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Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini

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egistrerà anche nella montagna alpina qualche secolo dopo. Qui, però, il ruolo dell’allevamento<br />

caprino, nel contesto del <strong>conflitto</strong> <strong>sociale</strong> tra le comunità alpine e i poteri esterni, è risultato più<br />

complesso, tanto che per una lunga fase, tra il XVIII e l’inizio del XX secolo, molte aree alpine<br />

hanno conosciuto l’espansione della popolazione caprina, nonostante la “lotta alle capre” intrapresa<br />

dalle autorità statali sin dal XVII secolo. In questo contesto la difesa dell’allevamento caprino ha<br />

assunto i toni della resistenza <strong>sociale</strong> e, a volte, anche della sfida aperta alle autorità costituite. La<br />

durata secolare e l’asprezza assunta dal confronto ha determinato la mobilitazione di risorse<br />

simboliche da entrambi i fronti, contribuendo ad attribuire un forte connotato socioculturale<br />

all’allevamento caprino ed ai suoi prodotti, che influenza (nel bene e nel male) anche la realtà<br />

odierna e le prospettive dell’allevamento caprino.<br />

1.2. La capra “bestia nera” della modernità (ancien régime)<br />

Già nel medioevo, come testimoniano gli statuti comunali più antichi, le capre sono fatte<br />

oggetto di divieti, ma, con l’esclusione delle vigne, dei coltivi e delle selve castanili, non sono<br />

previsti generalizzati divieti per il pascolo in bosco e le pene pecuniarie per le infrazioni sono pari o<br />

di poco superiori a quelle previste per gli ovini. Negli statuti comunali i divieti di pascolo appaiono<br />

“mirati” 20 nell’ambito di un regime di tutela reciproca dei membri della comunità. Diversa appare<br />

la situazione che si instaurò quando, in età moderna, i provvedimenti restrittivi vennero adottati<br />

dalle autorità statali e le stesse comunità locali introdussero norme più restrittive. Disposizioni<br />

fortemente restrittive furono adottate dal Veneto Governo con numerose disposizioni che bandivano<br />

nel 1654 l’allevamento delle capre dal territorio bergamasco, pur con esenzioni per le aree<br />

montane 21 . Nel Delfinato, dopo che, con un decreto del parlamento, era stato bandito, nel 1565,<br />

l’allevamento delle capre in pianura, il medesimo divieto venne esteso tra il 1672 e il 1698 alle zone<br />

coltivate delle aree montane. Anche dove l’autonomia dei comuni sulla materia era ancora piena,<br />

come nella Valtellina, uno statuto, come quello di Tirano del 1606 consentiva di tenere solo due<br />

capre per ogni fuoco 22 , in questo caso si trattava di un borgo commerciale e di un centro<br />

vitivinicolo, per quando circondato da alte montagne, ma anche lo statuto di Berzo Demo<br />

(Vallecamonica) concedeva solo “due capre per bocca” 23 .<br />

Queste disposizioni erano comunque destinate ad essere largamente disattese 24 ed è impossibile<br />

stabilire se fossero motivate da un aumento del loro numero o dal sorgere di un <strong>conflitto</strong> derivante<br />

dall’intensificazione di altre attività agroforestali. Già nel XVI, in ogni caso, troviamo voci<br />

20 “nessuna persona non vada con capre o capridi a pascolare in vineis in [cam]pis nec ortis in toto territorio de<br />

Cenvaglie (Centovalli, XV secolo), MOR, p. 34, Disposizioni particolari per la protezione di orti, frutteti e vigneti erano<br />

presenti anche negli antichi statuti ossolani (T. BERTAMINI, «La capra negli antichi statuti ossolani» in: LCC, pp.19-38.)<br />

Era anche a previsto a volte che la capra fosse “legata ad una corda” dovendo avviarsi ai pascoli vicinali attraversando<br />

zone coltivate e persino che le capre dovevano avere a volte una museruola, ma va anche precisato che era cura dei<br />

proprietari dei fondi predisporre opportune recinzioni che tenessero fuori le capre quando le coltivazioni erano in atto,<br />

mentre dopo determinate date il pascolo era libero anche sui terreni privati ( Ivi). Un quadro analogo è fornito<br />

dall’esame degli statuti statuti trentini (F. GIACOMONI «La tutela dell’alpeggio nelle carte di regola del Trentino». In:<br />

Arge Alp, Comunità di lavoro delle regioni alpine, Commissione I -Cultura e società- (a cura di), Economia alpestre e<br />

forme di sfruttamento degli alpeggio, Bolzano, 2001, pp.119-144). A Berzo Demo erano bandite capre, ma anche le<br />

pecore dalle tagliate (Cap. 61 Statuto di Berzo Demo 1656, Comune di Berzo Demo, 1985).<br />

21 Il Capitano e Podestà di Bergamo esentava con un decreto del 1658 tutte le valli. (ASB, Dipartimento del Serio, c.<br />

86). Nello stesso tempo, però, era previsto che se i caprai avessero ardito in dati tempi passare per dati luoghi si sarebbe<br />

dovuto suonare le campane a martello, arrestarli e sottoporli al bando, relegazione, prigione e galera [ossia condannati<br />

al remo sulle navi da guerra] GAU, p. 261. Il bando venne reiterato nel 1662 e ripreso nel 1790.<br />

22 W.MARCONI (a cura di), «Capitoli novi della magnifica Università di Tirano confermati in Dieta l’anno 1606<br />

dall’Eccellentissimo nostro principe», in: Aspetti di vita quotidiana a Tirano al tempo dei Grigioni, 1512-1797,<br />

Biblioteca Civica Arcari, Tirano (So), 1990.<br />

23 Cap. 29, Statuto di Berzo Demo 1656, cit.<br />

24 Oltre alla reiterazione delle “grida” secondo Mathieu indicazioni tratte da atti giudiziari e altri documenti mostrano<br />

che i decreti anti-capre non furono molto efficienti. (J. MATHIEU, op.cit.).

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