Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini
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di interesse dal <strong>pastorali</strong>smo alla vitivinicoltura, come in alcune aree del Trentino 113 .<br />
Nelle diverse condizioni dell’area alpina centro-occidentale, invece, all’allevamento bovino su<br />
piccolissima scala restò frequentemente affiancato l’allevamento ovicaprino in funzione<br />
diautoconsumo e di integrazione di reddito. Qui, anzi, si conobbe, a dispetto delle<br />
regolamentazioni sempre più restrittive ed invadenti, una pressione a favore dell’aumento delle<br />
capre. Le determinanti vanno individuate nel’aumento demografico, in quello della pressione<br />
fiscale (che incentivava ad ampliare la produzione di capretti per la vendita) e nella stessa<br />
progressiva sottrazione della disponibilità delle risorse <strong>silvo</strong><strong>pastorali</strong>. Puntava in quest’ultima<br />
direzione la legislazione adotta dal Regno d’Italia in materia di soppressione di usi civici, vincoli<br />
forestali, rimboschimenti, vendita forzata delle “terre incolte” (tra cui venivano inclusi anche i<br />
pascoli alpini, obbligo per i comuni di adottare il <strong>sistema</strong> di affitto con asta pubblica per la<br />
concessione dei pascoli comunali 114 . Tutti questi provvedimenti spingevano ad utilizzare<br />
maggiormente quelle superfici che rimanevano “libere” e che, data la loro natura impervia, non<br />
potevano che essere utilizzate dalle capre, in forma legale o abusiva. In occasione del censimento<br />
del bestiame del 1881 il relatore per la provincia di Bergamo mise in evidenza tale situazione:<br />
“Il grido di guerra, che da molti e molti anni sì elevò contro la specie caprina, non sortì alcun effetto, ed i<br />
14053 capi, che esistono in questa nostra provincia e che rappresentano gli interessi di ben 4600 proprietari, ci<br />
avvertono che in questa crociata il terreno sarà conteso palmo a palmo ne è da attendersi diversamente” 115 .<br />
In termini analoghi si esprimeva il relatore per la provincia di Sondrio, che espone in modo<br />
analitico le ragioni dell’utilità della capra e della tenace resistenza del contadino valtellinese e<br />
valchiavennasco alle norme che tendevano a limitarne l’allevamento 116 , concludendo che:<br />
diffusione delle tecniche di selvicoltura con conifere a rapida produzione (W. BÄTZING, op. cit. p. 132) che decretò<br />
l’incompatibilità dei sistemi agro<strong>pastorali</strong> polivalenti e una decisa specializzazione “obbligata”, basata sulla convivenza<br />
tra praticoltura-allevamento bovino da latte da una parte e selvicoltura intensiva dall’altro che le normative restrittive<br />
non fecero che rispecchiare. La nuova selvicoltura “scientifica” di scuola germanica si basava su una rigida separazione<br />
tra i popolamenti coetanei di conifere, governati con il taglio a raso, e il pascolo (incompatibile con questo tipo di<br />
gestione forestale). Bisognerà aspettare la seconda metà del XX secolo per una revisione critica di questi principi<br />
forestali sulla base degli evidenti impatti ecologici negativi rispetto al mantenimento dei boschi di latifoglie ed a<br />
sistemi più “naturali” di governo delle fustaie di conifere.<br />
113 C.BATTISTI ????????????????????????????????????????????? p. 8 ? Mentre il numero degli ovini in Trentino<br />
diminuì costantemente e drammaticamente dalla metà del XIX secolo agli inizi del XX in relazione alle condizioni<br />
sempre più difficili di esercizio della transumanza verso la valle dell’Adige e la pianura lombardo-veneta (da 111 mila<br />
capi del 1850 a soli 26 mila nel 1910), il numero dei bovini si mantenne costante e quello delle capre scese da 56 mila<br />
capi del 1850 a 31 del 1890 per risalire a 38 mila nel 1910). C. BATTISTI, op. cit., p. 110.<br />
114 M.CORTI, 2004, op. cit. , pp. 104-107.<br />
115 “Ben è vero che il suo morso riesce esiziale ai giovani germogli degli arbusti, ma questi non guadagnano neppure<br />
dal morso di pecore e di vacche. Piuttosto, tenendo presente il fatto, che la capra arditamente si arrampica a cogliere il<br />
cibo su balze e precipizii, ai quali non osano avvicinarsi né vacche né pecore. e che si pasce di erbe da queste rifìutate<br />
creando così un profìtto, che altrimenti andrebbe perduto, rendono incerti nel giudicare, se possa riuscire più<br />
vantaggioso il distruggerla, di quello che modificarne l’allevamento e regolarne così il pascolo, che i temuti danni<br />
abbiano a scemare od a scomparire”. Cfr. CB1881, Relazioni provinciali, Bergamo (relatore Angelo Mazzi), p. xxxviii.<br />
116 “ [La capra] riesce ancor di minor carico [a paragone della pecora] l’alimento da darsi, consistente nello sbracamento<br />
di secchi fogliami o da virgulti a bella posta raccolti e messi in serbo, e nei residui del fieno [dei bovini]; nella stagione<br />
estiva e cioè dalla primavera a tutto l’autunno le capre si lasciano all’aperto pascolo man mano che la neve si ritira, e<br />
nei luoghi più ripidi e scoscesi dove neppure l’uomo può giungere, salvo però alla sera e al mattino che sono chiamate<br />
dal pastore della mandra per mungerne il latte che si raduna in generale con quello di vacca per confezionare burro,<br />
formaggio e ricotta. In generale puossi dire che la capra è bestia che in proporzione del capitale occorrente per<br />
l’acquisto, da il maggior profitto; ed infatti, posto il prezzo medio di acquisto di una capra in autunno a L. 16 si ha il<br />
reddito di L. 4 nel valore del capretto e L. 10 circa nel fitto corrispondente per la stagione estiva in corrispettivo del<br />
frutto ricavabile, e quindi pur calcolando in L. 2 le spese di custodia sempre molto esigue e compensabili col valore del<br />
latte ritraibile nelle altre stagioni, si ha un profitto molto superiore al cinquanta per cento del valore della bestia”.<br />
CB1881, Relazione provinciale Sondrio, relatore Dott. Giovanni Guicciardi, p. xxxiv. “Oltre a fieno e paglia,<br />
un’importante risorsa foraggera era costituita dalla föia di cavri, fogliame di diverse essenze, soprattutto di latifoglie e<br />
di vite, somministrato allo stato verde in particolare nel periodo di slattamento dei capretti, ma anche conservato in fasci<br />
di fronde posti a seccare all’ombra nei solai arieggiati di stalle ed abitazioni, per poter essere utilizzato durante