione verso un’alimentazione “naturale” almeno in<br />

parte identificata con una riscoperta di pratiche alimentari preindustriali.<br />

In questo contesto molti aspetti che contribuivano ad assegnare uno stigma di inferiorità alla<br />

382 GAU, p. 11.<br />

383 Negli anni ’70 l’autore ed un amico, più famigliare con l’ambiente alpestre, nel corso di una lunga escursione in<br />

montagna avevano munto una capra, raccogliendone il latte in una borraccia. Al ritorno a casa (seconda casa di<br />

montagna) la madre inorridita gli impose di gettarlo perché “è cattivo, salato e porta malattie”; a nulla valse la proposta<br />

di consumarlo previa bollitura. Eppure il latte di capra ha dall’antichità goduto fama di salubrità per la minore<br />

suscettibilità della capra nei confronti della vacca alla tubercolosi. Al di là del pregiudizio culturale (determinante), può<br />

aver influito negativamente sulla valutazione sanitaria del latte caprino, la sporadica presenza nelle capre, anche<br />

nell’Italia settentrionale, di casi di Brucellosi (agente patogeno: Brucella melitensis). La malattia è trasmissibile<br />

all’uomo (anche con gravi conseguenze) ed era endemica nel bacino mediterraneo (dove è conosciuta come “febbre<br />

maltese”). La presenza anche sulle Alpi sino a una ventina di anni orsono era probabilmente conseguenza di ad un<br />

aumento degli scambi commerciali di animali con le regioni dell’Italia meridionale. La diffidenza per il latte caprino<br />

può essere anche aumentata in seguito ad una generalizzazione della percezione dei pericoli connessi al consumo di<br />

latte e latticini freschi caprini negli ambienti mediterranei.<br />

384 ANONIMO. Esperienze di produzione commercializzazione dei formaggi di capra delle “Burro Lago Monate S.p.A.”<br />

Atti tavola rotonda produzione, lavorazione e commercializzazione latte di capra [appendice] , Varese 12-13 ottobre<br />

1986 Scienza e tecnica lattiero casearia, 38 (1987), 70-72.

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