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Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini

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Nell’area comprendente la montagna varesina (es. Monteviasco in Val Veddasca con i suoi<br />

“tomini”), la Val d’Intelvi, la Val Cavargna e le valli occidentali del Lario e parte del Triangolo<br />

Lariano 322 era (ed è ancor oggi) utilizzata la coagulazione presamica o lattico-presamica. Il<br />

caglio 323 , ottenuto dall’abomaso dei capretti, era aggiunto al latte appena munto senza ulteriore<br />

riscaldamento o riportato alla temperatura di 35-37°C.<br />

La durata della coagulazione varia(va) in funzione della quantità di caglio utilizzato e delle<br />

temperatura di coagulazione entro limiti molto ampi, tali da impedire la classificazione dello<br />

schema di lavorazione nelle categorie del “caprino a coagulazione lattica” e “caprino a<br />

coagulazione presamica” entro cui le “produzioni tradizionali” sono oggi inquadrate 324 .<br />

I formaggini della Val di Muggio nel Mendrisiotto (Canton Ticino) sono a tutt’oggi famosi e<br />

godevano già molta rinomanza già all’inizio del XX secolo 325 . Per la loro produzione si faceva<br />

scaldare il latte a 35°C e si aggiungeva una quantità molto ridotta di caglio in modo che la durata<br />

della coagulazione risultasse di 6-7 ore (in ambiente piuttosto caldo >25°C). La cagliata era rotta<br />

grossolanamente e lasciata depositare per un ora dopodiché era trasferita in stampini di legno o latta<br />

e lasciata spurgare per 24 ore. Una volta estratti dagli stampi i furmagítt sono salati subito se<br />

destinati al pronto consumo, altrimenti dopo 2-3 giorni 326 . Con differenze relative ai tempi di<br />

coagulazione (oggi, di regola più brevi) lo schema dei “Formaggini della Val di Muggio” è simile a<br />

quello della tradizione del “caprino presamico” diffusa anche nelle attuali provincie di Varese e di<br />

Como. Lo spurgo avveniva prevalentemente in stampi cilindrici allungati del diametro di circa 6<br />

cm. Tali stampi erano realizzati in legno tornito e vennero successivamente sostituiti da stampi in<br />

alluminio dell’altezza di 25 cm (tutt’ora utilizzati in ambiti più conservativi 327 ) e, in tempi recenti<br />

da stampi di plastica o di acciaio 328 . Una volta effettuato lo spurgo il rotolo di pasta veniva affettato<br />

in modo da ottenere pezzi da 3-4 cm di scalzo. I formaggini venivano in alcuni casi conservati per<br />

mesi in vasi di terracotta (òle) 329 .<br />

2.5.2. Formaggi d’alpe, formaggelle<br />

L’Inchiesta sui pascoli alpini delle provincie di Sondrio e di Como rilevava agli inizi del XX<br />

secolo come la produzione di formaggi d’alpeggio ottenuti miscelando il latte caprino a quello<br />

vaccino fosse diffusa non solo nelle Valli del versante orobico della Bassa Valtellina dove era<br />

prodotto uno dei più famosi formaggi misti, il Bitto 330 , ma anche in Val Masino, nella bassa<br />

gli stessi criteri di standardizzazione tecnologica e di aggregazione di volumi di produzione che hanno caratterizzato le<br />

strategie dell’industria.<br />

322 Per es. il “caprino di Caslino”, località già ricordata.<br />

323 Il procedimento per la produzione del quácc è riportato nell’ Appendice.<br />

323 Prima revisione dell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Lombardia (D.G.R.<br />

n. 6/49424 del 7 aprile 2000). La definizione di rigidi schemi di lavorazione e di una ben definita<br />

tassonomia casearia entro cui far ricadere le produzioni tipiche è ovviamente il frutto di una cultura<br />

industriale.<br />

325 A. FANTUZZI, op. cit., p. 115<br />

326 Ibidem, p. 116.<br />

327 Li abbiamo personalmente osservati a Vegna di Cavargna, la località più alta abitata tutto l’anno della provincia di<br />

Como, abitata oggi da poche famiglie, tutte con capre, pecore e bovini.<br />

328 L’uso del legno è ammesso per le produzioni riconosciute tradizionali ex art. 8 D.lgs 30 aprile 1998 n. 173in deroga<br />

al D.P.R. 14 gennaio 1997, 54 - D.M. 4 novembre 1999.<br />

329 PATOCCHI C., PUSTERLA F., op. cit. p.127; Testimonianza di Lidia Zappa, Caslino d’Erba (Co).<br />

330 Il Bitto è citato da diversi scrittori del XVIII e XIX secolo. Con il riconoscimento della Dop la produzione è stata<br />

estesa senza alcun fondamento storico all’intera Provincia di Sondrio mentre l’aggiunta del latte di capra (10-20%) è<br />

divenuta solo “ammissibile”. I produttori degli alpeggi storici hanno allora costituito l’Associazione Produttori delle<br />

Valli del Bitto (gerla e Albaredo) che si è dotata di un disciplinare che esclude l’uso di mangimi per l’alimentazione<br />

delle vaccine, l’aggiunta di fermenti di produzione industriale in fase di lavorazione e vincola all’aggiunta del latte di<br />

capre della razza autoctona Orobica.

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