Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini
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oscaioli di mantenere e lasciar pascolare 1-2 capre 264 . Quanto ai minatori c’è da osservare che la<br />
capra ha rappresentato una risorsa fondamentale laddove una parte significativa della popolazione<br />
era dedita alle attività minerarie e non disponeva di terreno e di risorse umane sufficienti per<br />
l’allevamento del bestiame grosso. La possibilità di mantenere un certo numero di capre per le<br />
famiglie dei minatori, in deroga alle rigide proibizioni in vigore, era legato anche all’effetto<br />
benefico del consumo latte per coloro che erano costretti a lavorare in un ambiente nocivo.<br />
Anche i pastori ovini transumanti utilizzavano latte di capra, con il quale si preparava la<br />
minestra con aggiunta di riso e perüch (spinaci selvatici) 265 , o con il quale veniva “condita” la<br />
polenta 266 . Persino i giovani, che si trattenevano qualche giorno in montagna per il taglio del fieno<br />
“selvatico” (o “magro”), usavano portare con sé una capra 267 . In alcuni casi la “capra al seguito”<br />
rappresentava semplicemente un mezzo per economizzare sul vitto; è quanto praticato dai falciatori<br />
assunti a giornata che si recavano dai paesi rivieraschi della Tremezzina (Lago di Como) nella<br />
limitrofa Valle Intelvi 268 .<br />
Il ruolo del consumo di latte di capra nel <strong>sistema</strong> alimentare delle popolazioni alpine emerge<br />
chiaramente anche quando si esaminano i sistemi di alpeggio; le norme che li regolavano, con<br />
diverse modalità, si premuravano di assicurare che non mancasse il rifornimento di latte di capra<br />
fresco a quanti restavano al villaggio. In alcuni casi le capre non erano trasferite all’alpeggio e il<br />
gregge del villaggio, affidato a caprai salariati o condotto a turno dai proprietari, utilizzava durante<br />
la giornata pascoli magri (a volte anche notevolmente distanti dal villaggio) rientrando ogni sera<br />
per la mungitura serale per ripartire la mattina seguente dopo la munta mattutina. In alcuni casi vi<br />
era un <strong>sistema</strong> misto: una parte delle capre veniva inviata in alpe mentre le altre erano affidate ad un<br />
capraio che le conduceva al pascolo durante il giorno e le riconsegnava alla sera. Tenendo a casa le<br />
capre ed utilizzando il loro latte gli abitanti dei villaggi potevano inviare all’alpeggio tutte le vacche<br />
ed evitare di consumere una parte del foraggio raccolto a valle, così prezioso per l’inverno.<br />
“Dobbiamo distinguere tra capre da fattoria e capre d’alpeggio. Queste ultime passano tutta la stagione di<br />
pastura sull’alpe insieme ai bovini e non hanno bisogno di alpeggi particolari. Le capre di fattoria invece, d’estate,<br />
tutte le mattine salgono all’alpeggio e il capraio le riporta al villaggio la sera, per la seconda mungitura. Come le<br />
pecore, le capre vanno a cercare il loro cibo lungo i pendii scoscesi, là dove l’uomo stesso non si avventura. Le<br />
capre di fattoria danno abbastanza latte per il consumo privato del contadino montanaro, di modo che egli può<br />
mettere all’alpeggio tutte le sue vacche durante l’estate ed economizzare così per l’inverno una parte del foraggio<br />
raccolto in valle” 269<br />
Il <strong>sistema</strong> del “doppio gregge” era utilizzato anche in Val d’Ossola (dove ogni famiglia poteva<br />
tenere a casa quante capre avesse ritenuto necessarie per i propri fabbisogni di autoconsumo e ad<br />
ogni proprietario a turno –roata- era affidata la custodia) 270 , ma doveva consegnare a pastori stabiliti<br />
264 “In alcuni contratti settecenteschi e ottocenteschi mesolcinesi si consentiva ai boscaioli che soggiornavano nei boschi<br />
durante il periodo del taglio di tenere e lasciare pascolare qualche capra, di solito una o due per persona, spesso presa in<br />
affitto dagli allevatori locali”, MOR, p. 21.<br />
265 “In passato le capre erano ancor più importanti perché i pastori consumavano essi stessi il loro latte, circostanza che<br />
oggi appare occasionale.” M. CORTI, G.FOPPA, La pecora Bergamasca. Immagini, storia, <strong>sistema</strong> di allevamento della<br />
più importante razza ovina delle Alpi, Provincia di Bergamo, Area IV° Economia e Lavoro – Servizio Sviluppo<br />
Agricolo e Forestale, Bergamo, 1999, p. 51.<br />
266 “Non dimentichiamo la polenta e latte (che per i pastori era di capra), piatto tipico del montanaro, che è sempre un<br />
bel mangiare”, D. M. TOGNALI, «La vita dei pastori», in M. BERRUTI E G. MACULOTTI (a cura di) Pastori di<br />
Valcamonica. Studi, documenti, testimonianze su un antico lavoro di montagna. A cura di, Grafo, Brescia, 2001, pp. 9-<br />
31.<br />
267 “quando io e mio fratello andavano a fare fieno [magro] in un capanno dove ci trasferivamo per fare fieno, si<br />
portavano una capra e vivevano di quella”, Testimonianza di Adriano Puricelli, Faggeto Lario (Co).<br />
268 “prima della guerra io e mio fratello andavamo a fare i falciatori in Val d’Intelvi e ci portavano via una capra di<br />
nome Balilla che faceva anche 3 litri di latte e vivevamo di quella…” Ibidem.<br />
269 A. NIEDER, « Economia e forme tradizionali di vita nelle Alpi» in P. GUICHONNET (a cura di), Storia e civilizzazione<br />
delle Alpi, Vol II, Destino umano, Milano, 1987, pp. 9-103.<br />
270 Lo Statuto di Mulesco del 1450 (Cap. 31) prevede che ogni famiglia potesse tenere a casa quel numero di capre che<br />
giudicasse necessario per la propria alimentazione, T. BERTAMINI, op. cit., LCC, p. 31.