Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini

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12.06.2013 Views

toni commiserativi 129 e riprende la polemica sociale di inizio secolo contro l’oziosità dei caprai dediti al “ladroneggio senza limiti” e assegnando alla “lotta alle capre” una funzione di risanamento morale (oltre che di difesa della proprietà). “Né possono dirsi veramente miserabili le famiglie de'caprai e meritevoli di compassione chè pur troppo invece 1'apparente miseria é quasi sempre il risultato dell'essere avversi ad ogni fatica, incalliti nella poltroneria, rozzi ed immorali. Col sopprimere le capre, insomma non solamente si gioverebbe alla condizioni dell`agricoltura, della selvicoltura e d e l l a pastorizia ma, si contribuirebba anche al miglioramento delle condizioni morali della popolazione, ed a quelle della sicurezza della proprietà, col fare scomparire, anche il ceto dei caprai; ceto che, dedito dapprima unicamente ai furti campestri, a poco a poco si abbandona , poi al ladroneggio in genere e senza limiti” 130 . Il peso di queste opinioni “tecniche” non deve essere sottovalutato perché gradualmente, in modo che diventerò sempre più palese nel ‘900, la buroespertocrazia forestale assunse un carattere autoreferenziale, condizionando profondamente il processo di formazione delle normative e l’orientamento della politica forestale stessa. Al di là di queste posizioni “tecniche”, orientate alla “crociata” contro le capre, nell’ambito politico non mancarono, accanto alle posizioni paternalistiche, anche lucide denunce dell’ “egoismo di classe” che ispirava la politica sui boschi e sulle capre. L’uomo politico valtellinese Luigi Credaro, che, non a caso ebbe come interlocutore delle sue polemiche, l’Ispettore forestale provinciale di Sondrio, cav. Fanchiotti, denunciò lucidamente come, alla base della politica forestale dello stato e delle sua modalità di applicazione da parte del Comitato forestale provinciale, vi fosse l’interesse dello strato dei maggiori proprietari 131 . Questi ultimi sostenevano l’estensione del bosco a spese del pascolo comunale (che serviva alle famiglie contadine) quale mezzo per aumentare le entrate dei comuni mediante la vendita del legname e ridurre corrispondentemente le imposte comunali da essi versate 132 . Come per il passato, nell’ambito dei margini di discrezionalità (peraltro sempre più ristretti) dei comuni, le scelte in materia di gestione dei beni silvopastorali erano influenzate dalla composizione sociale della popolazione. Laddove una significativa quota di famiglie possedeva ancora le capre, ed era fortemente interessata a mantenerle, la modesta tassa di pascolo riscossa dal comune rappresentava un cespite attivo importante del magro bilancio di quelle amministrazioni e induceva i comuni ad aggirare i provvedimenti anti-capre 133 . Altrove, o cinque mesi dell'estate, é un fatto però che negli altri sette o otto mesi dell'anno, discese sulle colline o al piano, a pascolo libero e vagante, esse, sfrondano i nocciuòli, i piccoli salici, la tamarici, le tenere betuIle gli aceri campestri ed insomma tutti gli Arboscelli dei quali, quando non trovano più frondi, rodono e guastano anche la corteccia, sicchè moltissimi periscono, ed i pochi che sopravvivono vegetano stentatamente. Durante le devastazioni, arrecate dalle capre che cosa fanno, i caprari? Da ogni pianta recidono coi loro roncigli i rami fronzuti, cui per soperchia altezza da terra non giunge il dente delle capre, li fanno appassire all'ombra e li ripongono poi onde pascere il loro gregge nel dicembre, nel gennaio ed in febbraio; ed in tal modo, col sussidio, di una minima, quantità di fieno, raggiungono la primavera: ed allora incomincia una nuova serie di danni col guastar che fanno la capre le prime gemme degli arbusti ritardandone così o rendendone più stentata la vegetazione. Evidentemente il mantener le capre con tale sistema costa assai poco al capraio, ma immensamente al pubblico ed ai privati, per gli incalcolabili danni che ne derivano”. IAJ, Relazione sul Circondario di Breno, p. 292. 129 “ma siccome la parte maggiore delle capre è sparsa fra famiglie povere, che non hanno fondi propri, così avviene che facendole pascolare sui fondi altrui, si arreca a questi molti danni.” IAJ, Relazione sul Circondario di Salò, p. 419. 130 IAJ, Relazione sul Circondario di Breno, p. 292. 131 Attraverso le alienazioni dei beni comunali, le confische dei beni ecclesiastici (operate in epoca napoleonica, ma anche dal Regno d’Italia) e la più generale dinamica economia che interessava la società del tempo si venne ampliando la differenziazione sociale tra micro-proprietari interessati all’utilizzo diretto dei beni comunali nell’ambito dell’economia di sussistenza e “grossi” proprietari, introducendo un nuovo elemento di conflittualità nel contrasto tra boschi e pastorizia. 132 L. CREDARO, «La lotta fra la pastorizia e il rimboschimento in Valtellina. Risposta aperta al cav. C.Fanchiotti » in: N. CREDARO PORTA, A COLOMBO (a cura di), Luigi Credaro : il coraggio dell'impegno, Atti del convegno, Istituto sondriese per la storia della resistenza e dell'eta contemporanea, Sondrio, 2001, p. 115 133 “La capra […] forma quindi l’unica risorsa di molte famiglie povere, e allevata in grande costituisce una vera fonte di ricchezza pei caprai, che ne manipolano il latte e ne trafficano la carne, mentre il comune, con una

dove i pascoli comunali vennero banditi, l’allevamento della capra si ridusse a condizioni di assoluta marginalità, limitandone l’esercizio a povere “donnicciole”, quale alternativa al “ricovero di mendicità”. “Le capre invece isolate ad una ad una od al più a due, nelle vicinanze dei paesi o dei coltivati, vengono condotte al pascolo a mano, lungo le siepi ed i cigli delle strade, poscia ricondotte nelle stalle ove loro si da un po’ di fieno del più scadente 134 ” Talvolta lo scontro tra i portatori di opposti interessi in relazione all’allevamento caprino, in seno comunità, degenerò in disordini che richiesero l’intervento della forza pubblica e il decisivo intervento delle autorità (ovviamente ai danni delle capre e dei loro proprietari) per imporre la “pacificazione” 135 . La disparità di situazioni locali si riflette nelle statistiche sulla presenza delle capre nei diversi distretti montani della Lombardia. In quelli alpini di Breno (Vallecamonica) e Sondrio (Valtellina e Valchiavenna) il rapporto medio capre/proprietari è superiore a 4, mentre, in quelli prealpini e pedemontani di Varese e Brescia, in relazione alla minore estensione dei pascoli, ma anche ad una maggiore presenza di boschi cedui e coltivazioni ed ad un’applicazione più efficace delle normative di legge, esso risultava al di sotto delle 2 capre per proprietario. Tabella – Vensimento del bestiame 1881, distretti montani della Lombardia (fonte: CB1881) Il rapporto tra le comunità locali e i poteri governativi in materia di risorse silvopastorali era comunque influenzato dal contesto istituzionale. In Svizzera, dove, come visto, si erano andati affermando orientamenti forestalisti autoritari e fortemente ostili alle capre, le istituzioni locali, politiche e comunicative, erano, però, ancora in grado di rintuzzare efficacemente le spinte governative. Nel 1908 il tentativo delle autorità cantonali ticinesi di uniformare le norme delle diverse comunità rurali in materia di restrizioni dell’allevamento e del pascolo caprino, si scontrò contro il voto popolare nel referendum promosso dalle corporazioni patriziati, eredi delle antice vicìnie 136 . 1.5. Il Novecento (la capra termometro di profonde e rapide trasformazioni) L’esame dei dati statistici relativi alla consistenza del patrimonio zootecnico caprino tra XIX se XX secolo, certamente più attendibili di quelli del passato 137 , mostra che la crescita del patrimonio tenuissima imposta annua su ciascun capo a titolo di licenza di pascolo, fa fronte a quasi tutte le spese e chiude i suoi bilanci con avanzi attivi”, IAJ, Relazione sul Circondario di Lecco, p. 331. 134 CB1881, Relazione sulla Provincia di Brescia del Dott. Giuseppe Ugonotti,, p. lxxv. 135 “In tutti i tempi, Caslino aveva avuto abbondanza di capre fino a possederne oltre 250. Affidate ad un pubblico pastore venivano condotte giornalmente al pascolo, chioamate allo spuntar dell’alba col suono del corno. Il pastore che riceveva venti soldi milanesi al giorno e a cena veniva ospitato a turno presso le famiglie del paese, non poteva far altro che limitarsi a custodire il gregge senza poter impedire i danni che venivano arrecati ai boschi e alle selve di Caslino, già in decadenza nel 1721, in confronto ad una statistica del 1600. Varie volte in anni diversi, furono imnpartiti ordini per limitare il numero delle capre, ma il provvedimento non raggiunse lo scopo. Nel secolo scorso alcuni amministratori pensarono alla possibilità di abolire i pascoli e divulgarono il motto di “abbasso le corna”. Ma il popolo, per non privarsi di una momentanea ed effimera fonte di guadagno, insorse gridando “in alto le corna”. Ne nacque così un’acerrima lotta che vide il paese scisso in due partiti avversi, cui presero parte anche donne e ragazzi. Sfociarono una sequela di odi e vendette. A por fine a tale stato di cose, il Sindaco fu costretto a chiedere l’intervento di un piccolo reparto militare, che arrestò e deportò a Lecco i più scalmanati agitatori. La questione venne allora definita da qual tribunale, con l’obbligo di abolizione del libero pascolo che ridiede a Caslino un’atmosfera di ritornata serenità e di più tranquillo lavoro” (F. ISACCHI , Caslino d’Erba e la sua storia, Milano, 1957, pp 78-79). 136 MAR, p. 33. 137 Più di ogni altro l’allevamento caprino a carattere fortemente rurale e famigliare sfugge a precise rilevazioni censuarie tranne che in circostanze di stringenti esigenze di carattere fiscale o sanitario. I criteri adottati nelle indagini non sono per di più omogenei nel tempo fatto che non consente di confrontare con un elevato grado di affidabilità anche le serie storiche dello stesso Istat. Va segnalato a tale proposito che i dati forniti dalle ASL per le stesse epoche di censimento risultano sistematicamente più elevati.

toni commiserativi 129 e riprende la polemica <strong>sociale</strong> di inizio secolo contro l’oziosità dei caprai<br />

dediti al “ladroneggio senza limiti” e assegnando alla “lotta alle capre” una funzione di<br />

risanamento morale (oltre che di difesa della proprietà).<br />

“Né possono dirsi veramente miserabili le famiglie de'caprai e meritevoli di compassione chè pur troppo invece<br />

1'apparente miseria é quasi sempre il risultato dell'essere avversi ad ogni fatica, incalliti nella poltroneria,<br />

rozzi ed immorali. Col sopprimere le capre, insomma non solamente si gioverebbe alla condizioni dell`agricoltura, della<br />

selvicoltura e d e l l a pastorizia ma, si contribuirebba anche al miglioramento delle condizioni morali della popolazione,<br />

ed a quelle della sicurezza della proprietà, col fare scomparire, anche il ceto dei caprai; ceto che, dedito dapprima<br />

unicamente ai furti campestri, a poco a poco si abbandona , poi al ladroneggio in genere e senza limiti” 130 .<br />

Il peso di queste opinioni “tecniche” non deve essere sottovalutato perché gradualmente, in<br />

modo che diventerò sempre più palese nel ‘900, la buroespertocrazia forestale assunse un<br />

carattere autoreferenziale, condizionando profondamente il processo di formazione delle<br />

normative e l’orientamento della politica forestale stessa. Al di là di queste posizioni<br />

“tecniche”, orientate alla “crociata” contro le capre, nell’ambito politico non mancarono, accanto<br />

alle posizioni paternalistiche, anche lucide denunce dell’ “egoismo di classe” che ispirava la<br />

politica sui boschi e sulle capre. L’uomo politico valtellinese Luigi Credaro, che, non a caso<br />

ebbe come interlocutore delle sue polemiche, l’Ispettore forestale provinciale di Sondrio, cav.<br />

Fanchiotti, denunciò lucidamente come, alla base della politica forestale dello stato e delle sua<br />

modalità di applicazione da parte del Comitato forestale provinciale, vi fosse l’interesse dello<br />

strato dei maggiori proprietari 131 . Questi ultimi sostenevano l’estensione del bosco a spese del<br />

pascolo comunale (che serviva alle famiglie contadine) quale mezzo per aumentare le entrate dei<br />

comuni mediante la vendita del legname e ridurre corrispondentemente le imposte comunali da<br />

essi versate 132 . Come per il passato, nell’ambito dei margini di discrezionalità (peraltro sempre<br />

più ristretti) dei comuni, le scelte in materia di gestione dei beni <strong>silvo</strong><strong>pastorali</strong> erano influenzate<br />

dalla composizione <strong>sociale</strong> della popolazione. Laddove una significativa quota di famiglie<br />

possedeva ancora le capre, ed era fortemente interessata a mantenerle, la modesta tassa di<br />

pascolo riscossa dal comune rappresentava un cespite attivo importante del magro bilancio di<br />

quelle amministrazioni e induceva i comuni ad aggirare i provvedimenti anti-capre 133 . Altrove,<br />

o cinque mesi dell'estate, é un fatto però che negli altri sette o otto mesi dell'anno, discese sulle colline o al<br />

piano, a pascolo libero e vagante, esse, sfrondano i nocciuòli, i piccoli salici, la tamarici, le tenere betuIle gli aceri<br />

campestri ed insomma tutti gli Arboscelli dei quali, quando non trovano più frondi, rodono e guastano anche la corteccia,<br />

sicchè moltissimi periscono, ed i pochi che sopravvivono vegetano stentatamente. Durante le devastazioni, arrecate dalle<br />

capre che cosa fanno, i caprari? Da ogni pianta recidono coi loro roncigli i rami fronzuti, cui per soperchia altezza da<br />

terra non giunge il dente delle capre, li fanno appassire all'ombra e li ripongono poi onde pascere il loro gregge<br />

nel dicembre, nel gennaio ed in febbraio; ed in tal modo, col sussidio, di una minima, quantità di fieno,<br />

raggiungono la primavera: ed allora incomincia una nuova serie di danni col guastar che fanno la capre le<br />

prime gemme degli arbusti ritardandone così o rendendone più stentata la vegetazione. Evidentemente il mantener le<br />

capre con tale <strong>sistema</strong> costa assai poco al capraio, ma immensamente al pubblico ed ai privati, per gli incalcolabili danni<br />

che ne derivano”. IAJ, Relazione sul Circondario di Breno, p. 292.<br />

129 “ma siccome la parte maggiore delle capre è sparsa fra famiglie povere, che non hanno fondi<br />

propri, così avviene che facendole pascolare sui fondi altrui, si arreca a questi molti danni.” IAJ,<br />

Relazione sul Circondario di Salò, p. 419.<br />

130 IAJ, Relazione sul Circondario di Breno, p. 292.<br />

131 Attraverso le alienazioni dei beni comunali, le confische dei beni ecclesiastici (operate in epoca napoleonica, ma<br />

anche dal Regno d’Italia) e la più generale dinamica economia che interessava la società del tempo si venne ampliando<br />

la differenziazione <strong>sociale</strong> tra micro-proprietari interessati all’utilizzo diretto dei beni comunali nell’ambito<br />

dell’economia di sussistenza e “grossi” proprietari, introducendo un nuovo elemento di conflittualità nel contrasto tra<br />

boschi e pastorizia.<br />

132 L. CREDARO, «La lotta fra la pastorizia e il rimboschimento in Valtellina. Risposta aperta al cav. C.Fanchiotti » in:<br />

N. CREDARO PORTA, A COLOMBO (a cura di), Luigi Credaro : il coraggio dell'impegno, Atti del convegno, Istituto<br />

sondriese per la storia della resistenza e dell'eta contemporanea, Sondrio, 2001, p. 115<br />

133 “La capra […] forma quindi l’unica risorsa di molte famiglie povere, e allevata in grande costituisce una vera<br />

fonte di ricchezza pei caprai, che ne manipolano il latte e ne trafficano la carne, mentre il comune, con una

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