Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini

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12.06.2013 Views

quelle in eccedenza da monticare sugli alpeggi comunitari o su quelli privati 271 . Negli Statuti trentini si stabilisce più rigorosamente che gli unici animali esentati dall’obbligo della monticazione fossero quelli ammalati, quelli da lavoro “o una capra per il latte necessario alla famiglia: e questo sempre comunque con licenza degli officiali locali” 272 . In Val di Fiemme, a Cavalese dal 20 di giugno le capre erano divise in due greggi, quello “di malga” (presso la Malga Val Moena) e quello “di casa”. A Tesero, dove le capre erano più numerose (1.300 all’inizio degli anni ’50 del XX secolo) era necessario organizzare ben 5 greggi di cui 3 “di malga”, 2 “di casa” e uno con i giovani allievi 273 . Nel 1890 nella in Val di Ledro erano ben 14 i greggi (per un totale di 851 capre possedute da 662 famiglie) condotti al pascolo nel periodo tra maggio e dicembre dai rispettivi caprai 274 . La capra “di casa” che rimane in estate presso il villaggio era un animale particolarmente docile, normalmente acorne, spesso con mantello bianco particolarmente confidente con l’uomo che godeva di uno statuto particolare. «La capra assumeva invece [in contrasto con la pecora] un ruolo quasi da animale domestico [nell’accezione ristretta di “famigliare”, proprio del cane e del gatto]. Era infatti piuttosto frequente ritrovare nella casa della famiglia ossolana, anche d’estate una capra definita “crava d’ca” che viveva all’interno dell’abitazione, familiarizzava e giocava con i bambini, forniva il latte che spesso per i più poveri costituiva la base o l’unico pasto della giornata» 275 Nell’ambito dei sistemi di “migrazione verticale” che caratterizzavano la colonizzazione pastorale della montagna alpina troviamo ulteriori testimonianze sull’importanza della capra quale “dispensa di latte”. Mentre le capre e le vacche salivano all’alpe nei “monti” (maggenghi) lariani chi restava per dedicarsi alla fienagione poteva contare su una capra “la portavano qui [sul maggengo, quando il resto del bestiame: vacche e capre era all’alpe] una capra per far la minestra, per adoperare il latte, si faceva la minestra cunt i briöö [germogli di luppolo selvatico], mi la fò anmò” 276 Spesso l’utilizzo del latte di capra nei maggenghi da parte dei pastori era motivato dall’esigenza di destinare tutto il latte vaccino alla caseificazione. 277 2.4.3. Latte di capra e tzücar (il latte di capra e l’alimentazione neonatale) Negli anni del’ultima guerra il ripiegamento verso forme di autoconsumo divenne quanto mai provvidenziale e nelle zone come l’Ossola duramente coinvolte negli eventi bellici la carne e il latte di capra divennero preziosi. “[…] nel ’43 è nata la Liliana. Sono riuscita a mantenere sei o sette capre, con quelle ho dato da vivere ai miei figli. Latte di capra e tzücar: la Liliana è andata avanti così per un po’ 278 . 271 Ivi p. 30. 272 GIACOMONI F. (2001) «La tutela dell’alpeggio nelle carte di regola del Trentino». In: ARGE ALP, COMUNITÀ DI LAVORO DELLE REGIONI ALPINE, COMMISSIONE I (CULTURA E SOCIETÀ) (a cura di) Economia alpestre e forme di sfruttamento degli alpeggio, Bolzano, pp.119-144. 273 Testimonianza di Michele e Giuseppe Zeni, Tesero (Tn) 274 A FOLLETTO, La Valle di Ledro, cenni geografici, statistici e storici, Riva (Tn), 1901, p. ??? 275 A.VILLANI, R.FATTALINI, op. cit., LCC, pp.63-81. Di norma de capre (a differenza delle pecore) avevano un nome proprio che può essere utilizzato anche per chiamarle, ciò era particolarmente vero per la “capra di casa”. 276 Testimonianza di Miro Puricelli, sala Comacina (Co). 277 “Non è infrequente trovare nel prealpeggio qualche pecora o capra, che servono per fornire alimenti a coloro che rimangono a custodia del bestiame, in modo da poter lavorare tutto il latte delle vacche, quando queste non sono nelle malghe”, G.AGOSTINI , La vita pastorale nel gruppo dell’Adamello, Trento, 1950, p. 33. 278 Successivamente le capre le vennero rubate per essere macellate e consumate da gente “più disperata di me” di un'altra borgata, “Ho salvato i miei figlio col latte di capra”, Testimonianza di Teodora Ramoni, Villette (Vb), in B.MAZZI, op. cit., p. 46.

L’ importanza attribuita all’utilizzo del latte di capra per lo svezzamento dei neonati è riflessa in un articolo dello Statuto di Bianzone (Valtellina) che stabilisce che tutto il bestiame sia trasferito all’alpeggio tranne una vacca o capra da latte o, in alternativa, un paio di bovine da lavoro, ma concede comunque che “chi avrà para uno de vacche, o manze da lavoro non possa tenere altre vacche da latte, ne capre, eccetto una capra da latte in caso di lattare fìgliolini per necessità, della quale sia data informazione al Decano, e suoi ai quali s’habbia licenza e quali conosciuta sian tenuti a darla “ 279 . Considerazioni circa l’importanza dell’allevamento della capra per l’alimentazione neonatale ed infantile si trovano frequentemente nell’ambito delle aspre polemiche del XIX secolo tra sostenitori delle opposte vedute circa l’opportunità o meno di eliminare o quantomeno limitare il numero delle capre 280 . Tali argomentazioni non trovavano riscontro solo nella dietologia popolare, ma anche nella pediatria ufficiale. A metà ‘800 i medici, considerate le condizioni igieniche del tempo e la diffusione, consigliano, qualora possibile, di far succhiare direttamente il latte dalla mammella dell’animale: asina o capra, “soprattutto quella bianca perché più docile” 281 . “[…] in passato questi [i neonati] potevano essere accostati alle [capre] nutrici onde popparne direttamente il latte: nel suo racconto autobiografico Giuseppe Strozzi di Biasca, nato nel 1834, ricorda che il padre, rimasto vedovo, lo tolse dalla balia e «lo fece allattare da una capra di pelo bianco. Intesi raccontare che questa bestia ne era molto affezionata perché, quando sentiva il bambino piangere, gli rispondeva col suo belato ed una pronta venuta alla culla se si trovava distante da essa” 282 La possibilità di poppare direttamente il latte dalla mammella delle capre da parte degli infanti può apparire strana in considerazione del carattere vivace e a volte decisamente “selvatico” della capra. Pochi mammiferi come la capra, però, sono in grado di rivolgere con così facilità e frequenza ai cuccioli di altre specie le cure parentali e in primis quelle di allattamento. L’attitudine della capra a svolgere da “balia universale” è stata storicamente sfruttata dai pastori ovini che, nei greggi, specie ijn quelli transumanti, mantengono sempre un certo numero di capre (in genere 1 su 20 pecore) 283 . Alla capra nutrici veniva riservato un trattamento particolare; in Val di Ledro entrava nelle abitazioni e riceveva scarti di cucina 284 . L’uso del latte di capra per lo svezzamento è stato comune sino agli anni ’50-’60. In alcuni casi, se la famiglia disponeva di un’asina, si faceva precedere alla nutrizione con latte di capra un primo periodo con quello d’asina 285 . Nelle petizioni degli abitanti dell’Alta Val Brembana dell’inizio del XIX secolo, tendenti a scongiurare l’introduzione del divieto assoluto di allevamento caprino, ci si appella alle virtù del latte di capra sostenendo che esso era indispensabile anche per i convalescenti e gli ammalati 286 . Anche dopo la prima infanzia ai bambini veniva somministrato latte di capra come “medicinale” 287 . 279 D.ZOIA, «Nel passato. Le comunità valtellinesi e i loro ordinamenti», in: A.BENETTI, D.BENETTI, D. DELL’OCA, D.ZOIA, Uomini delle Alpi. Contadini e pastori in Valtellina, Jaca Book, Milano, 1983, pp. 111-159. 280 «[…] questi animali boscherecci siano molto assai popolari sui monti […] in vista dei vantaggi che ne traggono le povere famiglie montanine, che nutriscono col loro latte la prole affamata», Consorzio agrario di Trento e della Società agraria di Rovereto (a cura di), Saggio di statistica agraria del Trentino dell'anno 1870. p.? ? “Nulla costa il mantenerle, arrampicandosi esse sulle più scoscese rupi in traccia di un alimento che andrebbe perduto. Una capra serve […] ad alimentare il neonato che cerca latte invano nel seno della madre oppressa dalla fatica”, M. GIOIA, V. CUOCO, op. cit. , p. 65. 281 C.COLOMBELLI, «L’alimentazione dell’infanzia dalla seconda metà dell’800 ai primi del’900», Il Risorgimento, n 2, 1992, pp. 399-416. 282 MOR, p. 47. 283 M.CORTI, G. FOPPA, op. cit. , p. 51. 284 Testimonianza di Saverio Tiboni,Tirano di Sopra (Tn). 285 Testimonianza di Lidia Zappa, Caslino d’Erba (Co). 286 ASB, Dipartimento del Serio, cartella 86. 287 Testimonianza di Vittorio Tavecchio, Caslino d’Erba (Co).

L’ importanza attribuita all’utilizzo del latte di capra per lo svezzamento dei neonati è riflessa in<br />

un articolo dello Statuto di Bianzone (Valtellina) che stabilisce che tutto il bestiame sia trasferito<br />

all’alpeggio tranne una vacca o capra da latte o, in alternativa, un paio di bovine da lavoro, ma<br />

concede comunque che<br />

“chi avrà para uno de vacche, o manze da lavoro non possa tenere altre vacche da latte, ne capre, eccetto una<br />

capra da latte in caso di lattare fìgliolini per necessità, della quale sia data informazione al Decano, e suoi ai quali<br />

s’habbia licenza e quali conosciuta sian tenuti a darla “ 279<br />

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Considerazioni circa l’importanza dell’allevamento della capra per l’alimentazione neonatale ed<br />

infantile si trovano frequentemente nell’ambito delle aspre polemiche del XIX secolo tra sostenitori<br />

delle opposte vedute circa l’opportunità o meno di eliminare o quantomeno limitare il numero delle<br />

capre 280 . Tali argomentazioni non trovavano riscontro solo nella dietologia popolare, ma anche<br />

nella pediatria ufficiale. A metà ‘800 i medici, considerate le condizioni igieniche del tempo e la<br />

diffusione, consigliano, qualora possibile, di far succhiare direttamente il latte dalla mammella<br />

dell’animale: asina o capra, “soprattutto quella bianca perché più docile” 281 .<br />

“[…] in passato questi [i neonati] potevano essere accostati alle [capre] nutrici onde popparne direttamente il<br />

latte: nel suo racconto autobiografico Giuseppe Strozzi di Biasca, nato nel 1834, ricorda che il padre, rimasto<br />

vedovo, lo tolse dalla balia e «lo fece allattare da una capra di pelo bianco. Intesi raccontare che questa bestia ne era<br />

molto affezionata perché, quando sentiva il bambino piangere, gli rispondeva col suo belato ed una pronta venuta<br />

alla culla se si trovava distante da essa” 282<br />

La possibilità di poppare direttamente il latte dalla mammella delle capre da parte degli infanti<br />

può apparire strana in considerazione del carattere vivace e a volte decisamente “selvatico” della<br />

capra. Pochi mammiferi come la capra, però, sono in grado di rivolgere con così facilità e frequenza<br />

ai cuccioli di altre specie le cure parentali e in primis quelle di allattamento. L’attitudine della capra<br />

a svolgere da “balia universale” è stata storicamente sfruttata dai pastori ovini che, nei greggi,<br />

specie ijn quelli transumanti, mantengono sempre un certo numero di capre (in genere 1 su 20<br />

pecore) 283 . Alla capra nutrici veniva riservato un trattamento particolare; in Val di Ledro entrava<br />

nelle abitazioni e riceveva scarti di cucina 284 . L’uso del latte di capra per lo svezzamento è stato<br />

comune sino agli anni ’50-’60. In alcuni casi, se la famiglia disponeva di un’asina, si faceva<br />

precedere alla nutrizione con latte di capra un primo periodo con quello d’asina 285 . Nelle petizioni<br />

degli abitanti dell’Alta Val Brembana dell’inizio del XIX secolo, tendenti a scongiurare<br />

l’introduzione del divieto assoluto di allevamento caprino, ci si appella alle virtù del latte di capra<br />

sostenendo che esso era indispensabile anche per i convalescenti e gli ammalati 286 . Anche dopo la<br />

prima infanzia ai bambini veniva somministrato latte di capra come “medicinale” 287 .<br />

279<br />

D.ZOIA, «Nel passato. Le comunità valtellinesi e i loro ordinamenti», in: A.BENETTI, D.BENETTI, D. DELL’OCA,<br />

D.ZOIA, Uomini delle Alpi. Contadini e pastori in Valtellina, Jaca Book, Milano, 1983, pp. 111-159.<br />

280<br />

«[…] questi animali boscherecci siano molto assai popolari sui monti […] in vista dei vantaggi che ne traggono le<br />

povere famiglie montanine, che nutriscono col loro latte la prole affamata», Consorzio agrario di Trento e della Società<br />

agraria di Rovereto (a cura di), Saggio di statistica agraria del Trentino dell'anno 1870. p.? ? “Nulla costa il<br />

mantenerle, arrampicandosi esse sulle più scoscese rupi in traccia di un alimento che andrebbe perduto. Una capra serve<br />

[…] ad alimentare il neonato che cerca latte invano nel seno della madre oppressa dalla fatica”, M. GIOIA, V. CUOCO,<br />

op. cit. , p. 65.<br />

281<br />

C.COLOMBELLI, «L’alimentazione dell’infanzia dalla seconda metà dell’800 ai primi del’900», Il Risorgimento, n 2,<br />

1992, pp. 399-416.<br />

282<br />

MOR, p. 47.<br />

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M.CORTI, G. FOPPA, op. cit. , p. 51.<br />

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Testimonianza di Saverio Tiboni,Tirano di Sopra (Tn).<br />

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Testimonianza di Lidia Zappa, Caslino d’Erba (Co).<br />

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ASB, Dipartimento del Serio, cartella 86.<br />

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